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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 11/8/2009, 19:00 by: Lucky (Due di Picche)




La presidenza svedese dell'Unione Europea chiede la liberazione "immediata"
Frattini: "Un processo ingiusto, gravissima lesione ai principi della democrazia"
Il mondo chiede la liberazione di Suu Kyi
L'Ue: "Sanzioni contro il governo birmano"
Ban Ki Moon "deplora con forza", convocato Consiglio di sicurezza dell'Onu
La Malesia ha indetto una riunione straordinaria dei Paesi del Sud-est asiatico



ROMA - Toni durissimi nelle reazioni internazionali all'ennesima condanna di Aung San Suu Kyi da parte della giunta militare birmana. Sia l'Unione Europea sia l'Onu chiedono la liberazione "immediata" e "senza condizioni" della leader dell'opposizione. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è stato convocato in giornata mentre il segretario generale Ban Ki Moon ha espresso la sua "delusione", ha condannato "con fermezza" il verdetto e ha chiesto alla giunta militare birmana di "rilasciare immediatamente e senza condizioni" Suu Kyi.

La presidenza di turno svedese dell'Ue ha annunciato che sono allo studio diverse misure restrittive nei confronti degli interessi economici del governo di Rangoon, che "saranno alleggerite o inasprite a seconda degli sviluppi" della situazione. La Ue inoltre "intensificherà il lavoro con la comunità internazionale, e specialmente con i suoi partner in Asia, per ottenere il rilascio di San Suu Kyi e degli altri prigionieri politici in Birmania".

L'Italia si associa alla ferma condanna per un processo definito "ingiusto". Il ministro degli Esteri Franco Frattini parla di "una gravissima lesione ai principi della democrazia" e appoggia la proposta di "rafforzamento delle sanzioni" contro il governo del paese asiatico. Secondo Piero Fassino, inviato speciale dell'Ue per la Birmania, perfino la giunta militare "è imbarazzata" dalla sentenza e "bisogna agire a tutto campo per arrivare alla liberazione degli oltre duemila prigionieri politici e per ottenere un dialogo tra il regime e l'opposizione".

Parole di condanna arrivano anche all'amministrazione Obama. Per il segretario di Stato americano Hillary Clinton, Suu Kyi "non avrebbe mai dovuto essere né processata né condannata". L'ex first lady, inoltre, chiede la liberazione dei prigionieri politici, incluso lo statunitense John Yettaw: "Siamo preoccupati per la durezza della condanna nei suoi confronti, specialmente alla luce delle sue condizioni di salute".

Di "nuove sanzioni contro il regime birmano" parla pure Nicolas Sarkozy. In particolare, secondo il presidente francese, le restrizioni dovrebbero riguardare il campo del legname e delle pietre preziose.

Il primo ministro britannico Gordon Brown si dice "costernato e in collera". E sottolinea che le elezioni previste per l'anno prossimo non avrebbero "credibilità e legittimità" senza la partecipazione di Suu Kyi, definita la "speranza" del Paese. Il capo del governo di Londra annuncia inoltre che scriverà a tutti i membri del Consiglio di sicurezza dell'Onu per chiedere che venga imposto un embargo globale alla vendita di armi al regime birmano.

In Australia il ministro degli Esteri Stephen Smith chiede l'immediato rilascio di Aung San Suu Kyi e convoca l'ambasciatore birmano. Il governo della Malesia invece indice una riunione straordinaria dell'Asean, l'associazione dei Paesi del Sud-est asiatico.

Quattordici premi Nobel per la pace chiedono un'inchiesta sui "crimini contro l'umanità" in Birmania. "E' fondamentale - scrivono in una lettera aperta - che il regime risponda dei suoi crimini e che la portata della sua brutalità sia oggetto di un'inchiesta". A loro parere, Suu Kyi (anche lei insignita del premio nel 1991) è stata condannata "sulla base di accuse inventate". Tra i firmatari ci sono Mikhail Gorbaciov e il Dalai Lama.

Per Amnesty International la sentenza contro Aung San Suu Kyi "è vergognosa". La segretaria generale dell'organizzazione, Irene Khan, ritiene "una mascherata politica e giudiziaria" sia l'arresto che il processo alla dissidente.

(11 agosto 2009)


La capitale blindata dei generali alla vigilia di un verdetto già scritto
"Potrebbe riprendere la rivolta. Ma ormai anche lei sa poco di cosa è diventato questo paese"
Nella Birmania di oggi
che processa San Suu Kyi

"Il panorama è irreale: case colorate di azzurro o rosa, prati all'inglese,
strade a sei corsie. Ma non un'anima Solo camion militari..."



NAY PYI DAW (BIRMANIA) - A volte capita di avere fortuna viaggiando in un Paese governato da dittatori e di poter visitare indisturbati il centro del loro potere. Nel caso della Birmania un cuore politico nuovo di zecca, trapiantato quattro anni fa nei terrapieni del nord, meno umidi e piovosi della vecchia capitale Rangoon, creando il microclima ideale per il governo-ospizio dei generali ultrasettantenni al potere.
Visitare Nay Pyi Daw, o la Città dei Re, è ormai relativamente semplice, ma solo per le Ong autorizzate e per i sempre più presenti partner commerciali (a dispetto dell'embargo). Praticamente impossibile andarci da giornalista. Ma anche solo come turista, per di più alla vigilia dell'attesa sentenza contro la leader dell'opposizione Aung San Suu Kyi, non è certo facile. C'è molta tensione e poche incerte indiscrezioni alla vigilia del verdetto più volte rinviato con il quale oggi i giudici condanneranno quasi certamente The Lady. L'unico premio Nobel in cella, è accusata di aver ospitato un misterioso americano, John Yettaw, giunto a nuoto nella sua casa sul lago Ynya. Rischia altri 5 anni di carcere o, nella migliore delle ipotesi, agli arresti domiciliari. Chiusa nella prigione di Insein, Aung San Suu Kyi costituisce ancora la principale minaccia per i generali.

Lo stratagemma per raggiungere la loro città è - paradossalmente - quello di volersi recare alle rovine di un'antica città imperiale dove sono conservate le spoglie dell'unica imperatrice donna della Birmania. Ma le autorità locali, preoccupate che uno straniero possa pernottare nella stessa zona in cui due anni fa un terremoto fece crollare alcuni bunker nucleari, preferiscono che la sosta venga fatta proprio a Nay Pyi Daw. L'unico resort che ospita a prezzi esosi stranieri anche non autorizzati appartiene al tycoon del regime, Tai Za, un ex playboy, proprietario di 7 Ferrari e molto vicino alla figlia del generalissimo Than Shwe.

Il viaggio in treno da Rangoon attaversa una giungla di palme, acquitrini e baracche di bambù sfondate dal peso dei monsoni. Ma una volta giunti alla stazione della nuova capitale il panorama cambia, e si presenta come irreale. Nel verde pastello dell'erba piantata a prato inglese, la città assume l'aspetto di un modellino plastico senza esseri umani: lunghe file di edifici, colorati di celeste e rosa, si estendono in linee equidistanti. Uomini, donne e bambini vivono sicuramente lì dentro, ma non vanno a passeggio: di fronte hanno solo superstrade di collegamento a quattro e sei corsie. L'accesso ai carri armati è garantito da vaste arterie laterali dove il traffico è riservato ai mezzi militari che vanno e vengono dalle caserme e dalle residenze attorno al segretissimo quartier generale del governo. Uno dei primi e rari reporter a visitarla scrisse che il regime non aveva programmato di prevenire nella capitale una possibile rivoluzione attraverso le armi, ma a colpi di "geometrie e cartografie".

Sulla collina dei ristorantini un guardia-macchine che mastica betel rosso invita a guardare in basso, dove sono allineate le palazzine degli alloggi per ufficiali e dipendenti governativi. "Very beautiful", dice con la bocca impastata dalle foglie eccitanti. I parametri di bellezza in Birmania sono valutati sulla base della quantità di cemento usata al posto della paglia e del bambù. E a Nay Pyi Daw non si è badato a spese per gli alloggi dei generali, mentre manovali, camerieri e garzoni di bottega confessano di dormire tra gli edifici in costruzione, o sotto i tavoli e gli scaffali dei negozi.

L'ipotesi di una fine prossima del regime non è presa in considerazione seriamente da nessuno. L'attuale comandante, Than Shwe, con un tumore sotto controllo di tanto in tanto a Singapore, riceve a suo agio i dignitari cinesi, russi, indiani, nella pomposa Bayintnaung Yeiktha, il Palazzo simile a quello che ospitò le nozze miliardarie di sua figlia. Il generalissimo non si cura troppo delle proteste interne e internazionali, tanto meno di quelle dei suoi dipendenti, trasferiti in massa a Nay Pyi Daw dall'oggi al domani secondo date precise dal sapore mistico e rituale: i primi 11 uffici ministeriali traslocarono quattro anni fa l'11 novembre alle 11 del mattino con un seguito di 1100 militari da 11 battaglioni. Ora i funzionari cominciano ad abituarsi, come quelli che si incontrano sulle carrozze "superiori" del treno Rangoon-Nay Pyi Daw, destinati a vivere e a far crescere i loro bambini in un'oasi controllata e distante dal resto del Paese. Interi capitoli delle vicende nazionali, come il massacro degli studenti dell'8 agosto '88, le elezioni vinte da Aung nel '90, sono sconosciute a gran parte delle nuove generazioni. "Nei corsi di specializzazione più dell'80% chiede computer, nessuno vuol saperne di Storia", ci dice una professoressa che aiuta i disastrati dal ciclone Nargis.

Il volontariato senza collegamenti internazionali è il cuore tenero di Myanmar (dall'89 nome ufficiale per la Birmania). I suoi collaboratori per recarsi nei villaggi da assistere attraversano due enormi corsi d'acqua a tratti grandi come il Gange. Tra questi il Pyanmelok, o "Fiume del non ritorno", in cui le piccole imbarcazioni spesso spariscono per le frequenti burrasche. Ma qualcuno deve portare gli aiuti anche lì, sebbene non sempre bene accetti dal regime.

"Molti sentono di essere stati abbandonati dallo Stato, per questo non escluderei la possibilità di una nuova protesta in occasione della condanna di un'icona popolare come Aung San Suu Kyi" ci dice un ex monaco che dopo le rivolte di due anni fa ora fa la guida turistica. "Del resto ben pochi, oltre ai soldati, oggi saprebbero come tenere in pugno il Paese.

Nemmeno la nostra Lady immagina più, se non per sentito dire, com'è fatta la sua Birmania: 800 kyatt al mercato per il riso, il salario di un giorno; 20mila dollari per una macchina scassata, le file dei mendicanti, degli orfani e dei bambini di strada che bussano nei conventi per ricevere un po' di educazione dai monaci, a loro volta sotto stretto controllo del regime". Se la corrente elettrica viene razionata fino a 12 ore in tutte le città e ancor di più in campagna, la rete dei cellulari funziona solo a tratti. Ma per ora è un problema che riguarda meno del 3% della popolazione. Nel resto del Paese è ancora pieno Medioevo.

Solo i tecnici cinesi, russi e indiani si sentono a casa a Nay Pyi Daw, dentro auto scure attraversano le vaste arterie semideserte. Con i generali fissano il prezzo delle pietre, dell'uranio e del gas prodotto al largo di Sittwe. Che siano risorse dell'intero popolo birmano è un dettaglio che non li riguarda. Chi ha scelto di fare affari con la Giunta non vuole nemmeno prendere in considerazione l'ipotesi di un cambiamento, perdipiù incerto. L'alternativa è una donna rimasta isolata per vent'anni tra casa e prigione.

(11 agosto 2009)


Il ciclone avrebbe perso intensità, ma ha giàcausato danni e vittime
Centinaia di persone potrebbero essere sepolte a Hsiaolin
Morakot colpisce l'estremo oriente
Taiwan, villaggio sepolto dal fango


In fuga dal ciclone Morakot
TAIPEI (TAIWAN) - Centinaia di persone a Taiwan potrebbero essere rimaste sepolte da una colata di fango provocata dal ciclone Morakot nel villaggio di Hsiaolin del sud dell'isola non lontano dalla città di Kaohsiung. Lo hanno reso noto i servizi di soccorso.

"Morakot", che ha colpito l'Asia del nordest nel fine settimana, ha già causato 38 vittime nell'area dove i morti accertati sono 38, secondo i mezzi d'informazione locali.

Cina. Il ciclone ha colpito anche la Cina. Una frana causata dalle piogge torrenziali ha provocato il crollo di sei o sette condomini nella città di Pengxi, nella provincia del Zhejiang. Non si conosce il numero delle persone sepolte sotto le macerie, nè se ci sono state vittime: sei persone, hanno affermato i soccorritori, sono state estratte vive dalle macerie.

Il tifone si è indebolito, trasformandosi in una "tempesta", secondo l'ufficio metereologico cinese, ma gran parte della regione continua ad essere battuta da una pioggia insistente, che provoca frane ed ostacola le operazioni di soccorso.

(11 agosto 2009)


Nell'arcipelago dell'Oceano Indiano scatta e poi rientra l'allarme tsunami
Nel Paese del Sol Levante un altro sisma provoca 81 feriti
Terremoto alle isole Andamane
Forte scossa anche in Giappone



WASHINGTON - Una forte scossa di magnitudo 7,6 sulla scala Richter è stata registrata nell'Oceano indiano al largo delle isole Andamane, facendo scattare un pre-allarme tsunami in India, Birmania, Indonesia, Thailandia e Bangladesh. L'allarme poi è rientrato. E' quanto ha reso noto l'Istituto geologico americano, precisando che l'epicentro è stato localizzato a 33 chilometri di profondità a 260 chilometri a nord di Port Blair, nell'arcipelago indiano delle Andamane. Un altro forte terremoto è stata avvertito in Giappone.

Andamane. La zona dell'Oceano indiano dove è stato registrato il nuovo sisma è più o meno la stessa che il 26 dicembre 2004 venne colpita da un devastante maremoto poi rivelatosi uno dei peggiori disastri naturali dell'epoca moderna. Il fenomeno provocò oltre 230 mila morti e, oltre alle isole Andamane, colpì con violenza estrema India, Thailandia, Indonesia, Sri Lanka, Birmania, Bangladesh e Maldive. La scossa fu avvertita anche in Somalia e in Kenya. L'evento fece balzare i sismografi a una magnitudo di oltre 9 gradi sulla scala Richter, una delle più alte mai registrate. Il sisma scatenò una serie di onde anomale alte fino a 15 metri che distrussero città e villaggi su tutte le zone costiere dei Paesi colpiti.

Giappone. Un terremoto di magnitudo 6,5 ha
colpito la provincia centrale giapponese di Shizouka, provocando 81 feriti. La scossa, che è stata avvertita anche a Tokyo, ha fatto disattivare momentaneamente due reattori nucleari. L'epicentro del sisma è stato registrato a 20 chilometri di profondità a largo delle coste e immediatamente dopo il sisma è stato emesso un allarme tsunami che in seguito è stato ritirato. E' la seconda potente scossa sismica in Giappone dopo quella di magnitudo 6,9 che si è registrata domenica nella zona di Tokyo.
(10 agosto 2009)


La nave maltese con 15 marinai russi a bordo era partita dalla Finlandia diretta in Algeria
Assaltata in Svezia, forse dirottata. Quattro unità della flotta Mar Nero impegnate nelle ricerche
Giallo sulla scomparsa del cargo Arctic Sea
sparito a fine luglio al largo del Portogallo


LONDRA - E' giallo sulla scomparsa di un cargo partito a fine luglio dalla Finlandia e diretto in Algeria, dove era atteso per il 4 agosto. La Arctic Sea, una nave maltese con un equipaggio di 15 marinai russi, è sparita nell'Atlantico al largo del Portogallo insieme al suo carico da un milione di sterline. Le ultime notizie risalgono al 29 luglio quando la guardia costiera britannica ha parlato via radio con una persona a bordo che ora si sospetta fosse un dirottatore oppure un membro dell'equipaggio sotto minaccia. A tanti giorni di distanza il mistero è fitto e non ci sono elementi per dire come e dove sia avvenuto il dirottamento, nonostante nella caccia al cargo siano coinvolte la marina russa e quelle finlandese, maltese, svedese.

Solchart Management, la società finlandese che gestisce la nave - registrata a Malta e di proprietà di una ditta lettone - ha riferito alle autorità svedesi che il 24 luglio otto o dieci uomini armati e col viso coperto erano saliti sulla Arctic Sea mentre stava attraversando il mar Baltico nelle vicinanze dell'isola di Oland. I marinai, tre dei quali erano rimasti feriti, erano stati immobilizzati dagli intrusi, che dicevano di essere degli agenti contro il narcotraffico e che hanno perquisito la nave. Dopo 12 ore - sempre secondo la versione fornita dalla Solchart - gli uomini avrebbero lasciato l'imbarcazione che avrebbe continuato il suo viaggio, seppur con alcuni problemi al sistema di comunicazioni.

La Arctic Sea sarebbe quindi ripartita ma, dopo aver raggiunto la costa portoghese, è sparita dai radar e non è stata più rintracciata. Da Lisbona la marina nazionale ha fatto sapere che la nave "non è e non è mai stata in acque portoghesi", ipotizzando quindi un dirottamento nel tratto precedente.

"E' molto strano. Non sappiamo nemmeno quando sia stata l'ultima volta che una nave dirottata abbia attraversato la Manica. Non succede da molto tempo - ha dichiarato Mark Clark, della guardia costiera britannica - Ci siamo messi in contato con questa nave, senza sapere che fosse stata dirottata, alle 5.30 della mattina del 29 luglio. Ogni nave ci deve fare rapporto quando si trova sul nostro lato del Canale. Hanno detto di avere 15 marinai a bordo, che stavano andando da Jacobstad (Finlandia) a Bejaia (Algeria) e che trasportavano legno. Soltanto in seguito la polizia di Zeebrugge ci ha detto che era stata dirottata fuori dalle coste svedesi".

Da Mosca il ministero della Difesa ha annunciato che quattro unità della flotta russa del Mar Nero prenderanno parte alle ricerche. Le navi Azov, Iamal, Novocerkask e Ladny - che si trovano attualmente nel Mediterraneo - si dirigeranno nell'Atlantico passando attraverso lo Stretto di Gibilterra. Le quattro unità verranno impiegate nelle ricerche del cargo durante il loro viaggio verso il porto di Baltiisk, nel Mar Baltico, dove prenderanno parte a manovre navali.

(11 agosto 2009)
 
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96 replies since 6/8/2009, 10:36   4895 views
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