| Neanche i top manager di Mountain View lo usano. Perché dovrebbero farlo gli altri?
Fonte Giornalettismo
Google Plus non va. L’ultimo prodotto di Mountain View non sembra decollare, nonostante le statistiche inizialmente incoraggianti e cominciano ad apparire anche le prime critiche al progetto provenienti dall’interno dell’azienda .
NON LO USANO – Progetto fortissimamente voluto da Larry Page, CEO e fondatore con Brin dell’azienda, che lo ha immaginato come una risposta a Facebook e allo stesso tempo come la piattaforma capace d’integrare tutti i servizi offerti da Google e diventare il fulcro dell’intera Google experience per gli utenti. Un progetto sul quale l’azienda ha investito molto, ma che non trova tutti ugualmente entusiasti, tanto che pochi dei top manager di Google sembrano usare attivamente il nuovo prodotto. Lo stesso Larry Page lo usa pochissimo e, come si può dedurre dalla tabella ( o grafico a seconda di quello che metti da qui ) non è che vada molto meglio con gli altri, solo tre dei dodici membri del Management Team di Google l’hanno usato almeno una volta.
FACEBOOK SI’ - Ma non è solo il fatto che il fondatore di Facebook usi regolarmente il suo prodotto a fare la differenza, secondo le critiche dall’interno dall’azienda Google Plus è una risposta sbagliata per motivi sbagliati a una sfida che non si può vincere nel modo scelto da Google. Facebook è stata la risposta giusta al momento giusto ad una domanda latente che aspettava solo di essere soddisfatta o svegliata, Google arriva dopo e dovrebbe riuscire a interpretare o a creare i prossimi bisogni dei suoi utenti/consumatori, ma non sembra in grado di farlo. La forza di Facebook è quella di un ecosistema flessibile all’interno del quale si può perdere tempo in maniera più o meno piacevole in molti modi diversi. Non esiste un solo Facebook, ma un insieme di ambienti e situazioni accessibili attraverso Facebook, che può essere una stazione di transito o luogo di permanenza. A questo va aggiunto un patrimonio di utenti/clienti enorme e già acquisito, che rappresenta il target di Google, ma che non è più territorio vergine come lo era all’apparire di Facebook, che si è affermato offrendo qualcosa che non c’era in una virtuale assenza di concorrenti.
YEGGE – Commentando i dati dell’ultimo mese, che vedono un calo del 60% dell’attività su Google Plus a dispetto dell’aumento degli iscritti, Steve Yegge ha riconosciuto che ci vorrebbe la capacità di anticipare o creare i bisogni che è appartenuta a uno come Steve Jobs per mutare lo status quo a favore di Google, concludendo che però un Jobs non ce l’hanno a Mountain View. Steve Yegge è l’ingegnere di Google che poi ha diffuso la sua memoria ad uso aziendale anche all’esterno, c’è chi dice per errore e chi dice no, senza tuttavia subire conseguenze o ritorsioni dall’azienda, che nell’occasione ha ringraziato per avergli lasciato la massima libertà dicendo che mai si sognerebbero di censurare il pensiero di un dipendente. Resta paradossale che il testo sia emerso grazie a un errato uso delle gestione della privacy delle famose cerchie, che doveva essere uno dei punti di forza del sistema.
LA PIATTAFORMA - Pensiero che comprende pesanti critiche anche a Jeff Bezos di Amazon, chiamato ad esempio di imprenditore sensibile all’accessibilità dei prodotti e nel mezzo bastonato con l’acredine tipica dell’ex dipendente, oltre ad affermazioni nette come “non sappiamo fare le piattaforme” o chiamate ad esempio come quella delle piattaforme Microsoft o ancora il rimpianto (che condivido) per la potenza e versatilità di Wave . Il testo ha dato vita a un’animata discussione che, evadendo dai tecnicismi, ancora una volta oppone un manipolo d’entusiasti utenti e apologeti a una massa di perplessi che non riescono a cogliere cosa potrebbero trarre da Google Plus che già non offra Facebook, oltre a non gradire il fatto che Google prenda il controllo di altre informazioni oltre alla montagna di dati personali che ogni giorno accumula registrando ogni giorno le comunicazioni e la navigazione di miliardi di utenti.
FACEBOOK DAI PIEDI D’ARGILLA – La sensazione è che il futuro dei social network sia ancora tutto da decidere e che forse non sarà deciso mai. In fondo si tratta di luoghi, immateriali quanto si vuole, che soffriranno il destino di tutti i luoghi: avranno momenti di fasto e momenti di decadenza a seconda dell’umore dell’utenza, che quando si sarà stancata di Facebook probabilmente passerà altrove in un ambiente simile, ma possibilmente un po’ diverso, seguendo un processo di frammentazione non dissimile da quello che ha accompagnato l’emersione e l’esplosione di altri fenomeni social come è stato per le chat e le community. Nulla è perduto per Google e per gli altri aspiranti concorrenti, la vera sfida è dalle parti di Facebook, che ora possiede un tesoro dal valore volatile e per niente assicurato nel tempo.
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