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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 6/8/2009, 10:43




Nulla di fatto nell'incontro di ieri.
Errani sconfortato: "Non ci sono risposte"
Fitto difende l'esecutivo: "C'è piena disponibilità, ci rivediamo ai primi di settembre"
Pochi soldi per Fas e sanità
E' rottura tra regioni e governo
Nessuna chiarezza sui Fondi per le aree sottoutilizzate e il Piano salute


Fitto e Berlusconi all'incontro con le Regioni
ROMA - Fumata nera ieri a tarda sera a Palazzo Chigi tra governo e Regioni su un numero cospicuo di temi, su cui spiccano i fondi Fas, il nuovo Patto per la salute, il Ministero del Turismo e i fondi per il welfare. "La rottura con il governo resta", ha detto al termine della riunione uno sconfortato Vasco Errani. Il presidente della Conferenza delle Regioni ha spiegato che le prime risposte l'esecutivo le fornirà il 3 o 4 settembre, ma che in ogni caso "l'incontro ha avuto un esito negativo". Il premier Silvio Berlusconi ha assicurato che la disponibilità del governo c'è: "Vogliamo tornare alla collaborazione". Ma le parole non bastano e la distanza resta, ha ribattuto Errani.

"Per quanto ci riguarda - ha ammonito - siamo pronti a dare una piena collaborazione al Governo per risolvere le questioni rimaste ancora senza risposta. Per fare questo però serve reciprocità: l'esecutivo la deve smettere di procedere in maniera unilaterale come ha fatto spesso in questi ultimi mesi". Altrimenti "la situazione rischia di diventare drammatica".

In tema di Fondi per le aree sottoutilizzate, "riteniamo che le risorse non ci siano - ha precisato Errani -. Un dubbio che deve essere chiarito con un'operazione verità, smettendola una volta per tutte con l'uso dei Fas come Bancomat". Pollice verso anche per il Piano Salute 2010-2011: le risorse ad esso destinate, ha spiegato Errani, "sono sottostimate; e mi piace sottolineare che per parte nostra abbiamo offerto al Governo la nostra disponibilità a rivedere il Piano anche per il periodo 2010-2013". Stesso tono sulle regioni commissariate per i deficit accumulati sul fronte della sanitario, ambito sul quale il leader delle Regioni ha esortato il premier ad avere "un atteggiamento più coerente".

Da parte sua il presidente del Consiglio ha rilanciato facendo leva sugli accordi "raggiunti nei mesi scorsi su questioni come il Piano Casa e gli ammortizzatori sociali. Vogliamo tornare a quel periodo di collaborazione, da parte nostra c'è tutta la disponibilità a riprendere il dialogo".

Gli ha fatto eco il ministro per i Rapporti con le Regioni Raffaele Fitto: "Sui temi sollevati dalle Regioni il governo ha preso un impegno preciso. Il 3 o il 4 settembre ci rivedremo. Ora non poteva che essere un appuntamento interlocutorio".

Quanto ai Fas ha assicurato che la possibilità di fare una verifica sull'entità e sulla destinazione dei soldi, c'è, ma "essendo fondi destinati a investimenti non c'è una problema immediato di cassa, ma c'è la necessità di un percorso condiviso. Le Regioni chiedono un gruppo di lavoro e hanno già individuato tre persone".

Ma dove il governo parla di collaborazione, i governatori rispondono manifestando insoddisfazione per l'esito della riunione. "Di positivo c'è solo che il filo del dialogo viene tenuto in vita fino al 4 settembre", afferma il presidente del Lazio Piero Marrazzo. "Noi siamo stati rinviati a settembre, ma impreparati sono solo loro", sintetizza Maria Rita Lorenzetti, che guida la giunta umbra. E il pugliese Nichi Vendola parla di "grande confusione" da parte del governo. Non si sbilancia il governatore abruzzese Gianni Chiodi: "Ci vuole maggiore dialogo tra governo e Regioni".

(6 agosto 2009) Tutti gli articoli di politica


Proposta dei senatori del Carroccio per modificare l'articolo 12 della Costituzione
"Bandiere regionali accanto a quella italiana. Adesso c'è la riforma federale"
Lega, il tricolore non basta più
Monito di Schifani: "Simbolo di unità"
Monito del presidente del Senato: "E' un valore intangibile"
Franceschini: "Il governo la smetta di prendere in giro gli italiani"


ROMA - L'Italia cambia, cambino anche i simboli che la rappresentano. E se il tricolore e l'inno di Mameli sono i simboli identitari dell'unità nazionale, bisogna andare oltre. In nome della nuova identità federalista dell'Italia. Per questa ragione, il presidente dei senatori del Carroccio Federico Bricolo annuncia una proposta di legge costituzionale per inserire un comma nell'articolo 12 della Costituzione che riconosca i simboli identitari di ciascuna Regione: dunque, bandiere e inni regionali. Per Dario Franceschini, segretario del Pd, il governo, invece di fronteggiare la crisi, "si preoccupa delle bandiere regionali. La smettano di prendere in giro gli italiani". In serata arriva il monito del presidente del Senato, Renato Schifani: "Occorre senso di responsabilità da parte di tutti. Il tricolore è un valore intangibile, simbolo dell'unità del paese".

L'articolo 12 della Costituzione. L'articolo 12 recita testualmente: "La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni".

La Lega e la bandiera. Il rapporto tra la Lega e la bandiera italiana, insomma, prosegue tra alti e bassi. E se prima i toni erano decisamente volgari ("Uso il tricolore soltanto per pulirmi il culo", disse Umberto Bossi durante un comizio nel 1997), oggi l'approccio è più soft e istituzionale. Quello che chiede la Lega, infatti, è un riconoscimento ufficiale dei simboli identitari che contraddistinguono le Regioni. Che, ad oggi, nella Costituzione non c'è.

"Una lacuna inammissibile". "Questa lacuna - spiegano i senatori del Carroccio - è inammissibile, alla luce della sostanziale valorizzazione del ruolo politico ed istituzionale delle Regioni realizzata dalle più recenti riforme costituzionali". I leghisti, infatti, ricordano come la Regione si sia trasformata "in un ente territoriale dotato di una piena autonomia politica". Un'evoluzione che il Carroccio vuole sia sancita in una norma: "La proposta di legge è un'evoluzione del ripensamento dell'assetto territoriale dello Stato in ambito interno ed a livello sovranazionale, per cui è più che mai necessario recuperare i simboli identitari che, contraddistinguendo ciascuna realtà regionale, contribuiscono ad alimentare quel legame dei cittadini con il territorio che è presupposto indispensabile di qualsiasi riforma federale dell'ordinamento".

La proposta di legge. Va in questa prospettiva la proposta di legge che si fa forte del riconoscimento istituzionale nelle riforme degli statuti regionali approvate dal 1999 ad oggi, "che nei primi articoli hanno ufficialmente riconosciuto quei simboli che, per tradizione, storia e cultura contribuiscono ad identificare la regione stessa".

Franceschini: "Prendono in giro gli italiani". "Di fronte a un Paese che aspetta scelte di fondo strutturali per affrontare e superare la crisi - ha sottolineato Dario Franceschini - e a milioni di italiani e decine di migliaia di imprese che aspettano risposte per affrontare l'emergenza perché non ce la fanno più a vivere, loro si occupano delle bandiere regionali da mettere di fianco a quella nazionale. La smettano di perdere tempo e di prendere in giro gli italiani".

Idv: "L'ennesima provocazione". Lapidario il commento di Massimo Donadi, presidente dei deputati dell'Italia dei Valori: "Archiviamo questa ennesima provocazione della Lega come un colpo di sole estivo. Non sprechiamo neanche tempo a discutere di una tale baggianata".

Pdci: "La Lega gioca allo sfascio". Assolutamente contrari i Comunisti Italiani che, per bocca di Pino Sgobio, attaccano il Carroccio: "Gioca allo sfascio. La proposta di legge è la ciliegina sulla torta del disegno politico per cui la Lega è nata e si è sviluppata: la divisione dell'Italia e la secessione".

(5 agosto 2009) Tutti gli articoli di politica


L'Italia frantumata
di MICHELE SERRA

Esiste una bandiera marchigiana? Qualcuno di voi conosce il vessillo della Calabria? E come sarà l'inno regionale del Lazio? E l'inno del Trentino? Avete mai sventolato il drappo della Liguria? Da qualche parte esisteranno già.

Magari a cura di qualche eccentrico di paese, o di qualche maestro di banda. Ma se anche non esistessero, la bandiera e l'inno di tutte e venti le Regioni italiane, non ha importanza. Li si inventa. La storia italiana recente lo ha dimostrato in modo lampante: la tradizione è una contraffazione di successo.

La Lega ha proposto, con tanto di riforma della Costituzione (articolo 12), di introdurre ufficialmente, accanto al Tricolore e all'inno di Mameli, la bandiera e l'inno di ciascuna regione. La mossa fa parte, insieme a infinite altre, di quella laboriosa costruzione mitica, oramai ventennale, di un'Italia Federale destinata a fare le scarpe all'odiata Repubblica centralista, e a Roma ladrona e padrona. Trasformando confini puramente amministrativi in Patrie e in altrettante Identità Popolari, spremendo e centrifugando ben bene il vecchio localismo italiano, laddove ha ragioni storiche (Veneto, Sicilia) ma anche laddove non è mai esistito: proprio la Lombardia è un caso clamoroso di autonomismo artificiale, inventato di sana pianta, e nella costruzione nazionale fu la regione più vicina, non solo geograficamente, al disegno annessionista dei Savoia.

Di tutto questo, come già detto, alla Lega importa nulla. Per sperimentare quanto fragile sia l'identità nazionale, ha potuto saggiare il grado zero, o quasi, di reattività istituzionale e politica alle sue continue sortite anti-italiane. Dal Parlamento padano alle sparate sediziose di Bossi, dal tasso di xenofobia altamente anticostituzionale (e ciò che è anticostituzionale è anche anti-italiano) alla rimasticazione insieme ottusa e aggressiva dei dialetti come "lingue locali", il partito di Bossi ha messo l'Italia (compresa la maggioranza di italiani che non la sopportano) di fronte a un fatto compiuto. Vent'anni fa, la proposta di bandiere e inni regionali che "correggessero" la presenza dell'odiato Tricolore avrebbe fatto ridere, tal quale gli esami di "cultura locale" ai professori extra-regionali e dunque stranieri.

Oggi queste vere e proprie truffe identitarie sono nell'agenda politica, e come vedete siamo qui a parlarne tutti quanti insieme, gli umbri a domandarsi come diavolo sia l'inno umbro, i campani in cerca sul web dei loro colori regionali, i sardi (i soli ad avercela davvero, una bandiera nazionale, i Quattro mori) a meditare sulla fine ingloriosa del loro autonomismo, grazie alla furba Lega ormai confuso nel corteo posticcio degli autonomismi inventati. Già: perché il risultato di tutto questo agitare bandierine, canzoncine, dialetti, "tradizioni" sortite da bauli fortunatamente dimenticati oppure inventate ex novo, è alla fine la cancellazione delle differenze vere, delle radici autentiche. La minoranza tedesca di Alto Adige (vera) tal quale i finti celti di Calderoli, la complicata ricerca di un'identità sarda (vera) tal quale la fandonia del Dio Eridanio. Frantumi di Italia, briciole di identità, schegge di storia da spargere, come sale, sulle rovine di Roma. Balle locali, balle regionali, balle spaziali.

L'obiettivo (dichiarato) della Lega era puntare a un secessione impossibile, quella della piccola borghesia benestante e riottosa del Nord (ribattezzata da Bossi "popolo padano", non si sa a quale titolo,) per poi ripiegare su una separazione strisciante, senza professori terrori e senza immigrati tra le scatole, camuffata da "federalismo". Tirare in ballo un inno marchigiano o una bandiera molisana, dei quali nessun marchigiano o molisano ha mai avvertito l'esigenza, serve solo a creare quella confusione simbolica e quel caos identitario che stanno avvelenando la Repubblica e ingrassando la Lega e, attraverso di lei, il governo più anti-repubblicano della nostra storia. I professori e i sapienti che stanno lavorando al Centocinquantenario dell'Unità d'Italia sono avvertiti: la Lega è al governo di questo paese. Loro no.

(6 agosto 2009)

Prosegue la strategia della tensione in vista delle elezioni politiche
Tra le vittime donne e bambini. Stavano recandosi a una cerimonia nuziale
Afghanistan, massacro al matrimonio
Bomba sul ciglio della strada: 21 morti

KABUL - Ancora bombe e sangue in Afghanistan. La strategia della tensione accompagna il Paese tra paura e incertezze verso le elezioni. Questa mattina ventuno civili in viaggio per partecipare a un matrimonio sono stati uccisi nell'esplosione di un ordigno piazzato sul ciglio di una strada nel sud del Paese. Lo ha annunciato la polizia del paese.

L'attentato è avvenuto nel distretto di Garmser, nella provincia di Helmand, dove la tecnica di nascondere gli ordigni sul lato della strada sono spesso utilizzati per attaccare le forze afgane e straniere.

Il ministero della difesa di Kabul ha confermato anche il bilancio di ventuno vittime. Il capo della polizia provinciale, Assadullah Sherzad, ha fatto sapere che tra le vittime ci sono donne e bambini. Cinque persone, ha aggiunto, sono rimaste ferite.

Migliaia di marine statunitensi e soldati britannici stanno portando avanti offensive nell'Helmand, uno dei centri della guerriglia talebana.

(6 agosto 2009)


Inguscezia, esplosione al mercato
un morto e almeno 20 feriti


Un'esplosione, seguita da un violento incendio, ha devastato uno dei padiglioni del mercato centrale di Nazran in Inguscezia, repubblica caucasica della Federazione russa. Il bilancio è di un morto e di venti feriti, tra cui uno gravissimo.

Secondo una prima ricostruzione l'incendio sarebbe stato causato dalla caduta di un trasformatore elettrico su un pullmino parcheggiato presso il mercato. Le fiamme, subito divampate, hanno investito la folla.

"L'incendio non è stato il risultato di un atto terroristico", ha detto il segretario del consiglio di sicurezza dell'Inguscezia, Aleksiei Vorobiov.
"Alle 19.52 locali (17.52 italiane) - ha detto Vorobiov - al mercato, per la mancata osservanza delle misure di sicurezza, è esplosa una bombola di gas, che ha provocato l'incendio".

(5 agosto 2009)


La polemica
Pacco dono
per Mediaset



Stupito, irritato, amareggiato. Il Capo dello Stato ha tutto il diritto di esprimere la propria delusione sulla "rottura annunciata" fra la Rai e Sky che priverà l'azienda pubblica di un ricavo di oltre cinquanta milioni di euro all'anno, in seguito al trasferimento dei canali Raisat su una nuova piattaforma satellitare. E in particolare, ha ragione Giorgio Napolitano a lamentarsi delle modalità con cui è maturato il fallimento della trattativa: una decisione per così dire unilaterale che la direzione generale ha praticamente imposto - come un diktat - a tutto il Consiglio di amministrazione.

In quanto custode e garante della Costituzione, il presidente della Repubblica non può evidentemente disinteressarsi di quel servizio pubblico su cui s'imperniano nel nostro Paese principi fondamentali come il pluralismo e la libertà d'informazione, sanciti solennemente dall'articolo 21. Anzi, con tutto il rispetto che si deve alla sua figura e alla sua persona, è lecito pensare che un intervento più tempestivo sarebbe valso forse a impedire o magari a prevenire un tale esito.

Danno emergente e lucro cessante, avevamo avvertito su questo giornale nelle settimane scorse, mentre già si preparava la rottura. Danno emergente: perché il prossimo bilancio della Rai s'impoverirà di questa cospicua entrata finanziaria e staremo a vedere che cosa avrà da eccepire in proposito la Corte dei Conti. Lucro cessante: perché, oltre a perdere l'audience e quindi la pubblicità raccolta attraverso la pay-tv, ora l'azienda di viale Mazzini dovrà sostenere "pro quota" l'onere della nuova piattaforma di Tivùsat. E tutto ciò, in buona sostanza, per fare un favore o un regalo a Mediaset nella sfida della concorrenza con Sky, come ha riconosciuto - tardivamente - perfino il presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza, Sergio Zavoli.

Si dà il caso, così, che l'ex segretario generale della presidenza del Consiglio, appena trasferito alla direzione della televisione pubblica, non trovi di meglio che confezionare subito un pacco-dono per l'azienda televisiva privata che fa capo allo stesso presidente del Consiglio. Un voto di scambio o una partita di giro, si potrebbe anche dire. Naturalmente, a spese del cittadino contribuente, telespettatore e abbonato alla Rai. Come già a suo carico era stata la multa di oltre 14 milioni di euro inflitta dall'Autorità sulle comunicazioni a viale Mazzini per la nomina dell'ex direttore generale, Alfredo Meocci, insediato alla guida dell'azienda dal centrodestra nonostante la palese incompatibilità con il precedente mandato di commissario nella medesima Authority.

Con buona pace del presidente Garimberti e dei consiglieri di minoranza, siamo dunque alla definitiva subordinazione della Rai agli interessi e alle convenienze di Mediaset. Un'azienda di Stato, la più grande azienda culturale del Paese, che via via si trasforma in una filiale, una succursale, una dépendance del Biscione. Già omologata al ribasso sul modello della tv commerciale, quella della volgarità e della violenza, delle veline e dei reality fasulli, adesso la tv pubblica si allea e si associa con il suo principale concorrente sotto il cielo tecnologico della tv satellitare.

Sarà verosimilmente proprio di fronte a questo scempio che il centrosinistra, risvegliandosi da un lungo e ingiustificabile letargo, s'è deciso finalmente a riproporre con forza la questione irrisolta del conflitto d'interessi: prima, con una dichiarazione di guerra del segretario reggente del Pd, Dario Franceschini, il quale ha annunciato bellicosamente che su questa materia (e speriamo anche su altre) il suo partito non resterà più fermo e silente; poi, addirittura, con una proposta di legge presentata da Walter Veltroni e sottoscritta da tutte le opposizioni, sostenuta dal contributo di un esperto costituzionalista come l'ex presidente della Rai, Roberto Zaccaria. Meglio tardi che mai, dobbiamo ripetere. Ma che cosa avevano fatto nel frattempo Veltroni e Franceschini per risolvere l'anomalia di un presidente del Consiglio che controlla direttamente tre reti televisive private e indirettamente anche le tre reti pubbliche? E pensare che c'è ancora qualche illustre professore che esorta il Pd a emanciparsi dall'influenza di "alcuni giornali" (quanti e quali?), mentre una maggioranza di governo condiziona impunemente giornali, telegiornali e giornali radio.
Nel regno del conflitto d'interessi, la rottura fra la Rai e Sky diventa la prova regina di un'occupazione "manu militari" di tutto il sistema dell'informazione. Un attentato al pluralismo, alla libertà d'opinione. E anche questa, purtroppo, si rischia di apprezzarla solo quando la si perde.


(5 agosto 2009)
 
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Banshee
view post Posted on 6/8/2009, 10:45




la storia della Rai su Sky è demenziale!
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 7/8/2009, 12:28




è considerato responsabile di decine di attentati suicidi e di assassinii
Pakistan: «Leader talebano Mehsud
ucciso da un missile americano»

Fonti dell'intelligence confermano la notizia della morte. «Ma non abbiamo visto il corpo»

DERA ISMAIL KHAN - Tre funzionari dell'intelligence pachistana hanno confermato la morte del capo talebano Baitullah Mehsud, precisando che sarebbe già stato sepolto. Tuttavia, nessuno dei tre agenti ha visto il suo corpo. Stando al resoconto degli agenti, Mehsud è stato ucciso mercoledì scorso da un missile Usa nella casa di un cognato, situata nella regione tribale del Waziristan meridionale. Il corpo senza vita del leader talebano è stato quindi sepolto nel villaggio di Nardusai, nella stessa regione, non lontano dal luogo preso di mira dalle forze americane. Una delle fonti ha precisato di aver visto un rapporto classificato di intelligence, in cui si afferma che Mehsud è stato ucciso e sepolto, ma che gli agenti non hanno potuto vedere il corpo perché l'area è sotto il controllo dei talebani.

CHI E' - Mehsud è considerato responsabile di decine di attentati suicidi e di uccisioni. Ha il sostegno di al-Qaeda ed è sospettato di essere dietro l'assassinio dell’ex primo ministro pachistano Benazir Bhutto.  Gli Stati Uniti avevano messo una taglia di 5 milioni di dollari sulla sua testa. L'attacco in cui Mehsud sarebbe stato ucciso è stato sferrato mercoledì scorso da un drone americano a Makeen, nell'area tribale del Waziristan del Sud.



Tragedia della follia a Gornate Olona, in provincia di varese
Uomo stermina la famiglia
Ha ucciso la moglie e i due figli
VARESE - Strage della follia a Gornate Olona, in provincia di Varese, dove un uomo ha ucciso moglie, i due figli.





Le fiamme, che sono divampate verso le 20, ora sono sotto controllo
Gli ospiti della clinica, una novantina, sono stati trasferiti in una palestra
Incendio in una casa di riposo
Morti otto anziani in Belgio



La clinica dove si è sviluppato l'incendio
BRUXELLES - E' di otto morti il bilancio di un incendio che si è sviluppato in una casa di riposo a Melle, in Belgio, nelle Fiandre orientali. Lo ha riferito l'agenzia Belga news. Le vittime sono tutti residenti dell'ospizio. Gli altri ospiti sono stati trasferiti in una palestra.

Le fiamme, che sono divampate verso le 20 nella clinica "Kannunik Triest", sono ora sotto controllo, ha precisato il vice-sindaco di Melle, Dany Cottenie. Sul posto sono accorsi i vigili del fuoco di Gand e Melle, oltre ad altre unità di rinfrozo provenienti dalla regione, secondo la stessa fonte.

Al momento dell'incidente gli anziani nel centro erano una novantina e molti di loro sono stati portati fuori d'urgenza. Melle, che conta circa 10mila abitanti, si trova a 50 chilometri a ovest di bruxelles.

(6 agosto 2009) Tutti gli articoli di esteri


Alla vigilia del via alle ronde ecco cosa pensano i comuni
Scetticismo anche in giunte di centrodestra, soprattutto nel centro-sud
I sindaci e le pattuglie di Maroni
il sì vince a Nord ma perde in Italia




Una pattuglia di City Angels napoletani
ROMA - La Padania è pronta. Il resto del Belpaese è scettico o contrario. Un'Italia divisa in due quella che emerge dalle reazioni dei sindaci sull'applicazione del decreto Maroni sulla sicurezza. Quasi un plebiscito contro le pattuglie di volontari tra i primi cittadini al di sotto del Po. Convinti, come il sindaco di Rieti Giuseppe Emili, a capo di una giunta di centrodestra, che "lo Stato e solo lo Stato deve occuparsi della sicurezza". Oppure gelosi delle loro esperienze.

A Trieste amano i loro "nonni vigili" e tanto gli basta. Parma si tiene stretti i "volontari per la sicurezza", a Modena hanno gli "assistenti civici", regolati da una legge regionale e a Bologna anche i "pensionati primavera". Matteo Renzi vuole lanciare le "sentinelle della bellezza", a difesa dell'arte di Firenze. Torino si accontenta dei City Angels e Bari delle "ronde dei genitori antibullismo". Nella capitale Gianni Alemanno dice no alle ronde di Maroni ("Non ci piacciono e non le faremo") e punta sul volontariato sociale.

Ostilità bipartisan quella che si respira nei comuni del Centro e del Sud. Non è attirato dalle ronde Vincenzo De Luca il sindaco pd che ha dato il manganello ai vigili di Salerno, come non lo è il presidente della Sicilia Raffaele Lombardo ("Sono contrario, meglio le forze dell'ordine"). Tra le rare eccezioni Viterbo, giunta di centrodestra, o la piccola Casal di Principe, la patria dei clan dei casalesi, dove il sindaco Cipriano Cristiano è favorevole ma invoca "strumenti per la lotta alla microcriminalità".

L'opposto accade invece nel profondo Nord dove il modello Verona di Flavio Tosi ha ispirato il decreto sulla sicurezza e gran parte delle città medie della Padania si prepara a mettere in strada i volontari. Non solo i sindaci di centro destra da Asti e Novara passando per le province lombarde fino a Verona. Ma anche la Padova del sindaco pd Flavio Zanonato che pure non le considera "un toccasana". Anche al Nord, però, non mancano gli oppositori: il sindaco di Trento le considera addirittura "pericolose". Diverso il caso dei grandi centri. Sergio Chiamparino a Torino è contrario.

A Genova Marta Vincenzi, pur avendo accolto con favore le correzioni del decreto, resta contraria alle ronde. Letizia Moratti a Milano è quantomeno perplessa. La nuova legge, infatti, le toglie strumenti invece di offrirne e non può più pagare i Blue Berets e i City Angels che prima ricevevano un rimborso dall'amministrazione. Perciò chiede al governo cambiamenti al regolamento.

(7 agosto 2009)


il Codacons: ricadute sulle vacanze degli italiani
La benzina resta cara
Nessuna intesa governo-petrolieri

L'Up: aumenti giustificati. Il ministero: ci sono margini per un ribasso.
Scajola in pressing: stop ai rincari



ROMA - La benzina corre ancora e il governo prova a tamponare l'emorragia, convocando le compagnie petrolifere per spiegare l'andamento del prezzo dei carburanti. Un incontro che però non ha dato gli effetti sperati. Marco D'Aloisi, portavoce dell'Unione petrolifera, ha spiegato che «gli aumenti dei prezzi della benzina sono ampiamente giustificati dalle speculazioni di mercato. Le compagnie hanno assunto un atteggiamento cauto verso il mercato perché avremmo potuto subire aumenti dell'ordine di 6-7 centesimi al litro mentre gli aumenti sono stati solo di 3 centesimi». E sulla richiesta del governo di abbassare il prezzo di 2 centesimo ha sottolineato che «non ci sono i margini». Però è possibile «acquistare i carburanti con circa 11 centesimi di sconto al litro su alcuni impianti. Si tratta di iniziative promozionali che esistono già oggi».

IL FUTURO- Insomma l'incontro si conclude con un nulla di fatto. Ma la richiesta avanzata dal ministero alle compagnie petrolifere resta chiara: stop all’aumento dei prezzi dei carburanti e no ai «comportamenti speculativi». E il ministro Scajola ha anche chiesto al Garante per la sorveglianza dei prezzi di avviare indagini sull’andamento dei prezzi dei carburanti. Il sottosegretario con delega all’energia, Stefano Saglia - spiega il ministero guidato da Scajola in una nota - «ha chiesto con forza alle compagnie di non attuare comportamenti speculativi, di non aumentare ulteriormente i prezzi e, possibilmente, di ridurre il differenziale (stacco) di prezzi con l’Europa, visto che secondo i calcoli del ministero ci sarebbero i margini per un ribasso». Saglia ha anche annunciato che da settembre il ministero dello Sviluppo economico lavorerà alla riforma della rete distributiva dei carburante. È una riforma che «va condivisa con le Regioni» e puntiamo «a creare più liberalizzazioni nel servizio, favorendo i punti vendita della grande distribuzione e incentivando la nascita delle ’pompe bianche’, incentivando gli ’iper self’ e i self service». E il sottosegretario ha spiegato che si punterà anche «sui carburanti alternativi, il metano e il Gpl». In ogni caso nel costo della benzina c'è un differenziale tra l'Italia e l'Europa che «non è giustificato dall'aumento dei costi industriali»

GLI AUMENTI - Mercoledì altri due centesimi si sono aggiunti al prezzo della benzina, che arriva a sfiorare gli 1,35 euro al litro nei distributori Shell. Dopo i tre centesimi aggiunti da Agip martedì ai propri listini, è il turno del colosso petrolifero anglo-olandese di rialzare di 3,5 cent il prezzo della propria verde, che arriva a 1,349 euro, e di 3 centesimi il diesel, che si attesta a 1,169 euro. Ma gli aumenti sono generalizzati e coinvolgono tutte le compagnie, che, con rialzi di entità diversa, portano la verde agli 1,339 raggiunti mercoledì da Agip. Più frammentato il panorama sul diesel, il cui prezzo varia dagli 1,158 euro al litro di Erg e Total fino agli 1,169 euro di Shell. I prezzi dei carburanti presentano però differenze notevoli su base territoriale. È Napoli la città dove si spende di più per un pieno di benzina (1,374 euro al litro), mentre per risparmiare qualcosa conviene andare a Trieste (1,324). Le grandi città si trovano a metà classifica: a Roma la benzina costa 1,338 euro, a Milano 1,341.

ULTIMATUM AL GOVERNO - Le associazioni dei consumatori puntano però il dito contro il governo, a cui viene chiesto esplicitamente di promuovere azioni concrete. «Non c’è più spazio per l’indignazione - afferma Federconsumatori in una nota - È necessario intervenire con decisione su tale versante, passando finalmente dalle parole ai fatti, come ribadiamo da tempo. In particolare - spiega Rosario Trefiletti - è indispensabile agire su tre fronti». In particolare, «portando finalmente a compimento la configurazione dell’Autorità per l’Energia e dotando tale organismo di responsabilità di verifica e controllo, ma anche di sanzione, soprattutto in relazione ai prezzi dei prodotti petroliferi»; in secondo luogo «verificando l’efficienza dell’intera filiera petrolifera nel nostro Paese, a partire dalla raffinazione, al fine di comprendere il perché dell’esistenza di un differenziale (dai 3 ai 5 centesimi) tra il costo industriale dei carburanti in Italia rispetto alla media europea»; ed infine «eliminando una volta per tutte ’impicci ed impacci’ che ostacolano una completa liberalizzazione del settore della distribuzione dei carburanti, che consenta la vendita anche attraverso il canale della grande distribuzione». Il Codacons, inoltre, denuncia ricadute sulle vacanze degli italiani, Federconsumatori e Adusbef auspicano un abbattimento dei prezzi dei carburanti, anche attraverso la liberalizzazione del canale di vendita. «Ogni anno si verifica la stessa situazione, con aumenti concomitanti agli esodi dei cittadini», afferma il Presidente Codacons, Carlo Rienzi, «ci appelliamo ad Antitrust e Mister Prezzi affinchè indaghino sui rincari dei carburanti».




 
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view post Posted on 7/8/2009, 22:39
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Lucky sei diventato una Succursale del Tirreno?
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 8/8/2009, 10:44




L'uomo più ricercato del paese ammazzato dopo 10 ore di assedio
E' sospettato di essere dietro le principali stragi che hanno colpito l'isola
Indonesia, polizia uccide Top
mente degli attacchi a Bali e Giacarta


Le forze di polizia durante il blitz
GIACARTA - Al termine di un lungo assedio iniziato oltre 10 ore fa la polizia indonesiana ha ucciso un uomo che ritiene essere Noordin Mohammad Top, 41 anni, il ricercato numero uno del Paese. Noordin è sospettato di essere, tra l'altro, la mente degli attentati suicidi del mese scorso contro due alberghi di Giacarta e soprattutto di quello nella discoteca di Bali che il 12 ottobre 2002 causò 202 morti.

L'uomo, esponente di punta della Jemaah Islamiah (legata ad al Qaeda) da cui si era recentemente separato, era asserragliato in una casa nel villaggio di Kedu vicino Temanggung, nella parte centrale di Giava.
Gli agenti hanno ingaggiato un conflitto a fuoco con i suoi fedelissimi barricati all'interno.

Noordin, 41 anni, ex contabile, il terzo terrorista più ricercato dall'Fbi, è sospettato di essere dietro le principali stragi che hanno colpito l'Indonesia negli ultimi anni, compresi gli attacchi kamikaze contro gli alberghi Marriott nel 2003, un'esplosione all'esterno dell'ambasciata australiana nel 2004 e un triplice attentato suicida contro i ristoranti ancora di Bali nel 2005. Il 17 luglio l'ultima azione: due kamikaze si fecero saltare in aria negli hotel di Giacarta JW Marriott (lo stesso colpito nel 2003) and Ritz-Carlton uccidendo sette persone e ferendone 53.

(8 agosto 2009)


Il "signore della guerra" avrebbe perso la vita per l'attacco
di un drone americano. E' accusato dell'omicidio Bhutto

Pakistan, "Mehsud non è morto"
i taliban smentiscono l'uccisione

Il portavoce dei guerriglieri: "E' vivo e a breve diffonderemo un suo video
la sua morte solo una montatura delle agenzie d'intelligence"



Baitullah Mehsud
ISLAMABAD - Dopo un silenzio quasi ostentato, dagli ambienti dei taliban in Pakistan è arrivata una smentita circa la presunta uccisione di Baitullah Mehsud, il "signore della guerra" del Waziristan del Sud che avrebbe perso la vita nell'attacco missilistico di un drone americano contro la casa del suocero, avvenuto nella notte fra martedì e mercoledì scorsi in un inaccessibile villaggio di montagna al confine con l'Afghanistan.

"Il leader talebano Baitullah Mehsud è vivo, si sta solo nascondendo e a breve diffonderemo un video che lo dimostra" ha dichiarato ad una televisione araba e a quella pakistana Hakeemullah Mehsud, portavoce e parente del signore della guerra. A negare l'eliminazione del capo guerrigliero sud-waziro è stato il comandante dei taliban pakistani che controlla le milizie ultra-fondamentalistiche di Orakzai, Kurram e Khyber, altre tre aree tribali semi-autonome che come il Waziristan si estendono a ridosso della frontiera afghana.

Hakimullah ha liquidato la notizia della morte di Baitullah, aggiungendo che si trarrebbe semplicemente di una "montatura delle agenzie d'intelligence". Lo ha riferito il network britannico 'Bbc' attraverso il proprio notiziario on-line in urdu, la lingua nazionale del Pakistan. La stessa 'Bbc' ha puntualizzato che le affermazioni di Hakimullah non hanno peraltro finora trovato alcun riscontro da parte di fonti indipendenti.

E' un fatto che sono proprio i potenti servizi segreti di Islamabad ad aver accreditato come cosa fatta l'eliminazione di Baitullah Mehsud, auto-proclamatosi leader di tutti i taliban del suo Paese, e considerato il mandante dell'assassinio dell'ex premier Benazir Bhutto, alla fine del 2007. Il governo pakistano mantiene invece per il momento un atteggiamento estremamente cauto: sebbene ieri sera con la stessa emittente il ministro degli Esteri, Shah Mahmood Qureshi, avesse definito "piuttosto certa" la morte del nemico pubblico numero uno, finora si è preferito evitare ogni conferma ufficiale in attesa di approfonditi accertamenti "sul posto".
(8 agosto 2009)


Sanzioni dure e senza eccezioni per i natanti italiani sorpresi
in acque territoriali libiche. A giugno Gheddafi era stato in Italia
Libia annuncia: sarà linea dura
per le violazioni dei pescherecci
Lo sfruttamento delle risorse marine deciso durante la "storica" visita
Tripoli: "finora la questione gestita con procedure umanitaristiche"

ROMA - Sanzioni dure e "senza eccezioni", d'ora in poi, contro i pescherecci italiani sorpresi nelle acque territoriali libiche. Lo rende noto, con un comunicato, l'Ufficio popolare (Ambasciata) della Libia a Roma a pochi mesi dalla storica visita del leader libico Gheddafi in Italia. Proprio in quell'occasione sono stati stabiliti i termini entro cui esercitare le attività economiche connesse alle risorse marine.

Sanzioni. "Sequestro delle quantità di pesce a bordo", "sequestro di tutte le attrazzature di pesca", "pagamento di sanzioni pecuniaria che potrebbero raggiungere il valore dello stesso peschereccio", sono le misure previste.

L'accordo. Il comunicato dell'Ambasciata, diffuso attraverso l'agenzia Jana, spiega come i termini di sfruttamento delle risorse marine siano stati decisi durante la "storica" visita in Italia del leader libico Muammar Gheddafi. Nel corso dell'incontro è stato firmato un memorandum d'intesa sulla Cooperazione nel settore delle risorse marine che ha stabilito i "termini generali" della collaborazione bilaterale e ha previsto, in particolare, l'elaborazione di specifiche intese sull'esercizio delle attività economiche, incluse le relative procedure di autorizzazione e sui siti ove esercitare le attività previste".

Nel passato procedure "umanitaristiche". Nel documento si sottolinea come finora sia stato dedicato un trattamento di favore alle imbarcazioni italiane in funzione dell'amicizia che lega i due paesi. Le "eccellenti relazioni" tra Italia e Libia, rafforzate dal Trattato di amicizia, Partenariato e Cooperazione firmato il 30 agosto 2008, "hanno fino a questo momento indotto le Autorità competenti della Gran Giamahiria a gestire le violazioni relative all'esercizio delle attività di pesca da parte di battelli italiani colti nelle acque sotto la sovranità libica". L'ultimo caso, ricorda il comunicato, è quello dei due motopescherecci 'Monastir' e 'Tulipano', fermati il 22 luglio e rilasciati il 4 agosto.

Tripoli sottolinea agli "operatori italiani del settore e delle relative associazioni di categoria l'evidente carattere eccezionale delle procedure umanitaristiche" con cui la Libia "ha gestito la questione negli anni passati". Ed enumera le sanzioni che saranno comminate "alle imbarcazioni che saranno in futuro colte ad esercitare attività di pesca all'interno delle acque sotto la sovranità libica in violazione delle norme vigenti in Libia".

(8 agosto 2009)
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 9/8/2009, 12:14




Tre corpi sono stati finora recuperati dalle acque del fiume
Disastro aereo a New York, le vittime
italiane sono originarie del Bolognese

I cinque turisti erano sull'elicottero precipitato dopo lo scontro con il Piper. La Farnesina attiva una task force
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NESSUN SUPERSTITE - Il sindaco di New York Michael Bloomberg ha escluso fin da subito la possibilità che vi siano sopravvissuti e ha detto che le operazioni sono rese complicate dalla fuoriuscita di carburante che rende scarsa la visibilità. La Farnesina, che già sabato sera aveva confermato la presenza di italiani a bordo dell’elicottero, ha attivato una task force presso il consolato italiano a New York. I familiari delle vittime italiane hanno raggiunto in serata l'ufficio del medico legale per le pratiche di identificazione. Lunedì incontreranno l'ambasciatore italiano negli Stati uniti, Giovanni Castellaneta, e il sindaco Bloomberg. Un funzionario dell’ambasciata di Washington è già in viaggio verso New York per seguire le operazioni di recupero e le indagini sulle cause dell’incidente. Il ministro Franco Frattini ha espresso «il proprio più sincero cordoglio e solidarietà alle famiglie delle vittime del tragico incidente. Il ministero degli Esteri - si legge in una nota - è vicino ai familiari e continuerà a fornire tutta la necessaria assistenza».


DINAMICA DELL'INCIDENTE - Il Piper Saratoga (lo stesso tipo di aereo su cui è morto John John Kennedy, inabissandosi nell'oceano nel 1999) era decollato dall’aeroporto di Teterboro, in New Jersey, ed era diretto a Ocean City, sempre in New Jersey. L’elicottero, un Eurocopter AS 350, si era da poco alzato da un eliporto sulla West Side di Manhattan e appartiene alla Liberty Tours, una compagnia di volo charter da turismo che gestisce escursioni sopra la Statua della Libertà, a Ellis Island e Manhattan, con prezzi che vanno dai 130 ai mille dollari. In 12 anni la compagnia ha registrato altri due incidenti. Un testimone ha detto che l’elicottero «è precipitato come un sasso», mentre l’aereo ha perso un’ala. Da una foto scattata da testimoni e diffusa dalla Fox si evince infatti che l'Eurocopter ha perso il controllo dopo essere stato colpito, probabilmente nella parte posteriore, da un'ala del Piper. Nell'immagine si vedono i due velivoli ancora in volo, ma privi di controllo: l'elicottero è senza il piccolo rotore posteriore, il Piper è senza l'ala destra. Altri testimoni hanno poi detto che l'elicottero è precipitato in verticale mentre l'aereo ha proseguito il suo volo cadendo nel fiume, ad alcune centinaia di distanza. Sette mesi fa, l’Hudson fu teatro di un incidente aereo che si concluse senza vittime: a gennaio un Airbus A320 della Us Airways decollato dall’aeroporto LaGuardia di New York ha effettuato un atterraggio di emergenza nel fiume in seguito a un bird strike, cioè l’urto con uno stormo di volatili. Tutti salvi i 155 passeggeri a bordo.




09 agosto 2009


salvi una romana di 42 anni e il figlio di 13: sono arrivati tardi in eliporto
Tragedia New York, due famiglie distrutte
Uccisi padre, madre e figlio (i Gallazzi), mentre la moglie di Michele Norelli è rimasta a terra: temeva quel volo

MILANO - Due famiglie distrutte nel disastro aereo sul fiume Hudson, a New York. Le cinque vittime italiane sono Tiziana Pedrone, Fabio e Giacomo Gallazzi (madre, padre e figlio di 45, 49 e 16 anni), Michele e Filippo Norelli (padre e figlio, di 52 e 17 anni). Tutti della provincia di Bologna.

SALVA UNA DONNA - Il gruppo aveva raggiunto gli Stati Uniti il 4 agosto, via Amsterdam, e avrebbe dovuto tornare in Italia il 12. Una donna si è salvata perché temeva quel volo e quindi non è salita sull’elicottero della Liberty Tours: è Silvia Rigamonti, moglie di Michele Norelli e madre di Filippo. Salvo anche un altro figlio della coppia, Davide, che sarebbe andato a New York con la fidanzata a settembre. Anche Tiziana Pedrone, moglie di Fabio Gallazzi e madre di Giacomo, aveva espresso dei timori circa il tour in elicottero. I Norelli abitavano a Trebbo di Reno, frazione di Castel Maggiore, grosso comune al nord di Bologna, i Gallazzi a San Lazzaro di Savena, a est del capoluogo.


DUBBI SUL VOLO - A New York il gruppo era stato raggiunto da un cugino dei Norelli, Vittorio, che domenica avrebbe dovuto ripetere il sorvolo turistico in elicottero su Manhattan. Tutti i bolognesi avevano prenotato da Bologna, 130 euro il costo a persona del volo, ed erano divisi tra gli entusiasti e i timorosi. Il viaggio a New York, per i Norelli, aveva un significato molto particolare, dato che la coppia festeggiava il 25esimo anniversario del matrimonio. La vacanza era un regalo della sorella di Michele. Le famiglie Norelli e Gallazzi erano legate da profonda amicizia. Qualche sera prima di partire, avevano cenato con degli amici e in quell'occasione avevano parlato del soggiorno a New York e anche del volo in elicottero, su cui le due donne avevano espresso apprensione. Entrambe avevano detto che volevano rinunciare, ma alla fine Tiziana Pedrone ha cambiato idea. Ad avvertire l'altro figlio dei Norelli, Davide, studente universitario di 23 anni, è stata la madre Silvia Rigamonti. Sabato verso mezzanotte il giovane ha chiamato la donna e ha ricevuto la terribile notizia. Quindi è andato ad avvertire la nonna paterna.

IMPRENDITORI - Fabio Gallazzi e Michele Norelli erano entrambi imprenditori. Gallazzi aveva una ditta di rappresentanza di prodotti per aziende metalmeccaniche, Norelli era titolare della Quadreria di via Zanardi a Bologna, un negozio che produce cornici e vende prodotti per l'arredamento. Insieme alla sorella Amalia, che gestisce un'altra Quadreria di via Mazzini, era contitolare di un negozio dallo stesso nome nel Centro Borgo, un grande centro commerciale di via Lame. Silvia Rigamonti, moglie di Michele Norelli, è insegnante, Tiziana Pedrone era casalinga. I due ragazzi, Filippo e Giacomo, frequentavano il liceo scientifico in due istituti diversi.

I DUE RAGAZZI - New York era una delle città preferite di Filippo Norelli. Lo scriveva nella sua pagina personale sul social network Netlog. Nato il 29 novembre '92, studente al liceo scientifico Sabin, Filippo si definiva single, in cerca di amicizie o di una relazione. In rete con il nick "vroom_92", si definiva appassionato di tecnologie, auto (soprattutto sportive), amici, musica e sport, con una passione per il Milan che lo aveva portato a inserire nella sua pagina Internet una foto di Kakà. Oltre a New York, Filippo scriveva di amare Barcellona, Madrid, Londra e Lisbona. Tra i suoi amici con la passione comune del web c'era proprio Giacomo Gallazzi.

RITARDO DECISIVO - Si è invece salvata Paola Casali, romana di 42 anni, che aveva prenotato il tour sull'elicottero precipitato per sé e il figlio Lorenzo, 13 anni, ma è arrivata tardi all'eliporto sulla 30esima strada. Mentre i due aspettavano l'elicottero successivo si è diffusa la notizia del disastro. «Sono confusa, ma penso di essere stata molto fortunata - ha detto la donna al New York Times -. Oggi per me comincia una nuova vita». Sabato il figlio le aveva detto che era preoccupato e che aveva paura di volare. «Lorenzo avrebbe voluto fermarsi in uno Starbucks, ma lei le aveva detto che il tour era perfettamente sicuro perchè l'aveva fatto sei anni fa» scrive il quotidiano.




09 agosto 2009



Quagliarello: «Perché eludere le richieste delle Camere?»
Ru486, Fini divide il Pdl: «Cosa
c'entra il Parlamento con i farmaci»

Gasparri: «indagine conoscitiva» sulla pillola abortiva. Il presidente della Camera: «Idea originale»


ROMA - «È originale pretendere che il Parlamento si debba pronunciare sull'efficacia di un farmaco». Così il presidente della Camera, Gianfranco Fini, di ritorno dalla commemorazione della strage di Marcinelle, ha replicato alla proposta avanzata da Maurizio Gasparri di una «indagine conoscitiva» da parte del Parlamento sulla pillola abortiva Ru486. «Ognuno ha la sua opinione e io ho la mia - ha sottolineato Fini -, ma non credo ci sia motivo per un dibattito politico». «Ci sono - ha aggiunto - le linee guida del governo. C'è l'Agenzia del farmaco che si è già pronunciata, non vedo cosa c'entri il Parlamento».

GASPARRI : SE NE OCCUPI PARLAMENTO - «Sulla RU486 non solo è possibile, ma è necessario che se ne occupi il Parlamento. Lo faremo senz'altro a settembre respingendo le patetiche intimidazioni della sinistra, che non ci impressionano e non ci fermano. Non si può delegare a tecnici privi di legittimazione democratica una decisione che attiene al diritto alla vita». Così si era espresso Maurizio Gasparri circa la questione della Ru486. «Confermo la volontà del Pdl - aveva aggiunto l'ex esponente di An e attuale presidente del gruppo Pdl al Senato - di portare il problema in Parlamento». E dopo la secca bocciatura di Fini Gasparri ha rilanciato la sua proposta: «Ho grande rispetto per le opinioni delle massime istituzioni dello Stato, ma confermo che al Senato promuoverò iniziative di indagine conoscitive sugli effetti della pillola Ru486 in Italia e negli altri Paesi dove è stata già impiegata. Il Parlamento ha la possibilità di svolgere attività ispettive e conoscitive su ogni materia e spesso si occupa di cose molto meno importanti che il diritto alla vita, la corretta applicazione della 194, e vicende delicate come quella della Ru486». Per poi concludere: «Con tutto il rispetto dell'Aifa (l'agenzia del farmaco, ndr), il Parlamento è molto più importante ed è legittimato dal voto dei cittadini».

LE REAZIONI - «C'è più di una ragione perché il Parlamento si occupi della Ru486», ha quindi commentato il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano. «La Ru486 - dice Mantovano - non è un farmaco ma un composto chimico che determina con certezza la morte del concepito e, in qualche caso, danni alla madre». E poiché «il concepito, come previsto dalla legge 40, qualche diritto lo ha, così come è sancito il diritto alla salute della donna - conclude il sottosegretario - il Parlamento ha più di una ragione per occuparsi» della vicenda. «Bisogna evitare di trasformare ogni tema che riguarda la biopolitica in una guerra di ideologia», ha invece dichiarato in una nota Gaetano Quagliariello, vicepresidente vicario dei senatori del Pdl. «Nel caso specifico della Ru486 nessuno, e tantomeno il Parlamento, può mettere in discussione - osserva - la commercializzazione autorizzata dall’Aifa. Ci si aspetta, piuttosto, che il protocollo che la stessa agenzia deve emanare assuma ogni precauzione affinché vengano garantite la salute e l’incolumità delle donne. Quel che però non si può impedire - prosegue - è che il Parlamento attivi, se crede, tutti gli strumenti conoscitivi e discuta in merito alla compatibilità tra la tecnica della pillola abortiva e l’applicazione della 194 che, non va dimenticato, è una legge dello Stato in vigore». Diverso il tenore del commento di Fabrizio Cicchitto: «Dopo il pronunciamento della Agenzia del Farmaco, ormai il problema reale è quello della regolamentazione della Ru486, che è materia che riguarda il ministero che ha competenza sulla sanità», ha detto il presidente dei deputati del Pdl. «Le commissioni parlamentari competenti - ha concluso - possono fare audizioni, ma sul terreno dell’aborto nel suo complesso la Camera ha già fatto un buon dibattito approvando una mozione molto significativa». «Non vedo lo scandalo nel fatto che il Parlamento si occupi della pillola abortiva Ru486 - dice invece Rocco Buttiglione, presidente dell'Udc - Certamente non ha il compito di entrare nelle specifiche scientifiche della Ru486, cosa che spetta ad altri enti. Ma può entrare nel merito sulla compatibilità dell'utilizzo della Ru486 rispetto alla legge 194 sull'interruzione volontaria della gravidanza».


08 agosto 2009
 
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ZioDanilo
view post Posted on 9/8/2009, 12:15




poveracci... R.I.P. :(
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 9/8/2009, 12:16




A Firenze per l'amichevole di DOmenica (subito annullata) con il bologna
Dramma a Coverciano, stroncato
da un malore capitano dell'Espanyol

Daniel Jarque era al telefono con la fidanzata: improvvisamente si è accasciato a terra senza vita


FIRENZE - Il centrocampista dell'Espanyol Daniel Jarque, 26 anni, con la sua squadra in ritiro nel centro tecnico di Coverciano, è morto per un infarto mentre si trovava nella sua stanza. Il giocatore ha avuto un malore durante una telefonata con la fidanzata.

L'ALLARME DELLA FIDANZATA - Jarque era in ritiro con la squadra catalana, la seconda formazione di Barcellona, a Coverciano per preparare l'amichevole con il Bologna in programma domani sera. Il calciatore stava parlando al telefono con la fidanzata quando si è accasciato a terra, stroncato da un infarto, come hanno confermato i soccorritori chiamati dai compagni informati dalla ragazza di Jarque che, allarmata e preoccupata li ha subito contattati. Entrati nella camera del compagno, per lui ormai non c'era più nulla da fare. L'Espanyol milita in prima divisione e lo scorso anno si è salvata con qualche turno di anticipo. Jarque milita con i biancoblu catalani dal 2002. Per il suo impegno aveva meritato la fascia di capitano.

AUTOPSIA - La magistratura di Firenze ha già disposto il trasporto della salma di Daniel Jarque, che si era allenato regolarmente nel pomeriggio, all'istuto di medicina legale, dove è probabile che già domenica sarà effettuata l'autopsia per verificare le cause del decesso del 26enne. Gli operatori del 118 che sono stati chiamati per il primo soccorso al centro tecnico di Coverciano, la «casa» della Federcalcio dove tra l'altro lunedì alle 12 si radunerà la nazionale azzurra, hanno parlato di un generico malore. «Il giocatore dell'Espanyol è deceduto a causa di una crisi sistolica - il club ha reso noto in un comunicato - Il medico del club, il dottor Cervera, ha tentato un primo intervento con un defibrillatore, ma senza riuscire a rianimarlo. Nel giro di pochi minuti è arrivata un'ambulanza da Firenze. Anche il personale d'emergenza ha tentato di intervenire con il defibrillatore che aveva a bordo, ma di nuovo senza riuscire a rianimarlo».

DUE ANNI DOPO PUERTA - Due anni fa il calcio spagnolo ha vissuto un dramma analogo: il 25 agosto 2007 il difensore del Siviglia Antonio Puerta, 22 anni, fu stroncato da un malore causato da una serie di attacchi cardiaci durante la partita contro il Getafe. Puerta muore dopo tre giorni di agonia. Quasi due mesi dopo, il 23 ottobre, nascerà suo figlio Aitor Antonio.


08 agosto 2009

:( :cry: :4:

Iran, i pasdaran vogliono processare
Moussavi, Karoubi e Khatami


TEHERAN - Mirhossein Moussavi, Mehdi Karoubi e l'ex presidente Mohammad Khatami devono essere processati per aver fomentato i disordini scoppiati dopo le elezioni dello scorso giugno. Lo sostengono le Guardie della rivoluzione. "Se sono sospettati, come sono, ci aspettiamo che il potere giudiziario li persegua, li arresti, li processi e li punisca", ha dichiarato Yadollah Javani, uno dei comandanti del corpo d'elite della Repubblica islamica.

(9 agosto 2009)
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 10/8/2009, 10:07




la missione italiana
La Russa: «In Afghanistan i Tornado possono sparare»
Il ministro: «Chiedo ai magistrati di sbloccare i blindati Lince»


ROMA — «Rivolgo un appello ai magistrati affinché il tempo di sequestro dei blindati 'Lince' sia ridotto al minimo », dice Ignazio La Russa. In un’intervista al Corriere , il ministro della Difesa affronta alcuni degli aspetti più controversi e delicati della missione militare in Afghanistan, della quale i sigilli giudiziari ai mezzi italiani danneggiati dalle bombe talebane sono un indice. Fino a che punto si può far finta che una missione chiamata «di pace» non sia in un territorio di guerra? A quali norme devono essere sottoposti i nostri militari? Quanti ribelli sono stati uccisi dai soldati italiani? Tra il codice militare di pace applicato attualmente e quello militare di guerra che venne impiegato in Iraq, il ministro del Popolo della libertà indica una terza strada: «Serve un codice per le missioni internazionali sul quale è possibilissima un’intesa con l’opposizione».

I capi del parco macchine del contingente italiano in Afghanistan hanno detto al nostro inviato Lorenzo Cremonesi che a undici Lince colpiti dai ribelli sono stati messi sigilli giudiziari: per renderli «a disposizione» della Procura di Roma tenuta a indagare. Ministro, conferma?
«Sì. Non ho il numero esatto, ma l’articolo è corretto. Dal governo Prodi in poi, tranne la parentesi dell’Iraq, il codice che si applica non è quello militare di guerra, bensì il codice militare di pace. Se ci sono morti e feriti è come se questo avvenisse in una normale esercitazione. Tant’è che stiamo correndo ai ripari».

Verso dove?
«Io non me la sentivo di appoggiare un ritorno al codice militare di guerra. Alcuni del Pdl, con un emendamento, me lo chiedevano. Ho detto: lasciate stare, si creano più polemiche. Per farli desistere ho impiegato un argomento: nelle commissioni Difesa del Parlamento è possibilissima un’intesa con l’opposizione per un codice militare specifico per le missioni internazionali. Né di pace né di guerra».

Qui sta il punto. All’origine dei sigilli ai Lince non è l’ambiguità in base alla quale, per farla apparire nei limiti dell’articolo 11 della Costituzione, la missione italiana viene presentata come pacifica mentre agisce in quella che gli alleati definiscono una guerra?
«Non è tanto per l’ambiguità. E’ per la scelta fatta dal Parlamento di applicare il codice militare di pace. So che il mio predecessore al ministero, Arturo Parisi, l’ha subita, come l’ho subita io. Ma la rispetto, come va rispettata la Costituzione. Per questo stiamo predisponendo il nuovo codice».

Per vararlo non serve una legge costituzionale?
«Se ne discuterà in Parlamento. Vi sono fautori di entrambe le tesi».

Nel frattempo i Lince?
«Rivolgo un appello ai magistrati affinché il tempo di sequestro dei Lince sia ridotto al minimo. Per la specificità della missione, e perché anche i blindati rotti ci servono » .

A che cosa?
«Per i pezzi di ricambio. Questi Lince continuano a salvare le vite di molti soldati. Anche sabato una bomba ne ha fatto saltare uno, ma nessuno è rimasto ferito. Forse i magistrati pensano che il mezzo, molto danneggiato, possa stare sotto sequestro senza problemi. Invece da lì si prenderebbero i pezzi di ricambio per gli altri mezzi».

Non ne avete?
«Non portiamo tutti i ricambi in Afghanistan perché, statisticamente, sono i Lince usurati o danneggiati a fornirli. E non c’entrano i fondi».

Se viene ucciso un militare italiano, la Difesa lo dichiara: dal 2001 in Afghanistan ne sono morti 15. Manca però un dato: quanti miliziani afghani sono stati uccisi dai nostri soldati in scontri a fuoco?
«Il numero preciso non viene tenuto. Non c’è una contabilità anche perché è difficile accertarlo. Di certo il numero degli insorti — talebani, trafficanti di droga, tutti coloro che compiono atti ostili — è superiore alle perdite subite dai contingenti internazionali. E di molto».

Quelli colpiti da italiani?
«Anche per i nostri il rapporto è di sicuro più alto. Quando i nostri sono stati costretti a difendersi, gli altri hanno subito perdite. Tra i contingenti siamo quelli che hanno avuto meno lutti, anche se non per questo meno dolorosi».

I morti afghani sono di più da quanto avete tolto i caveat che limitavano l’impiego dei militari in combattimento?
«No, la natura della missione non è mai cambiata e l’unico caveat tolto è sull’impiego fuori dalla zona Ovest, per altro quasi mai utilizzato».

I cacciabombardieri Tornado italiani hanno già cominciato a dare copertura aerea ai soldati, ossia a sparare oltre che ad avere funzioni di ricognizione?
«Dopo aver informato le Camere, ho dato via libera ai comandanti. A loro valutare. Parliamo non delle bombe, che sull’aereo non portiamo neanche. Ma del cannoncino dei Tornado, simile a quello degli elicotteri Mangusta».

Quanti Predator, aerei senza pilota, manderete in più?
«Per ora li raddoppiamo: altri due. Sarebbe bene averne di più, ma al momento abbiamo questi. Li manderemo insieme con altri elicotteri».


Maurizio Caprara
10 agosto 2009


Lo ha annunciato il ministro degli esteri Frattini
Liberi i 16 marinai della Buccaneer
Frattini: «Nessun riscatto pagato»
La nave sequestrata da pirati somali l'11 aprile nel golfo di Aden con a bordo 10 italiani, 5 romeni e un croato

Caso Buccaneer, ministro Frattini telefona al primo ministro somalo (3 agosto 2009)
Sequestro Buccaneer, nuova telefonata «Un piatto di riso al giorno, liberateci» (19 giugno)
Buccaneer, la minaccia dei pirati: «Entro 48 ore trattate, sennò faremo brutte cose» (3 giugno 2009)
Il rimorchiatore Buccaneer
ROMA - Sono stati liberati i sedici marinai che erano stati sequestrati in Somalia a bordo della nave Buccaneer. Lo ha annunciato il ministro degli esteri Franco Frattini. «Non è stato pagato alcun riscatto», ha assicurato il ministro in un'intervista a Skytg24. Il rimorchiatore d'altura Buccaneer era stato sequestrato da pirati somali lo scorso 11 aprile nel golfo di Aden con a bordo dieci italiani (tra i quali il capitano), cinque romeni e un croato. Tutti i 16 membri dell'equipaggio sono stati rilasciati. Il rimorchiatore sta ora procedendo verso Gibuti accompagnato dalla nave della Marina militare San Giorgio, che da tempo si trova in zona proprio per seguire da vicino il sequestro.

«COMPIACIMENTO PER SOLUZIONE» - Frattini, ha espresso il suo «più vivo compiacimento per la positiva soluzione della vicenda», si legge in una nota della Farnesina. «Alle loro famiglie una partecipe vicinanza in questo momento di gioia, dopo mesi di comune attesa e preoccupazione». Frattini ha voluto ringraziare le autorità del governo di transizione somalo e in particolare il primo ministro della Somalia, le autorità del Puntland, il Dispositivo interforze di forze speciali imbarcato sulla San Giorgio e coordinato in area di operazioni dal Cofs (Comando interforze per le operazioni delle forze speciali) e «le diverse articolazioni istituzionali e di intelligence italiane che hanno aiutato lo sviluppo positivo del caso». Il ministro ha espresso anche «un sentito ringraziamento ai mezzi di informazione italiani per avere rispettato la linea di riserbo richiesta dalla Farnesina che si è ancora una volta rivelata giusta».

«NON È STATO PAGATO ALCUN RISCATTO» - «Non c'è stato blitz e non è stato pagato alcun riscatto. Al momento convenuto i militari sono saliti a bordo del Buccaneer e hanno preso possesso della nave». Lo ha detto Silvio Bartolotti, general manager della Micoperi, l'azienda ravennate proprietaria del rimorchiatore. La nave - ha aggiunto - è già in navigazione verso Gibuti, dove dovrebbe arrivare entro un paio di giorni, scortata da navi militari. «I miei uomini stanno tutti bene - ha precisato Bartolotti - e una volta arrivati a Gibuti valuteranno la situazione, secondo l'umore psicologico, se proseguire in nave o se rientrare in Italia in aereo. Io comunque prenderò il primo volo utile per Gibuti, perché voglio riabbracciare quanto prima i miei uomini».

BOTTI - L'incubo è finito: hanno appreso la notizia dalla Farnesina e ora sparano i botti di Capodanno per la gioia, sull'uscio di casa, i familiari di Bernardo Borrelli, il marinaio di 30 anni, di Ercolano (Napoli) liberato in Somalia.


09 agosto 2009


INCIDENTI MONTAGNA
Ritrovati i 2 ragazzi dispersi
Uno è morto, l'altro è grave

Erano sul letto di un torrente i due ragazzini dispersi da ieri sera nei boschi del lecchese

MILANO - Sono stati ritrovati sul letto di un torrente intorno alla mezzanotte i due ragazzini dispersi da ieri sera nei boschi del lecchese. Il più grande, di 15 anni, è morto, con ogni probabilità in seguito ai traumi riportati in una caduta lungo un canalone.

IN OSPEDALE - L'altro, di 13 anni, è stato portato all'ospedale di Lecco in gravissime condizioni. I due erano usciti a cercare funghi nella zona di Parlasco. Secondo una prima ricostruzione, ancora da verificare, fornita dai carabinieri che hanno partecipato alle ricerche, i ragazzi sono probabilmente scivolati mentre passavano in un punto molto scosceso, precipitando in un canalone. Il punto dove sono stati ritrovati si trova a circa 250 metri al di sotto della strada.

LA SPARIZIONE - L'area è talmente impervia che il corpo del ragazzo morto non è stato ancora recuperato. Le operazioni sono state interrotte intorno alle 4 del mattino, anche a causa del forte temporale che si è abbattuto sulla zona, e sono riprese soltanto qualche ora dopo. I ragazzini mancavano da casa dalla mattina, e l'allarme dei familiari è scattato intorno alle 19.30 quando non sono rientrati per cena a Taceno (Lecco). Già nella tarda serata di ieri il ritrovamento dei motorini dei giovani, parcheggiati a pochi passi da un sentierino che porta verso il fiume, aveva fatto temere il peggio. Alle ricerche e alle operazioni di recupero hanno partecipato per tutta la notte una cinquantina tra volontari della Protezione civile, soccorritori del Soccorso alpino, Carabineri e amici.



10 agosto 2009



IL NO A SKY E I RAPPORTI CON MEDIASET
La Rai ha fatto una scelta di campo

C’è molta agitazione nell’etere. Di solito, l’estate rappresenta un momento di calma per le tv: riciclano il magazzino, ripropongono per l’ennesima volta «La signora in giallo», si collegano con qualche località turistica disposta ad accollarsi le spese di realizzazione. Quest’anno invece si respira il nervosismo tipico delle grandi trasformazioni: la posta in gioco è molto alta perché il ruolo della tv, legandosi sempre più indissolubilmente agli altri media (Internet, telefonia fissa e mobile...), resta centrale nel panorama mediatico. È intervenuto persino il capo dello Stato per chiedere spiegazioni sullo scioglimento della convenzione tra Rai e Sky.

Com’è noto, Viale Mazzini non ha più rinnovato il contratto che le permetteva di fornire alla tv satellitare le sue reti generaliste, più altri canali «extra ». Per ora è ancora possibile vedere Raiuno, Raidue e Raitre ma da qualche giorno molti programmi sono criptati (la partita Inter-Lazio ma anche vecchi telefilm): un preciso segnale (anzi, una mancanza di segnale) di sgarbo, se non di provocazione.

L’atteggiamento della Rai è di non facile lettura, e comunque non in linea con la nozione di Servizio pubblico (SP) rappresentata ad esempio dalla Bbc, che fin dalle origini ha partorito l’idea della tv come bene comune di importanza nazionale, al pari della luce, del gas, dei trasporti. Il SP, in quanto retto da un canone, dovrebbe fare in modo che i suoi servizi siano totalmente pubblici (parliamo delle reti generaliste), e cioè visti dal più alto numero di persone, indipendentemente dalle piattaforme di trasmissione, considerate «tecnologicamente neutrali». Il fatto che la Rai sia entrata in conflitto con Sky, con il rischio di negarsi a quasi cinque milioni di famiglie, costituisce un unicum in Europa. In nessun altro Paese le politiche dei public service broadcasting hanno condotto alla ritirata da una piattaforma distributiva. Talmente un unicum che il governo italiano ha già pronta una legge che servirà a giustificare il divorzio.

Questo contrasto prende le mosse dalla più grande rivoluzione tecnologica della tv: il passaggio «forzato» dall’analogico al digitale. L’Unione europea ha giustamente imposto questo nuovo sistema di trasmissione per liberare frequenze, per ampliare lo spazio di partecipazione. Ma, nell’enfasi che ha accompagnato il processo di digitalizzazione della tv in Italia, si è spesso sottolineata l’inevitabilità, quasi la naturalità delle scelte intraprese, che sono, al contrario, solo decisioni politiche. Digitale significa pure satellite o cavo o IPTV. Rai e Mediaset hanno scelto il digitale terrestre (DTT) anche perché erano proprietarie della rete distributiva (optare per il satellite, che è una tecnologia più avanzata, significava dismettere i propri trasmettitori e «giocare » in campo avverso).

Il DTT rappresenterà quindi in Italia lo snodo di accesso universale, quello che potremmo definire «il minimo comune denominatore » per guardare la tv. Rispetto alla vecchia tv analogica, l’offerta è arricchita da qualche nuovo operatore, da alcuni canali gratuiti (come Rai4 e, fra poco, Rai5) e dalla possibilità di accedere a contenuti pay. Sviluppare un’offerta a pagamento sul DTT è infatti un’operazione particolarmente vantaggiosa: come dimostra l’aggressiva politica di diffusione delle «carte prepagate » che Mediaset sta realizzando con originalità, forte anche di un’offerta qualitativamente alta e ben strutturata che invece la Rai non possiede. Per esempio, di questi tempi, le partite di calcio con una card prepagata sono più appetibili di un abbonamento annuale.

L’impressione è che la Rai non attui una politica a favore della propria audience (a coltivare la qualità della propria audience, come imporrebbe un altro dogma del SP), quanto piuttosto a favore di quello che un tempo era il suo unico competitor, Mediaset. Ci sono altri indizi che rafforzano questo dubbio: il potenziamento del DTT con soldi pubblici ha favorito non solo la Rai, o la nascita del consorzio TivùSat, la nuova piattaforma che diffonderà via satellite, ma con un nuovo decoder, gli stessi programmi trasmessi in digitale terrestre da Rai, Mediaset e La7, o il fatto che sia il SP a dover in qualche modo risarcire Europa 7 attraverso una cessione di sue frequenze (l’emittente di Francesco Di Stefano che nel 1999 aveva vinto la gara per una concessione nazionale, ma non aveva trovato posto, già occupato da Retequattro).

Insomma, in un modo o nell’altro, continua ad aleggiare il fantasma del conflitto di interessi. Inutile nascondersi che la vera battaglia sul futuro della tv in Italia è tra Berlusconi e Murdoch. La Rai, invece di restare neutrale, sembra aver fatto la sua scelta di campo.


Aldo Grasso
10 agosto 2009


Attacchi dopo decisione governo di rimuovere muri protettivi
Iraq, almeno 50 morti in 4 attentati
Esplosione di due camion bomba a Mosul, nel nord del Paese, e due autobomba a Baghdad

BAGDAD - Si aggrava il bilancio delle vittime degli attentati compiuti stamane a Bagdad e a Mosul, nel nord dell’Iraq. Secondo la tv satellitare al Arabiya, il bilancio - destinato a aggravarsi ulteriormente - è salito ad almeno 50 persone morte e a circa 160 feriti. L’attentato più grave è quello avvenuto nel villaggio di Khaznda a 20 chilometri da Mosul. Due camion bomba sono esplosi verso le 4 di notte (ora locale), uccidendo almeno 30 persone e ferendone una ottantina. Secondo fonti ospedaliere citate dall’emittente saudita, «i soccorritori continuano a cercare sotto le macerie da dove emergono ancora alcuni cadaveri» come ha detto il corrispondente della tv araba, Majid Hamid.

NELLA CAPITALE - L’esplosione ha distrutto trentacinque case di questa località, abitata prevalentemente da Shabak, un’etnia di origine curda. Quasi contemporaneamente, nella capitale Bagdad, sono esplose due autobombe nei pressi di altrettanti «punti di raccolta di operai»: il primo attentato è avvenuto a Hay al Amel, quartiere con maggioranza sunnita a ovest della capitale, mentre per il secondo è stato scelto il quartiere (misto) Hai al Shurtah, nel nord della città. Il bilancio delle vittime delle due esplosioni è finora di 20 morti e quasi 80 feriti. I quattro attentati sono avvenuti a distanza di pochi giorni dalla decisione del governo di rimuovere i muri di protezione dalle strade delle città, dopo il sensibile miglioramento delle condizioni della sicurezza nel Paese.


10 agosto 2009


Pirati somali: "Per il Buccaneer
riscatto di 4 milioni di dollari"


BOSASSO (Somalia) - Dall'Italia assicurano che per la la liberazione del rimorchiatore Buccaneer e del suo equipaggio non è stato versato alcun riscatto. I pirati che per quattro mesi hanno tenuto in ostaggio i marittimi, tra i quali dieci italiani, sostengono che sono stati pagati quattro milioni di dollari. "Abbiamo preso un riscatto di quattro milioni e abbiamo liberato il rimorchiatore italiano che è già partito", ha detto una fonte della banda di sequestratori. Andrew Mwangura, coordinatore del gruppo marittimo regionale 'East African Seafarers' Assistance Programme' ha invece parlato di un riscatto di cinque milioni. "Ieri sera stavano contando i soldi" ha riferito.

(10 agosto 2009)


L'invito dal coordinatore della lista di Fitto. Il politico non partecipò alla trasferta
Tra le ospiti di quel soggiorno Sabina Began, Raffaella Zardo e Victoria Petroff
Tarantini a Montecarlo
E Greco disse: già pagato




Salvatore Greco
BARI - Non ci sono soltanto le feste baresi o le vacanze in Sardegna nella vita dorata di Gianpaolo Tarantini, l'imprenditore barese indagato per aver offerto alcune escort al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Ci sono anche feste e festini a Montecarlo, sul tenore dei quali il sostituto procuratore Giuseppe Scelsi ha ascoltato una serie di persone. Le testimonianze raccolte sono servite anche a definire meglio le accuse per il socio di Tarantini, Massimiliano Verdoscia, e il "pusher" Stefano Iacovelli, arrestati venerdì (domani gli interrogatori di garanzia in carcere).

E' la settimana tra il 19 e il 25 maggio 2008, per esempio, quella che precede il Gran Premio di Montecarlo. Tarantini è un habitué del Principato e quell'anno - racconta a Repubblica uno dei partecipanti di quel fine settimana - Gianpaolo viene invitato da un suo vecchio amico, l'ex parlamentare dell'Udc, Tato Greco. Greco oggi è il responsabile della lista "La Puglia prima di Tutto" del ministro Raffaele Fitto, ed è lui ad aver organizzato le liste alle ultime elezioni comunali di Bari, quando furono candidate Patrizia D'Addario e Barbara Montereale, due delle donne che Tarantini ha pagato e poi portato a casa Berlusconi.

Greco e Tarantini sono indagati per associazione a delinquere nell'altra inchiesta della Procura di Bari sull'imprenditore barese, quella condotta dal pm Roberto Rossi: secondo i magistrati Greco, nel suo ruolo di allora consigliere regionale, corrompeva i medici per favorire l'attività della Tecnohospital, la società di forniture ospedaliere di Tarantini.

L'imprenditore e il politico organizzano il viaggio a Montecarlo ma poi all'ultimo momento Tato si tira indietro per problemi personali: "Gianpaolo, vai tranquillo - gli dice - Le suites sono già pagate, disponi pure". Le camere lussuose sono all'hotel Hermitage in square Beaumarchais a Montecarlo, un gioiello Belle Epoque dal fascino discreto, "l'eleganza elevata a perfezione" si legge sul sito. A due passi dalla piazza del Casinò, l'albergo gode di un panorama incantevole sul porto monegasco e sulla Rocca e ha accesso diretto alle terme marine.

Le stanze offerte da Greco - Gianpaolo salderà soltanto gli extra - sono due suite con terrazza e Jacuzzi esterna. Quanto basta per rendere confortevole il soggiorno di "Gianpi" e dei suoi ospiti. Tra i quali spiccano alcuni nomi noti: l'"ape regina" Sabina Began ("Vi sembra che ho la faccia di una che si droga?" ha detto qualche giorno fa, uscendo dall'elegante palazzo dove abita nel cuore di Roma), Raffaella Zardo, Victoria Petroff e Linda Santaguida, già fidanzata del "tronista" Costantino Vitagliano. Il gruppo si ferma a Montecarlo fino a domenica 25 maggio, il giorno del Gran Premio.

Ma le suite all'Hermitage non sono l'unico palcoscenico che frequenteranno: Tarantini organizzerà feste anche in una barca a vela da 25 metri di proprietà di un commerciante barese, interrogato come persona informata sui fatti nelle scorse settimane, e amico di una vita di Gianpaolo. Lo dimostrano le intercettazioni del 2004 quando i due organizzavano party a base di cocaina a Bari. Proprio a Montecarlo il gruppo conosce Manuela Arcuri, l'attrice che in un'intervista a un settimanale ha definito Tarantini genericamente "quel signore". Eppure la donna è stata sua ospite nella prima decade di giugno del 2008, nella villa dell'imprenditore a Giovinazzo. Assieme a un ristretto gruppo di amici imprenditori a una festa c'erano l'Arcuri, la sua amica Francesca Lana, la modella venezuelana Jennifer Rodriguez e sempre la solita Victoria Petroff, queste ultime concorrenti dei reality "La Fattoria" e "L'Isola dei Famosi". Non solo: l'Arcuri conosce bene anche Massimiliano Verdoscia, l'uomo oggi in carcere con l'accusa di spaccio. Con lui, la Lana e un quarto amico ha trascorso proprio a giugno 2008 un fine settimana in una masserie di Savelletri, in provincia di Brindisi.

(10 agosto 2009)


Da Panama a Canberra, la stampa commenta le vicende italiane
Libération: "Niente trapianti di capelli, per Berlusconi quest'anno vacanze tranquille"
Media stranieri: "Denaro e potere
i feticci del premier italiano"



LONDRA - L'attenzione alle vicende politiche italiane ha raggiunto Panama, attraverso un ritratto molto severo di Silvio Berlusconi apparso su El Siglo. "Mentre a Panama ci interroghiamo sull'idoneità di molte persone del governo entrante, in Italia Silvio Berlusconi è dibattuto fra belle donne per il suo governo", scrive il giornale, aggiungendo che la sua scelta di scendere in campo è stata legata alla noia per la grande ricchezza, quando un milione in più o meno non rappresenta nulla: "E allora bisogna orientare le voglie verso la politica o verso il sesso". Secondo i panamensi, "Berlusconi ha uno stile molto particolare di intendere la politica: ottiene con il potere il clamore che il denaro non gli può comprare". Ma in questo spettacolo "si mettono in evidenza le mancanze che il potere come feticcio può sostituire. Da qui si spiega la mania insaziabile per le belle donne, le stupide dichiarazioni pubbliche che suscitano i commenti più diversi. Così come la ricchezza non compra la saggezza, il potere non va bene per chi lo cerca per saziare la sete di rispettabilità o di successo con l'altro sesso. In questi casi, è solo un feticcio che si insegue per soddisfare le proprie carenze umane".

Il francese Libération sottolinea che le vacanze estive in casa vogliono far dimenticare le sue scappatelle. "Né sedute di impianto dei capelli come in passato, nemmeno feste dionisiache nella sua sontuosa residenza sarda di Villa Certosa: le vacanze estive di Silvio Berlusconi dovranno essere all'insegna della tranquillità, della famiglia, del lavoro e del ritorno in forma", scrive il giornale parigino.

Diversi giornali, dall'Irish Times allo spagnolo ABC, alla Tribune de Genève, riprendono la conferenza stampa di autodifesa del premier. Il giornale ginevrino aggiunge un servizio sul giudizio degli italiani in Svizzera. Secondo loro, il premier resta al potere anche per "l'incapacità della sinistra a trovare un'alternativa". E poi "gli italiani sono un popolo antico, cinico e sofisticato. Preferiscono Berlusconi alla sinistra, e al diavolo le storie di alcova". Secondo un altro intervistato "si capirà veramente il fenomeno quando si vedrà chi potrà succedergli". C'è poi un commento in cui si scrive che "gli italiani, per la prima volta da tanto tempo, sentono di avere un pilota al posto di guida. Un pilota, però, imbarazzante", perché "mescola pragmatismo e ingenuità, simpatia e istinto politico". E a chi dice che "il premier coltiva la volgarità nel paese di Dante e Michelangelo", il giornale sottolinea che "l'Italia di oggi non è più quella del Rinascimento". Per cui "Berlusconi fa sorridere, ma va preso sul serio. Dando al mondo l'Impero romano, il cattolicesimo, il Rinascimento e il fascismo l'Italia è stata spesso, nel bene e nel male, il laboratorio dell'Occidente".

L'australiano Canberra Times pubblica un lungo riepilogo della storia politica del premier e conclude così: "Un segno della gravità della situazione italiana può essere individuato nella convinzione di molti italiani che la mafia otterrà i contratti per la ricostruzione dell'Aquila. Possiamo aspettarci un autunno caldo in Italia, ma pochi segni di cambiamento a lunga scadenza nelle sorti del Paese".

(9 agosto 2009)


La paura a telecomando

Ora che il decreto sulla sicurezza è entrato in vigore siamo sicuramente più sicuri. Le ronde sono state, finalmente, istituzionalizzate. La clandestinità è reato. Tuttavia, la sicurezza si è affermata anche senza decreti.

Lo confermano i dati del Ministero dell'Interno. Nel 2008 il numero dei reati è sceso di otto punti percentuali rispetto all'anno prima. La riduzione riguarda tutti i tipi di delitti. Dalle rapine agli scippi ai furti. Resta il problema della percezione, che tanto preoccupa il centrodestra. Oggi che governa. Assai meno ieri, quand'era all'opposizione. Negli anni del governo guidato da Prodi, quando al Viminale c'era Amato, era legittimo avere paura. Anche se il calo dei reati è cominciato nella seconda metà del 2007. Ed è proseguito nel semestre successivo.

Andare troppo a fondo nell'analisi dell'evoluzione dei reati, però, potrebbe sollevare qualche dubbio. Sul fatto che la sicurezza in Italia costituisca un'emergenza. O almeno: un problema emergente. Nuovo. In fondo, risalendo al 1991, quasi vent'anni fa, si scopre che il peso dei reati è superiore a quello attuale: 4666 per 100mila abitanti, allora; 4520 oggi. In termini percentuali: lo 0,1 in più. Non molto, si dirà. Anche se, quando si tratta di reati, ogni frazione è rilevante. Tuttavia, la verità è che la variazione percentuale dei reati (negli ultimi dieci anni, almeno) ha un andamento ondivago. Ma segna una sostanziale continuità. Dal 4,2% sulla popolazione, nel 1999, si passa al 4,5% di oggi. Una variazione minima. Che, peraltro, conferma l'Italia come uno dei paesi più sicuri - o meno insicuri - d'Europa.

I cambiamenti più rilevanti, nello stesso periodo, riguardano, invece, la sfera delle percezioni. A fine anni novanta l'Italia era attanagliata dall'angoscia. Poi, nella prima metà del nuovo millennio si è rassicurata. Per cadere preda del terrore nei due anni seguenti. Fino a intraprendere di nuovo una strada più sicura, a partire dall'autunno del 2008. Come ha mostrato il II Rapporto Demos-Unipolis, presentato lo scorso novembre.

Un dato recente suggerisce, peraltro, che la tendenza non sia cambiata. Anzi. In occasione delle elezioni del 2008, infatti, il 21% degli elettori aveva indicato nella "lotta alla criminalità" il tema più importante ai fini della scelta di voto. Ma alle elezioni europee del 2009 questa componente si riduce sensibilmente: 12%. (Indagini post-elettorali condotte da LaPolis, Università di Urbino). Difficile vedere nel cambiamento del clima d'opinione solo - o principalmente - il riflesso della "realtà", come alcuni pretenderebbero. In fondo, l'aumento dei reati che, per quanto limitato, si verifica nel biennio 2004-2005, non accentua l'inquietudine sociale. Mentre negli anni seguenti la paura dilaga.

Un osservatore malizioso potrebbe, semmai, cogliere una costante politica, dietro ai mutamenti dell'opinione pubblica. Visto che, incidentalmente, l'insicurezza cresce quando governa il centrosinistra. E viceversa. Tuttavia, la relazione più significativa riguarda senza dubbio l'attenzione dedicata dai media. In particolare, dalla televisione. Anzi, sotto questo profilo, assistiamo davvero a una realtà - o forse a una fiction - profondamente nuova e diversa rispetto al passato.

Basta scorrere i dati del recentissimo report dell'Osservatorio di Pavia su "Sicurezza e media" (curato da Antonio Nizzoli) per rilevare la rapida eclissi (scomparsa?) della criminalità in tivù. Infatti, i telegiornali di prima serata delle 6 reti maggiori (Rai e Mediaset) dedicano agli episodi criminali ben 3500 servizi nel secondo semestre del 2007, poco più di 2500 nel secondo semestre del 2008 e meno di 2000 nel primo semestre di quest'anno. In altri termini: se i fatti criminali sono calati di 8 punti percentuali in un anno, le notizie su di essi, nello stesso periodo, sono diminuite di 20. Ma di 50 (cioè: si dimezzano) se si confronta il secondo semestre del 2007 con il primo del 2009. Più che un calo: un crollo. In gran parte determinato da due fonti. Tg1 e Tg5, che da soli raccolgono e concentrano oltre il 60% del pubblico. Le notizie relative ai reati proposte dal Tg1 in prima serata, dal secondo semestre del 2007 al primo semestre del 2009, si riducono: da oltre 600 a meno di 300. Cioè: si dimezzano. Insomma, per riprendere i propositi del nuovo direttore del Tg1 (poco responsabile di questo trend, visto che è in carica solo da giugno): niente gossip; ma neppure nera. Solo bianca. Tuttavia, è nel Tg5 che il calo di attenzione in tal senso assume proporzioni spettacolari. Il numero di servizi dedicato a episodi criminali, infatti, era di 900 nel secondo semestre del 2007. Nel primo semestre del 2009 scende a 400. Insomma, la criminalità si riduce un po' nella percezione sociale e sensibilmente nell'opinione pubblica. Ma nella piattaforma televisiva unica di Raiset - o Mediarai - quasi svanisce. E chi non si rassegna (come Canale 3 - pardon: Tg3) viene redarguito apertamente dal premier. Il quale, tuttavia, non ha motivo di avere paura. Se - come ha recitato tempo addietro - l'unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura. E la paura erompe soprattutto dalla televisione. In questo paese dove il confine tra realtà reale e mediale è sempre più sottile. Allora il premier non ha nulla da temere. Ronda o non ronda. Ronda su ronda. La paura scompare insieme alla criminalità. Oppure riappare. A (tele) comando.

(9 agosto 2009)
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 11/8/2009, 10:51




condannato anche John William Yethaw
Birmania, 18 mesi a Aung San Suu Kyi
Il tribunale ha condannato il premio Nobel per la pace agli arresti domiciliari nella casa di rangoon

Aung San Suu Kyi mentre lascia il tribunale il terzo giorno del processo (Reuters)
RANGOON- Altri 18 mesi agli arresti domiciliari. Aung San Suu Kyi, il leader dell'opposizione birmana, rimarrà nella sua casa-prigione ancora un anno e mezzo. L'accusa per il premio Nobel per la Pace è di violazione degli arresti domiciliari. Secondo molti è semplicemente una scusa che il regime birmano ha individuato per togliere di mezzo l'attivista in vista delle elezioni del prossimo anno dopo l'iniziativa di John William Yethaw, cittadino americano di religione mormone, che il 3 maggio ha raggiunto a nuoto la casa di Suu Kyi. L'uomo, processato anche lui, è stato condannato a sette anni di lavori forzati.

GLI ARRESTI- La leader della Lega Nazionale per la Democrazia è stata condannata per aver ospitato il 4 e il 5 maggio Yethaw ed è stata immediatamente ricondotta nella sua abitazione di Rangoon dopo la sentenza. Un tribunale speciale, riunito nel complesso carcerario di Insein, a nord della capitale, ha riconosciuto Suu Kyi colpevole di aver violato i termini che, dal 2003, regolano la sua detenzione domiciliare, per aver fatto entrare nella sua abitazione il pacifista americano.

LA CONDANNA- San Suu Kyi è stata condannata a tre anni dal tribunale militare. Una pena che il generale Than Shwe, capo della giunta militare al potere, ha tuttavia deciso di ridurre, commutandola in un anno e mezzo agli arresti domiciliari. Con questa nuova reclusione, Suu Kyi viene esclusa dalla elezioni che la giunta militare intende organizzare nel Paese per il 2010. Il premio Nobel ha trascorso 14 degli ultimi 20 anni in stato di detenzione, per lo più agli arresti domiciliari. La 64enne avrebbe finito di scontare la sua pena il 21 maggio. La donna, figlia di uno storico oppositore al regime militare birmano, è agli arresti domiciliare dal 1989. Ed è diventata simbolo della lotta per la libertà birmana.

IL PACIFISTA - Più pesante il verdetto a carico del co-imputato di Suu Kyi, il 54enne statunitense John Yettaw, in tutto sette anni di lavori forzati: tre ancora per violazione delle leggi sulla sicurezza, altrettanti per immigrazione illegale nel Paese asiatico, e infine uno per violazione delle norme municipali sull'attività natatoria. L'americano aveva raggiunto a nuoto la residenza della donna dopo aver avuto a suo dire «una visione nella quale sarebbe stata assassinata».

LE REAZIONI- «Costernato e in collera». Così il primo ministro inglese Gordon Brown si esprime sull'ennesima condanna al premio Nobel. Insieme alla reazione di Brown è giunto anche un appello del governo della Malaysia per una riunione d’urgenza dell’Associazione dei Paesi del sud est asiatico, Asean. «L'Unione europea condanna il verdetto di colpevolezza emesso contro Aung San Suu Kyi e risponderà con sanzioni supplementari verso i responsabili della condanna». È quanto si legge in un comunicato della presidenza della Ue. «Il processo contro San Suu Kyi è ingiustificato e va contro il diritto nazionale e internazionale».


11 agosto 2009



LA DECISIONE annunciata sul sito ufficiale. sarà badoer a guidare la monoposto
Schumi rinuncia al ritorno in F1
Il pilota: «Ho fatto il possibile per i dolori al collo, ma non ha funzionato». Montezemolo: «Sono dispiaciuto»


MILANO - Niente da fare: il grande ritorno non ci sarà. Michael Schumacher non sostituirà Felipe Massa alla guida della Ferrari nelle prossime gare di Formula 1. Il pilota tedesco ha annunciato la sua decisione sul proprio sito ufficiale. «Ho fatto il possibile per il temporaneo ritorno. Con grande rammarico, non ha funzionato».

DOLORI - Il sette volte campione del mondo avrebbe dovuto salire al volante della Ferrari F60 a partire dal Gp d'Europa, in programma a Valencia il 23 agosto. «Ieri sera - dice Schumi - ho informato il presidente Luca di Montezemolo e il team manager Stefano Domenicali. Purtroppo, non sono in grado di sostituire Felipe». Colpa dei dolori al collo, conseguenza dell'incidente in moto del febbraio scorso. Schumacher scrive che «le fratture nell'area del collo e del capo purtroppo sono risultate troppo gravi. Non siamo riusciti a risolvere i problemi, con il dolore emerso dopo il test privato al Mugello. Dal punto di vista medico e terapeutico abbiamo provato di tutto».

GLI ULTIMI TEST - Il tedesco, che il 29 luglio aveva annunciato il clamoroso ritorno alle competizioni, è sceso in pista sul tracciato toscano lo scorso 31 luglio, quando ha provato una F2007. Con la monoposto utilizzata dal Cavallino nel Mondiale di 2 anni fa, Schumi ha completato 67 giri. «Dobbiamo vedere come reagiranno il mio corpo e i miei muscoli nei prossimi giorni», aveva detto dopo il collaudo. Alla fine della scorsa settimana, il pilota ha provato a testare la sua condizione per due giorni al volante dei kart sulla pista lombarda di Lonato. «Abbiamo avuto due ottime giornate sui Kart a Lonato. Braccia, torace, spalle, collo: un allenamento eccellente, senza dubbio», diceva Schumi. Evidentemente, il quadro è cambiato dopo le valutazioni delle ultime ore. Fino alla clamorosa rinuncia. Che ha costretto la Ferrari a un'improvvisa inversione di rotta: al posto di Michael, sarà Luca Badoer a guidare la monoposto nel gran premio d'Europa.

MONTEZEMOLO: «DISPIACIUTO» - «Sono molto dispiaciuto per il problema che impedirà a Michael di tornare a gareggiare» ha detto Luca di Montezemolo in una nota diffusa dalla casa di Maranello. «In questi giorni avevo potuto apprezzare il grande impegno e la straordinaria motivazione che lo animavano - ha detto ancora Montezemolo - e che avevano coinvolto il team e gli appassionati in tutto il mondo. Il suo ritorno avrebbe sicuramente fatto bene alla Formula 1 e sono certo che lo avremmo rivisto lottare per la vittoria. A nome della Ferrari e di tutti i suoi tifosi desidero ringraziarlo - ha proseguito Montezemolo - per il grande attaccamento alla squadra dimostrato in questa circostanza. D'accordo con Stefano Domenicali abbiamo quindi deciso di dare a Luca Badoer la possibilità di correre con la Scuderia dopo tanti anni di prezioso lavoro svolto nel ruolo di collaudatore».


11 agosto 2009



i cadaveri sono stati ritrovati nella periferia della capitale
Cecenia, morti i due attivisti di una ong
Si tratta della direttrice di un'organizzazione giovanile e il marito, entrambi russi, rapiti lunedì a Grozny

MILANO- A un mese dall'omicidio di Nataliya Estemirova, erede di Anna Politkovskaja, nuovo assassinio in Cecenia. A pagare con la vita sono sempre attivisti per i diritti umani. Questa volta si tratta di Zarema Sadulayeva, direttrice di una organizzazione non governativa che si occupa di giovani «Salviamo la generazione» e il marito Alik Dzhabrailov,. I coniugi avevano 33 anni ed erano entrambi di nazionalità russa. La coppia è stata rapita lunedì pomeriggio a Grozny.

L'ASSASSINIO- I cadaveri sono stati ritrovati nel bagagliaio della loro automobile parcheggiata nella periferia della capitale cecena a Chernorech con ferite d'arma da fuoco. A rendere noto l'omicidio Alexander Cherkasov, un portavoce dell'altra Ong «Memorial», nella quale militò a suo tempo anche Natalia Estemirova. Lo ha confermato anche l ministero dell'Interno.



11 agosto 2009


Il delitto di teramo - In manette è finito anche il padre di uno dei ragazzi
Giovane ucciso con un pugno,
arrestati due minorenni

Presi i presunti responsabili della morte di Antonio De Meo, studente di 23 anni, colpito durante una lite

Carabinieri sul luogo dove è avvenuta l'aggressione (Ansa)
TERAMO - I carabinieri di Teramo hanno arrestato i due presunti responsabili della morte di Antonio De Meo, il 23enne studente universitario dell'ascolano ucciso dopo essere stato colpito da un pugno violentissimo in testa durante una lite con alcuni giovani: in manette sono finiti due minorenni del posto. Alla base dell'aggressione ci sarebbe stato un litigio tra Antonio e quattro ragazzi per la propria bicicletta, quella con cui aveva raggiunto il chiosco di panini vicino al lungomare: qualcuno l'aveva spostata e lo studente pensava fosse stata rubata dai giovani. È volata qualche parola di troppo, poi le botte e quel terribile ultimo pugno alla tempia.

LE ACCUSE - I due minori sono ora accusati di omicidio preterintenzionale in concorso e uno dei due anche di concorso in incendio e ricettazione. In manette è finito anche il padre di un minorenne, per ricettazione e incendio: saputo cosa aveva fatto il figlio, questi aveva infatti dato fuoco al motorino con il quale il giovane era scappato dal chiosco, un mezzo che era stato tra l'altro rubato ai primi di luglio a Giulianova. I due erano già stati fermati e portati in caserma, insieme ad altri due giovani che invece erano estranei all'aggressione in quanto solo "spettatori" dell'accaduto.


11 agosto 2009



Casini: «Deriva leghista». Il Pd: «Proposta schizofrenica».
La Cgia: «Vantaggio per il sud»
Gabbie salariali, no dei sindacati
Pdl: «Contratti legati al territorio»

La Uil: «Stupidaggine». La Cgil: «Contrarissimi». La Cisl: «Ritorno all'Urss». No anche da Confindustria

Luigi Angeletti (LaPresse)
ROMA - È il tema delle «gabbie salariali» a infiammare il dibattito politico di agosto. La proposta della Lega, rilanciata anche dal premier Silvio Berlusconi di «agganciare» i salari al costo della vita sul territorio, provoca qualche malumore all'interno della maggioranza e le dure critiche dell'opposizione. Ma sono soprattutto i sindacati ad alzare la voce.

CGIL, CISL E UIL - La Cgil si dice «contrarissima», perché con la reintroduzione delle «gabbie salariali» i lavoratori «pagherebbero la debolezza del Paese». «Il lavoro è uguale e dunque deve essere pagato ugualmente in Italia ovunque» afferma all'Agi la segretaria confederale Morena Piccinnini. Riguardo al Mezzogiorno, «bisogna considerare di più e meglio quel lavoro che invece oggi è profondamente sottovalutato da tutto il sistema delle imprese che scaricano sui lavoratori la loro debolezza in termini di progettazione e capacità di stare sul mercato». Bocciatura senza mezzi termini anche da parte del segretario della Uil, Luigi Angeletti. Secondo il leader sindacale, «le gabbie salariali sono una stupidaggine non condivisa da nessun imprenditore né dalle loro associazioni. Un'idea che si applicava in Italia e in Urss negli anni '50: due esperienze che si sono estinte negli anni '90 positivamente nel nostro Paese e in ben altro modo nell'Unione sovietica. Nessuno riesce a dire come potrebbero essere applicate». Angeletti boccia anche l'opzione di una scala mobile a doppia velocità. «È anche questa una stupidaggine perché il salario e le retribuzioni compensano il lavoro come si fa e non dove si fa. Non c'è nessun imprenditore italiano o associazione di imprese favorevole a un'idea del genere e un motivo, evidentemente, ci sarà». Secco no di Raffaele Bonanni. In un'intervista rilasciata a ilsussidiario.net, il leader della Cisl afferma che «se pensassimo davvero di stabilire i salari per legge sarebbe un ritorno all'Unione sovietica, scavalcando le parti sociali proprio dopo aver definito il nuovo impianto contrattuale che dà forza alla contrattazione locale e aziendale. Non è una proposta seria». Per il segretario generale dell’Ugl, Renata Polverini, le gabbie salariali «sono un errore, servirebbero solo a penalizzare ulteriormente il Sud».

CONFINDUSTRIA - No anche dal presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello: «Finirebbero per ingessare le dinamiche di mercato: penso piuttosto che vada valorizzato il nuovo modello contrattuale che dà un ruolo rilevante alla contrattazione aziendale, che meglio di ogni altro sistema, con la necessaria flessibilità, può fotografare le differenze tra nord e sud del paese e favorire un progressivo processo di convergenza economica».

CGIA DI MESTRE - Di avviso contrario è il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi, secondo il quale le gabbie salariali esistono già perché i lavoratori del Nord guadagnano mediamente il 30% in più dei colleghi del Sud. «Se venissero reintrodotte per legge - afferma - avvantaggerebbero i lavoratori meridionali. Infatti, se teniamo conto che la Banca d'Italia ha dichiarato nei giorni scorsi che il costo della vita è del 16% circa superiore al Nord rispetto al Sud, l'introduzione delle gabbie salariali dovrebbe, quindi, far recuperare ai lavoratori dipendenti del Mezzogiorno un differenziale oggi esistente con quelli del Nord di circa 14 punti dato dalla differenza tra i maggiori livelli medi salariali e il maggior costo della vita presenti nel settentrione».

PDL- Il presidente del gruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, afferma invece che «il termine gabbie salariali va tolto dal dibattito perché ingenera equivoci e giustamente si presta a polemiche». «Il programma per il Sud che stiamo mettendo a punto - aggiunge - deve lasciare spazio alla flessibilità contrattuale, affinché si tenga conto dei livelli di produttività e del costo della vita». Anche Daniele Capezzone, portavoce del Pdl, sottolinea che «più di qualcuno, nell'opposizione, fa finta di non capire, ed evoca il fantasma delle gabbie salariali, cioè di differenze salariali stabilite per legge. Non è questo il modello perseguito dal Governo, dalla maggioranza e da Silvio Berlusconi, che invece da mesi (si pensi all'accordo siglato all'inizio dell'anno per la riforma dei contratti) indicano un percorso diverso: quello di un progressivo superamento del contratto nazionale (modello obsoleto, difficile da rinnovare, con trattative estenuanti e attese inaccettabili per milioni di lavoratori) a beneficio di contratti più legati al territorio e all'azienda, e con un forte rapporto tra aumenti salariali e produttività».

ROTONDI - Il ministro per l'Attuazione del Programma di Governo, Gianfranco Rotondi, ribadisce: «Non mi pare proprio che Berlusconi faccia riferimento alle gabbie salariali alle quali rimaniamo contrari. Piuttosto, il presidente del Consiglio sta pensando a un tipo di contrattazioni regionali per incoraggiare investimenti nel Sud e favorire una nuova stagione di ripresa imprenditoriale del Meridione».

SCAJOLA- E il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, afferma al Tg di La7: «No alle gabbie salariali se queste sono intese come una discriminazione nei confronti del Sud d'Italia. Sì ad una contrattazione che tenga presente la produttività e la vicinanza al territorio dello stipendio delle persone».

CASINI - Ma l'ipotesi lanciata dalla Lega suscita anche molti pareri negativi. Dopo la presa di posizione di Raffaele Lombardo, presidente della Regione Sicilia e leader dell'Mpa («Idea sbagliata, Silvio segue la Lega»), arrivano le dure dichiarazioni di Pier Ferdinando Casini. «Bisogna riconoscere che Berlusconi è un grande venditore - afferma il leader Udc - e questa estate è impegnato a vendere ancora la sua propaganda agli italiani. Ma oggi la campagna elettorale è finita, mentre restano da risolvere ancora molti problemi». «La Lega sta determinando la politica del Governo, dalle ronde alle gabbie salariali, ai dialetti, alle bandiere regionali, tutto quello che fa questa maggioranza, lo fa perché lo vuole la Lega - aggiunge -. Bisogna bloccare questa deriva e pensare di più ai problemi degli italiani».

IL PD - Duro anche il Partito Democratico. «La proposta del premier sulle gabbie salariali è sbagliata e schizofrenica - afferma in una dichiarazione Sergio D'Antoni, responsabile Mezzogiorno del Pd. - Com'è possibile che dopo aver concluso un accordo per la riforma della contrattazione in cui si dà grande autonomia alle parti sociali, ora voglia imporre dei limiti salariali per legge?». «Il nucleo della questione - prosegue D'Antoni - è comunque un altro. Nel mezzogiorno la stragrande maggioranza delle famiglie può contare su un solo reddito e i salari sono in media più bassi del 30% rispetto al nord. Le gabbie salariali nel Sud è come se esistessero già, ma hanno solo un nome diverso: disoccupazione».

IDV - Secondo Antonio Di Pietro, «le gabbie salariali sono una soluzione ad effetto che fa esclusivamente appello al senso comune di chi, vivendo al Centro-Nord ed essendo stato almeno una volta nel Meridione, ha constatato che un piatto di lenticchie costa tre euro invece di cinque. Una soluzione demenziale ad un problema importante, quello salariale, che vede l'Italia agli ultimi posti per livelli retributivi in Europa» sottolinea il leader dell'Italia dei valori. «Abbiamo gli stipendi più bassi del Continente e mettiamo sul tavolo la discussione di come ridurli invece che aumentarli: direi che è il modo più demenziale per risolvere il problema».







10 agosto 2009
 
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view post Posted on 11/8/2009, 18:20

I am not a number, I am a free man

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CITAZIONE (Banshee @ 6/8/2009, 11:45)
la storia della Rai su Sky è demenziale!

A me va più che bene, quei 4 canali qui in Sardegna sono passati al digitale terrestre. :D
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 11/8/2009, 19:00




La presidenza svedese dell'Unione Europea chiede la liberazione "immediata"
Frattini: "Un processo ingiusto, gravissima lesione ai principi della democrazia"
Il mondo chiede la liberazione di Suu Kyi
L'Ue: "Sanzioni contro il governo birmano"
Ban Ki Moon "deplora con forza", convocato Consiglio di sicurezza dell'Onu
La Malesia ha indetto una riunione straordinaria dei Paesi del Sud-est asiatico



ROMA - Toni durissimi nelle reazioni internazionali all'ennesima condanna di Aung San Suu Kyi da parte della giunta militare birmana. Sia l'Unione Europea sia l'Onu chiedono la liberazione "immediata" e "senza condizioni" della leader dell'opposizione. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è stato convocato in giornata mentre il segretario generale Ban Ki Moon ha espresso la sua "delusione", ha condannato "con fermezza" il verdetto e ha chiesto alla giunta militare birmana di "rilasciare immediatamente e senza condizioni" Suu Kyi.

La presidenza di turno svedese dell'Ue ha annunciato che sono allo studio diverse misure restrittive nei confronti degli interessi economici del governo di Rangoon, che "saranno alleggerite o inasprite a seconda degli sviluppi" della situazione. La Ue inoltre "intensificherà il lavoro con la comunità internazionale, e specialmente con i suoi partner in Asia, per ottenere il rilascio di San Suu Kyi e degli altri prigionieri politici in Birmania".

L'Italia si associa alla ferma condanna per un processo definito "ingiusto". Il ministro degli Esteri Franco Frattini parla di "una gravissima lesione ai principi della democrazia" e appoggia la proposta di "rafforzamento delle sanzioni" contro il governo del paese asiatico. Secondo Piero Fassino, inviato speciale dell'Ue per la Birmania, perfino la giunta militare "è imbarazzata" dalla sentenza e "bisogna agire a tutto campo per arrivare alla liberazione degli oltre duemila prigionieri politici e per ottenere un dialogo tra il regime e l'opposizione".

Parole di condanna arrivano anche all'amministrazione Obama. Per il segretario di Stato americano Hillary Clinton, Suu Kyi "non avrebbe mai dovuto essere né processata né condannata". L'ex first lady, inoltre, chiede la liberazione dei prigionieri politici, incluso lo statunitense John Yettaw: "Siamo preoccupati per la durezza della condanna nei suoi confronti, specialmente alla luce delle sue condizioni di salute".

Di "nuove sanzioni contro il regime birmano" parla pure Nicolas Sarkozy. In particolare, secondo il presidente francese, le restrizioni dovrebbero riguardare il campo del legname e delle pietre preziose.

Il primo ministro britannico Gordon Brown si dice "costernato e in collera". E sottolinea che le elezioni previste per l'anno prossimo non avrebbero "credibilità e legittimità" senza la partecipazione di Suu Kyi, definita la "speranza" del Paese. Il capo del governo di Londra annuncia inoltre che scriverà a tutti i membri del Consiglio di sicurezza dell'Onu per chiedere che venga imposto un embargo globale alla vendita di armi al regime birmano.

In Australia il ministro degli Esteri Stephen Smith chiede l'immediato rilascio di Aung San Suu Kyi e convoca l'ambasciatore birmano. Il governo della Malesia invece indice una riunione straordinaria dell'Asean, l'associazione dei Paesi del Sud-est asiatico.

Quattordici premi Nobel per la pace chiedono un'inchiesta sui "crimini contro l'umanità" in Birmania. "E' fondamentale - scrivono in una lettera aperta - che il regime risponda dei suoi crimini e che la portata della sua brutalità sia oggetto di un'inchiesta". A loro parere, Suu Kyi (anche lei insignita del premio nel 1991) è stata condannata "sulla base di accuse inventate". Tra i firmatari ci sono Mikhail Gorbaciov e il Dalai Lama.

Per Amnesty International la sentenza contro Aung San Suu Kyi "è vergognosa". La segretaria generale dell'organizzazione, Irene Khan, ritiene "una mascherata politica e giudiziaria" sia l'arresto che il processo alla dissidente.

(11 agosto 2009)


La capitale blindata dei generali alla vigilia di un verdetto già scritto
"Potrebbe riprendere la rivolta. Ma ormai anche lei sa poco di cosa è diventato questo paese"
Nella Birmania di oggi
che processa San Suu Kyi

"Il panorama è irreale: case colorate di azzurro o rosa, prati all'inglese,
strade a sei corsie. Ma non un'anima Solo camion militari..."



NAY PYI DAW (BIRMANIA) - A volte capita di avere fortuna viaggiando in un Paese governato da dittatori e di poter visitare indisturbati il centro del loro potere. Nel caso della Birmania un cuore politico nuovo di zecca, trapiantato quattro anni fa nei terrapieni del nord, meno umidi e piovosi della vecchia capitale Rangoon, creando il microclima ideale per il governo-ospizio dei generali ultrasettantenni al potere.
Visitare Nay Pyi Daw, o la Città dei Re, è ormai relativamente semplice, ma solo per le Ong autorizzate e per i sempre più presenti partner commerciali (a dispetto dell'embargo). Praticamente impossibile andarci da giornalista. Ma anche solo come turista, per di più alla vigilia dell'attesa sentenza contro la leader dell'opposizione Aung San Suu Kyi, non è certo facile. C'è molta tensione e poche incerte indiscrezioni alla vigilia del verdetto più volte rinviato con il quale oggi i giudici condanneranno quasi certamente The Lady. L'unico premio Nobel in cella, è accusata di aver ospitato un misterioso americano, John Yettaw, giunto a nuoto nella sua casa sul lago Ynya. Rischia altri 5 anni di carcere o, nella migliore delle ipotesi, agli arresti domiciliari. Chiusa nella prigione di Insein, Aung San Suu Kyi costituisce ancora la principale minaccia per i generali.

Lo stratagemma per raggiungere la loro città è - paradossalmente - quello di volersi recare alle rovine di un'antica città imperiale dove sono conservate le spoglie dell'unica imperatrice donna della Birmania. Ma le autorità locali, preoccupate che uno straniero possa pernottare nella stessa zona in cui due anni fa un terremoto fece crollare alcuni bunker nucleari, preferiscono che la sosta venga fatta proprio a Nay Pyi Daw. L'unico resort che ospita a prezzi esosi stranieri anche non autorizzati appartiene al tycoon del regime, Tai Za, un ex playboy, proprietario di 7 Ferrari e molto vicino alla figlia del generalissimo Than Shwe.

Il viaggio in treno da Rangoon attaversa una giungla di palme, acquitrini e baracche di bambù sfondate dal peso dei monsoni. Ma una volta giunti alla stazione della nuova capitale il panorama cambia, e si presenta come irreale. Nel verde pastello dell'erba piantata a prato inglese, la città assume l'aspetto di un modellino plastico senza esseri umani: lunghe file di edifici, colorati di celeste e rosa, si estendono in linee equidistanti. Uomini, donne e bambini vivono sicuramente lì dentro, ma non vanno a passeggio: di fronte hanno solo superstrade di collegamento a quattro e sei corsie. L'accesso ai carri armati è garantito da vaste arterie laterali dove il traffico è riservato ai mezzi militari che vanno e vengono dalle caserme e dalle residenze attorno al segretissimo quartier generale del governo. Uno dei primi e rari reporter a visitarla scrisse che il regime non aveva programmato di prevenire nella capitale una possibile rivoluzione attraverso le armi, ma a colpi di "geometrie e cartografie".

Sulla collina dei ristorantini un guardia-macchine che mastica betel rosso invita a guardare in basso, dove sono allineate le palazzine degli alloggi per ufficiali e dipendenti governativi. "Very beautiful", dice con la bocca impastata dalle foglie eccitanti. I parametri di bellezza in Birmania sono valutati sulla base della quantità di cemento usata al posto della paglia e del bambù. E a Nay Pyi Daw non si è badato a spese per gli alloggi dei generali, mentre manovali, camerieri e garzoni di bottega confessano di dormire tra gli edifici in costruzione, o sotto i tavoli e gli scaffali dei negozi.

L'ipotesi di una fine prossima del regime non è presa in considerazione seriamente da nessuno. L'attuale comandante, Than Shwe, con un tumore sotto controllo di tanto in tanto a Singapore, riceve a suo agio i dignitari cinesi, russi, indiani, nella pomposa Bayintnaung Yeiktha, il Palazzo simile a quello che ospitò le nozze miliardarie di sua figlia. Il generalissimo non si cura troppo delle proteste interne e internazionali, tanto meno di quelle dei suoi dipendenti, trasferiti in massa a Nay Pyi Daw dall'oggi al domani secondo date precise dal sapore mistico e rituale: i primi 11 uffici ministeriali traslocarono quattro anni fa l'11 novembre alle 11 del mattino con un seguito di 1100 militari da 11 battaglioni. Ora i funzionari cominciano ad abituarsi, come quelli che si incontrano sulle carrozze "superiori" del treno Rangoon-Nay Pyi Daw, destinati a vivere e a far crescere i loro bambini in un'oasi controllata e distante dal resto del Paese. Interi capitoli delle vicende nazionali, come il massacro degli studenti dell'8 agosto '88, le elezioni vinte da Aung nel '90, sono sconosciute a gran parte delle nuove generazioni. "Nei corsi di specializzazione più dell'80% chiede computer, nessuno vuol saperne di Storia", ci dice una professoressa che aiuta i disastrati dal ciclone Nargis.

Il volontariato senza collegamenti internazionali è il cuore tenero di Myanmar (dall'89 nome ufficiale per la Birmania). I suoi collaboratori per recarsi nei villaggi da assistere attraversano due enormi corsi d'acqua a tratti grandi come il Gange. Tra questi il Pyanmelok, o "Fiume del non ritorno", in cui le piccole imbarcazioni spesso spariscono per le frequenti burrasche. Ma qualcuno deve portare gli aiuti anche lì, sebbene non sempre bene accetti dal regime.

"Molti sentono di essere stati abbandonati dallo Stato, per questo non escluderei la possibilità di una nuova protesta in occasione della condanna di un'icona popolare come Aung San Suu Kyi" ci dice un ex monaco che dopo le rivolte di due anni fa ora fa la guida turistica. "Del resto ben pochi, oltre ai soldati, oggi saprebbero come tenere in pugno il Paese.

Nemmeno la nostra Lady immagina più, se non per sentito dire, com'è fatta la sua Birmania: 800 kyatt al mercato per il riso, il salario di un giorno; 20mila dollari per una macchina scassata, le file dei mendicanti, degli orfani e dei bambini di strada che bussano nei conventi per ricevere un po' di educazione dai monaci, a loro volta sotto stretto controllo del regime". Se la corrente elettrica viene razionata fino a 12 ore in tutte le città e ancor di più in campagna, la rete dei cellulari funziona solo a tratti. Ma per ora è un problema che riguarda meno del 3% della popolazione. Nel resto del Paese è ancora pieno Medioevo.

Solo i tecnici cinesi, russi e indiani si sentono a casa a Nay Pyi Daw, dentro auto scure attraversano le vaste arterie semideserte. Con i generali fissano il prezzo delle pietre, dell'uranio e del gas prodotto al largo di Sittwe. Che siano risorse dell'intero popolo birmano è un dettaglio che non li riguarda. Chi ha scelto di fare affari con la Giunta non vuole nemmeno prendere in considerazione l'ipotesi di un cambiamento, perdipiù incerto. L'alternativa è una donna rimasta isolata per vent'anni tra casa e prigione.

(11 agosto 2009)


Il ciclone avrebbe perso intensità, ma ha giàcausato danni e vittime
Centinaia di persone potrebbero essere sepolte a Hsiaolin
Morakot colpisce l'estremo oriente
Taiwan, villaggio sepolto dal fango


In fuga dal ciclone Morakot
TAIPEI (TAIWAN) - Centinaia di persone a Taiwan potrebbero essere rimaste sepolte da una colata di fango provocata dal ciclone Morakot nel villaggio di Hsiaolin del sud dell'isola non lontano dalla città di Kaohsiung. Lo hanno reso noto i servizi di soccorso.

"Morakot", che ha colpito l'Asia del nordest nel fine settimana, ha già causato 38 vittime nell'area dove i morti accertati sono 38, secondo i mezzi d'informazione locali.

Cina. Il ciclone ha colpito anche la Cina. Una frana causata dalle piogge torrenziali ha provocato il crollo di sei o sette condomini nella città di Pengxi, nella provincia del Zhejiang. Non si conosce il numero delle persone sepolte sotto le macerie, nè se ci sono state vittime: sei persone, hanno affermato i soccorritori, sono state estratte vive dalle macerie.

Il tifone si è indebolito, trasformandosi in una "tempesta", secondo l'ufficio metereologico cinese, ma gran parte della regione continua ad essere battuta da una pioggia insistente, che provoca frane ed ostacola le operazioni di soccorso.

(11 agosto 2009)


Nell'arcipelago dell'Oceano Indiano scatta e poi rientra l'allarme tsunami
Nel Paese del Sol Levante un altro sisma provoca 81 feriti
Terremoto alle isole Andamane
Forte scossa anche in Giappone



WASHINGTON - Una forte scossa di magnitudo 7,6 sulla scala Richter è stata registrata nell'Oceano indiano al largo delle isole Andamane, facendo scattare un pre-allarme tsunami in India, Birmania, Indonesia, Thailandia e Bangladesh. L'allarme poi è rientrato. E' quanto ha reso noto l'Istituto geologico americano, precisando che l'epicentro è stato localizzato a 33 chilometri di profondità a 260 chilometri a nord di Port Blair, nell'arcipelago indiano delle Andamane. Un altro forte terremoto è stata avvertito in Giappone.

Andamane. La zona dell'Oceano indiano dove è stato registrato il nuovo sisma è più o meno la stessa che il 26 dicembre 2004 venne colpita da un devastante maremoto poi rivelatosi uno dei peggiori disastri naturali dell'epoca moderna. Il fenomeno provocò oltre 230 mila morti e, oltre alle isole Andamane, colpì con violenza estrema India, Thailandia, Indonesia, Sri Lanka, Birmania, Bangladesh e Maldive. La scossa fu avvertita anche in Somalia e in Kenya. L'evento fece balzare i sismografi a una magnitudo di oltre 9 gradi sulla scala Richter, una delle più alte mai registrate. Il sisma scatenò una serie di onde anomale alte fino a 15 metri che distrussero città e villaggi su tutte le zone costiere dei Paesi colpiti.

Giappone. Un terremoto di magnitudo 6,5 ha
colpito la provincia centrale giapponese di Shizouka, provocando 81 feriti. La scossa, che è stata avvertita anche a Tokyo, ha fatto disattivare momentaneamente due reattori nucleari. L'epicentro del sisma è stato registrato a 20 chilometri di profondità a largo delle coste e immediatamente dopo il sisma è stato emesso un allarme tsunami che in seguito è stato ritirato. E' la seconda potente scossa sismica in Giappone dopo quella di magnitudo 6,9 che si è registrata domenica nella zona di Tokyo.
(10 agosto 2009)


La nave maltese con 15 marinai russi a bordo era partita dalla Finlandia diretta in Algeria
Assaltata in Svezia, forse dirottata. Quattro unità della flotta Mar Nero impegnate nelle ricerche
Giallo sulla scomparsa del cargo Arctic Sea
sparito a fine luglio al largo del Portogallo


LONDRA - E' giallo sulla scomparsa di un cargo partito a fine luglio dalla Finlandia e diretto in Algeria, dove era atteso per il 4 agosto. La Arctic Sea, una nave maltese con un equipaggio di 15 marinai russi, è sparita nell'Atlantico al largo del Portogallo insieme al suo carico da un milione di sterline. Le ultime notizie risalgono al 29 luglio quando la guardia costiera britannica ha parlato via radio con una persona a bordo che ora si sospetta fosse un dirottatore oppure un membro dell'equipaggio sotto minaccia. A tanti giorni di distanza il mistero è fitto e non ci sono elementi per dire come e dove sia avvenuto il dirottamento, nonostante nella caccia al cargo siano coinvolte la marina russa e quelle finlandese, maltese, svedese.

Solchart Management, la società finlandese che gestisce la nave - registrata a Malta e di proprietà di una ditta lettone - ha riferito alle autorità svedesi che il 24 luglio otto o dieci uomini armati e col viso coperto erano saliti sulla Arctic Sea mentre stava attraversando il mar Baltico nelle vicinanze dell'isola di Oland. I marinai, tre dei quali erano rimasti feriti, erano stati immobilizzati dagli intrusi, che dicevano di essere degli agenti contro il narcotraffico e che hanno perquisito la nave. Dopo 12 ore - sempre secondo la versione fornita dalla Solchart - gli uomini avrebbero lasciato l'imbarcazione che avrebbe continuato il suo viaggio, seppur con alcuni problemi al sistema di comunicazioni.

La Arctic Sea sarebbe quindi ripartita ma, dopo aver raggiunto la costa portoghese, è sparita dai radar e non è stata più rintracciata. Da Lisbona la marina nazionale ha fatto sapere che la nave "non è e non è mai stata in acque portoghesi", ipotizzando quindi un dirottamento nel tratto precedente.

"E' molto strano. Non sappiamo nemmeno quando sia stata l'ultima volta che una nave dirottata abbia attraversato la Manica. Non succede da molto tempo - ha dichiarato Mark Clark, della guardia costiera britannica - Ci siamo messi in contato con questa nave, senza sapere che fosse stata dirottata, alle 5.30 della mattina del 29 luglio. Ogni nave ci deve fare rapporto quando si trova sul nostro lato del Canale. Hanno detto di avere 15 marinai a bordo, che stavano andando da Jacobstad (Finlandia) a Bejaia (Algeria) e che trasportavano legno. Soltanto in seguito la polizia di Zeebrugge ci ha detto che era stata dirottata fuori dalle coste svedesi".

Da Mosca il ministero della Difesa ha annunciato che quattro unità della flotta russa del Mar Nero prenderanno parte alle ricerche. Le navi Azov, Iamal, Novocerkask e Ladny - che si trovano attualmente nel Mediterraneo - si dirigeranno nell'Atlantico passando attraverso lo Stretto di Gibilterra. Le quattro unità verranno impiegate nelle ricerche del cargo durante il loro viaggio verso il porto di Baltiisk, nel Mar Baltico, dove prenderanno parte a manovre navali.

(11 agosto 2009)
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 12/8/2009, 13:21




Innse, gli operai scendono dalla gru: accordo nella notte

Gli operai della Innse che da una settimana si trovavano su una gru all'interno dello stabilimento sono scesi e hanno abbracciato i compagni e i parenti, in festa per il raggiungimento dell'accordo che permette di salvare l'azienda e i posti di lavoro. La Innse non sarà smantellata, riprenderà la sua attività «a inizio ottobre» e continuerà la sua vocazione «industriale almeno fino al 2025». Lo ha assicurato il nuovo acquirente della storica officina metalmeccanica milanese, il gruppo Camozzi, guidato dai due fratelli Attilio e Ludovico.

Nell'accordo, firmato dalla Fiom-Cgil e dalla Rsu dei lavoratori della Innse di Milano, c'è la garanzia della riassunzione immediata di tutti e 49 gli operai che dal maggio del 2008 sono stati messi in mobilità e che hanno portato avanti in questi mesi la loro protesta per tornare a lavorare.

Nell'accordo, secondo quanto si apprende, sono state accolte le richieste del sindacato e dei lavoratori riguardo, oltre alla riassunzione, agli ammortizzatori sociali e al riavvio della fabbrica da settembre.

«È frutto questo successo della lotta eccezionale dei lavoratori», ha spiegato il segretario nazionale Fiom Giorgio Cremaschi.

Al termine di una seconda, interminabile giornata di trattative, è stato raggiunto l'accordo per la vendita della Innse di Milano alla cordata guidata dalla Camozzi di Brescia. Lo stabilimento non sarà smantellato e l'azienda metalmeccanica continuerà a produrre. I quattro operai che con un delegato della Fiom si trovavano da oltre una settimana su una gru all'interno della fabbrica sono scesi. La svolta è avvenuta poco dopo la mezzanotte in prefettura a Milano, sede della trattativa. È stata trovata l'intesa fra Silvano Genta, proprietario della fabbrica metalmeccanica, il gruppo di imprenditori capeggiato dalla Camozzi e la Aedes, l'immobiliare proprietaria del terreno su cui sorge lo stabilimento. La Fiom ha visto accolte le sue richieste, concordate con gli operai della Innse, su piano industriale, riassunzione dei lavoratori, ammortizzatori sociali e cassa integrazione, oltre al riavvio della produzione da settembre.

Nell'accordo, firmato dalla Fiom-Cgil e dalla Rsu, c'è la garanzia del posto per tutti e 49 gli operai che dal maggio del 2008 sono stati messi in mobilità e che hanno portato avanti in questi mesi la loro protesta. A quel punto i lavoratori hanno dato il loro assenso e messo fine alla protesta che ha attirato l'attenzione dell'intero Paese.

"Oggi è una giornata positiva per il lavoro" - ha commentato il segretario generale di Cgil Lombardia Nino Baseotto -. L'accordo raggiunto per il mantenimento e il rilancio delle attività produttive alla Innse è un successo che va ascritto alla lotta caparbia dei lavoratori ed alla mobilitazione del sindacato".

La giornata di estenuanti trattative è stata scandita dalla spola dei rappresentanti sindacali, in testa Maria Sciancati della Fiom-Cgil Milano, tra la prefettura e la fabbrica. La Camozzi aveva fatto sapere nel pomeriggio che non avrebbe portato il negoziato oltre la mezzanotte. Trovata l'intesa fra venditore e acquirente - dopo aver sciolto i nodi del prezzo e dell'ampiezza del terreno richiesto dalla nuova proprietà - tutto si è bloccato per il rifiuto degli operai. Questi ultimi chiedevano maggiori garanzie sull'occupazione e sul riavvio della fabbrica e minacciavano nuove iniziative di protesta. Alla fine tutto si è risolto per il meglio e gli operai che assieme al delegato della Fiom erano saliti per protesta su una gru otto giorni fa sono scesi a terra, provati e con la barba lunga, ma felici per la conclusione positiva della vicenda.

Nel corso della giornata i cinque si erano anche collegati, grazie a Radio popolare, con i quattro lavoratori della Cim di Marcellina (Roma), che a loro volta protestano su una torre alta 37 metri. "Il vecchio tipo di lotta, lo sciopero, non funziona più. Bisogna utilizzare nuove forme di lotta. Dobbiamo resistere. Più punti di resistenza ci sono, meglio è per tutti", ha detto un operaio della Innse al collega della Cim.
12 agosto 2009

Alle Nazioni Unite Russia, Cina, Libia e Vietnam prendono tempo
Il Nobel per la pace e il pacifista Usa John Yettaw faranno appello
Suu Kyi, rinvio al Consiglio di sicurezza
per la dichiarazione contro la Birmania



NEW YORK - Le durissime reazioni internazionali alla condanna del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi non si sono tradotte in un'azione rapida del Consiglio di Sicurezza. Convocato ieri in seduta straordinaria, l'organismo dell'Onu non ha trovato un accordo per redigere un documento critico nei confronti della giunta militare birmana, rinviando a oggi la decisione. Determinanti i dubbi di Russia, Cina, Vietnam e Libia sulla proposta avanzata degli Stati Uniti. L'ambasciatore britannico John Sawers, presidente di turno del Consiglio di sicurezza, ha spiegato che alcune delegazioni hanno voluto spedire la bozza nei rispettivi Paesi per poter discutere meglio del documento.

La rappresentante Usa presso l'Onu, Susan Rice, ha spiegato che Washington propone l'adozione di una dichiarazione da parte dei 15 membri del Consiglio di sicurezza che condanni la Birmania per avere deciso di prolungare gli arresti domiciliari della leader dell'opposizione. Già in passato la Cina, principale partner commerciale della Birmania, e la Russia hanno bloccato tale misura. Pechino, inoltre, ha fatto sapere che "la comunità internazionale deve rispettare totalmente la sovranità della giustizia birmana".

Da Rangoon si è appreso che Suu Kyi e il pacifista statunitense John Yettaw faranno appello contro le loro condanne. La leader dell'opposizione birmana è stata condannata a 18 mesi di arresti domiciliari per aver ospitato l'americano nella sua casa in cui vive da anni in regime di restrizione. Lo statunitense è stato a sua volta condannato a sette anni di carcere, quattro dei quali ai lavori forzati.
(12 agosto 2009)


Gabbie salariali, rissa a destra. E si scatena il giro di poltrone

La «questione Sud» posta dal Nord comincia a scoprire i nervi della destra. Ieri, mentre il Pdl tentava di smussare, mitigare, alleggerire il confronto sulle gabbie salariali, aggrappandosi all’intesa appena siglata con le parti sociali (esclusa la Cgil) sul nuovo modello contrattuale, la Lega ha rilanciato. E Berlusconi, come al solito, dice di non essere stato compreso. "Non ne ho mai parlato. Mi riferivo alla contrattazione decentrata". Guglielmo Efifani, leader della Cgil: "Pronti allo sciopero generale".

Uno scintillante Luca Zaia, ministro dell’Agricoltura ma esternatore a tutto campo (ieri lo ha fatto su Rai, gay, dialetti, Fiumicino e mezzogiorno) ha detto chiaro e tondo: «Commisurare i redditi al costo della vita, anche nel Pubblico, costringerà il Mezzogiorno ad imparare a camminare con le proprie gambe». Gabbie a partire dal pubblico impiego. Gli ha dato man forte il capogruppo della Lega alla Camera Roberto Cota. «Altro che polemica agostana - ha detto - quello dei salari differenziati è un atto di giustizia per il nord e di rilancio per il sud». Tanto per chiarie il livello dello scontro: ai due esponenti del Carroccio ha dovuto replicare prima Daniele Capezzone, con un comunicato di fuoco, poi il ministro del lavoro Maurizio Sacconi. «Quella di una differenziazione dei salari stabilita “da Roma” per legge - ha detto il primo - è un'idea surreale, che nessuno ha mai preso in considerazione. Lo dico agli amici della Lega, sarebbe una soluzione rigida e centralista».

A questo punto di surreale c’è il fatto che Capezzone ha dovuto dire ai leghisti quanto siano centraliste le loro proposte. Ma tant’è. Sacconi ha ribadito il valore della contrattazione decentrata «che si ancora ai risultati d’impresa», ha detto, escludendo le gabbie salariali. Ma la Lega tirerà dritto, in vista delle prossime regionali, quando chiederà più presidenze nella spartizione del potere. Così, la questione Sud si trasformerà fatalmente il questione di poltrone (nella peggiore tradizione). Il premier ci starebbe già pensando.

Riservato lo scranno più alto per se stesso, ha in mente due mosse per tentare di bilanciare l’alleanza verso sud, senza togliere alla Lega la sua centralità. I boatos parlamentari parlano di un prossimo passaggio del ministro Raffaele Fitto al dicastero dello Sviluppo economico. Così, con un balzo, un meridionale si ritroverebbe al centro delle politiche industriali. E questo, nella strategia dei «posti a tavola» ci starebbe.

Anche perché ormai da tempo per Claudio Scajola il premier pensa a un ritorno al partito, dilaniato da mille tensioni. Il ministro ligure non vorrebbe, ma il premier è intenzionato a fare il repulisti nel Pdl (appena fondato). Deve liberarsi di Denis Verdini (l’uomo che gli presentò Gianpaolo Tarantini): troppo tesi i rapporti con i capigruppo. Così, dentro Scajola e magari un altro uomo del Sud, per preparare il terreno delle regionali. Pare si tratti del senatore Guido Viceconte, nato in Basilicata, di cui si ricorda a Palazzo madama la proposta di legge per istituire una nuova provincia, quella di Melfi. Ancora poltrone (nella tradizione). A questo punto la previsione è facile. I problemi del sud resteranno immutati.

«Dovrebbero semplicemente reintrodurre quello che hanno tolto - dichiara per il Pd l’onorevole Ludovico Vico - I fas, il credito d’imposta a sud, i fondi per gli accordi di programma». Ricominciare dal maltolto, invece che dai salari dei lavoratori e dalle stanze del potere.
12 agosto 2009

Il duro attacco dell'ex direttore di Le Monde, Colombani
"Berlusconi, potere senza limiti"
Guatemala, Nuova Zelanda, Zimbabwe:
lo scandalo è sulla stampa di tutto il mondo




LONDRA - Il giudizio di Jean-Marie Colombani è lapidario: "Berlusconi si comporta come se l'esercizio del suo potere non dovesse mai conoscere limiti". L'ex direttore di Le Monde ha deciso di usare la sua ultima creazione, la versione francese del sito Slate, per segnalare il suo punto di vista sul premier italiano. Da un punto di vista strettamente politico, sostiene l'editorialista francese, va rilevato il potere della Lega nord verso il governo, costretto a estremizzare le sue posizioni che "altrimenti sarebbe le stesse di tutta la destra conservatrice europea. Ma il presidente del Consiglio sembra rassegnato a questa situazione, e molto più preoccupato di difendere la sua immagine personale".

Chiedendosi se la parola "scappatelle" può bastare per definire i diversi scandali, Colombani rileva che "in una democrazia normalmente costituita, un responsabile politico coinvolto in un tale scandalo sarebbe già finito fuori dal Palazzo". Ma forse la sopravvivenza politica del presidente del Consiglio si può spiegare: dopo tutto "incarna il perfetto maschio italiano: solo così si comprende l'indifferenza per lo scandalo della maggioranza dei cittadini". Ci sono però altri aspetti della vicenda che restano meno comprensibili, dice l'ex direttore di Le Monde: in particolare "resta misterioso il sostegno pervicace concesso della Chiesa, senza la quale Berlusconi avrebbe già perduto consensi".

Fra i giornali inglesi, il Daily Mail pubblica un servizio corredato di foto: "Berlusconi in accappatoio: Silvio si sveste mentre fa le vacanze in Italia... circondato da guardie armate". Secondo il quotidiano popolare "il sole splendeva, era una bella giornata", ma "Berlusconi non l'ha preso come segnale per mostrare le sue carni. Invece il 72enne si è coperto con un accappatoio bianco, un cambiamento sorprendente per il politico donnaiolo".

Più pacato ma molto più significativo il commento di Anthony Goodman sul sito del Financial Times: secondo il quotidiano finanziario "l'abilità di Berlusconi nel sopravvivere agli scandali sembra essere particolarmente italiana". Per cui, si chiede l'articolista, "che cosa si può imparare da lui sulla proporzione in cui i leader riflettono le caratteristiche del paese di origine?". L'argomento è stato affrontato con approccio scientifico da un progetto di ricerca chiamato Globe. Secondo gli studiosi, la definizione di leader passa anche attraverso aggettivi che si adattano a Berlusconi: "evasivo", "provocatore", "astuto", "deciso" e ""capace di rischiare". Insomma, per alcuni "è un fenomeno solo italiano", altri rilevano che nel nostro Paese la politica "è una forma di spettacolo", qualcuno sottolinea il "lato oscuro", senza molti dubbi su chi sia "l'abbronzato Darth Vader con calvizie incipiente". La conclusione è che dopo le vacanze Berlusconi tornerà al suo ruolo di premier, almeno fin quando l'opposizione troverà un'alternativa. "Fino ad allora, i commentatori esteri dovranno lavorare duramente per comprendere temi interculturali come il piacere dello spettacolo politico".

L'attenzione al presidente del Consiglio raggiunge anche Paesi culturalmente molto lontani: lo Zimbabwe Telegraph sostiene forse un po' superficialmente che Berlusconi, essendo un editore, vuole fare crescere il valore delle azioni editoriali e dunque cerca di attirare l'attenzione per far vendere più copie ai giornali. Il neozelandese Timaru Herald sostiene che "l'ipocrisia di Belrusconi è andata troppo in là, persino per gli italiani". Perché "se può essere utile per un politico italiano far trapelare la sua immagine di macho mediterraneo, questa immagine diventa difficile da mandar giù quando il primo ministro lancia una campagna per spazzar via la prostituzione dalle strade prevedendo anche multe per i clienti, e allo stesso tempo va a letto con escort a pagamento".

Il Guatemala Times affida ad Arnold Cassola, ex parlamentare italiano e oggi impegnato a guidare i Verdi di Malta, una lunga analisi del perché Berlusconi sia ancora in sella. Secondo Cassola, gli exploit pol
itici e sessuali del premier "sarebbero solo buffi - come in effetti sono - se non fossero un grave danno per l'Italia e se non segnalassero l'immobilismo della politica italiana".

(12 agosto 2009)



Nuovo editoriale del giornale dei vescovi sullo scandalo delle escort
"Tracotante messa in mora di uno stile sobrio ha mortificato la Chiesa"
L'Avvenire contro Berlusconi
"Suo stile di vita ci mette a disagio"



ROMA - "La gente ha capito il disagio, la mortificazione, la sofferenza che una tracotante messa in mora di uno stile sobrio" ha causato alla Chiesa cattolica. Lo sottolinea, nel suo terzo intervento in poche settimane, il direttore di Avvenire, Dino Boffo, rispondendo a una nuova lettera di un sacerdote sul dubbio che i pronunciamenti ecclesiastici sulle "vicende morali" del presidente del Consiglio "non siano stati sufficientemente netti".

Per don Matteo Panzeri, da parte dei vescovi ci sono state "mille prudenze" e i messaggi della Chiesa "appaiono segnali assai debolucci se raffrontati alla conclamata sfacciataggine con cui ciò che dovrebbe essere messo in discussione viene invece sbandierato".
"Nessuno dei potenziali interlocutori dovrebbe trovarsi a pensare che parliamo o tacciamo per 'interesse' personale, per qualche esplicita o inconfessabile partigianeria", ribatte Dino Boffo. Il direttore del quotidiano dei vescovi chiarisce quindi che "la domanda che conta in queste circostanze è" se "la gente è riuscita a individuare le riserve della Chiesa.

Ebbene, la risposta che a me sembra di poter dire è che la gente ha capito il disagio, la mortificazione, la sofferenza che una tracotante messa in mora di uno stile sobrio ci ha causato. I più attenti hanno compreso anche i messaggi specifici lanciati fino ad oggi a più riprese". Non è vero, dunque, che "quelli degli esponenti della Chiesa italiana siano stati interventi casuali o accenni fugaci impastati dentro a testi di tutt'altro indirizzo. Ciò che si è detto lo si voleva dire. Esattamente in quei termini".
(12 agosto 2009)


Sulla stampa inglese un paio di interviste a Patrizia D'Addario
"Sono l'unica che dice la verità, sono come Giovanna D'Arco"
Il Times: "Sesso in cambio di favori
la cultura del governo Berlusconi"

La escort: "Tutte dicono com'era gentile, ma non parlano delle telefonate
che mi facevano dopo in cui raccontavano quant'era schifoso..."


dal nostro inviato GIAMPAOLO CADALANU


Patrizia D'Addario
LONDRA - "Sono l'unica a dire la verità, per questo sono diventata come Giovanna d'Arco". Non ha timori di esagerare Patrizia D'Addario con il reporter del Daily Telegraph: "Avrei potuto ricattare Berlusconi, ma non l'ho fatto", dice la escort barese, insistendo che "lui era una persona gradevole. E quella notte non abbiamo dormito per niente". La signora riferisce che il suo libro sulla vicenda, intitolato "La mia vita", è ormai quasi pronto. Ma la novità più gradita è la riconciliazione con sua figlia lo scorso fine settimana: "Mi ha detto: mamma, ti voglio bene, sono fiera di te", racconta la D'Addario commossa.

Anche il Times pubblica un'intervista con la escort: secondo il quotidiano di Rupert Murdoch, la signora sostiene di non essere stata l'unica a frequentare le residenze del premier. Scrive il Times, "ha descritto una cultura di sesso in cambio di favori che ha raggiunto i più alti livelli del governo, e in cui altre ospiti delle feste erano ricompensate con contratti tv e lavori in politica". "Tutte parlano di quant'era gentile Berlusconi", racconta la escort, "ma non dicono delle telefonate che mi facevano dopo, dicendo: bleah, era così schifoso, metteva le mani dappertutto, faceva vomitare". Secondo la D'Addario, il premier si vantava con lei di aver risolto lui i problemi fra Usa e Russia: "Diceva che grazie a lui c'era pace fra Putin e Bush. Lui può fare tutto, è un matador".

Il canadese Globe and Mail riprende il discorso del corpo dei politici e sottolinea che "non c'è doppio standard più crudele di quello che c'è in politica, dove le donne per avere successo devono essere mature e possibilmente asessuate (vedi Margaret Thatcher e Angela Merkel). Per una donna, essere attraente è persino uno svantaggio. Invece gli uomini ottengono un punteggio extra se sono sciupafemmine, soprattutto nell'Europa continentale.

In Europa il politico più ricco e di maggior successo è Silvio Berlusconi, un magnate dei media di 72 anni con un insaziabile appetito per 'le veline', le donne con gambe lunghe e grande seno che si vedono in tutti gli show della tv italiana. E' così vigoroso che il suo medico personale lo ha descritto come 'tecnicamente quasi immortale'. Numerosi scandali sessuali hanno solo leggermente intaccato la sua popolarità. Ma ciò che più lo ha ferito non sono le rivelazioni sulla sua vita sessuale, ma l'accusa che ha pagato".

Il Cavaliere trova un alleato nello spagnolo El Mundo, che giudica "immonda" la campagna di stampa. "Invidia e opportunismo spacciati per purintanesimo. Berlusconi non ha commesso alcun delitto nella sua vita privata, anche se l'infedeltà e la lussuria possono essere peccato per i benpensanti, gli ipocriti e i preti, ma non sono crimini". Secondo il giornale madrileno, "quello che fa Berlusconi, se lo fa, con le veline o con chiunque nella sua villa sarda è lo stesso che faceva Marco Antonio ad Alessandria, Tiberio a Capri, Nerone nella città che allora non era eterna, e tutti i cesari dove gli veniva la voglia".

L'editorialista conclude (con un errore sui luoghi del potere romano): "Meglio avere un peccatore pagano al Quirinale che un santone giudeo-cristiano alla Moncloa".

Sulla rivista argentina Interviù la copertina è una foto di Barbara Montereale a seno nudo e il titolo recita: "La nuova Berlusconi girl rivela tutto". E la ragazza insiste: dal premier ha avuto solo un bacio sulla fronte e una busta con 10 mila euro. L'ugandese Daily Monitor attacca Berlusconi, "non come primo ministro, ma come proprietario del Milan". Secondo il giornale africano, i rossoneri hanno sbagliato la campagna acquisti.

(11 agosto 2009)
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 13/8/2009, 12:45




IL BOLLETTINO della bce
«Recessione globale al punto di svolta»
«L'incertezza resta elevata» ma la fase critica sta finendo. Sorpresa in Francia e Germania: il Pil torna a salire


MILANO - La recessione mondiale sta raggiungendo «il punto di svolta». Ci sono «crescenti segnali», come il fatto che il ritmo di contrazione dell'economia dell'eurozona sia «chiaramente diminuendo». Lo afferma la Banca Centrale europea, sottolineando però che «il livello di incertezza rimane elevato». Nel suo bollettino mensile di agosto, la Bce si attende comunque che nell'eurozona «l'attività economica rimanga debole nella restante parte dell'anno». Nel 2010, «a una fase di stabilizzazione seguirebbe una graduale ripresa con tassi di crescita trimestrali di segno positivo». Secondo gli analisti, il Pil dell'area euro si contrarrà quest'anno del 4,5%. Dovrebbe poi crescere dello 0,3% nel 2010 (con una revisione al rialzo di 0,1 punti percentuali) e dell'1,5% nel 2011.

INCERTEZZA - Una previsione che tiene conto di «effetti avversi ritardati»che si concretizzeranno nei prossimi mesi, come «l'ulteriore deterioramento delle condizioni del mercato del lavoro». Il consiglio direttivo della Bce avverte dell«elevata incertezza» e della «perdurante variabilità» dei prossimi mesi, ma sottolinea che i rischi sono «bilanciati». Effetti positivi superiori al previsto sulla crescita potrebbero venire «dalle vaste misure di stimolo macroeconomico messe in atto e dagli altri interventi sul piano delle politiche». Inoltre «il clima di fiducia potrebbe migliorare più rapidamente rispetto alle aspettative correnti». Rischi al ribasso invece potrebbero essere rappresentati da «interazioni negativa più intense o prolungate tra l'economia reale e le turbolenze finanzarie, nuovi rincari del petrolio e delle altre materie prime, maggiori spinte protezionistiche, condizioni del mercato del lavoro più favorevoli delle attese» e «una correzione disordinata degli squilibri internazionali».

DISOCCUPAZIONE - Non mancano però dati preoccupanti. I bassi livelli di fiducia e gli effetti ritardati del calo dell'attività economica nell'Eurozona suggeriscono, in prospettiva, «ulteriori incrementi della disoccupazione» dopo il 9,4% della popolazione attiva toccato in giugno (+0,1% rispetto al mese precedente).

INFLAZIONE - Il Consiglio direttivo della Bce si attende inoltre «che la fase attuale, caratterizzata da tassi di inflazione estremamente bassi o negativi, sia di breve durata e che la stabilità dei prezzi sia preservata nel medio periodo, continuando a sostenere il potere d'acquisto delle famiglie nell'area euro».

FRANCIA E GERMANIA - Intanto arrivano segnali positivi da Francia e Germania. A sorpresa, infatti, entrambi i Paese fanno registrare un Pil positivo. L'economia transalpina nel secondo trimestre ha fatto segnare un rialzo dello 0,3%. Lo ha detto il ministro dell'Economia e delle Finanze, Christine Lagarde, alla radio Rtl. «Dopo quattro trimestri di crescita negativa - ha affermato - la Francia finalmente sta uscendo dal rosso». I dati hanno sorpreso l'ufficio nazionale di statistica che aveva previsto un calo dello 0,6% e la Banca di Francia che aveva stimato una contrazione dello 0,4%. Rivisto leggermente al ribasso il dato del primo trimestre al -1,2% contro il -1,3%. In ripresa anche l'economia tedesca: il prodotto interno lordo in Germania nel secondo trimestre di quest'anno ha messo a segno una crescita dello 0,3% rispetto al primo trimestre. Lo annuncia Destatis, l’ufficio statistico federale, precisando che la prima economia europea non registrava un tasso di crescita positivo dal primo trimestre del 2008. Gli analisti si attendevano per il trimestre chiuso a giugno una contrazione del Pil dello 0,2%.

PIL EUROLANDIA - In generale, però, il prodotto interno lordo di Eurolandia è sceso dello 0,1% rispetto ai tre mesi precedenti ed ha ceduto il 4,6% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Nei Ventisette il calo è stato rispettivamente dello 0,3% e del 4,8%. È quanto emerge dalle stime rapide di Eurostat, l'ufficio statistico delle comunità europee. Il calo del pil è in netto rallentamento rispetto al trimestre passato, quando rispetto ai tre mesi precedenti era stato registrato un crollo del 2,5% per la zona euro e del 2,4% per i Ventisette. Su base annua le variazioni erano del -4,9% e del -4,7%. Tra gli Stati membri i cui dati sono già disponibili, spicca il crollo del pil della Lituania, con -12,3% su base trimestrale e -22,6% su base mensile. La Gran Bretagna ha ceduto lo 0,8% su base trimestrale e il 5,6% su base annua. L'Italia ha segnato -0,5% su trimestre e -6% su anno.


13 agosto 2009



nel mirino del Fisco la presunta esistenza di un deposito miliardario in Svizzera
Eredità Agnelli, la procura di Torino
«Finora nessuna ipotesi di reato»

Così i pm del capoluogo torinese dopo le indiscrezioni sulle indagini della Agenzia delle Entrate


TORINO - «Nessuna ipotesi di reato»: la procura di Torino entra nel merito della vicenda del patrimonio personale di Giovanni Agnelli. Fonti di palazzo di giustizia del capoluogo piemontese spiegano di non essere «al momento a conoscenza di elementi che concretino ipotesi di reato». È stata l'Agenzia delle Entrate, alla luce delle notizie sulla causa legale intentata da Margherita Agnelli de Pahlen sull'asse ereditario del padre, ad accendere un faro sulla presunta esistenza di un deposito miliardario in Svizzera: ad occuparsene sarà la direzione centrale, che potrà avvalersi delle articolazioni locali (torinesi e non solo) dell'organismo. Le questioni sull'eredità dell'Avvocato sono al vaglio del Tribunale di Torino, che a novembre dovrà decidere se dare corso alla richiesta della signora Margherita di conoscerne l'esatta entità. Finora le sue istanze sono state respinte.


«NON PERSEGUIAMO MILIARDARI» - «Non abbiamo deciso di perseguire i miliardari, ma di intensificare l'azione su tutti coloro che hanno capitali detenuti illegalmente all'estero» ha spiegato il direttore dell'Agenzia delle Entrate Attilio Befera in un'intervista al Tg5, commentando l'indagine avviata nei confronti degli Agnelli e dell'eredità dell'Avvocato. Befera ha sottolineato che «il raggio d'azione è allargato». «Stiamo operando a 360 gradi» ha aggiunto, precisando che con il nuovo decreto del governo sui paradisi fiscali, è iniziato un «fortissimo e importantissimo cambiamento di linea, perché commuta il capitale detenuto all'estero in reddito non dichiarato: in questo modo intervengono sanzioni molto più pesanti».


13 agosto 2009



il terremoto in abruzzo
Sfollato chiede alloggio a Villa Certosa
«Il premier l'aveva promesso»

Ha la casa inagibile e nella domanda per la sistemazione provvisoria ha indicato le residenze di Berlusconi


PESCARA - Tra le domande per la sistemazione in alloggi provvisori presentate dai terremotati aquilani, ve n'è una che indica come destinazione Villa Certosa o Palazzo Grazioli, residenze del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. La richiesta - inviata alla protezione civile e al Comune dell'Aquila - è di un cittadino la cui casa, nella zona rossa del centro storico dell'Aquila, è inagibile. Nel tipo di sistemazione preferita, alla voce «alloggi in affitto», a penna è stato aggiunto «se possibile, a villa Certosa oppure a Palazzo Grazioli».

«RICHIESTA LEGITTIMA» - «Non si tratta di una provocazione - ha detto all'Ansa il terremotato aquilano - ma di una richiesta legittima basata sulle dichiarazioni del presidente il quale aveva pubblicamente promesso che avrebbe ospitato nelle sue case alcuni terremotati. In questo modo avrei anche l'occasione di essergli utile con consigli basati sulla mia esperienza di terremotato prima in auto, poi in tenda e infine in due alberghi, e di profondo conoscitore della città». L'uomo, Antonio Bernardini, è segretario generale ed economo del Consorzio di ricerche applicate alla biotecnologia (Crab), ma fu licenziato illegittimamente sei anni fa ed è in attesa che sia dato seguito a due sentenze della magistratura che impongono al Consorzio il suo «reintegro immediato» nelle funzioni e il pagamento delle retribuzioni e dei contributi.


13 agosto 2009



PALERMO
Muore a 10 anni dopo una scazzottata
Le lesioni interne sono compatibili con le botte ricevute
da un ragazzo più grande


PALERMO - Un bambino di dieci anni è morto ieri sera all'Ospedale dei bambini di Palermo. Il piccolo era stato ricoverato martedì sembra in seguito ai traumi interni provocati dalle botte ricevute da un compagno di giochi un pò più grande di lui. Lo scontro tra i due era avvenuto il venerdì precedente. I genitori si sono rivolti alla polizia per accertare le cause della morte e la procura di Palermo ha aperto un'inchiesta. Della vicenda di cui si occupa il pm Carlo Marzella.

Secondo il padre, che lavora in un bar di Bagheria, il figlio ha cominciato a sentirsi male martedì mattina. La pediatra, che lo aveva in cura anche per problemi di asma, ha dapprima consigliato un farmaco. Quindi, dal momento che i dolori continuavano, i genitori hanno deciso di portarlo alla guardia medica di Bagheria, ma anche lì i medici non si sono accorti di nulla. Il bambino in serata ha perso conoscenza ed è stato portato all'Ospedale dei bambini del capoluogo sicialiano, dove è giunto in coma. I medici hanno accertato che fegato e reni erano lesionati e a quel punto i genitori si sono ricordati della lite avuta tra il figlio e un amico il venerdì precedente. Di quello scontro tra ragazzi aveva parlato con la madre e con la sorella di due anni più grande. Le ecchimosi sul corpo del bambino sono compatibili con le conseguenze di alcuni colpi che potrebbero aver determinato lesioni interne.


13 agosto 2009



La strage nella cittadina di Albitreccia
Corsica, 16enne stermina la famiglia
L'adolescente ha ucciso con un fucile da caccia i genitori e due fratelli gemelli di 10 anni mentre dormivano

PARIGI - Un sedicenne ha ucciso i propri genitori e i due fratelli gemelli di dieci anni in Corsica. La strage è avvenuta ad Albitreccia e sarebbe stata compiuta con un fucile da caccia dall'adolescente mentre gli altri membri della famiglia dormivano, nella notte fra martedì e mercoledì. Solo mercoledì sera, dopo aver vagato solo per 24 ore per le vie della sua cittadina, il 16enne si è confidato con un amico. Il padre del giovane aveva 43 anni, 45 la madre.

IGNOTO IL MOVENTE - Non si conosce al momento il movente del quadruplice omicidio. Il ragazzo, portato al commissariato di polizia di Pietrosella, è ora sotto interrogatorio.


13 agosto 2009



l'ultima vittima aveva 28 anni ed era appena stato messo in mobilità
France Telecom, ancora un suicidio
Venti gli impiegati che si sono tolti la vita in 18 mesi Sindacati e lavoratori scendono in piazza per protesta


STRASBURGO- Loro hanno scelto un'altra via. Quella della piazza. Forse perché non sapevano proprio a chi rivolgersi. Ed ecco che un centinaio di impiegati della filiale di Besancon di France Telecom hanno deciso di manifestare. Sindacati e lavoratori. Uniti per cercare di interrompere la catena di suicidi che sta affliggendo la loro azienda. Martedì il ventesimo collega si è tolto la vita. Venti in diciotto mesi. Altri 12 ci hanno provato nell'ultimo anno. I sindacati attribuiscono la colpa alla gestione del personale del gruppo francese di telecomunicazioni. In corso c'è una ristrutturazione. Ma c'è chi non è convinto questa sia l'unica ragione.

LE VITTIME- Il tecnico, un giovane di 28 anni, che si è suicidato nel suo garage nella notte tra martedì e mercoledì, «era appena stato nominato in una posizione che considerava dequalificante», spiega Jacques Trimaille rappresentante dei sindacati a Besencon. E sua la teoria che i tagli non sono l'unica ragione, « ma per il 90% dei suicidi c'è un problema che trova le origini nell'azienda». La direzione di France Telecom ha espresso la «commozione da parte dell’azienda e dei dipendenti di fronte a una situazione individuale drammatica».

LE ACCUSE- I sindacati denunciano da diversi anni l’atmosfera di stress a France Telecom e le «pressioni» sul personale da quando il gruppo è stato privatizzato nel 2004, ma soprattutto dall’annuncio del piano di ristrutturazione che si è tradotto con 22.000 «dimissioni volontarie» tra il 2006 e il 2008. Nicolas G. «era soggetto da diversi mesi a una mobilità forzata», spiega un sindacalista della Cgt, Christian Mathorel, «e gli era stato assegnato un incarico che riteneva squalificante».


12 agosto 2009


Roane Carey, managing editor del magazine The Nation
"Il potere totalizzante di Berlusconi da noi sarebbe impossibile"
"Questa storia imbarazza l'America
troppi attacchi del governo alla stampa"

"Obama "ignora" perché non ha dialogo con la vostra opposizione che è debole e non minaccia il premier"





NEW YORK - Svegliati, America. La corruzione? Le escort? "E pensare che basterebbe far parlare i fatti. Nessuna crociata: basterebbe che l'America sapesse. Basterebbe che i giornali americani dessero regolarmente notizia di tutte le accuse che gli vengono mosse e state sicuri che il Congresso e il Presidente esiterebbero a mostrarsi vicini a Berlusconi. Anzi". Anzi? "Quell'amicizia sbandierata in Italia, che l'America oggi ignora, imbarazzerebbe il Congresso. Imbarazzerebbe il Presidente. Qualcuno comincerebbe a porsi delle domande. E sarebbero bei problemi".

Roane Carey ne è convinto. "Questa storia è imbarazzante e disturbing, preoccupante, anche per noi americani". Carey è il managing editor di The Nation, il magazine di Katrina Vanden Heuvel che conta tra i suoi collaboratori Naomi Klein, Toni Morrison e Michael Moore, e che a questa "storia imbarazzante" ha dedicato, tra i primi negli Usa, inchieste e reportage. La scorsa settimana una corrispondenza di Frederika Randall sui "pillow talk" del premier (come gli anglosassoni definiscono le conversazioni intime di due partner sessuali) ha riacceso l'attenzione americana sul caso.

L'America si è dunque svegliata? Il caso Berlusconi è in prima pagina da Londra a Berlino. La vicenda-escort imbarazza l'opinone pubblica di mezzo mondo. E qui? Per Silvio ieri c'era l'amico Bush e oggi l'amico Obama.
"Distinguiamo. Chiaro che l'Italia è un alleato importante soprattutto per il supporto in Iraq e in Afghanistan. Finché non è un problema, Berlusconi è un alleato. Ma da qui a dire che è un amico...".

Raccontata da Roma è così: anche dopo il G8 il film è quello. Possibile che Obama non sappia?
"Ma non scherziamo. Obama sa: briefing giornalieri, consiglieri che lo informano. Obama sa. Ma può permettersi di ignorare per due motivi. Il primo: la pressione dell'opinione pubblica. Non c'è. L'America è distratta. La recessione si mangia tutto. Quel poco di esteri di cui si parla è sempre quello: l'Iraq, l'Iran. Per voi europei è diverso: un francese, un inglese, un tedesco sono interessati a quel che si coltiva nell'orto del vicino: potrebbe attecchire anche da lui".

E il secondo motivo?
"La mancanza di pressione e dialogo con la vostra opposizione. Non avete una sinistra forte e anche questo l'amministrazione Usa lo sa. Per Berlusconi nessuna minaccia politica vera. E per Obama, che pure è un presidente progressista, è un problema. Ma la vera questione resta la prima: la pressione dell'opinione pubblica e della stampa Usa".

Perché ne è così convinto?
"Il sistema politico italiano è in crisi. Attacchi alla libera stampa come succede solo in Iran e Nord Corea. Questa si chiama democrazia a rischio. Succede in Italia, Europa, Occidente. E non è una storia da raccontare?".

Insomma Berlusconi è un problema della democrazia e come tale non è solo una storia italiana: riguarda tutti.
"Ho provato a cercare un Berlusconi qui da noi. Non c'è. Michael Bloomberg? Sì, un imprenditore che si butta in politica. Un imprenditore dei media, pure. Ma seppure a New York siamo sempre a livello locale. E poi i casi non sono comparabili. In Italia c'è un signore che ha raccolto nelle sue mani il potere economico e il potere politico. Un potere senza confini, totalizzante. Lo usa per attaccare la stampa, per coprire le sue vicende private. No, qui sarebbe inconcepibile. Ripeto: nessuna crociata. Ma come può l'America continuare a tollerarlo lì da voi?".

(13 agosto 2009)
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 14/8/2009, 10:24




Due milioni le pensioni di invalidà

Oltre 2 milioni gli invalidi in Italia che percepiscono una pensione di invalidità e nel Sud il numero di prestazioni, in rapporto alla popolazione, è del 50% superiore rispetto al Nord. Se nel Sud e Isole ci sono 4,39 pensioni ogni 100 abitanti, al Nord il rapporto scende a 2,91. In Italia la Regione con meno pensioni di invalidità, sempre in rapporto alla popolazione, è la Lombardia (2,79). Sono alcuni dei dati contenuti nella "Relazione Generale sulla situazione economica del Paese 2008" del ministero dell'Economia.

Nel rapporto si sottolinea la necessità di intervenire sulla materia e soprattutto sui controlli: «Nonostante i numerosi interventi normativi - scrive il Tesoro - la materia necessita ancora di un riordino complessivo, in particolare per quanto riguarda la definizione degli interventi, le modalità di accertamento e verifica». Se in tutte le regioni del Sud c'è «un numero relativamente maggiore di prestazioni», come si legge nel rapporto, da segnalare sono anche i casi di Umbria e Liguria dove vengono erogate rispettivamente 5,48 e 4,10 prestazioni ogni 100 abitanti.
13 agosto 2009

"Da ex operaio dico: quelli della Innse hanno fatto bene

Essere a posto con la mia coscienza era importante. È stato determinante nella decisione di acquistare l’azienda, è chiaro, e di farlo in fretta. Vedere gente anche di una certa età, col caldo che fa a Milano, stare giorni interi su un carroponte, è stato un fatto molto pietoso. Se c’avessi pensato ancora un po’, e qualcuno fosse scivolato da lassù, poi come avrei potuto perdonarmelo? Abbiamo fatto una proposta secca, ben definita. È andata». È andata bene. Attilio Camozzi, bergamasco di nascita (a Villongo nel 1937), bresciano d’adozione, tornitore fino ai 29 anni ed ex sindacalista della Fiom, oggi a capo dell’omonimo gruppo internazionale da oltre 300 milioni di fatturato, è l’uomo che ha rilevato per oltre 3 milioni la Innse di Milano con tutti i suoi 49 operai e i loro quattordici mesi di lotta, che intende investire parecchio altro denaro per rilanciarla e svilupparla, con il cuore a pneumatici, macchine utensili e tessile (quello che producono le altre sue aziende) e un occhio all’energia eolica. Un vero imprenditore, non per niente dal 2005 Cavaliere del Lavoro.

Allora hanno fatto bene gli operai a lottare in modo così tenace per difendere il loro posto di lavoro?
«Ma quella non era una lotta per il posto di lavoro. Era per mantenere in vita la Innse, perchè continuasse a produrre, e per farlo bisognava impedire che le macchine uscissero dai capannoni. Hanno salvaguardato l’azienda, e che rischiassero la vita per questo non era giusto. Ho molto rispetto per loro. L’emotività è stata una parte molto importante nella decisione. È chiaro che adesso la partita non posso giocarla da solo, dobbiamo farlo tutti insieme».

Insieme con i lavoratori?
«Con loro, certo. La nostra filosofia è creare, mettere a punto progetti congiunti. Il mondo è cambiato, non c’è più come una volta il padrone da una parte e i lavoratori dall’altra: per tutti, il padrone oggi è il mercato. E se il lavoro manca, manca per tutti, imprenditore ed operai».

A proposito, voi non risentite della crisi?
«Sì, anche noi abbiamo delle difficoltà, il momento è brutto. Ma bisogna saper vedere il bicchiere mezzo pieno, e andare avanti».

Com’è che da tornitori si diventa presidenti di un gruppo industriale?
«A Lumezzane (Brescia, ndr) dove vivevo io c’erano 20mila abitanti e 2mila aziende. Come dire, lo spirito dell’artigiano non mancava. Come tornitore ero bravo, ho cominciato a lavorare per conto terzi, nel 1964 mi sono messo in proprio. Siamo andati avanti. Sia chiaro: in 44 anni non abbiamo mai visto un dividendo».

Sta dicendo che non avete mai distribuito dividendi, ma reinvestito tutti gli utili in azienda?
«Esatto. Abbiamo mangiato, pranzo e cena, questo sì. Ma tutto il resto va alle aziende».

È cosciente di essere un esemplare raro di una razza quasi estinta, quella dell’imprenditore puro, che nulla ha a che fare con lo speculatore?
«Ma no, guardi che di bravi imprenditori in Italia ce ne sono tanti. Poi, questi speculatori...bisogna vedere i conti finali dove vanno a finire. Il segreto è quello che le dicevo prima: bisogna essere una realtà produttiva insieme con gli operai. Le persone, per poter crescere, vanno coinvolte. Noi a Brescia nella nostra azienda abbiamo una scuola di formazione per i giovani apprendisti che entrano, che dura anni. Si vince solo se c’è una squadra forte, ed è forte se è coesa. Anche la nostra famiglia, undici persone, è unita, siamo sempre tutti d’accordo, e questo è la base: dà coraggio, dà la forza di fare e di rischiare».

Una numerosa famiglia unita: anche questa è una rarità, non trova?
«Spesso le colpe dei padri ricadono sui figli. La preparazione delle nuove generazioni è importante. Da vecchi si diventa conservatori, è inevitabile. Bisogna saper fare il passaggio generazionale al momento giusto». Attilio Camozzi l’ha fatto in tempo: l’amministratore delegato del gruppo, chi lo manda avanti dal punto di vista operativo, è suo figlio Ludovico. Ma la «testa», la guida e tutta l’esperienza sono ancora le sue.
14 agosto 2009

L'ultima vittima Nicolas, tecnico di 28 anni, in mobilità forzata da diversi mesi
Dimissioni volontarie, pressioni e stress tra le cause denunciate dai sindacati
France Telecom, 20 suicidi in 18 mesi
Nel mirino la ristrutturazione aziendale
La direzione sotto shock assicura: "Facciamo tutto il possibile per sostenere i dipendenti"

STRASBURGO - Oltre un centinaio di dipendenti della France Telecom di Besancon, Francia, hanno manifestato questo pomeriggio, dopo il suicidio di un loro collega, il 20esimo caso in 18 mesi. I sindacati attribuiscono la colpa alla ristrutturazione in corso e alla cattiva gestione del personale del gruppo francese di telecomunicazioni. La direzione aziendale assicura: "Facciamo tutto il possibile per sostenere i dipendenti".

I sindacati. I sindacati denunciano da diversi anni l'atmosfera di stress a France Telecom, gruppo francese, che dà lavoro a 187mila persone, e le "pressioni" sul personale da quando è stato privatizzato nel 2004, ma soprattutto dall'annuncio del piano di ristrutturazione che si è tradotto in 22mila "dimissioni volontarie" tra il 2006 e il 2008.

Le ultime vittime. Ieri, Nicolas, 28 Anni, celibe e senza figli, si è ucciso nella sua casa, a Besancon. Il ragazzo non avrebbe lasciato lettere per spiegare il gesto, "Ma le cause sono sistematicamente le stesse: gestione del personale, stress e cattive condizioni di lavoro", afferma un sindacalista. "Forse non vi è un'unica causa, ma al 90% è un problema di lavoro". "Era soggetto da diversi mesi a una mobilità forzata", spiega un altro sindacalista, Christian Mathorel, "e gli era stato assegnato un incarico che riteneva squalificante". Lo scorso 14 luglio, un altro dipendente dell'azienda si era tolto la vita Marsiglia, lasciando una lettera nella quale attribuiva il suo gesto al "sovraccarico di lavoro" e a un "gestione terroristica dell'azienda".



Il sisma merita uno show

Persino un art director nella corte dei Bertolaso boys. Ecco l'unico apparato che cresce a dismisura Non si trovano più carpentieri, muratori, operai. Quelli disponibili sono stati tutti assunti nelle imprese che hanno vinto gli appalti a L'Aquila e in provincia. Così il passaparola è arrivato a Brescia, dove decine di manovali sono partiti nei giorni scorsi per l'Abruzzo. Il dipartimento nazionale della Protezione civile, nel modello B&B, fabbrica posti di lavoro e non conosce crisi. Dai contratti per le grandi opere alle consulenze, è una macchina che macina occasioni, soldi e consensi. Tanto che il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, l'ha più volte sfruttata dopo il terremoto facendosi vedere in tv accanto al capo dipartimento, Guido Bertolaso. In cambio il sottosegretario con la maglietta polo più famosa d'Italia si è conquistato libertà di decisione e di spesa che, ammettono i collaboratori più stretti, ha già scatenato le lamentele del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. A cominciare dai costi fuori controllo per il vertice sull'isola della Maddalena, poi trasferito a L'Aquila. Grazie al modello Berlusconi-Bertolaso, il nostro infatti è l'unico Paese ad aver organizzato un G8 al prezzo di due.

In questi anni i Bertolaso-boys hanno preso il posto dei dirigenti anziani del dipartimento. E a volte la mancanza di esperienza si vede. Ne stanno sopportando le conseguenze i 25.815 abitanti costretti dal 6 aprile a vivere nelle tendopoli. Tutti sappiamo che la famiglia tipo italiana è composta da non più di quattro persone. Ma gli uffici della Protezione civile e del ministero dell'Interno, quando hanno dato il via libera all'acquisto delle nuovissime tende montate in Abruzzo, si sono probabilmente ispirati alla situazione demografica del 1930. Perché a L'Aquila e nei paesi della provincia sono apparse tende da otto posti. Una capienza che costringe sotto lo stesso telo, in pochi metri, fino a tre nuclei familiari diversi. Con le inevitabili tensioni tra persone obbligate a rinunciare alla privacy da oltre quattro mesi.


Nell'epoca delle emergenze show non possono mancare le spese per foto e film. Nel 2008 un ingaggio da 74 mila euro, sui 436 mila bruciati in consulenze, chiama alla Protezione civile Maurilio Silvestri: "È suo compito comunicare attraverso le immagini, sia statiche che dinamiche... Art director e responsabile della corretta applicazione dell'immagine coordinata del Dipartimento...". Visto quanto ci sono costate le montagne di immondizia a Napoli, un ruolo sul tema non lo si nega a nessuno. L'art director risulta così anche "collaboratore emergenza rifiuti in Campania". E "dell'ufficio Grandi eventi".

La nostra è l'unica Protezione civile a occuparsi di eventi. Un compito che nell'ultimo mese ha assolto con buoni risultati. Fino a meritarsi i complimenti di Silvio Berlusconi e dei capi di Stato per l'organizzazione del G8. Se i funzionari del dipartimento avessero seguito con altrettanto successo l'evolversi dello sciame sismico in Abruzzo, forse la notte del 6 aprile L'Aquila non sarebbe rimasta contemporaneamente senza prefettura, senza questura, senza ospedale e con appena 12 vigili del fuoco in servizio. Una situazione che, data l'inadeguatezza già conosciuta delle strutture, andava prevista e pianificata. Un dovere di coordinamento e guida degli enti locali che tocca proprio al dipartimento nazionale.

Eppure nel 2008 non vengono trascurate le spese per la prevenzione. Come i 56 mila euro destinati a Serena Cavina. E così giustificati: "Consulente per la divulgazione della cultura di protezione civile e per l'organizzazione generale delle attività dell'ufficio Grandi eventi... Supporto per l'organizzazione del progetto didattico legato alla mostra itinerante 'Terremoti d'Italia'... Supporto delle attività legate ai rapporti istituzionali... Supporto durante l'organizzazione dei Grandi eventi".

Tra le consulenze meglio pagate, quella da 80 mila euro affidata da Guido Bertolaso all'avvocato dello Stato, Ettore Figliolia che "su richiesta del capo dipartimento esprime pareri e fornisce indicazioni in particolare su questioni di diritto comunitario e internazionale". Figliolia collabora anche con il consigliere giuridico di Bertolaso, Giacomo Aiello, altra consulenza da 80 mila euro. Altrettanto ben pagati i collaboratori per una spesa che nel 2008 ha superato i due milioni e mezzo. Molti i nomi conosciuti. Come il veterano del ciclismo, Vittorio Adorni: 30 mila euro l'anno dal 2006 per aver partecipato all'organizzazione dei mondiali 2008 a Varese. E Angelo Canale, che da magistrato della Corte dei conti indagò sullo scandalo della missione Arcobaleno in Albania: l'inchiesta che nel 2001 portò alla nomina di Bertolaso da parte di Silvio Berlusconi, al posto del vulcanologo Franco Barberi. Canale ha ricevuto un compenso di 24 mila euro come presidente della commissione di controllo sulla gestione delle donazioni per lo tsunami in Asia: i milioni raccolti attraverso gli sms degli italiani. E mentre Tremonti toglie finanziamenti a scuole e ospedali, la Protezione civile non smette di crescere. Nessun taglio in vista. Nemmeno nell'ufficio del capo. Guido Bertolaso può sempre contare su ventidue segretari personali: due specialisti legali finanziari, 11 impiegati amministrativi, tre assistenti capo di polizia, un tenente colonnello dell'esercito, un tecnico, un maresciallo ordinario, un appuntato dei carabinieri, un finanziere e un aiuto bibliotecario.

(06 agosto 2009)


Fondi ai terremotati:
una beffa per L'Aquila?


Sistemazioni provvisorie che rischiano di diventare definitive. Improbabili soldi che dovrebbero arrivare dalle lotterie e che sranno spalmati fino al 2033. Con il rischio che per avere una casa vera gli abruzzesi debbano indebitarsi per anni. Dopo i sorrisi e le pacche sulle spalle, il capo del governo ha preparato un decreto che a molti non piace... Da una lettura attenta del decreto legge sul terremoto, è emerso nei giorni scorsi che i soldi all'Abruzzo saranno in gran parte trovati grazie a nuove lotterie e a fumosi provvedimenti anti-evasione. Insomma sono tutt'altro che certi. Inoltre le risorse saranno spalmate su un periodo lunghissimo (fino al 2033)

E così il tam tam ("Berlusconi ci inganna!") è iniziato sui blog e su Facebook, ma anche sui giornali. In una lettera al Messaggero, una cittadina terremotata de L'Aquila ha fatto i conti e ha concluso che "mai nella storia dei terremoti italiani avevamo assistito a un'ingiustizia tanto grande e a un tale cumulo di menzogne che ha ricoperto L'Aquila più di quanto non abbiano fatto le macerie".

Il cash che Tremonti mette subito a disposizione si aggira sul miliardo di euro. Tolte le spese per l'emergenza, restano 700 milioni di euro, destinati alla costruzione delle casette temporanee. Circa 400 milioni saranno spesi per edificarle nel 2009 e 300 milioni nel 2010. Se ne deduce che la totalità delle case provvisorie sarebbero a disposizione entro l'anno prossimo - e non prima dell'inverno 2009. Queste casette temporanee sono definite dal decreto "a durevole utilizzazione". Insomma possono quindi durare decenni. E sono le uniche costruzioni ad avere pronta una linea di finanziamento. Piccole e sparse new town.

E le new town vere, promesse da Berlusconi? A scorrere gli allegati al decreto sembra che sia molto difficile costruirle. Infatti a leggere il decreto pare che Berlusconi non possa concedere più di 150 mila euro per la ricostruzione dell'abitazione di ogni famiglia terremotata: 50 mila euro concessi cash dal governo, 50 mila in credito di imposta (anticipato dalla famiglia terremotata e ammortizzato in 22 anni), altri 50 mila con un mutuo a tasso agevolato a carico sempre della famiglia.

Insomma, casette di legno per tutti (ma non subito: molte arriveranno dopo l'inverno...) e pochissimi soldi veri per costruirsi la casa nuova, quella definitiva.

Da specificare tuttavia che i dettagli della legge non sono ancora stati definiti, e alcune cose potrebbero cambiare, si spera in meglio.

Resta il fatto che i cittadini dell'Abruzzo ora si chiedono se dopo i sorrisi, le promesse e le pacche sulle spalle, il governo non li stia beffando.



il fortino della cocaina di Milano
Blitz nel "ghetto": controlli e perquisizioni
Fin dall'alba polizia e carabinieri hanno circondato i palazzi popolari tra viale Zara e viale Fulvio Testi


MILANO - Blitz di polizia e carabinieri dalle prime ore del mattino nel cosiddetto "ghetto", il quartiere nella zona Nord oggetto di un'inchiesta del Corriere per essere il fortino della cocaina di Milano. Le forze dell'ordine hanno circondato i palazzi popolari tra viale Zara e viale Fulvio Testi e stanno controllando persone e auto. In corso anche perquisizioni domiciliari per accertare la presenza di droga e armi.

LE PROPOSTE - Il "ghetto" è una terra di nessuno, per cui si sono levate da più parti richieste di intervento. Se l'opposizione milanese ha chiesto a più riprese di far intervenire i militari, l'Aler ha anche proposto di assegnare case a poliziotti nel quartiere. Anche il sindaco Letizia Moratti ha affrontato la questione, chiedendo al prefetto «un intervento più incisivo per questa e altre zone della città».




14 agosto 2009

 
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