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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 10/8/2009, 10:07 by: Lucky (Due di Picche)




la missione italiana
La Russa: «In Afghanistan i Tornado possono sparare»
Il ministro: «Chiedo ai magistrati di sbloccare i blindati Lince»


ROMA — «Rivolgo un appello ai magistrati affinché il tempo di sequestro dei blindati 'Lince' sia ridotto al minimo », dice Ignazio La Russa. In un’intervista al Corriere , il ministro della Difesa affronta alcuni degli aspetti più controversi e delicati della missione militare in Afghanistan, della quale i sigilli giudiziari ai mezzi italiani danneggiati dalle bombe talebane sono un indice. Fino a che punto si può far finta che una missione chiamata «di pace» non sia in un territorio di guerra? A quali norme devono essere sottoposti i nostri militari? Quanti ribelli sono stati uccisi dai soldati italiani? Tra il codice militare di pace applicato attualmente e quello militare di guerra che venne impiegato in Iraq, il ministro del Popolo della libertà indica una terza strada: «Serve un codice per le missioni internazionali sul quale è possibilissima un’intesa con l’opposizione».

I capi del parco macchine del contingente italiano in Afghanistan hanno detto al nostro inviato Lorenzo Cremonesi che a undici Lince colpiti dai ribelli sono stati messi sigilli giudiziari: per renderli «a disposizione» della Procura di Roma tenuta a indagare. Ministro, conferma?
«Sì. Non ho il numero esatto, ma l’articolo è corretto. Dal governo Prodi in poi, tranne la parentesi dell’Iraq, il codice che si applica non è quello militare di guerra, bensì il codice militare di pace. Se ci sono morti e feriti è come se questo avvenisse in una normale esercitazione. Tant’è che stiamo correndo ai ripari».

Verso dove?
«Io non me la sentivo di appoggiare un ritorno al codice militare di guerra. Alcuni del Pdl, con un emendamento, me lo chiedevano. Ho detto: lasciate stare, si creano più polemiche. Per farli desistere ho impiegato un argomento: nelle commissioni Difesa del Parlamento è possibilissima un’intesa con l’opposizione per un codice militare specifico per le missioni internazionali. Né di pace né di guerra».

Qui sta il punto. All’origine dei sigilli ai Lince non è l’ambiguità in base alla quale, per farla apparire nei limiti dell’articolo 11 della Costituzione, la missione italiana viene presentata come pacifica mentre agisce in quella che gli alleati definiscono una guerra?
«Non è tanto per l’ambiguità. E’ per la scelta fatta dal Parlamento di applicare il codice militare di pace. So che il mio predecessore al ministero, Arturo Parisi, l’ha subita, come l’ho subita io. Ma la rispetto, come va rispettata la Costituzione. Per questo stiamo predisponendo il nuovo codice».

Per vararlo non serve una legge costituzionale?
«Se ne discuterà in Parlamento. Vi sono fautori di entrambe le tesi».

Nel frattempo i Lince?
«Rivolgo un appello ai magistrati affinché il tempo di sequestro dei Lince sia ridotto al minimo. Per la specificità della missione, e perché anche i blindati rotti ci servono » .

A che cosa?
«Per i pezzi di ricambio. Questi Lince continuano a salvare le vite di molti soldati. Anche sabato una bomba ne ha fatto saltare uno, ma nessuno è rimasto ferito. Forse i magistrati pensano che il mezzo, molto danneggiato, possa stare sotto sequestro senza problemi. Invece da lì si prenderebbero i pezzi di ricambio per gli altri mezzi».

Non ne avete?
«Non portiamo tutti i ricambi in Afghanistan perché, statisticamente, sono i Lince usurati o danneggiati a fornirli. E non c’entrano i fondi».

Se viene ucciso un militare italiano, la Difesa lo dichiara: dal 2001 in Afghanistan ne sono morti 15. Manca però un dato: quanti miliziani afghani sono stati uccisi dai nostri soldati in scontri a fuoco?
«Il numero preciso non viene tenuto. Non c’è una contabilità anche perché è difficile accertarlo. Di certo il numero degli insorti — talebani, trafficanti di droga, tutti coloro che compiono atti ostili — è superiore alle perdite subite dai contingenti internazionali. E di molto».

Quelli colpiti da italiani?
«Anche per i nostri il rapporto è di sicuro più alto. Quando i nostri sono stati costretti a difendersi, gli altri hanno subito perdite. Tra i contingenti siamo quelli che hanno avuto meno lutti, anche se non per questo meno dolorosi».

I morti afghani sono di più da quanto avete tolto i caveat che limitavano l’impiego dei militari in combattimento?
«No, la natura della missione non è mai cambiata e l’unico caveat tolto è sull’impiego fuori dalla zona Ovest, per altro quasi mai utilizzato».

I cacciabombardieri Tornado italiani hanno già cominciato a dare copertura aerea ai soldati, ossia a sparare oltre che ad avere funzioni di ricognizione?
«Dopo aver informato le Camere, ho dato via libera ai comandanti. A loro valutare. Parliamo non delle bombe, che sull’aereo non portiamo neanche. Ma del cannoncino dei Tornado, simile a quello degli elicotteri Mangusta».

Quanti Predator, aerei senza pilota, manderete in più?
«Per ora li raddoppiamo: altri due. Sarebbe bene averne di più, ma al momento abbiamo questi. Li manderemo insieme con altri elicotteri».


Maurizio Caprara
10 agosto 2009


Lo ha annunciato il ministro degli esteri Frattini
Liberi i 16 marinai della Buccaneer
Frattini: «Nessun riscatto pagato»
La nave sequestrata da pirati somali l'11 aprile nel golfo di Aden con a bordo 10 italiani, 5 romeni e un croato

Caso Buccaneer, ministro Frattini telefona al primo ministro somalo (3 agosto 2009)
Sequestro Buccaneer, nuova telefonata «Un piatto di riso al giorno, liberateci» (19 giugno)
Buccaneer, la minaccia dei pirati: «Entro 48 ore trattate, sennò faremo brutte cose» (3 giugno 2009)
Il rimorchiatore Buccaneer
ROMA - Sono stati liberati i sedici marinai che erano stati sequestrati in Somalia a bordo della nave Buccaneer. Lo ha annunciato il ministro degli esteri Franco Frattini. «Non è stato pagato alcun riscatto», ha assicurato il ministro in un'intervista a Skytg24. Il rimorchiatore d'altura Buccaneer era stato sequestrato da pirati somali lo scorso 11 aprile nel golfo di Aden con a bordo dieci italiani (tra i quali il capitano), cinque romeni e un croato. Tutti i 16 membri dell'equipaggio sono stati rilasciati. Il rimorchiatore sta ora procedendo verso Gibuti accompagnato dalla nave della Marina militare San Giorgio, che da tempo si trova in zona proprio per seguire da vicino il sequestro.

«COMPIACIMENTO PER SOLUZIONE» - Frattini, ha espresso il suo «più vivo compiacimento per la positiva soluzione della vicenda», si legge in una nota della Farnesina. «Alle loro famiglie una partecipe vicinanza in questo momento di gioia, dopo mesi di comune attesa e preoccupazione». Frattini ha voluto ringraziare le autorità del governo di transizione somalo e in particolare il primo ministro della Somalia, le autorità del Puntland, il Dispositivo interforze di forze speciali imbarcato sulla San Giorgio e coordinato in area di operazioni dal Cofs (Comando interforze per le operazioni delle forze speciali) e «le diverse articolazioni istituzionali e di intelligence italiane che hanno aiutato lo sviluppo positivo del caso». Il ministro ha espresso anche «un sentito ringraziamento ai mezzi di informazione italiani per avere rispettato la linea di riserbo richiesta dalla Farnesina che si è ancora una volta rivelata giusta».

«NON È STATO PAGATO ALCUN RISCATTO» - «Non c'è stato blitz e non è stato pagato alcun riscatto. Al momento convenuto i militari sono saliti a bordo del Buccaneer e hanno preso possesso della nave». Lo ha detto Silvio Bartolotti, general manager della Micoperi, l'azienda ravennate proprietaria del rimorchiatore. La nave - ha aggiunto - è già in navigazione verso Gibuti, dove dovrebbe arrivare entro un paio di giorni, scortata da navi militari. «I miei uomini stanno tutti bene - ha precisato Bartolotti - e una volta arrivati a Gibuti valuteranno la situazione, secondo l'umore psicologico, se proseguire in nave o se rientrare in Italia in aereo. Io comunque prenderò il primo volo utile per Gibuti, perché voglio riabbracciare quanto prima i miei uomini».

BOTTI - L'incubo è finito: hanno appreso la notizia dalla Farnesina e ora sparano i botti di Capodanno per la gioia, sull'uscio di casa, i familiari di Bernardo Borrelli, il marinaio di 30 anni, di Ercolano (Napoli) liberato in Somalia.


09 agosto 2009


INCIDENTI MONTAGNA
Ritrovati i 2 ragazzi dispersi
Uno è morto, l'altro è grave

Erano sul letto di un torrente i due ragazzini dispersi da ieri sera nei boschi del lecchese

MILANO - Sono stati ritrovati sul letto di un torrente intorno alla mezzanotte i due ragazzini dispersi da ieri sera nei boschi del lecchese. Il più grande, di 15 anni, è morto, con ogni probabilità in seguito ai traumi riportati in una caduta lungo un canalone.

IN OSPEDALE - L'altro, di 13 anni, è stato portato all'ospedale di Lecco in gravissime condizioni. I due erano usciti a cercare funghi nella zona di Parlasco. Secondo una prima ricostruzione, ancora da verificare, fornita dai carabinieri che hanno partecipato alle ricerche, i ragazzi sono probabilmente scivolati mentre passavano in un punto molto scosceso, precipitando in un canalone. Il punto dove sono stati ritrovati si trova a circa 250 metri al di sotto della strada.

LA SPARIZIONE - L'area è talmente impervia che il corpo del ragazzo morto non è stato ancora recuperato. Le operazioni sono state interrotte intorno alle 4 del mattino, anche a causa del forte temporale che si è abbattuto sulla zona, e sono riprese soltanto qualche ora dopo. I ragazzini mancavano da casa dalla mattina, e l'allarme dei familiari è scattato intorno alle 19.30 quando non sono rientrati per cena a Taceno (Lecco). Già nella tarda serata di ieri il ritrovamento dei motorini dei giovani, parcheggiati a pochi passi da un sentierino che porta verso il fiume, aveva fatto temere il peggio. Alle ricerche e alle operazioni di recupero hanno partecipato per tutta la notte una cinquantina tra volontari della Protezione civile, soccorritori del Soccorso alpino, Carabineri e amici.



10 agosto 2009



IL NO A SKY E I RAPPORTI CON MEDIASET
La Rai ha fatto una scelta di campo

C’è molta agitazione nell’etere. Di solito, l’estate rappresenta un momento di calma per le tv: riciclano il magazzino, ripropongono per l’ennesima volta «La signora in giallo», si collegano con qualche località turistica disposta ad accollarsi le spese di realizzazione. Quest’anno invece si respira il nervosismo tipico delle grandi trasformazioni: la posta in gioco è molto alta perché il ruolo della tv, legandosi sempre più indissolubilmente agli altri media (Internet, telefonia fissa e mobile...), resta centrale nel panorama mediatico. È intervenuto persino il capo dello Stato per chiedere spiegazioni sullo scioglimento della convenzione tra Rai e Sky.

Com’è noto, Viale Mazzini non ha più rinnovato il contratto che le permetteva di fornire alla tv satellitare le sue reti generaliste, più altri canali «extra ». Per ora è ancora possibile vedere Raiuno, Raidue e Raitre ma da qualche giorno molti programmi sono criptati (la partita Inter-Lazio ma anche vecchi telefilm): un preciso segnale (anzi, una mancanza di segnale) di sgarbo, se non di provocazione.

L’atteggiamento della Rai è di non facile lettura, e comunque non in linea con la nozione di Servizio pubblico (SP) rappresentata ad esempio dalla Bbc, che fin dalle origini ha partorito l’idea della tv come bene comune di importanza nazionale, al pari della luce, del gas, dei trasporti. Il SP, in quanto retto da un canone, dovrebbe fare in modo che i suoi servizi siano totalmente pubblici (parliamo delle reti generaliste), e cioè visti dal più alto numero di persone, indipendentemente dalle piattaforme di trasmissione, considerate «tecnologicamente neutrali». Il fatto che la Rai sia entrata in conflitto con Sky, con il rischio di negarsi a quasi cinque milioni di famiglie, costituisce un unicum in Europa. In nessun altro Paese le politiche dei public service broadcasting hanno condotto alla ritirata da una piattaforma distributiva. Talmente un unicum che il governo italiano ha già pronta una legge che servirà a giustificare il divorzio.

Questo contrasto prende le mosse dalla più grande rivoluzione tecnologica della tv: il passaggio «forzato» dall’analogico al digitale. L’Unione europea ha giustamente imposto questo nuovo sistema di trasmissione per liberare frequenze, per ampliare lo spazio di partecipazione. Ma, nell’enfasi che ha accompagnato il processo di digitalizzazione della tv in Italia, si è spesso sottolineata l’inevitabilità, quasi la naturalità delle scelte intraprese, che sono, al contrario, solo decisioni politiche. Digitale significa pure satellite o cavo o IPTV. Rai e Mediaset hanno scelto il digitale terrestre (DTT) anche perché erano proprietarie della rete distributiva (optare per il satellite, che è una tecnologia più avanzata, significava dismettere i propri trasmettitori e «giocare » in campo avverso).

Il DTT rappresenterà quindi in Italia lo snodo di accesso universale, quello che potremmo definire «il minimo comune denominatore » per guardare la tv. Rispetto alla vecchia tv analogica, l’offerta è arricchita da qualche nuovo operatore, da alcuni canali gratuiti (come Rai4 e, fra poco, Rai5) e dalla possibilità di accedere a contenuti pay. Sviluppare un’offerta a pagamento sul DTT è infatti un’operazione particolarmente vantaggiosa: come dimostra l’aggressiva politica di diffusione delle «carte prepagate » che Mediaset sta realizzando con originalità, forte anche di un’offerta qualitativamente alta e ben strutturata che invece la Rai non possiede. Per esempio, di questi tempi, le partite di calcio con una card prepagata sono più appetibili di un abbonamento annuale.

L’impressione è che la Rai non attui una politica a favore della propria audience (a coltivare la qualità della propria audience, come imporrebbe un altro dogma del SP), quanto piuttosto a favore di quello che un tempo era il suo unico competitor, Mediaset. Ci sono altri indizi che rafforzano questo dubbio: il potenziamento del DTT con soldi pubblici ha favorito non solo la Rai, o la nascita del consorzio TivùSat, la nuova piattaforma che diffonderà via satellite, ma con un nuovo decoder, gli stessi programmi trasmessi in digitale terrestre da Rai, Mediaset e La7, o il fatto che sia il SP a dover in qualche modo risarcire Europa 7 attraverso una cessione di sue frequenze (l’emittente di Francesco Di Stefano che nel 1999 aveva vinto la gara per una concessione nazionale, ma non aveva trovato posto, già occupato da Retequattro).

Insomma, in un modo o nell’altro, continua ad aleggiare il fantasma del conflitto di interessi. Inutile nascondersi che la vera battaglia sul futuro della tv in Italia è tra Berlusconi e Murdoch. La Rai, invece di restare neutrale, sembra aver fatto la sua scelta di campo.


Aldo Grasso
10 agosto 2009


Attacchi dopo decisione governo di rimuovere muri protettivi
Iraq, almeno 50 morti in 4 attentati
Esplosione di due camion bomba a Mosul, nel nord del Paese, e due autobomba a Baghdad

BAGDAD - Si aggrava il bilancio delle vittime degli attentati compiuti stamane a Bagdad e a Mosul, nel nord dell’Iraq. Secondo la tv satellitare al Arabiya, il bilancio - destinato a aggravarsi ulteriormente - è salito ad almeno 50 persone morte e a circa 160 feriti. L’attentato più grave è quello avvenuto nel villaggio di Khaznda a 20 chilometri da Mosul. Due camion bomba sono esplosi verso le 4 di notte (ora locale), uccidendo almeno 30 persone e ferendone una ottantina. Secondo fonti ospedaliere citate dall’emittente saudita, «i soccorritori continuano a cercare sotto le macerie da dove emergono ancora alcuni cadaveri» come ha detto il corrispondente della tv araba, Majid Hamid.

NELLA CAPITALE - L’esplosione ha distrutto trentacinque case di questa località, abitata prevalentemente da Shabak, un’etnia di origine curda. Quasi contemporaneamente, nella capitale Bagdad, sono esplose due autobombe nei pressi di altrettanti «punti di raccolta di operai»: il primo attentato è avvenuto a Hay al Amel, quartiere con maggioranza sunnita a ovest della capitale, mentre per il secondo è stato scelto il quartiere (misto) Hai al Shurtah, nel nord della città. Il bilancio delle vittime delle due esplosioni è finora di 20 morti e quasi 80 feriti. I quattro attentati sono avvenuti a distanza di pochi giorni dalla decisione del governo di rimuovere i muri di protezione dalle strade delle città, dopo il sensibile miglioramento delle condizioni della sicurezza nel Paese.


10 agosto 2009


Pirati somali: "Per il Buccaneer
riscatto di 4 milioni di dollari"


BOSASSO (Somalia) - Dall'Italia assicurano che per la la liberazione del rimorchiatore Buccaneer e del suo equipaggio non è stato versato alcun riscatto. I pirati che per quattro mesi hanno tenuto in ostaggio i marittimi, tra i quali dieci italiani, sostengono che sono stati pagati quattro milioni di dollari. "Abbiamo preso un riscatto di quattro milioni e abbiamo liberato il rimorchiatore italiano che è già partito", ha detto una fonte della banda di sequestratori. Andrew Mwangura, coordinatore del gruppo marittimo regionale 'East African Seafarers' Assistance Programme' ha invece parlato di un riscatto di cinque milioni. "Ieri sera stavano contando i soldi" ha riferito.

(10 agosto 2009)


L'invito dal coordinatore della lista di Fitto. Il politico non partecipò alla trasferta
Tra le ospiti di quel soggiorno Sabina Began, Raffaella Zardo e Victoria Petroff
Tarantini a Montecarlo
E Greco disse: già pagato




Salvatore Greco
BARI - Non ci sono soltanto le feste baresi o le vacanze in Sardegna nella vita dorata di Gianpaolo Tarantini, l'imprenditore barese indagato per aver offerto alcune escort al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Ci sono anche feste e festini a Montecarlo, sul tenore dei quali il sostituto procuratore Giuseppe Scelsi ha ascoltato una serie di persone. Le testimonianze raccolte sono servite anche a definire meglio le accuse per il socio di Tarantini, Massimiliano Verdoscia, e il "pusher" Stefano Iacovelli, arrestati venerdì (domani gli interrogatori di garanzia in carcere).

E' la settimana tra il 19 e il 25 maggio 2008, per esempio, quella che precede il Gran Premio di Montecarlo. Tarantini è un habitué del Principato e quell'anno - racconta a Repubblica uno dei partecipanti di quel fine settimana - Gianpaolo viene invitato da un suo vecchio amico, l'ex parlamentare dell'Udc, Tato Greco. Greco oggi è il responsabile della lista "La Puglia prima di Tutto" del ministro Raffaele Fitto, ed è lui ad aver organizzato le liste alle ultime elezioni comunali di Bari, quando furono candidate Patrizia D'Addario e Barbara Montereale, due delle donne che Tarantini ha pagato e poi portato a casa Berlusconi.

Greco e Tarantini sono indagati per associazione a delinquere nell'altra inchiesta della Procura di Bari sull'imprenditore barese, quella condotta dal pm Roberto Rossi: secondo i magistrati Greco, nel suo ruolo di allora consigliere regionale, corrompeva i medici per favorire l'attività della Tecnohospital, la società di forniture ospedaliere di Tarantini.

L'imprenditore e il politico organizzano il viaggio a Montecarlo ma poi all'ultimo momento Tato si tira indietro per problemi personali: "Gianpaolo, vai tranquillo - gli dice - Le suites sono già pagate, disponi pure". Le camere lussuose sono all'hotel Hermitage in square Beaumarchais a Montecarlo, un gioiello Belle Epoque dal fascino discreto, "l'eleganza elevata a perfezione" si legge sul sito. A due passi dalla piazza del Casinò, l'albergo gode di un panorama incantevole sul porto monegasco e sulla Rocca e ha accesso diretto alle terme marine.

Le stanze offerte da Greco - Gianpaolo salderà soltanto gli extra - sono due suite con terrazza e Jacuzzi esterna. Quanto basta per rendere confortevole il soggiorno di "Gianpi" e dei suoi ospiti. Tra i quali spiccano alcuni nomi noti: l'"ape regina" Sabina Began ("Vi sembra che ho la faccia di una che si droga?" ha detto qualche giorno fa, uscendo dall'elegante palazzo dove abita nel cuore di Roma), Raffaella Zardo, Victoria Petroff e Linda Santaguida, già fidanzata del "tronista" Costantino Vitagliano. Il gruppo si ferma a Montecarlo fino a domenica 25 maggio, il giorno del Gran Premio.

Ma le suite all'Hermitage non sono l'unico palcoscenico che frequenteranno: Tarantini organizzerà feste anche in una barca a vela da 25 metri di proprietà di un commerciante barese, interrogato come persona informata sui fatti nelle scorse settimane, e amico di una vita di Gianpaolo. Lo dimostrano le intercettazioni del 2004 quando i due organizzavano party a base di cocaina a Bari. Proprio a Montecarlo il gruppo conosce Manuela Arcuri, l'attrice che in un'intervista a un settimanale ha definito Tarantini genericamente "quel signore". Eppure la donna è stata sua ospite nella prima decade di giugno del 2008, nella villa dell'imprenditore a Giovinazzo. Assieme a un ristretto gruppo di amici imprenditori a una festa c'erano l'Arcuri, la sua amica Francesca Lana, la modella venezuelana Jennifer Rodriguez e sempre la solita Victoria Petroff, queste ultime concorrenti dei reality "La Fattoria" e "L'Isola dei Famosi". Non solo: l'Arcuri conosce bene anche Massimiliano Verdoscia, l'uomo oggi in carcere con l'accusa di spaccio. Con lui, la Lana e un quarto amico ha trascorso proprio a giugno 2008 un fine settimana in una masserie di Savelletri, in provincia di Brindisi.

(10 agosto 2009)


Da Panama a Canberra, la stampa commenta le vicende italiane
Libération: "Niente trapianti di capelli, per Berlusconi quest'anno vacanze tranquille"
Media stranieri: "Denaro e potere
i feticci del premier italiano"



LONDRA - L'attenzione alle vicende politiche italiane ha raggiunto Panama, attraverso un ritratto molto severo di Silvio Berlusconi apparso su El Siglo. "Mentre a Panama ci interroghiamo sull'idoneità di molte persone del governo entrante, in Italia Silvio Berlusconi è dibattuto fra belle donne per il suo governo", scrive il giornale, aggiungendo che la sua scelta di scendere in campo è stata legata alla noia per la grande ricchezza, quando un milione in più o meno non rappresenta nulla: "E allora bisogna orientare le voglie verso la politica o verso il sesso". Secondo i panamensi, "Berlusconi ha uno stile molto particolare di intendere la politica: ottiene con il potere il clamore che il denaro non gli può comprare". Ma in questo spettacolo "si mettono in evidenza le mancanze che il potere come feticcio può sostituire. Da qui si spiega la mania insaziabile per le belle donne, le stupide dichiarazioni pubbliche che suscitano i commenti più diversi. Così come la ricchezza non compra la saggezza, il potere non va bene per chi lo cerca per saziare la sete di rispettabilità o di successo con l'altro sesso. In questi casi, è solo un feticcio che si insegue per soddisfare le proprie carenze umane".

Il francese Libération sottolinea che le vacanze estive in casa vogliono far dimenticare le sue scappatelle. "Né sedute di impianto dei capelli come in passato, nemmeno feste dionisiache nella sua sontuosa residenza sarda di Villa Certosa: le vacanze estive di Silvio Berlusconi dovranno essere all'insegna della tranquillità, della famiglia, del lavoro e del ritorno in forma", scrive il giornale parigino.

Diversi giornali, dall'Irish Times allo spagnolo ABC, alla Tribune de Genève, riprendono la conferenza stampa di autodifesa del premier. Il giornale ginevrino aggiunge un servizio sul giudizio degli italiani in Svizzera. Secondo loro, il premier resta al potere anche per "l'incapacità della sinistra a trovare un'alternativa". E poi "gli italiani sono un popolo antico, cinico e sofisticato. Preferiscono Berlusconi alla sinistra, e al diavolo le storie di alcova". Secondo un altro intervistato "si capirà veramente il fenomeno quando si vedrà chi potrà succedergli". C'è poi un commento in cui si scrive che "gli italiani, per la prima volta da tanto tempo, sentono di avere un pilota al posto di guida. Un pilota, però, imbarazzante", perché "mescola pragmatismo e ingenuità, simpatia e istinto politico". E a chi dice che "il premier coltiva la volgarità nel paese di Dante e Michelangelo", il giornale sottolinea che "l'Italia di oggi non è più quella del Rinascimento". Per cui "Berlusconi fa sorridere, ma va preso sul serio. Dando al mondo l'Impero romano, il cattolicesimo, il Rinascimento e il fascismo l'Italia è stata spesso, nel bene e nel male, il laboratorio dell'Occidente".

L'australiano Canberra Times pubblica un lungo riepilogo della storia politica del premier e conclude così: "Un segno della gravità della situazione italiana può essere individuato nella convinzione di molti italiani che la mafia otterrà i contratti per la ricostruzione dell'Aquila. Possiamo aspettarci un autunno caldo in Italia, ma pochi segni di cambiamento a lunga scadenza nelle sorti del Paese".

(9 agosto 2009)


La paura a telecomando

Ora che il decreto sulla sicurezza è entrato in vigore siamo sicuramente più sicuri. Le ronde sono state, finalmente, istituzionalizzate. La clandestinità è reato. Tuttavia, la sicurezza si è affermata anche senza decreti.

Lo confermano i dati del Ministero dell'Interno. Nel 2008 il numero dei reati è sceso di otto punti percentuali rispetto all'anno prima. La riduzione riguarda tutti i tipi di delitti. Dalle rapine agli scippi ai furti. Resta il problema della percezione, che tanto preoccupa il centrodestra. Oggi che governa. Assai meno ieri, quand'era all'opposizione. Negli anni del governo guidato da Prodi, quando al Viminale c'era Amato, era legittimo avere paura. Anche se il calo dei reati è cominciato nella seconda metà del 2007. Ed è proseguito nel semestre successivo.

Andare troppo a fondo nell'analisi dell'evoluzione dei reati, però, potrebbe sollevare qualche dubbio. Sul fatto che la sicurezza in Italia costituisca un'emergenza. O almeno: un problema emergente. Nuovo. In fondo, risalendo al 1991, quasi vent'anni fa, si scopre che il peso dei reati è superiore a quello attuale: 4666 per 100mila abitanti, allora; 4520 oggi. In termini percentuali: lo 0,1 in più. Non molto, si dirà. Anche se, quando si tratta di reati, ogni frazione è rilevante. Tuttavia, la verità è che la variazione percentuale dei reati (negli ultimi dieci anni, almeno) ha un andamento ondivago. Ma segna una sostanziale continuità. Dal 4,2% sulla popolazione, nel 1999, si passa al 4,5% di oggi. Una variazione minima. Che, peraltro, conferma l'Italia come uno dei paesi più sicuri - o meno insicuri - d'Europa.

I cambiamenti più rilevanti, nello stesso periodo, riguardano, invece, la sfera delle percezioni. A fine anni novanta l'Italia era attanagliata dall'angoscia. Poi, nella prima metà del nuovo millennio si è rassicurata. Per cadere preda del terrore nei due anni seguenti. Fino a intraprendere di nuovo una strada più sicura, a partire dall'autunno del 2008. Come ha mostrato il II Rapporto Demos-Unipolis, presentato lo scorso novembre.

Un dato recente suggerisce, peraltro, che la tendenza non sia cambiata. Anzi. In occasione delle elezioni del 2008, infatti, il 21% degli elettori aveva indicato nella "lotta alla criminalità" il tema più importante ai fini della scelta di voto. Ma alle elezioni europee del 2009 questa componente si riduce sensibilmente: 12%. (Indagini post-elettorali condotte da LaPolis, Università di Urbino). Difficile vedere nel cambiamento del clima d'opinione solo - o principalmente - il riflesso della "realtà", come alcuni pretenderebbero. In fondo, l'aumento dei reati che, per quanto limitato, si verifica nel biennio 2004-2005, non accentua l'inquietudine sociale. Mentre negli anni seguenti la paura dilaga.

Un osservatore malizioso potrebbe, semmai, cogliere una costante politica, dietro ai mutamenti dell'opinione pubblica. Visto che, incidentalmente, l'insicurezza cresce quando governa il centrosinistra. E viceversa. Tuttavia, la relazione più significativa riguarda senza dubbio l'attenzione dedicata dai media. In particolare, dalla televisione. Anzi, sotto questo profilo, assistiamo davvero a una realtà - o forse a una fiction - profondamente nuova e diversa rispetto al passato.

Basta scorrere i dati del recentissimo report dell'Osservatorio di Pavia su "Sicurezza e media" (curato da Antonio Nizzoli) per rilevare la rapida eclissi (scomparsa?) della criminalità in tivù. Infatti, i telegiornali di prima serata delle 6 reti maggiori (Rai e Mediaset) dedicano agli episodi criminali ben 3500 servizi nel secondo semestre del 2007, poco più di 2500 nel secondo semestre del 2008 e meno di 2000 nel primo semestre di quest'anno. In altri termini: se i fatti criminali sono calati di 8 punti percentuali in un anno, le notizie su di essi, nello stesso periodo, sono diminuite di 20. Ma di 50 (cioè: si dimezzano) se si confronta il secondo semestre del 2007 con il primo del 2009. Più che un calo: un crollo. In gran parte determinato da due fonti. Tg1 e Tg5, che da soli raccolgono e concentrano oltre il 60% del pubblico. Le notizie relative ai reati proposte dal Tg1 in prima serata, dal secondo semestre del 2007 al primo semestre del 2009, si riducono: da oltre 600 a meno di 300. Cioè: si dimezzano. Insomma, per riprendere i propositi del nuovo direttore del Tg1 (poco responsabile di questo trend, visto che è in carica solo da giugno): niente gossip; ma neppure nera. Solo bianca. Tuttavia, è nel Tg5 che il calo di attenzione in tal senso assume proporzioni spettacolari. Il numero di servizi dedicato a episodi criminali, infatti, era di 900 nel secondo semestre del 2007. Nel primo semestre del 2009 scende a 400. Insomma, la criminalità si riduce un po' nella percezione sociale e sensibilmente nell'opinione pubblica. Ma nella piattaforma televisiva unica di Raiset - o Mediarai - quasi svanisce. E chi non si rassegna (come Canale 3 - pardon: Tg3) viene redarguito apertamente dal premier. Il quale, tuttavia, non ha motivo di avere paura. Se - come ha recitato tempo addietro - l'unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura. E la paura erompe soprattutto dalla televisione. In questo paese dove il confine tra realtà reale e mediale è sempre più sottile. Allora il premier non ha nulla da temere. Ronda o non ronda. Ronda su ronda. La paura scompare insieme alla criminalità. Oppure riappare. A (tele) comando.

(9 agosto 2009)
 
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