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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 1/9/2009, 18:56




Danzica, le celebrazioni dell'inizio del conflitto mondiale. Il mea culpa della Germania
"La trasformazione pacifica dell'Europa dal 1939 ad oggi è un 'miracolo'"
Seconda guerra, l'omaggio della Merkel
"Mi inchino ai 60 milioni di vittime"

Putin: "Riconosciamo gli errori ma l'Occidente faccia lo stesso"



BERLINO - "Io, cancelliera tedesca, m'inchino qui a danzica ai sessanta milioni di vittime della guerra e dell'Olocausto scatenati dalla Germania, le pagine più nere della storia d'Europa". Con un discorso importante, commosso, a tratti storico, Angela Merkel ha segnato forse più di ogni altro leader presente la solennità della cerimonia svoltasi oggi nella città polacca da dove, con l'attacco della Wehrmacht, della Reichskriegsmarine e degli Stuka della Luftwaffe iniziò settant'anni fa il secondo conflitto mondiale.

"Ogni patto concluso con Hitler allora fu immorale", ha detto l'altro ospite di maggior rango, il premier e uomo forte russo, Vladimir Putin. Ha respinto però ogni tentativo di definire il Patto Molotov-Ribbentrop (con cui Urss e Terzo Reich in sostanza si spartirono la Polonia) come unica causa della guerra, e ha ricordato l'enorme tributo di sangue dei sovietici alla disfatta dell'Asse. E'un tributo che non va dimenticato e non può essere cancellato, ha detto il premier liberal polacco Donald Tusk, auspicando come Putin un nuovo disgelo russo-polacco.

L'anniversario della grande tragedia ha dunque offerto l'occasione alle due grandi potenze alleate contro la Polonia e poi nemiche allora, cioè Germania e Russia, e alla stessa nuova Polonia (il più dinamico, popoloso, prospero e stabile tra i nuovi membri centro-orientali della Ue e della Nato) di fare i conti con la Storia per guardare avanti e cercare un futuro di distensione e intese. Appoggiati a distanza dall'America di Obama, che non dà più al progetto di miniscudo antimissile Usa in territorio polacco e cèco l'importanza che gli conferiva Bush, e così placa i timori di Mosca.

"Aggredendo la Polonia la Germania scrisse il capitolo più buio della Storia europea", ha detto Angrla Merkel, "io m'inchino alle vittime della Germania, ai sessanta milioni e oltre di morti per la guerra e l'Olocausto, la Germania allora causò al mondo anni di dolori incommensurabili, anni i perdita di diritti e umiliazioni. Non ci sono parole che possano descrivere il dolore delle vittime della guerra e dell'Olocausto attuati dalla Germania, io cancelliera tedesca qui a Danzica m'inchino a tutti i polacchi cui causammo dolore indicibile".

Merkel ha in un certo modo fatto il bis nel dopo-guerra fredda dello storico inchino con cui a Varsavia il cancelliere della pace, il socialdemocratico Willy Brandt, avviò la distensione est-ovest e tra Germania e Polonia e Germania e vittime della Shoah. Né Kohl né Schroeder avevano pronunciato discorsi così decisi come quello di 'Angie', la quale ha anche lodato il ruolo chiave della rivoluzione democratica di Solidarnosc, che nel 1989 portò in tutto l'Est la libertà. "I tedeschi non lo dimenticheranno mai", ha sottolineato alludendo alla caduta del Muro di Berlino.

Putin ha ammesso che la Russia ha commesso errori, ha definito immorali tutti i trattati conclusi allora dalle potenze con Hitler, ma quindi anche l'accordo di Monaco del '38 tra Londra, Parigi e Berlino. Non per questo si può riscrivere la Storia, ha aggiunto. Ha auspicato una nuova èra con la Polonia, "liberiamoci dai fardelli del passato". Lo stesso auspicio lo ha espresso Donald Tusk, l'uomo che vincendo le elezioni nel 2007 a Varsavia ha spodestato la coalizione nazionalpopulista omofoba ed euroscettica dei gemelli Kaczynski rilanciando il ruolo pilota europeo e globale del suo paese.

(1 settembre 2009)


Il vicepresidente del Lingotto parla per la prima volta dall'apertura dell'indagine fiscale
"Troppe strumentalizzazioni e manipolazioni, queste vicende non si affrontano sui media"
Agnelli, John Elkann replica agli attacchi:
"Sono indignato, su mio nonno solo falsità"




ROMA - John Elkann, presidente Exor e vicepresidente di Fiat, parlando delle polemiche di questa estate sull'eredità dell'Avvocato e sull'indagine fiscale, si dice indignato. Stanco di leggere le critiche a Gianni Agnelli, parla per la prima volta da quando la stampa ha iniziato a occuparsi degli affari di famiglia, dopo l'apertura dell'inchiesta fiscale da parte dell'Agenzia delle entrate.

Per settimane ha letto articoli, molti pubblicati da Il Giornale, in cui si parlava dell'Avvocato come del "vero peccatore". "Sono indignato, e mi rendo conto di non essere l'unico, per le strumentalizzazioni e manipolazioni e per la violenza delle parole e delle falsità su mio nonno Gianni Agnelli", dice oggi a margine dell'inaugurazione della scuola di "Alta formazione al management" a Torino. "Tutte queste vicende - continua - vanno affrontate nelle sedi adeguate e non sui media". E a chi gli chiedeva se ci sia stata qualche ripercussione sulla Fiat, il vicepresidente del Lingotto risponde fermo "nessuna ripercussione sulla Fiat, a noi spetta il futuro".

All'inaugurazione erano presenti anche i legali Gianluigi Gabetti (presidente d'onore di Exor), e Franzo Grande Stevens, che insieme a Sigfried Maron e a Marella Caracciolo sono i soggetti a cui è stata indirizzata l'azione legale avviata nel 2007 da Margherita De Phalen.

Anche Gabetti prende la parola per sottolineare come John Elkann "non abbia bisogno dei miei consigli, la sua posizione di potere non è in discussione, è il leader del gruppo e lo resterà. La famiglia è unita". "Continuano a ripetere come un disco rotto - ha aggiunto Gabetti - tante cose già smentite e precisate, hanno scelto di portarci in tribunale e qui ci difenderemo". A chi gli chiedeva, poi, se, come ipotizzato da organi di stampa, l'inchiesta fiscale possa avere ripercussioni sull'Exor, Gabetti ha risposto "escludo assolutamente che ci possano essere ricadute sulle società".
(1 settembre 2009)


L'ANALISI
Il vecchio sogno del Cavaliere:
indebolire gli Agnelli

Dietro le polemiche fiscali e l'improbabile annuncio di indagini sui capitali esteri c'è un disegno di antica data





L'indignazione di John Elkann è un passo meditato a lungo, reso inevitabile dall'insinuazione che, in realtà, alla guida della Famiglia sia in corso un feroce scontro per la leadership. Insinuazione che compariva qualche giorno fa sugli organi di informazione di area governativa. Per questo, subito dopo la breve dichiarazione del nipote dell'Avvocato, è intervenuto immediatamente Gianluigi Gabetti a precisare che "il leader è John Elkann, lo è oggi e lo sarà in futuro".

L'idea di indebolire gli Agnelli è uno dei sogni ricorrenti dei circoli della provincia lombarda vicini al Cavaliere. Antiche invidie e rivalità che riemergono ciclicamente di pari passo con l'idea del complotto dei salotti buoni della finanza contro il parvenu di Arcore. Ecco dunque l'irrituale annuncio preventivo degli uomini di Tremonti che nelle settimane scorse hanno avvisato di aver avviato un'indagine sui beni esteri degli Agnelli. L'esistenza di quei beni è nota e documentata da almeno quindici anni senza che nessun ministro dei vari governi Berlusconi abbia mai sentito il dovere di metterci il naso. E oggi, trascorsi i decenni, sarà molto difficile per il fisco recuperare qualcosa. Ma l'operazione è puramente mediatica e serve a creare i presupposti per applicare la vecchia logica del "mal comune mezzo gaudio", assolvendo contemporaneamente i pasticci di Berlusconi con le sue società off-shore. Utilizzando insomma in campo finanziario la medesima strategia che si tenta di applicare nella battaglia intorno al letto grande dell'amico Putin. Il paradosso è che nessun detective serio annuncia con gran pompa l'inizio di un'indagine fiscale sui paradisi esteri in un mondo che sposta i capitali alla velocità della luce. In tutto questo la lite ereditaria che oppone Margherita Agnelli a Gabetti e Grande Stevens è solo un pretesto. Anche perché, ecco il secondo paradosso, a differenza dei commentatori del centrodestra, Margherita Agnelli, figlia dell'Avvocato e madre di John, non ha mai messo in discussione la leadership del figlio nella famiglia e ai vertici della Fiat.
(1 settembre 2009) Tutti gli articoli di politica


Il Mundo sulle adesioni all'appello dei giuristi sulla libertà di espressione
e molti giornali stranieri notano: il premier italiano unico leader Ue in Libia
Stampa estera: "Quelle firme
nuovo fronte contro Berlusconi"



LONDRA - La stampa internazionale di oggi si occupa di Silvio Berlusconi principalmente nell'ambito dei servizi sulla Libia e sul quarantennale del colpo di stato che portò al potere il colonnello Gheddafi. Molti quotidiani europei, dal francese Liberation allo spagnolo La Vanguardia, da Le Figaro a El Mundo, dal britannico Guardian a le Monde, rilevano il fatto che il solo leader dell'Unione Europea che abbia visitato Tripoli in questi giorni è stato il primo ministro italiano, sebbene facendovi solo una breve tappa e lasciando la capitale libica prima dell'inizio dei festeggiamenti veri e propri per l'anniversario.

"Berlusconi è andato più lontano degli altri" sul tappeto rosso della diplomazia col colonnello, scrive ad esempio Liberation; e La Vanguardia lo definisce "un fedele alleato" di Gheddafi.

Un altro aspetto del caso creatosi attorno al presidente del Consiglio è sottolineato dal quotidiano spagnolo El Mundo, che titola "Più di 140 mila firme contro le azioni legali di Berlusconi", ovvero contro la denuncia per diffamazione nei confronti di "Repubblica" e di vari giornali stranieri. Il Mundo nota che la raccolta di firme rappresenta "un nuovo fronte" contro il premier e che fra coloro che hanno aderito a questa iniziativa "in difesa della libertà di stampa" ci sono personalità della cultura e dello spettacolo come Bernardo Bertolucci, Roberto Benigni, Adriano Celentano, Umberto Eco e Dario Fo.

Uno dei quotidiani nel mirino delle azioni legali di Berlusconi, El Pais, denunciato per la pubblicazione delle foto sui party che si tenevano nella villa del primo ministro in Sardegna, oggi dedica un ampio servizio alle relazioni tra il leader del Pdl e la Chiesa cattolica, alla luce delle polemiche scatenate dalle critiche al comportamento privato del premier da parte di alcun organi di stampa cattolici come l'Avvenire e Famiglia Cristiana e dall'attacco lanciato dal Giornale di Feltri contro il direttore dell'Avvenire, risultato nella cancellazione del previsto incontro all'Aquila tra Berlusconi e il segretario di stato vaticano, cardinale Bertone. "Comunione e prostituzione" è il titolo del lungo articolo del Pais, che rifà la storia dei rapporti tra Berlusconi e la chiesa cattolica a partire dal suo ingresso in politica.

Delle "tensioni" col Vaticano si occupa anche un altro giornale spagnolo, El Periodico Mediterraneo, riferendo il commento di monsignor Domenico Mogavero, responsabile dei vescovi per le questioni giuridiche, riguardo all'attacco del Giornale, "quotidiano di famiglia di Berlusconi", contro il direttore dell'Avvenire: "Come siciliano, direi che si tratta di un avvertimento mafioso".

(1 settembre 2009)
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 3/9/2009, 17:23




Il quotidiano di via NEgri: «Feltri ha vinto». In 10 punti le verità del direttore dimissionario
Boffo dà le dimissioni, Bagnasco le accetta
Non sarà più direttore di «Avvenire». La decisione al termine dei durissimi attacchi da parte del «Giornale»

MILANO - Il direttore di Avvenire Dino Boffo si è dimesso con una lettera (leggi) inviata al cardinal Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana. Boffo era stato oggetto di duri attacchi da parte de Il Giornale, quotidiano edito dal fratello del premier Paolo Berlusconi, e proprio sull'Avvenire di giovedì aveva pubblicato un dossier con le «dieci verità» che, nelle intenzioni, dovrebbero smontare tutti i punti della campagna avviata contro di lui da Vittorio Feltri. «Le dimissioni sono l'amaro e sconcertante esito del plateale e ripugnante attacco mediatico a cui Boffo e il nostro quotidiano sono sottoposti da giorni» ha spiegato il Comitato di redazione del giornale della Cei, annunciando per il pomeriggio un'assemblea dei redattori e confermando la propria volontà di proseguire il lavoro senza piegarsi alle intimidazioni.

«LA MIA VITA VIOLENTATA» - «Non posso accettare che sul mio nome si sviluppi ancora per giorni e giorni una guerra di parole che sconvolge la mia famiglia e soprattutto trova sempre più attoniti gli italiani» ha scritto Boffo nella lettera a Bagnasco, presidente della Cei, nella quale presenta le dimissioni «irrevocabili» e «con effetto immediato» sia da Avvenire che dalla tv dei vescovi Tv2000 e da Radio Inblu. «La mia vita e quella della mia famiglia, le mie redazioni, sono state violentate con una volontà dissacratoria che non immaginavo potesse esistere» ha scritto ancora Boffo nella lettera al card. Angelo Bagnasco.

«FEROCIA SMISURATA» - «L'attacco smisurato, capzioso, irritualmente feroce che è stato sferrato contro di me dal quotidiano Il Giornale guidato da Feltri e Sallusti, e subito spalleggiato da Libero e dal Tempo - ha scritto ancora Boffo nella lettera di accompagnamento delle dimissioni -, non ha alcuna plausibile, ragionevole, civile motivazione: un opaco blocco di potere laicista si è mosso contro chi il potere, come loro lo intendono, non ce l'ha oggi e non l'avrà domani». «Se si fa così con i giornalisti indipendenti, onesti e per quanto possibile, nella dialettica del giudizio, collaborativi - ha aggiunto - , quale futuro di libertà e responsabilità ci potrà mai essere per la nostra informazione? Quando si andranno a rileggere i due editoriali firmati da due miei colleghi, il "pro" e "contro" di altri due di essi, e le mie tre risposte ad altrettante lettere che Avvenire ha dedicato durante l'estate alle vicende personali di Silvio Berlusconi, apparirà ancora più chiaramente l'irragionevolezza e l'autolesionismo di questo attacco sconsiderato e barbarico».


Il riferimento alla «vittoria» di Feltri nell'articolo del Giornale.it
«FELTRI HA VINTO» - Le dimissioni sono poi state accettate dal numero uno della Cei. Nel dare la notizia delle dimissioni, Il Giornale, attraverso il proprio sito web, ha parole di esultanza: «Vittorio Feltri vince la sua prima "battaglia" da quando ha preso le redini del quotidiano di via Negri», si legge nell'articolo sulle dimissioni di Boffo. Lo stesso Feltri, però, interpellato dalle agenzie di stampa, ha poi detto che quello dell'abbandono di Boffo non era un obiettivo premeditato: «Non ci pensavo minimamente mentre lavoravamo su questa vicenda».

IL SITO DI AVVENIRE - «Si è dimesso il direttore Boffo: "scelta serena e lucida"» è il titolo di prima pagina che campeggia invece sul sito di Avvenire, tornato a essere funzionante nel tardo pomeriggio dopo qualche ora di interruzione in seguito ai numerosi accessi degli utenti.

LA CEI: «INQUALIFICABILE ATTACCO» - Dal canto suo, invece, il cardinale Angelo Bagnasco, prende atto, con rammarico delle dimissioni e rinnova a Boffo «l'inalterata stima per la sua persona, oggetto di un inqualificabile attacco mediatico». Il numero uno della Cei - si legge in un comunicato - «nel confermare a Dino Boffo, personalmente e a nome dell'intero episcopato, profonda gratitudine per l'impegno profuso in molti anni con competenza, rigore e passione, nel compimento di un incarico tanto prezioso per la vita della Chiesa e della società italiana, esprime l'inalterata stima per la sua persona, oggetto di un inqualificabile attacco mediatico». «No comment», invece, dalla sala stampa della Santa Sede. Interpellato, padre Federico Lombardi dichiara di non voler fare commenti. Anche la Conferenza episcopale italiana riferisce di non voler aggiungere altro rispetto alla nota diffusa.

IL GIP - «Ho solo fatto il mio dovere per fare chiarezza, per quanto possibile, dopo avere letto delle cose non corrette da un punto di vista tecnico. Tutto qui» ha detto il gip di Terni Pierluigi Panariello, commentando la notizia della lettera di dimissioni di Dino Boffo nella quale il giornalista ha ringraziato pubblicamente il ministro dell'Interno Roberto Maroni e i magistrati di Terni. Il giudice non ha però voluto commentare in alcun modo la scelta del direttore di Avvenire.



03 settembre 2009



Dopo l'attacco di Berlusconi. ma frattini insiste: «E' giusto che parlino solo i politici»
Barroso: «I portavoce Ue hanno
la mia fiducia. Sono fiero di loro»

«Ci sono talvolta persone che non capiscono un'istituzione originale come la Commissione europea»


BRUXELLES - Il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, si è detto «molto fiero» del servizio dei portavoce della Commissione Ue, sottolineando che hanno «tutti la mia fiducia e il mio appoggio. Ci sono talvolta persone che non capiscono un'istituzione originale come la Commissione europea», ha aggiunto rispondendo a una domanda diretta sulle critiche di Silvio Berlusconi alla comunicazione della Commissione Ue.

POLEMICHE - Barroso ha in pratica accolto l'invito rivoltogli due giorni fa da Martin Schulz, presidente dei socialisti e dei democratici all'Europarlamento, che aveva chiesto un suo intervento (e quello della presidenza di turno svedese dell'Ue) dopo le parole di Berlusconi, il quale aveva minacciato «di bloccare tutto» se i portavoce dei commissari europei avessero continuato a intervenire pubblicamente, come per la richiesta di «chiarimenti» all'Italia dopo il respingimento in Libia di immigrati eritrei e somali che avrebbero avuto il diritto di chiedere asilo politico. Il presidente del Consiglio aveva chiesto che fosse solo Barroso autorizzato a parlare a nome dell'Ue.

CASO - Il caso sembrava archiviato, ma mercoledì il commissario agli Affari economici e monetari Joaquin Almunia aveva chiesto scherzosamente (ma non troppo) a chi doveva chiedere il permesso per parlare. Barroso ha spiegato di non ritenere che ci sia altra istituzione che «si metta ogni giorno a incontrare la stampa per riferire sulle questioni più varie, tecniche o politiche. Farò sempre in modo di comunicare lealmente con le altre istituzioni europee e con i governi democraticamente eletti dai loro cittadini», ha aggiunto. Barroso ha rivendicato il diritto-dovere dei portavoce di parlare e si è detto «intransigente difensore» della Ue.

FRATTINI - Ma le parole di Barroso non hanno convinto il ministro degli Esteri Franco Frattini che così replica al presidente della Commissione europea: «Se la Commissione Europea è un organo politico è giusto che parlino i politici, non i portavoce. Barroso ha detto cose ovvie, che è fiero ed ha fiducia nei propri portavoce, ci mancherebbe altro»».


03 settembre 2009



bce lascia i tassi all'1%. trichet: contrazione dell'attività economica nell'Eurozona è finita
Ocse: ripresa prima del previsto, ma sarà lenta. Nel 2009 Pil italiano a -5,2%
Segnali di rallentamento della caduta dell'economia anche per il nostro Paese: la stima di giugno era -5,5%


MILANO - La recessione mostra i primi segni di rallentamento: il Pil delle principali economie mondiali (G7) dovrebbe scendere quest'anno del 3,7%. Lo prevede l'Ocse rivedendo la stima di giugno (-4,1%). Segnali di rallentamento della caduta dell'economia arrivano anche per l'Italia. Per il 2009 l'Ocse stima una diminuzione del prodotto interno lordo del 5,2%, a fronte del -5,5% stimato in giugno.

LE ALTRE ECONOMIE - Migliorano anche le stime sul Pil di Giappone (da un -6,8% a un -5,6%), Germania (da un -6,1% a un -4,8%), Francia (da un -3% a un -2,1%) e Canada (da un -2,6% a un -2,5%). Confermata invece la previsione che vede l'economia Usa contrarsi del 2,8%. Peggiorano invece le stime sulla Gran Bretagna, il cui Pil è visto in calo del 4,7%, una flessione maggiore del -4,3% calcolato a giugno. L'economia dell'eurozona, infine, è stimata in contrazione del 3,9%, contro il -4,8% della rilevazione precedente.

POLITICHE DI STIMOLO - Secondo l'Ocse i governi «debbono continuare nei piani di stimolo» alle economie dato che «la crescita della disoccupazione e la debolezza del mercato immobiliare continuano a comprimere i consumi». Nelle ultime settimane «abbiamo visto una serie di buone notizie» per il quadro economico globale e «la ripresa sembra a portata di mano», tuttavia, si legge nella nota «diversi fattori frenanti implicano che per un certo periodo di tempo la ripresa sarà lenta».

BCE - Intanto la Banca centrale europea ha lasciato i tassi d'interesse invariati, come atteso dai mercati. Lo ha deciso il Consiglio direttivo dell'Eurotower, che ha mantenuto il tasso di riferimento principale all'1%.
Gli economisti della Banca centrale europea hanno anche migliorato le loro previsioni trimestrali sulla crescita del prodotto interno lordo di Eurolandia. Per il 2009 si aspettano ora un tasso compreso fra -4,4 e -3,8%, per il 2010 fra -0,5% e +0,9%. Le «staff projections» di giugno indicavano per il 2009 una forchetta compresa fra -5,1 e -4,1%, per il 2010 -1% e +0,4%.
Gli economisti della Banca centrale europea hanno pure rialzato le loro previsioni trimestrali sull'inflazione di Eurolandia. Per il 2009 si aspettano ora un tasso compreso fra +0,2 e +0,6%, per il 2010 fra +0,8% e +1,6%­mentre le «staff projections» di giugno indicavano per il 2009 un'inflazione compresa fra +0,1% e +0,5%, per il 2010 fra +0,6% e +1,4%.
«Vi sono segnali crescenti di stabilizzazione dell'economia di Eurolandia» ha detto il presidente della Bce Jean-Claude Trichet per il quale «la contrazione dell'attività economica nell'Eurozona è finita, ma la ripresa sarà molto graduale».




03 settembre 2009



a napoli test su sei persone
Influenza A :il giovane ricoverato
a Monza sta sconfiggendo il virus

Il primario della rianimazione: «Un test è risultato negativo ma ne serve un altro di conferma»


MILANO - Potrebbe avere sconfitto il virus H1N1 il giovane 24enne di Parma ricoverato all'ospedale San Gerardo di Monza per insufficienza respiratoria grave causata dalla nuova influenza A. «Un campione del paziente è risultato negativo al virus», ha spiegato Roberto Fumagalli, primario di anestesia e rianimazione dell'ospedale brianzolo. Tuttavia serve prudenza, precisa l'esperto. «Per essere certi della negativizzazione, cioè per poter dire con sicurezza che il giovane ha sconfitto il virus -sottolinea- abbiamo bisogno di un'altra risposta di laboratorio, che dovrebbe arrivarci domani». È comunque «ragionevole» aspettarci che il paziente abbia ormai debellato l'H1N1, anche se «preferiamo aspettare». Per il resto, anticipa Fumagalli, le condizioni del giovane rimangono «stabili.

A NAPOLI TEST SU ALTRE SEI PERSONE - Sono invece critiche ma stazionarie le condizioni di G.D., l'uomo di 51 anni, ricoverato da due giorni nell'ospedale Cotugno di Napoli dove si trova nel reparto di Rianimazione dopo aver contratto il virus H1N1. Secondo quanto affermano fonti sanitarie, il paziente non è affetto da complicanze indotte direttamente dal virus A/H1N1 ma l'influenza è sopraggiunta in un fisico «già debilitato». Secondo l'assessore regionale alla Sanità della Campania, Mario Santangelo, «forse anche una comune influenza avrebbe prodotto le stesse conseguenze».
Sei sono invece i casi sospetti sui quali si stanno conducendo accertamenti. Nel bilancio tracciato oggi, confermati i due casi già in precedenza accertati di due giovani, uno di 23 anni di Napoli ed un altro di 27 anni, di Cava dei Tirreni (Salerno), ma le loro condizioni non destano preoccupazioni.


oderzo - si chiamava giuliana, la vittima. La famiglia vive a ponte di piave. l'altro dramma - nel lago di bior - trentino - e' annegato un 69enne di schio
Sfugge alla madre vicino al Monticano
Bambina di due anni annega nel fiume

Dopo cena mamma e figlia erano in piazzale Rizzo per un gelato.

ODERZO (Treviso) - Una bimba di due anni e mezzo è sfuggita al controllo della madre, è caduta nel fiume Monticano ed è annegata. È successo nella tarda serata di ieri a Oderzo e il corpo della piccola Giuliana Favaro di Ponte Di Piave - due anni compiuti a marzo - è stato recuperato dai vigili del fuoco dopo due ore di disperate ricerche.

Dopo cena, la bimba era andata con la mamma a Oderzo, in Piazzale Rizzo, per mangiare un gelato, ma improvvisamente la piccola è sfuggita al controllo ed è sparita. La mamma l’ha cercata dappertutto poi, sempre più angosciata, ha dato l’allarme alle forze dell’ordine. Sono intervenuti i carabinieri di Oderzo, ai quali si sono uniti

Scorci sul luogo del dramma (Antenna Tre)

nelle ricerche anche i colleghi dei paesi vicini, e i vigili del fuoco nel timore che la bambina potesse essere scivolata nell’affluente del Monticano che scorre lì vicino. L’ipotesi si è rivelata purtroppo fondata e poco dopo mezzanotte i vigili del fuoco hanno recuperato dall’acqua il corpo della piccola vicino all’argine sinistro del fiume.

E per annegamento è morto - nel lago di Bior, Trentino - il 69enne di Schio Mariano Rudella. Il corpo dell'uomo è stato segnalato mercoledì ai carabinieri da un pescatore, ma la notizia è stata diffusa oggi, e il decesso sembra risalga a circa 24 ore prima, cioè all’ora di pranzo di martedì. I primi riscontri sul corpo fanno pensare ad un incidente: Rudella sarebbe scivolato in acqua per un malessere o per una disattenzione. I carabinieri escludono che sia stato gettato in acqua. L’uomo in passato si era recato spesso in villeggiatura nella vicina Andalo e martedì era appena arrivato in paese.





Christian Poveda aveva 54 anni
El Salvador: ucciso fotografo francese, stava facendo un video sulle «maras»
Le feroci gang centroamericane. Freddato con un colpo di pistola alla testa


SAN SALVADOR - Il fotoreporter francese Christian Poveda è stato trovato in un'auto nel Salvador ucciso con un colpo di pistola alla testa. Lo ha riferito oggi la polizia locale. Il giornalista 54enne aveva da poco realizzato un documentario sulla guerra tra le «maras», le feroci gang dedite al traffico di droga e alle estorsioni che infestano il Salvador e altri Paesi dell'America centrale.

MARAS - La polizia salvadoreña ha riferito che il corpo di Poveda è stato rinvenuto a Tonacatepeque, una zona rurale a nord della capitale. Il ministro della Sicurezza pubblica, Manuel Melgar, ha deplorato quello che ha definito «un atto criminale ripugnante» e ha affermato che la polizia lavorerà senza sosta per catturare gli assassini di Poveda. Poveda viveva nel Salvador e aveva recentemente realizzato La vida loca, un documentario sulla vita dei membri della mara «La 18», la cui uscita è programmata in Francia per il 30 settembre. Il lavoro di Poveda aveva avuto molto rilievo tra gli organi d'informazione del Salvador. Il documentario, che mostra la vita delle maras, è anche molto critico con la polizia locale che agisce pesantemente contro le gang. Descrive inoltre le condizioni economiche del Salvador che conducono i giovani verso il crimine. Poveda dice che le «maras portano il terrore», ma allo stesso tempo afferma che i giovani membri delle gang riescono a interpretare il malessere della vita nel Paese centroamericano. «Dobbiamo capire perché ragazzini di 12-13 anni entrano in una mara e danno la vita per essa», ha detto il fotoreporter in una recente intervista al quotidiano online salvadoreño El Faro.


CARRIERA - Poveda era per la prima volta giunto nel Salvador come fotografo per Time. Ha lavorato inoltre per giornali come El Pais, Le Monde, New York Times, Paris Match e Stern seguendo le guerre in Iran, Iraq, Libano e in altre nazioni. Dagli anni Novanta si dedicò ai documentari e in particolare alle gang del Salvador. Nel Paese ci sono oltre 16 mila aderenti alle maras, nate quando molti salvadoreñi sono tornati in patria espulsi dagli Usa dopo aver passato anni nelle prigioni statunitensi. El Salvador ha il più alto tasso di omicidi di tutta l'America Latina.


03 settembre 2009



L’intervista Il ministro degli Esteri: ho telefonato al direttore di Avvenire il primo giorno. Ma il premier non è il mandante dell’attacco
«Alla Lega né Lombardia né Veneto Sul fine vita no a leggi da Stato etico»
Frattini: voto agli immigrati? Sto con Fini, chi paga le tasse sia rappresentato
Ministro Frattini, al di là delle espressioni diplomatiche sui «rapporti eccellenti », come sono davvero le relazioni tra governo e Vaticano, e tra governo e Chiesa italiana?

«Nella sostanza, c’è una costante condivisione di valori tra il governo di centrodestra e la Santa Sede: vita, famiglia, equilibrio tra rigore e accoglienza sull’immigrazione. Io stesso mi sono sentito costretto a intervenire, quando la Lega è passata da un eccesso all’altro: prima espressioni fuori luogo, come quelle sugli 'esponenti religiosi cattocomunisti che hanno perso il catto e restano comunisti'; poi la rivendicazione di essere 'custode dei valori cristiani'. Fu il governo Berlusconi, con me alla Farnesina, a battersi per inserire nella Costituzione europea le radici cristiane. Non mi sento di non essere garante e custode delle radici cristiane, almeno quanto la Lega».

Sull’attacco a Boffo che idea si è fatto?

«Ho telefonato al direttore di Avvenire il giorno stesso. Il rispetto per la privacy e la dignità deve valere per tutti, anche per i personaggi pubblici. Respingo però le strumentalizzazioni politiche della sinistra, che usa la vicenda come se Berlusconi ne fosse il mandante. Invece il presidente ha spiegato in pubblico, e in privato, di non aver incoraggiato e neppure parlato con Feltri».

Resta una tensione innegabile.

«Ma prima il direttore dell’ Osservatore Romano e poi il cardinal Bertone hanno ribadito la sintonia tra il governo e la Santa Sede. Quanto alla possibilità che all’interno del sistema dei poteri vaticani si sia aperto un contrasto, se il Santo Padre dice che questo non è, non è».

Ora si teme che la maggioranza, per recuperare i rapporti con il Vaticano, sia arrendevole sui temi dell’autunno, dalla legge sul fine vita alla scuola privata.

«Comprendo questa preoccupazione. È necessario darle risposta, discutendo nelle sedi in cui il Pdl discute. Il vicepresidente dei senatori, Quagliariello, in queste ore affronta il tema dei valori con monsignor Fisichella. La prossima settimana, al seminario del Pdl a Gubbio, mi farò portatore di un’iniziativa. Berlusconi ci ha lasciato libertà di coscienza. Il Pdl colga l’occasione per elaborare le sue idee, avanzare le sue proposte, come ha fatto la Lega sui dialetti. Parliamo anche noi al nostro elettorato, alimentiamo il dibattito politico. In questo modo il partito rafforzerebbe il governo».

Fini tenterà di cambiare la legge sul fine vita approvata dal Senato. Lei che ne pensa?

«Penso che il testo del Senato possa essere migliorato. Io sono per la tutela della vita senza se e senza ma. Ma lo stesso risultato può essere raggiunto ripulendo aspetti normativistici e procedurali. Una tema così delicato come la vita e la morte non può essere affidato per intero allo Stato. Uno dei valori dell’insegnamento della Chiesa è la rilevanza della società. Credo sia possibile depotenziare alcuni aspetti statualistici della legge».

Sino a rimuovere il divieto di sospendere l’idratazione?

«Nella sostanza, non ho dubbi che acqua e cibo non siano una cura, ma un modo per dare la vita. Una cosa però è la sostanza, un’altra la regolazione delle forme e delle procedure: stabilire con una legge come si debba fare evoca lo Stato etico e mi lascia qualche perplessità. È proprio quest’allergia alla statualità e all’iperregolazione a spiegare che uomini come Sacconi e come me, di cultura riformista, siano sensibili a queste istanze più di uomini che vengono dalla Dc».

E sui finanziamenti alle scuole private?

«L’anno scorso la Gelmini si batté come una leonessa, ma si fece poco e tardi; per Tremonti la blindatura dei conti era la priorità. Quest’anno credo che il sacrificio finanziario vada tentato».

Dalla Dc viene Rotondi, che con Brunetta propone di riconoscere i diritti delle coppie di fatto. Un binario morto della legislatura?

«Credo di sì. Perché verrebbe colorito con un segno anticristiano e anti-Santa Sede, e come tale cavalcato a torto dai laicisti. Piuttosto reagiamo con più forza, come facciamo con gli scafisti, agli attacchi contro gli omosessuali. Stabiliamo un’aggravante per i delitti a fini omofobici, dai petardi alle coltellate. Se aggredisco qualcuno perché gay sarò punito più severamente » .

Fini è isolato dentro il Pdl?

«Fini non si è isolato. Rivendica il ruolo di presidente della Camera. Il suo predecessore Bertinotti ha fatto molto di peggio. Fini e la sua fondazione Farefuturo arricchiscono il dibattito nel Pdl. Ricordiamoci che, quando infuriava il gossip contro Berlusconi, Fini reagì con lealtà».

È d’accordo sul voto amministrativo agli immigrati?

«Chi paga le tasse, chi parla l’italiano, chi rispetta la Costituzione e la bandiera, deve avere il diritto di rappresentanza. Notaxation without representation ; come possiamo riscuotere tasse, se non riconosciamo a chi le paga il diritto di essere rappresentato? Il Pdl deve lavorare in modo organico su un’integrazione non solo securitaria. Purtroppo, temo che se oggi sottoponessimo a un esame la conoscenza della lingua e della Costituzione degli extracomunitari che sono in Italia anche da più di cinque anni, non molti lo passerebbero. Ma se ci sono uomini e donne che amano l’Italia, perché dobbiamo considerarli stranieri? Con tutti gli italiani che non amano il loro Paese...».

A chi si riferisce?

«A chi, per attaccare il capo del governo, infanga l’Italia all’estero presentandola come un Paese di corrotti e offuscatori della libertà di espressione».

Neppure la Lega ha dato grandi prove di patriottismo.

«La Lega è sempre stata un alleato fedele. Magari alza la voce, ma poi vota con il governo; è accaduto anche sulla missione in Afghanistan. Se poi la Lega si cala nel territorio, monta i gazebo, va davanti alle scuole e ai cancelli delle fabbriche, noi non dobbiamo criticarla, ma accettare la sfida».

Tra sette mesi si vota: la Lega chiede tre Regioni.

«Ha titolo negoziale per rivendicarle. Ma non può avere la Lombardia, dove Formigoni come coprotagonista della vittoria per l’Expo 2015 non potrà essere estromesso. Né il Veneto, dove la Lega è già talmente rappresentata in Province e Comuni che non vale la pena vanificare l’accordo con l’Udc, che si può fare su Galan. Il Piemonte è un altro discorso».

Il rilancio del Pdl passa anche dal coordinatoreunico?

«Il triumvirato è nel nostro statuto, ma come soluzione provvisoria. Ha funzionato per evitare una fusione a freddo. Però va considerato appunto una soluzione provvisoria » .

Meno peggio Bersani o Franceschini?

«Ho una certa considerazione personale per Bersani, che ha commesso gravi errori politici, ma ha un’immagine. Franceschini non ha fatto altro che cavalcare l’antiberlusconismo più estremo».

I giornali riferiscono voci su D’Alema «mister Pesc», in pratica ministro degli Esteri dell’Unione europea.

«Una cosa che non sta né in cielo né in terra. E credo che D’Alema lo sappia».

Marcello Dell’Utri, in un’intervista a Paola Di Caro del «Corriere», ha riferito che Berlusconi la predilige perché «a Frattini dici una cosa il mattino, e la sera l’ha fatta». Lo accolse come un complimento?

«Fui felice di leggerlo. Se la persona con cui collaboro mi dice di fare una cosa, la faccio. Se ritengo vada fatta in modo diverso, lo dico».

E Berlusconi accetta di essere contraddetto?

«Se gli spiego il motivo, sì. Io non sono nel gruppo della prima ora: Berlusconi mi trovò a Palazzo Chigi, dove avevo lavorato con Ciampi. All’evidenza, Berlusconi si è trovato bene, e io pure. Anche se gli do ancora del lei».



03 settembre 2009


Gheddafi vuole cancellare la Svizzera
"Chiederà all'Onu di separare i cantoni"

La denuncia di una parlamentare elvetica: il Colonnello farà la sua proposta alla prossima Assemblea delle Nazioni Unite
I rapporti tra i due Paesi sono in crisi profonda dopo l'arresto a Ginevra, un anno fa, di uno dei figli del leader libico



Il colonnello Gheddafi
GINEVRA - Smembrare la Svizzera tra Italia, Francia e Germania. E' la richiesta che farà il colonnello Gheddafi all'Onu durante la prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite che sarà convocata il prossimo 15 settembre sotto la presidenza della Libia.

Le intenzioni del presidente libico sono state rivelate alla televisione svizzero-tedesca dalla parlamentare elvetica e vice presidente della Commissione esteri, Christa Markwalder, citata dall'agenzia di stampa elvetica Ats. "Secondo gli intendimenti del colonnello - ha spiegato la parlamentare - la Svizzera italiana dovrebbe essere assegnata all'Italia, i cantoni francofoni alla Francia e la Svizzera tedesca alla Germania".

I rapporti tra Libia e Svizzera sono in crisi profonda da oltre un anno in seguito al breve arresto, a Ginevra nel luglio 2008, di uno dei figli del leader libico, Hannibal Gheddafi, e della moglie, accusati di maltrattamenti nei confronti di due domestici.

Malgrado le umilianti scuse recentemente pronunciate dal presidente svizzero Hans- Rudolf Merz, l'ira di Tripoli resta e non è la prima volta che Gheddafi suggerisce di far sparire la Svizzera dalle carte geografiche.

(3 settembre 2009)


Usa, 19 figli "per volere di Dio"
il record della famiglia Duggar

La signora Michelle è in dolce attesa per la diciannovesima volta e sta per diventare nonna
Tutti i nomi iniziano con la stessa lettera: in casa 200 lavatrici al mese e già usati 90mila pannolini


La famiglia Duggar
SPRINGDALE (Usa) - Il problema è ricordarne i nomi perché Michelle e Jim Bob Duggar hanno 18 figli e ora ne aspettano un altro. La coppia vive a Springdale, in Arkansas, e attende per marzo il diciannovesimo figlio mentre sta per festeggiare l'arrivo del primo nipote.

Il figlio maggiore Josh e sua moglie Anna, entrambi 21enni, avranno una bambina appena 9 mesi dopo la nascita di Jordyn-Grace. "Siamo davvero emozionati", ha raccontato al Daily Mail la 42enne Michelle. Entusiasta anche suo marito Jim Bob, 44 anni, imprenditore: "Proviamo davvero riconoscenza per ciascun bambino - dicono i due genitori - e non vediamo l'ora che nascano il nostro primo nipote e il nostro diciannovesimo figlio".

Josh non ha nascosto di sperare di seguire l'esempio di genitori e di avere molti figli, ma non ha chiarito se avranno tutti il nome con la stessa iniziale come lui e i suoi fratelli. Dopo Josh, infatti, in famiglia ci sono i gemelli Jana e John-David (19 anni), Jill (18), Jessa (16), Jinger (15), Joseph (14), Josiah (13), Joy-Anna (11), i gemelli Jedidiah e Jeremiah (10), Jason (9), James (8), Justin (6), Jackson (5), Johanna (3), Jennifer (2) e Jordyn-Grace (8 mesi).

Malgrado fosse rimasta incinta già diciotto volte, Michelle non ha nascosto che questa gravidanza è stata uno shock. I Duggar del resto spendono in media 1.250 dollari al mese in prodotti alimentari; sostengono inoltre di avere cambiato circa 90mila pannolini e di avere una media di 200 lavatrici al mese.

Come cristiani conservatori, i coniugi Duggar hanno deciso di "lasciar decidere a dio" quanti bambini avrebbero avuto. Adesso aderiscono a un movimento chiamato Quiverfull, i cui membri seguono alla lettera l'esortazione della bibbia a essere prolifici e riprodursi, e credere che ogni figlio sia il dono della provvidenza.
(2 settembre 2009)


Egitto, scoperto in una biblioteca
un frammento della Bibbia più antica

Il pezzo del Codex Sinaiticus era nascosto in un volume del 18° secolo custodito
nel monastero di Santa caterina sul Sinai ed è stato riconosciuto da un ricercatore greco

IL CAIRO - Uno studente greco, alle prese con le ricerche per il suo dottorato, ha scoperto in Egitto un frammento disperso della Bibbia più antica finora conosciuta. Il frammento del Codex Sinaiticus, il manoscritto considerato la Bibbia più antica ancora esistente, è stato trovato al monastero di Santa Caterina sul Sinai, in Egitto, uno dei luoghi dove le pergamene del manoscritto del IV secolo D.C. sono custodite. Era stato riciclato per la rilegatura di un volume del 18° secolo da due monaci che non riuscivano a procurarsi dell'altra pergamena, ed era scomparso.

Nikolas Sarris, uno studente greco che sta completando il suo dottorato in Gran Bretagna, ha riconosciuto per caso il frammento della Bibbia del Sinai mentre esaminava una serie di fotografie di manoscritti presso la biblioteca del monastero. Le pergamene della Bibbia del Sinai sono ripartite tra il monastero di Santa Caterina sul Sinai in Egitto, la Biblioteca Russa di San Pietroburgo, la British Library di Londra e la Biblioteca dell'Università di Lipsia in Germania e di recente sono state digitalizzate e messe online in un progetto al quale hanno preso parte esperti provenienti dai quattro Paesi.

Sarris ha collaborato alla digitalizzazione per la British Library ed è perciò stato in grado di riconoscere all'istante il pezzo di manoscritto. "E' stato un momento molto emozionante. Anche se non è la mia specializzazione, avevo lavorato al progetto online e il Codex mi era rimasto impresso nella memoria. Ho controllato l'altezza delle lettere e delle colonne e in breve ho realizzato che avevo davanti una parte mai vista del Codex".

Lo studioso ha quindi contattato Padre Justin, il bibliotecario del monastero, che ha confermato che si trattava di un pezzo di pergamena appartenente all'antica Bibbia che corrisponderebbe al capitolo 1 e al verso dieci del libro di Giosuè. Solo una parte del frammento trovato da Sarris è visibile sulla superficie della rilegatura, ma altre parti potrebbero essere nascoste negli strati inferiori. La biblioteca di santa Caterina non ha gli strumenti necessari per esaminare la rilegatura senza danneggiare la pergamena ma, ha sottolineato Padre Justin, potrebbe presto dotarsi delle tecnologie adatte.

(2 settembre 2009)


L'allerta onda anomala lanciato e revocato in tempi brevissimi
Decine di edifici crollati o danneggiati nell'area ovest di Giava

Sisma in Indonesia, almeno 32 morti
5000 gli sfollati, panico a Giakarta


Impiegati evacuati dagli uffici a Giakarta
GIAKARTA - L'Indonesia è stata colpita da una scossa di terremoto di magnitudo 7.3 gradi della scala Richter che ha causato almeno 32 morti, decine di feriti tra cui una trentina ancora bloccati sotto le macerie e oltre cinquemila sfollati. Il sisma è avvenuto alle 14.55 (le 9.55 in Italia).

La scossa. L'epicentro è stato localizzato a 142 chilometri a sud-ovest di Tasikamalaya, a circa 200 chilometri a sud di Giakarta, nell'ovest dell'isola di Giava, nell'Oceano Indiano. Il terremoto è stato percepito in tutta l'isola, che con i suoi 125 milioni di abitanti è la più popolata dell'arcipelago.

I danni. La zona più colpita è la costa meridionale, non particolarmente frequentata dai turisti. In alcune aree le autorità non sono ancora riuscite a stabilire un contatto con la popolazione. Decine di case sono crollate nelle città di Tasikamalaya e Sukabumi, mentre quasi la totalità delle persone decedute abitavano in due villaggi più interni. A Rawa Hideung, un altro piccolo centro della zona, il sisma ha provocato una valanga di fango e rocce, sotto la quale sono ancora intrappolate circa 30 persone.

Il sisma a Giakarta. Nella capitale i danni sono comunque lievi: le autorità segnalano solo qualche finestra infranta. Ma le resse all'uscita degli edifici hanno causato 27 feriti. A Tasikamalaya si è avvertita anche una seconda scossa di magnitudo 5.1, circa venti minuti dopo la prima: qui il sisma ha provocato il crollo di decine di edifici. Si segnalano danni anche nella città universitaria di Bandung. Testimonianze raccolte dall'agenzia indonesiana Antara parlano di interi villaggi - con case spesso costruite in legno - rasi al suolo.

Allarme tsunami rientrato. L'osservatorio del Pacifico (Noaa) aveva lanciato un allarme tsunami per circa 100 chilometri lungo la costa nei pressi dell'epicentro, allarme rientrato in tempi brevissimi (in un primo momento si era temuto anche per un maremoto). "C'è stata un'onda anomala al largo di Tasikmalaya, ma era di un'altezza di 20 centimetri, dunque insignificante", ha spiegato Suharjono, responsabile tecnico dell'agenzia indonesiana di meteorologia e geofisica.

Le vittime. La Protezione civile indonesiana avverte che il conto delle vittime potrebbe aumentare. Mentre infatti le autorità indonesiane mettono in guardia la popolazione dal pericolo di scosse d'assestamento, il timore è che il bilancio nelle zone più colpite si aggravi man mano che i soccorritori riescono a raggiungere le aree più isolate.

Le testimonianze. A Giakarta, la popolazione è scesa in strada in preda al panico, temendo il crollo degli edifici, ed è stato evacuato anche il Parlamento. "Siamo usciti in strada, è stata una scossa veramente forte" racconta un funzionario dell'ambasciata italiana a Giakarta "sarà durata un minuto. Anche le persone nei residence qui intorno sono scappate fuori. E' stato davvero impressionante". A Batu Karas, una città costiera dell'ovest di Giava, "la gente ha abbandonato precipitosamente le abitazioni" e "alcune case e la moschea hanno subito danni", ha raccontato Dorus Susanto, che lavora alla reception di un hotel. "La terra ha tremato per oltre un minuto. Da sette anni lavoro qui e non ho mai avvertito una scossa così forte", ha commentato Dhani Yahya, dipendente della Mercedes a Giakarta.

L'Indonesia. L'arcipelago conta oltre 17 mila isole e si estende lungo la cosiddetta "cintura di fuoco", la fascia che si allunga per circa 40 mila chilometri abbracciando l'intero Oceano Pacifico. Terremoti ed eruzioni vulcaniche colpiscono l'area frequentemente. Il devastante tsunami del 26 dicembre 2004, che causò 230 mila morti in diversi Paesi che si affacciano sull'Oceano Indiano, era stato scatenato proprio da un terremoto al largo dell'isola indonesiana di Sumatra. Nel settembre 2006, un sisma di magnitudo 7,7 aveva invece colpito Giava in un punto non lontano dall'epicentro di quello odierno, provocando 730 morti.

(2 settembre 2009)


Secca presa di posizione del presidente dei deputati del Carroccio Cota
"La scelta tocca solo a Berlusconi e Bossi". Il nodo di Lombardia e Veneto
La Lega gela Frattini e La Russa
"Sulle regionali non decidono loro"

Di Pietro: "Non vogliamo Bassolino, Loiero e Vendola"


Roberto Cota
ROMA - "Chi decide per il Pdl è Berlusconi. Così come, per la Lega, è Bossi". Il Presidente dei deputati della Lega Nord, Roberto Cota, liquida senza appello le affermazioni dei ministri Frattini e La Russa che avevano stoppato le aspirazioni leghiste in vista sulle prossime elezioni regionali. A partire dalle presidenze di Lombardia e Veneto, adesso nelle mani di uomini del Pdl. E non a caso sul sito del Pdl campeggia, con grande evidenza, l'intervista al ministro degli Esteri.

Ma il Carroccio non ci sta. "Non c'è niente da replicare a Frattini e La Russa - aggiunge Cota intervistato da Affari Italiani.it - proprio perché esprimono la loro opinione, ma poi chi prende le decisioni per il Pdl è il Premier. Si vedranno Bossi e Berlusconi e troveranno un'intesa per incastrare i vari tasselli. L'interlocutore non è nessun'altro se non Berlusconi". Riafferma la forza della Lega, Cota che ricorda come il carroccio abbia i voti e la classe dirigente "per poter governare sia in Lombardia sia in Veneto sia in Piemonte".

Quanto alle ipotesi di alleanza con l'Udc, Cota dice che ''il problema e' rappresentato dal fatto che questo partito non sostiene la maggioranza di governo, e' all'opposizione e, principalmente, ha votato contro il federalismo fiscale. Un accordo elettorale non si fa con una somma algebrica ma condividendo un programma. Se all'interno della compagine c'e' una componente che non condivide la linea d'azione non si puo' governare, anzi e' peggio. Questo e' il problema rispetto all'intesa con l'Udc''.

Ma anche sul fronte opposto le acque non sono calme. Con la partita delle alleanze ancora tutta da giocare. Oggi tocca ad Antonio Di Pietro dettare le proprie condizioni e pronunciare i suoi veti: "L'idv non sosterrà le eventuali ricandidature in Calabria di Loiero, in Campania di Bassolino e in Puglia di Vendola".

"L'unico con il quale possiamo ancora confrontarci ma che sta pregiudicando di molto la nostra vicinanza - precisa Di Pietro - è l'attuale governatore della puglia al quale già due anni e mezzo fa avevamo detto chi e perché non ci piaceva della sua giunta. Lui non ci ha ascoltati e noi non siamo entrati nella sua giunta e adesso dico che è stato un bene".

(3 settembre 2009)


Le reazioni del mondo politico e del giornalismo dopo le dimissioni di Dino Boffo
Franceschini: "C'è una regia
per intimidire stampa libera"




ROMA - La lettera con cui Dino Boffo ha rassegnato le dimissioni dal quotidiano L'Avvenire scatena le reazioni del mondo della politica e del giornalismo. C'è chi, come il direttore de Il Giornale Vittorio Feltri parla di "affari interni alla Chiesa" e chi parla di gesto estremo a difesa della libertà di tutti come il segretario della Federazione nazionale della stampa italiana.

Feltri: "Non volevo le sue dimissioni". "Sono affari interni alla chiesa. Io non pensavo minimamente a questo quando ho scritto e ho fatto scrivere le cose che hanno provocato tutto questo problema. Immagino che Boffo avesse i suoi buoni motivi per dimettersi - sostiene Vittorio Feltri - La cosa che mi piacerebbe succedesse è che si tirassero fuori i documenti che provano che quanto scritto dal Giornale era del tutto fondato in maniera che si smettesse con attacchi sgangherati nei confronti del mio giornale e del sottoscritto, che degnamente lo dirige".

L'Avvenire: "Non ci piegheremo alle intimidazioni". "Le dimissioni rassegnate oggi dal
direttore Dino Boffo sono l'amaro e sconcertante esito del plateale e ripugnante attacco mediatico a cui Boffo e il nostro quotidiano sono sottoposti da giorni". Lo dice il Comitato di redazione dell'Avvenire che, annunciando per le ore 16 un'assemblea dei redattori, esprime vicinanza a Dino Boffo e conferma la propria volontà di proseguire il lavoro senza piegarsi alle intimidazioni".

Fnsi: "Gesto estremo a difesa della libertà di tutti". Le dimissioni rappresentano ''la conclusione di una vicenda che deve addolorare tutti i giornalisti che credono nel rispetto delle persone e delle idee di tutti''. Questo il primo commento del segretario generale della Federazione nazionale della stampa italiana, Franco Siddi. ''Certamente grande è il disagio per questa vicenda in cui, un concatenarsi di iniziative che promosse o riconducibili a sedi diverse, hanno visto una forma di giornalismo proporsi, di fatto, - aggiunge - come arma impropria contro giornali o giornalisti non più concorrenti ma considerati, nella sostanza, nemici, se possibile da colpire o rimuovere''.

Stampa cattolica: "Giornata orribile per il giornalismo". L'Unione della stampa cattolica
definisce "giornate orribili per il giornalismo italiano" quelle appena trascorse. "Si usano i giornali come strumenti di lotta politica e come pugnali per colpire alla schiena gli avversari del momento, come ha fatto Vittorio Feltri contro Dino Boffo". "La tecnica di infangare chi esprime legittime e libere posizioni anche scomode per determinati poteri, utilizzando fonti anonime e non controllate (quando la veridicità delle fonti è notoriamente un principio base del giornalismo) è stata usata come un avvertimento minaccioso, forse diretto in particolare al mondo cattolico italiano".

Franceschini: "Intimidazione alla stampa". "C'è da tempo una regia di intimidazione nei confronti della stampa libera, almeno di quella parte della stampa che non è già condizionata dal conflitto di interesse". Così Dario Franceschini ha commentato le dimissioni di Boffo. "Anche per questo - ha proseguito - io sono soddisfatto che ci sia questa mobilitazione organizzata non da un partito ma da associazioni, sindacati, cui saremo presenti, perchè penso che la battaglia per la libertà di informazione non debba avere un colore politico, una bandiera, ma debba riguardare tutti quelli che hanno a cuore questi valori e questi principi che sono fondanti di ogni democrazia". Parole di stima a Boffo sono arrivate anche dai rappresentanti dell'Italia dei valori, del Pdci e del Pri.

L'Udc: "Boffo, un cristiano vero". "Dino Boffo è un cristiano vero che ha dato una lezione morale, politica e istituzionale a tutti gli italiani. Non vi era alcuna necessità che si dimettesse, ma ha inteso farlo nel nome degli ideali che ha testimoniato in questi anni di direzione di avvenire". E' quanto affermano in una nota congiunta, il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa e il presidente Rocco Buttiglione. "Tutta l'Unione di centro, a partire da Pier Ferdinando Casini, gli esprime ancora una volta affetto e stima, nella certezza che il giornalismo italiano non potrà fare a meno di un professionista cosi autorevole".

Alemanno: "E' stato oggetto di killeraggio". "Le dimissioni Dino Boffo sono un gesto di grande nobiltà. Sottolineano come il killeraggio personale di cui è stato oggetto sia stato fuori luogo fuori misura". Lo dice il sindaco Gianni Alemanno commentando da Lourdes le dimissioni del direttore del'Avvenire.

Centrodestra: "Speriamo che il clima si svelenisca". "Le dimissioni potranno forse contribuire ad attenuare i toni della polemica politica". Se lo augura il vicepresidente dei senatori del Pdl Gaetano Quagliariello. Anche il presidente dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri si dice dispiaciuto, ma poi aggiunge che si tratta di un "clima che è stato innescato dalle aggressioni del gruppo l'Espresso-Repubblica che ha alimentato questo batti e ribatti fino alle sue dimissioni".

Cossiga: "Atto filiale devozione alla Chiesa". "Le dimissioni di Dino Boffo costituiscono un atto di filiale devozione alla Chiesa italiana ed un servizio reso alla comunità ecclesiale, e cui questa gli deve essere profondamente grata". Con queste parole il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga commenta le dimissioni di Dino Boffo dalla direzione di Avvenire.

(3 settembre 2009)


IL DOCUMENTO. Ecco la denucia di Berlusconi all'Unità
Trenta pagine per sostenere che il premier è stato "diffamato e calunniato"

Il Cavaliere tra intercettazioni hard
"delirio senile" e "sesso malato"



ROMA - No. Basta. Chi dice che Berlusconi è "un soggetto aduso a pretese iniezioni sui corpi cavernosi del pene oppure è affetto da problemi di erezioni" va punito. Lo ha scritto l'Unità il 13 luglio e il 6 agosto? Il premier, per mano del suo "legale rappresentante" a Roma avvocato Fabio Lepri, attacca il quotidiano, gli chiede tre milioni di euro di risarcimento, sostiene di essere stato ripetutamente "diffamato e calunniato".
Trenta pagine, in due distinte citazioni per due numeri del giornale, che vengono scritte per sostenere un'unica tesi. Questa: "Berlusconi viene presentato come protagonista di telefonate hard, come persona che impone, a fronte di collocazioni nel consiglio dei ministri o candidature elettorali, pesanti prestazioni sessuali". Affermazioni "false e lesive del suo onore, della sua reputazione, della sua immagine" scrive Lepri traducendo "l'indignazione del premier" in un atto giudiziario. Perché il presidente del Consiglio "viene presentato come soggetto che di certo non è", visto che è descritto "come una persona con problemi di erezione, che fa ricorso a misteriose iniezioni, che in modo spregevole impone prestazioni non gradite e le baratta con posti di governo o candidature elettorali". Insiste Lepri: "Il premier viene presentato come persona che intrattiene telefonate hard, poi intercettate, e i cui contenuti confermerebbero quanto sopra. E poi tenta di farle passare sotto silenzio, manipolando le televisioni, oppure per fini personali spingendo la Rai alla "guerra" contro Sky".

L'ossessione del delirio senile. L'avvocato Lepri traduce nelle citazioni contro l'Unità i leit motiv del Cavaliere. Scrive: "In scritti palesemente diffamatori, sia perché contengono falsità, sia perché sono comunque caratterizzati da forme insinuanti e diffamatorie, si presenta il dottor Berlusconi come persona affetta da una malattia, da un delirio senile di onnipotenza, che frequenterebbe perciò minorenni, parteciperebbe ad orge, incontrerebbe sessualmente prostitute e per tali attività non rispetterebbe neppure gli impegni istituzionali e opererebbe baratti col Vaticano per rifarsi una reputazione facendo approvare leggi contrarie agli interessi dei cittadini".

Sesso malato. Scrivendo ai giudici l'avvocato Lepri insiste: "L'Unità presenta Berlusconi come soggetto che di certo non è, ossia come una persona spregevole, "malata", che per il sesso (peraltro a pagamento) trascura i propri impegni istituzionali, arrivando addirittura a frequentare minorenni. Comunque una persona che sfrutta la propria carica politica per fini personali, promuovendo leggi al solo fine di "ingraziarsi" il Vaticano".

"Silvio è un porco". Il legale di Berlusconi contesta all'Unità di aver "recepito in toto facendole proprie le deliranti dichiarazioni" dell'ex parlamentare di Forza Italia Paolo Guzzanti, "aggiungendo del suo, condividendolo o addirittura utilizzandole per costruire altre falsità come la mendace "guerra" contro Sky". Il quotidiano non avrebbe dovuto "addirittura riportare dettagli a sfondo erotico". Contesta Lepri: "Si spazia da "rapporti anali non graditi", a "ore e ore di tormenti in attesa di una erezione che non fa capolino", da "discussioni sul prossimo set", a "consigli fra donne su come abbreviare i tormenti di una permanenza orizzontale pagata come pedaggio"". Il tutto, ci tiene a ribadirlo il legale del premier, "è completamente falso" perché "il dottor Berlusconi è stato presentato coram populo come persona diversa dalla realtà, sia nel privato che nel pubblico, la di lui immagine è stata deformata con attribuzione strumentale di fatti del tutto falsi e di condotte riprovevoli".

Intercettazioni hard. È uno dei peggiori incubi del premier. Le telefonate "calde" intercorse tra lui e alcune delle sue ministre. Per cui l'avvocato Lepri accusa l'Unità di aver messo in piedi una "premeditata strategia" quando ha titolato in prima pagina "L'intercettato" e ha poi dato conto delle notizie di colloqui tra il capo del governo e le esponenti di Forza Italia poi entrate a palazzo Chigi. S'indigna Lepri quando legge: "Vi sarebbero nastri di "celebri intercettazioni telefoniche tra signorine poi diventate ministro rimaste sui tavoli delle scrivanie delle redazioni, dei ministeri, degli uffici parlamentari il tempo necessario, poco, ma sufficiente a essere letti, fotocopiati, spediti in allegato per email a decine di persone"".

La D'Addario più di Silvio. "La reputazione del dottor Berlusconi è descritta come inferiore a quella di una prostituta". Così scrive l'avvocato Lepri contro l'Unità contestando i resoconti sul caso della escort barese Patria D'Addario e prendendosela con il direttore Concita De Gregorio quando afferma che "sarebbe più integra la reputazione della D'Addario piuttosto che quella di un uomo di Stato che promette solennemente una somma concordata per chi muore di fame in Africa e poi ne dispensa solo il 3%, cioè niente".

(3 settembre 2009)


Durissimo commento del britannico Independent: "Un libertino di cui il mondo ride"
Guardian: "stupefacente" l'attacco alla Ue. Libé: "Contrattacchi senza soste"
Berlusconi "l'uomo braccato"
"Vuole il bavaglio per i commissari"

Su Le Monde un commento di Ezio Mauro. Nouvel Observateur: "Contro la stampa straniera denunce intimidatorie"



LONDRA - Un "libertino" che vuole dare lezioni agli altri. Un "clown" che non capisce che la gente ride di lui. Un premier che voleva essere l'interlocutore previlegiato del Vaticano ma "non è più in odore di santità" a causa dei suoi errori politici. E uno dei leader dell'Unione Europea che vuole "tappare la bocca" ai portavoce della Ue. Così la stampa internazionale dipinge oggi Silvio Berlusconi, riferendo gli ultimi sviluppi delle polemiche attorno al nostro presidente del Consiglio. Dai quotidiani britannici alla stampa francese, da quella spagnola a quella argentina, sino a un quotidiano delle Filippine, la vicenda degli scandali privati, delle tensioni con la Chiesa e delle cause per diffamazione contro i giornali che ruota attorno al capo del Pdl continua dunque a ricevere grande attenzione sui media stranieri.

"Lezioni da lussuriosi e libertini" s'intitola l'editoriale del quotidiano Independent, in cui Nicholas Lezard commenta la "farsa infinita che si intitola Silvio Berlusconi, primo ministro d'Italia". Il columnist inglese osserva che "il priapismo" del premier "deflette l'attenzione dalla sua politica cinica e disonesta". Scrive Lezard: "Quando leggo che nomina ex-modelle in topless nel suo governo, che flirta apertamente con loro, che va al compleanno di una 18enne, sorrido fra me e me e penso che lo stupido caprone si ripete un'altra volta". Tracciando un ironico paragone con "i lussuriosi e i libertini" di un'altra era, da Casanova a Don Giovanni, l'articolista dell'Independent conclude: "Berlusconi è come un personaggio di una commedia rinascimentale, un tipo che vuole divertire ma non si rende conto che è di lui che si ride, costretto a seguire il proprio pene dovunque questo lo conduca". Lezard cita la frase di Veronica Lario, "non posso impedirgli di rendersi ridicolo agli occhi del mondo", per osservare che "al mondo piacciono i clown, e noi uomini possiamo usare l'esempio di Berlusconi per cercare di comportarci un po' più dignitosamente di lui".

Un altro quotidiano britannico, il Guardian, pone invece l'accento sulle dichiarazioni del premier italiano per "zittire" i portavoce della Ue sulla questione dell'immigrazione, a suo dire colpevoli di avere criticato l'Italia: Berlusconi "ha minacciato di bloccare i lavori dell'Unione Europea se i commissari e i loro portavoce non verranno zittiti e se non verrà loro impedito di parlare su qualsiasi argomento", una richiesta "stupefacente" nota il corrispondente da Roma John Hooper, collegandola alle ultime mosse del Cavaliere contro giornali italiani e francesi e alle polemiche tra il Giornale, "quotidiano di famiglia" del premier, e la Chiesa cattolica che aveva criticato i suoi comportamenti privati. Anche l'agenzia di stampa Reuters, il quotidiano Irish Times e vari giornali spagnoli riportano lo scontro tra Berlusconi e la Ue, mentre dalle Filippine il Manila Bullettin ripercorre tutte le puntate dello "scandalo di sesso" in Italia.

"Berlusconi, un uomo braccato". Nel numero uscito oggi, il francese Nouvel Observateur dedica un servizio di cinque pagine al Cavaliere, ripubblicando integralmente le dieci domande di Repubblica. La corrispondente a Roma, Marcelle Padovani, racconta come il Cavaliere sia ormai "acccerchiato dagli scandali" e abbia deciso di lanciare una "contro-offensiva feroce, con il sostegno dei suoi amici". La decisione di denunciare i media "che sfuggono al suo controllo", spiega ancora Padovani, è "intimidatoria". Nel mondo dell'informazione "Berlusconi è ormai costretto a sparare contro tutto ciò che si muove, compresi i giornali stranieri". Secondo l'avvocato Niccolò Ghedini, il Nouvel Observateur potrebbe infatti essere oggetto di una prossima denuncia per l'articolo pubblicato il 6 agosto, "Sesso, potere e menzogne". L'autore dell'inchiesta, Serge Raffy, risponde adesso ricordando come il premier "non riesca a sopportare la stampa libera" e chiosa: "Se un giorno ci sarà un dibattimento giudiziario, sarà appassionante".

L'attacco contro i media e la minaccia alla libertà di informazione in Italia è argomento anche della prima pagina di Le Monde, che ospita un commento del direttore di Repubblica, Ezio Mauro, dal titolo: "Silvio Berlusconi vuole imbavagliare la stampa". Il quotidiano Libération dedica un nuovo servizio all'Italia ("Berlusconi, senza esclusione di colpi"). Il Cavaliere "rimesta nel fango", scrive Eric Josef, il corrispondente da Roma. Il Cavaliere "usa il Giornale per inferire i suoi colpi bassi", spiega Libération a proposito della campagna contro Dino Boffo da parte del quotidiano diretto da Vittorio Feltri. La vicenda italiana conquista anche il titolo di apertura del sito Slate.fr (fondato da Jean-Marie Colombani, ex direttore di Le Monde): "Vade Retro Silvio", nel quale si riassume lo scontro con la Chiesa e la radicalizzazione del conflitto con i media.

Il quotidiano svizzero Tribune de Geneve scrive che il premier, dopo avere corteggiato a lungo la Chiesa, "non è più in odore di santità e ha provocato la collera delle alte gerarchie ecclesiastiche" per i suoi comportamenti privati e per la campagna contro l'Avvenire, quotidiano dei vescovi, che si era permesso di criticarlo. Parole analoghe sul francese 24 Heures e su Le Temps, che riporta le smentite di Ezio Mauro alle accuse rivolte da Berlusconi a lui e a De Benedetti.

(2 settembre 2009)
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 4/9/2009, 16:25




Il segretario dell'Alleanza Rasmussen: «Forse vittime civili, avvieremo subito un'inchiesta»
Afghanistan, bombe Nato su autocisterna in mano ai talebani: decine di morti
Versioni diverse sulla vicenda: per la Nato 56 vittime tutti talebani, per la polizia 90 i morti, molti i civili


KABUL - È di decine di morti (56 secondo la Nato, 90 secondo fonti della polizia locale, 150 per i talebani) il bilancio del bombardamento aereo della Nato su un gruppo di talebani e di civili che si era impossessato di due autocisterne nel nord dell'Afghanistan: è quanto hanno confermato fonti locali, spiegando che sarebbero moltissime le persone coinvolte, tra vittime e feriti.

LA VICENDA - La scorsa notte i talebani si erano impadroniti di due autocisterne sull’autostrada di Angorbagh, nella zona di Kunduz, ha spiegato Baryalai Basharyar Parwani, il capo della polizia locale. «L’autocarro è finito sul letto di un fiume, c’erano civili con i talebani e sono stati bombardati, più di 60 persone sono state uccise o ferite», ha assicurato il capo della polizia. Successivamente però le autorità locali hanno corretto la loro versione iniziale che parlava di soli civili colpiti, spiegando che le vittime sono in gran parte talebani. Il governatore della provincia afgana di Kunduz, Mohammad Omar, ha spiegato che il raid aereo è avvenuto mentre il carburante veniva distribuito tra la popolazione.


LA VERSIONE DELLA NATO - «Si è trattato di un bombardamento aereo della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf)», ha dichiarato uno dei suoi portavoce. Successivamente fonti dell'esercito tedesco hanno spiegato che ci sono state 56 vittime: tutti guerriglieri talebani. Non sarebbe stato ucciso nessun civile e la versione iniziale della polizia locale sarebbe stata errata. L'Alleanza Atlantica si è poi però nuovamente corretta spiegando che molti civili coinvolti sono stati ricoverati negli ospedali della regione afghana di Kunduz.

RASMUSSEN - Un'inchiesta approfondita è stata promessa proprio dal segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen. «Il popolo afghano dev'essere consapevole che noi manteniamo con chiarezza l'impegno di proteggerlo, e che indagheremo immediatamente e pienamente su questa vicenda. Non è sicuro cosa sia accaduto. C'è stato un attacco aereo dell'Isaf contro i talebani, un certo numero dei quali sono rimasti uccisi. Esiste però la possibilità che siano morti anche civili».

KARZAI - Ma il bombardamento Nato ha provocato l'ira del presidente afghano Hamid Karzai: «Colpire i civili, in qualsiasi modo, è inaccettabile» ha sottolineato il capo dello Stato afghano.

ONU - Peter Galbraith, inviato speciale dell'Onu in Afghanistan, ha riferito che anche le Nazioni Unite manderanno sul posto dell'incidente un proprio gruppo investigativo e che «le famiglie di chi ha perso la vita ricevano tutto l'aiuto di cui hanno bisogno».

INCHIESTA - Una portavoce del comando Isaf a Kabul, il capitano di corvetta Christine Sidenstricker, ha confermato il raid aereo, puntualizzando però che sul sito dell'attacco «c'erano solo insorti», e che l'incursione era «mirata» contro di loro. «Ecco chi riteniamo sia stato ucciso», ha aggiunto, spiegando che i piloti e i loro comandanti hanno agito «sulla base delle informazioni disponibili sul campo». La portavoce ha aggiunto che è comunque già in corso un'inchiesta approfondita sulla vicenda. L'accaduto rischia di esasperare ancora di più i già difficilissimi rapporti tra le forze occidentali e la popolazione afghana, per non dire quelli con il governo del Paese centro-asiatico, che ha più volte denunciato gli eccessi perpetrati dagli alleati nella lotta ai talebani, imponendo a suo tempo anche modifiche alle regole d'ingaggio, peraltro adottate solo dalla Nato e non dalla coalizione multinazionale controllata dagli Usa, che continua nel frattempo a condurre una propria campagna anti-guerriglia "parallela" a quella della stessa Isaf. Si tratta altresì dell'ennesima riprova di quanto la situazione sul terreno in Afghanistan stia peggiorando sempre di più, di fronte alla rinnovata offensiva dei ribelli ultra-islamici, che finora non è stato possibile stroncare.


04 settembre 2009



Il Cavaliere ai giornalisti: "Abbeveratevi alla disinformazione di cui siete protagonisti"
Di Pietro: "La velina è come l'olio di ricino usato nel fascismo"
Berlusconi contro l'informazione
"Realtà mistificata, povera Italia"


ROMA - Un commento sulle dimissioni del direttore dell'Avvenire Dino Boffo? "Credo che possiate leggere sui giornali di oggi tutto il contrario della realtà". Silvio Berlusconi, al termine di una visita al Centro operativo interforze di Centocelle a Roma, si avvicina ai giornalisti e torna ad attaccare la stampa: "Abbeveratevi alla disinformazione di cui usati per elogiare Gianni Letta siete protagonisti. Povera Italia con un sistema informativo come questo". Di tutt'altro genere i toni usati per elogiare Gianni Letta, uno dei più stretti consiglieri del Cavaliere: "Quando ci sono cose da sapere io non ho bisogno di Internet perchè ho Letta che è un Internet umano".

Non cambia copione, il Cavaliere. Ripete gli attacchi ai media e getta benzina sulle polemiche sulla libertà d'informazione. Di Pietro attacca: "La 'velina' non è altro che l'olio di ricino usato nel ventennio. L'Italia dei valori insiste nel chiedere al Copasir di aprire una istruttoria per verificare il dossier, perché, con l'andata in porto delle dimissioni di Boffo, domani ce ne sarà un altro e un altro ancora, fino a dittatura completa".

Per il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone, invece la "violenza inaudita", di cui aveva parlato Boffo nel rassegnare le dimissioni, è quella usata da Repubblica contro il direttore del Giornale Vittorio Feltri.

Intanto proprio ieri Umberto Bossi ha incontrato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana. E oggi la Padania definisce la Lega come "il partito del dialogo". "Una risposta - spiega il quotidiano - alle polemiche strumentali montate ad arte di questi mesi. Una prova di eccellenti rapporti che caratterizzano il movimento leghista e la Chiesa cattolica. Ma non solo: l'incontro di ieri sera in Vaticano non è stato un semplice scambio di cortesie tra protagonisti del nostro Paese. E' stato molto di più".
(4 settembre 2009)


Sui media esteri le dimissioni del direttore di Avvenire e il conflitto con la Cei
Le Monde: "Le scappatelle imbarazzano la Chiesa". Feltri al Nyt: "Mi fate domande ingiuriose"
El Pais: "Berlusconi pericolo pubblico"
Wsj: "Crepa tra Vaticano e premier"



LONDRA - Per il quotidiano spagnolo El Pais è "un pericolo pubblico". Il New York Times scrive che, per attaccare chi lo critica, sta "ignorando il proprio paese, messo duramente alle corde dalla crisi finanziaria". Il Wall Street Journal parla di "tensioni sempre più profonde" con il Vaticano. E le dimissioni del direttore dell'Avvenire occupano ampio spazio sulle principali testate della stampa internazionale, in particolare nei paesi cattolici o in regioni, come a New York e Boston negli Stati Uniti, dove la presenza cattolica è particolarmente forte.

In Spagna, per esempio, El Pais, uno dei giornali contro cui il premier ha minacciato azione legale (per la pubblicazione delle foto dei party con donne in topless nelle sua villa in Sardegna), dedica un articolo agli ultimi sviluppi del caso, intitolato "Berlusconi costringe alle dimissioni il direttore del giornale dei vescovi italiani", facendo la sua "prima vittima", e in un editoriale parte, ricostruendo i punti essenziali della vicenda, il giornale afferma senza mezzi termini: "Quest'uomo, è, come ha detto sua moglie Veronica, 'ridicolo', però è anche un pericolo pubblico".

La medesima tesi, cioè che Dino Boffo, dimettendosi dall'Avvenire per le polemiche scatenate dalle accuse di omosessualità contenute in un articolo del Giornale di Vittorio Feltri, di proprietà del fratello di Berlusconi, sia diventato "una vittima" del primo ministro, ossia che l'operazione abbia come mandante ultimo il presidente del Consiglio, è condivisa da altri organi di stampa stranieri, come il New York Times, che mette oggi in prima pagina le dimissioni di Boffo con un titolo a quattro colonne: "Giornale cattolico perde un round nelle guerre del sesso in Italia". L'autorevole quotidiano newyorchese sottolinea che il Giornale, "considerato il portavoce della coalizione di centro destra", ha pubblicato un "audace" editoriale che ha preso in giro l'accento "mitteleuropeo" di papa Benedetto XVI, "che è tedesco", e ha esortato la Chiesa cattolica a confrontare la sua "ipocrisia" sulla sessualità di preti dalla "debole carne" così come la sua storia di "sodomia e pedofilia con chierichetti", per poi passare agli attacchi personali contro Boffo.

Il messaggio degli attacchi al direttore dell'Avvenire, prosegue l'articolo, "è chiaro: che un giornale cattolico dovrebbe stare attento a non criticare la vita personale del primo ministro". La corrispondente Rachel Donadio sente anche il parere di Feltri, che afferma di avere pubblicato le notizie sui problemi giudiziari di Boffo "per interessare l'opinione pubblica e per vendere copie", dichiarando di non avere discusso la cosa con Berlusconi: "E' una domanda che trovo irrilevante se non ingiuriosa", dice il direttore del Giornale. Conclude il quotidiano di New York: "Critici e alleati di Berlusconi dicono che egli sta avventurandosi in acque pericolose con la Chiesa e fomentando un ambiente in cui tutte le critiche sono viste come atti di slealtà".

Il titolo del Wall Street Journal è "un direttore dà le dimissioni dopo un conflitto con Berlusconi", e l'articolo afferma che Boffo, "influente direttore di un quotidiano cattolico che aveva criticato la vita privata del primo ministro" italiano, è diventato "vittima di una guerra di giornali che ha aperto una crepa tra il Vaticano e il premier". Le dimissioni, prevede il quotidiano finanziario americano, "aumenteranno probabilmente le tensioni tra il Vaticano e Berlusconi". Parole analoghe usa il quotidiano spagnolo La Vanguardia: "Costretto a dimettersi dopo aver criticato lo stile di vita di Berlusconi, il direttore del giornale dei vescovi è vittima di una campagna di discredito". La notizia ha fatto il giro del mondo: ne parlano l'Irish Examiner in Irlanda, il Toronto Star in Canada, il Clarin in Argentina, il Guardian in Gran Bretagna, la Suddeutsche Zeitung e altri giornali in Germania. Altri due quotidiani britannici, il Telegraph e l'Independent, rivolgono invece l'attenzione alla proiezione del documentario "Videocracy" alla Mostra del Cinema di Venezia: il Telegraph riporta le accuse a Berlusconi di "censura" della pellicola, l'Independent la descrive come un ritratto "del volto comico ma sinistro dell'Italia" berlusconiana. Sempre l'Independent, in un secondo articolo, riferisce le dimissioni di Boffo, affermando che sono la prova che a questo punto "sono stati tolti i guantoni" nel confronto tra il Vaticano e il primo ministro italiano.

Sulla vicenda, lo spagnolo Periodico de Catalunya interviene con un'intervista a Concita De Gregorio, direttrice dell'Unità, che dice: "Boffo è il primo della lista". L'intervistatore le chiede se ha paura, e lei replica: "No, non ho paura. Ma Berlusconi ha scelto Feltri per dirigere il giornale della sua famiglia per attaccare tutta la stampa indipendente".

Il francese Le Monde pubblica oggi un pezzo dal titolo "Le scappatelle di Berlusconi imbarazzano la Chiesa e il Vaticano". Le dimissioni di Boffo vengono considerate una "prima vittoria del clan di Berlusconi nel conflitto in corso", scrive il quotidiano francese che ha intervistato anche il vaticanista di Repubblica Marco Politi. "Una parte della Chiesa non nasconde più il suo imbarazzo", continua il giornale che nota come la "moralità" del Cavaliere non sia l'unico punto di scontro. Anche la politica del governo sull'immigrazione, con la creazione del reato di clandestinità, ha provocato l'ira delle gerarchie ecclesiastiche.

(4 settembre 2009)


Bari, gli intercettati parlano di esponenti nazionali
Verifiche contabili
"Fondi a politici del centrosinistra"
Sanità e appalti, l'inchiesta s'allarga

In arrivo la commissione parlamentare d'inchiesta sul sistema sanitario



BARI - Imprenditori e politici parlavano liberamente al telefono, facendo anche i nomi di personaggi nazionali ai quali sarebbe arrivato il denaro, frutto di un "patto criminale". Intanto, le microspie dei carabinieri registravano fedelmente le conversazioni.

Si sposta così ad un livello superiore l'indagine della procura antimafia di Bari sull'intreccio fra imprenditoria e sanità regionale, nella quale sono già state indagate 16 persone e per la quale il 7 e 8 settembre prossimi sarà a Bari la commissione parlamentare d'inchiesta sul sistema sanitario.
L'attenzione dei carabinieri del Nucleo investigativo, coordinati dal pm Desirée Digeronimo è ora puntata su cinque partiti di centrosinistra, i cui referenti avrebbero dovuto ricambiare il denaro ricevuto con generosi appalti. Già nel luglio scorso erano stati acquisiti bilanci e documentazione bancaria di Pd, Prc, Socialisti autonomisti dell'ex assessore regionale alla sanità Alberto Tedesco (ora senatore Pd e principale indagato), di Sinistra e Libertà (del governatore Vendola) e della Lista Emiliano, facente capo al sindaco di Bari.

Ora, incrociando le prime verifiche sulla documentazione con le intercettazioni delle telefonate fra Tedesco e alcuni imprenditori, sembrerebbe prendere corpo l'ipotesi che cifre a più zeri sarebbero state versate a politici regionali e nazionali. Microspie, piazzate per otto mesi nella stanza dell'ex assessore alla sanità, avrebbero poi registrato altri accordi, proposti da manager disponibili a finanziare i partiti di centrosinistra in cambio di "forniture e servizi" da svolgere in regime di monopolio.

Si tratta a questo punto di comprendere quale direzione abbia preso il flusso di denaro e da dove provenisse. L'ipotesi è che i soldi, prelevati da fondi neri delle società e occultati sotto false voci in bilancio, sarebbero stati dati ai politici locali e, in un successivo momento, sarebbero transitati nelle disponibilità dei referenti nazionali. Ma quello che salta all'occhio nelle diverse indagini sull'assessorato regionale alla sanità, affidate a più pm della stessa procura, è che la gestione dell'attività sarebbe stata spartita fra Alberto Tedesco e dirigenti e funzionari apparentemente fedeli all'imprenditore barese Gianpaolo Tarantini, lo stesso che avrebbe gestito un giro di escort portate anche a Palazzo Grazioli.

La "società" fra Tarantini e Tedesco si sarebbe poi infranta sulla reciproca concorrenza nella fornitura di protesi sanitarie in tutta la regione. E non sarebbe un caso che, come emerge dalle indagini, le nomine dei direttori generali della Asl venivano fatte su indicazione dello stesso ex assessore seguendo logiche di ritorno elettorale. Egualmente, gli appalti sarebbero stati affidati a chi era in grado di garantire un numero congruo di voti.

Ne parleranno martedì in Prefettura a Bari, dinanzi ai senatori della commissione, i pm titolari delle due più grosse inchieste: Desirée Digeronimo e Lorenzo Nicastro. Quest'ultimo, affiancato nell'indagine dal collega Roberto Rossi, indagando sulle anomalie nelle procedure di accreditamento delle strutture sanitarie di riabilitazione in Puglia, ha scoperto un nuovo triangolo sesso, affari e politica, nel quale sarebbe coinvolto Tarantini e un altro ex assessore della prima Giunta Vendola. Il politico avrebbe promesso a donne posti di lavoro e consulenze alla Regione o a Unioncamere Puglia, in cambio di prestazioni sessuali. Tra le sue accompagnatrici, anche una escort "offerta" da Tarantini, per ottenere appalti.

(4 settembre 2009)


IL COMMENTO
Il delitto è compiuto


DINO BOFFO, direttore dell'Avvenire, si è dimesso e non tiene conto discutere del sicario. È stato pagato per fare il suo sporco lavoro, se l'è sbrigata in fretta. Ora se ne vanta e si stropiccia le mani, lo sciagurato. Appare oggi più rilevante ricordare come è stato compiuto il delitto; chi lo ha commissionato e perché; quali sono le conseguenze per noi tutti: per noi che viviamo in questa democrazia; per voi che leggete i giornali; per noi che li facciamo.

Dino Boffo è stato ucciso sulla pubblica piazza con una menzogna che non ha nulla a che fare - né di diritto né di rovescio - con il giornalismo, ma con una tecnica sovietica di disinformazione che altera il giornalismo in calunnia. Il mondo anglosassone ha un'espressione per definire quel che è accaduto al direttore dell'Avvenire, character assassination, assassinio mediatico. Il potere che ci governa ha messo in mano a chi dirige il Giornale del capo del governo - una sorta di autoalimentazione dell'alambicco venefico a uso politico - un foglio anonimo, redatto nel retrobottega di qualche burocrazia della sicurezza da un infedele servitore dello Stato. C'era scritto di Boffo come di "un noto omosessuale attenzionato dalla Polizia di Stato". L'assassino presenta quella diceria poliziesca come un fatto, addirittura come un documento giudiziario.

È un imbroglio, è un inganno. Non c'è alcuna "nota informativa". È soltanto una ciancia utile al rito di degradazione. L'assassino la usa come un bastone chiodato e, nel silenzio degli osservatori, spacca la testa all'errante. L'errore di Boffo? Ha criticato, con i toni prudentissimi che gli sono propri e propri della Chiesa, lo stile di vita di Silvio Berlusconi. Ha lasciato che comparissero sulle pagine del quotidiano della Conferenza episcopale l'amarezza delle parrocchie e dei parroci, il disagio dei credenti e del mondo cattolico più popolare dinanzi all'esempio di vita di Quello-Che-Comanda-Tutto.

Ora che c'è un morto, viene il freddo alle ossa pensare che anche una prudente critica, una sorvegliata disapprovazione può valere, nell'infelice Paese di Berlusconi, il prezzo più alto: la distruzione morale e professionale. Ma soltanto le prefiche e gli ipocriti se ne possono meravigliare. Da mesi, il presidente del Consiglio ha rinunciato ad affermare la legittimità del suo governo per mostrare, senza alcuna finzione ideologica, come la natura più nascosta del suo potere sia la violenza pura. Con l'assassinio di Dino Boffo, prima vittima della "campagna d'autunno" pianificata con lucidità da Berlusconi (ha lavorato a questo programma in agosto dimenticando la promessa di andare all'Aquila a controllare i cantieri della ricostruzione), questa tecnica di dominio politico si libera di ogni impaccio, di ogni decenza o scrupolo democratico.

Berlusconi decide di muovere contro i suoi avversari, autentici e presunti, tutte intere le articolazioni del multiforme potere che si è assicurato con un maestoso conflitto d'interesse. Stila una lista di nemici. Vuole demolirli. Licenzia quelli tra i suoi che gli appaiono pirla, fessi, cacaminuzzoli. Vuole sicari pronti a sporcarsi le mani. È il padrone di quell'industria di notizie di carta e di immagini. Muove come vuole. È anche il presidente del Consiglio e governa le burocrazie della sicurezza (già abbiamo visto in un'altra stagione i suoi servizi segreti pianificare la demolizione dei "nemici in toga").

Il potere che ci governa chiede e raccoglie nelle sue mani le informazioni - vere, false, mezze vere, mezze false, sudicie, fresche o ammuffite - che possano tornare utili per il programma di vendetta e punizione che ha preparato. Quelle informazioni, opportunamente manipolate, sono rilanciate dai giornali del premier nel silenzio dei telegiornali del servizio pubblico che controlla, nell'acquiescenza di gruppi editoriali docili o intimiditi. È questo il palcoscenico che ha visto il sacrificio di Dino Boffo ordinato da Quello-Che-Comanda-Tutto.

È la scena dove ora salmodiano il coro soi-disant neutrale, le anime fioche e prudenti in cerca di un alibi per la loro arrendevolezza, gli ipocriti in malafede che, riscoprendo fuori tempo e oltre ogni logica la teoria degli "opposti estremismi" mediatici, accomunano senza pudore le domande di Repubblica alle calunnie del Giornale; un'inchiesta giornalistica a un rito di degradazione sovietico; la vita privata di un libero cittadino alla vita di un capo di governo che liberamente ha deciso di rendere pubblica la sua; la ricerca della verità all'uso deliberato della menzogna.

È questa la scena che dentro le istituzioni e nel Paese dovrebbe preoccupare chiunque. Per punirlo delle sue opinioni, un uomo è stato disseccato, nella sua stessa identità, da una mano micidiale che ha raccolto contro di lui il potere della politica, dello Stato, dell'informazione, dei giornali di proprietà del premier usati come arma politica impropria. Nei cromosomi della democrazia c'è la libertà di stampa e, come si legge nell'articolo 21 della Costituzione, "il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero". È questa libertà che è stata umiliata e schiacciata con l'assassinio di Dino Boffo. Lo si vede a occhio nudo, anche da lontano. "Un giornalista è l'ultima vittima di Berlusconi", scrive il New York Times. Chi, in Italia, non lo vuole vedere e preferisce chiudere gli occhi è un complice degli uccisori e di chi ha commissionato quel character assassination.

(4 settembre 2009)
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 5/9/2009, 13:51




TREMONTI AL G20 DI LONDRA
"Mai più banche che comandano governi"
Il ministro rilancia la stretta sui bonus: «Serve a dare un messaggio più generale»


LONDRA - Il dibattito sui bonus dei banchieri «serve a dare un messaggio più generale: non è possibile che le banche comandino sui governi e sulla politica»: lo ha detto il ministro dell'Economia Giulio Tremonti al Tg1, a margine del G20 finanziario di Londra. «Non ha senso - ha insistito Tremonti - che le banche siano più grandi dei governi stessi, tanto che poi quando hanno problemi questi diventano anche problemi dei governi. Le banche devono essere al servizio della gente, non la gente al servizio delle banche».

PICCOLE E MEDIE IMPRESE - Tremonti ha inoltre affrontato i problemi del credito alle piccole e medie imprese: «Le banche hanno raccolto molti fondi pubblici, soprattutto all’estero, ma non danno sufficiente liquidità alle imprese. Hanno in mente i loro bilanci, e non il bilancio d’insieme. E’ un problema anche italiano». Il ministro ha aggiunto: «Noi abbiamo un’economia fatta di piccole e medie imprese e un eccesso di concentrazione in banche che hanno una dimensione industriale e vedono troppo poco il territorio, le famiglie, gli imprenditori e le persone. Questo è un altro punto che va risolto. Questa dimensione - ha aggiunto - non sempre si adatta alle dimensioni della nostra economia e alle piccole e medie imprese».


05 settembre 2009



Prove di ripresa
Industriali, la passione contro la crisi: «Adesso investiremo di più»
Sondaggio a sorpresa a Cernobbio: un’impresa su tre punterà sul rilancio

Con il cuore, almeno con quello, gli imprenditori sono già oltre la crisi. E’ abitudine del seminario Ambrosetti, che va in onda con regolarità svizzera ogni primo weekend di settembre a Cernobbio, organizzare un sondaggio interattivo tra i partecipanti sul principale argomento in discussione. Ieri si parlava ovviamente di uscita dall'emergenza.

Le risposte degli industriali hanno sorpreso molti, dal professor Mario Monti al presidente di Autostrade, Gian Maria Gros-Pietro («Io dei numeri della mia azienda sono certo, spero che i miei colleghi non abbiano esagerato»). La maggioranza relativa dei presenti a Villa d'Este, circa il 30%, pensa che la ripresa verrà nel secondo semestre del 2010 ma c'è un 10% che vede rosa e si è spinto a prevedere la fine del tunnel già entro il 2009. E fin qui lo scostamento tra il sentiment degli ospiti di Ambrosetti e l'opinione degli analisti è tutto sommato ridotto.

Interrogati però sulle previsioni di fatturato per il 2009 delle loro aziende, all'incirca un quarto degli imprenditori ha risposto che non ci saranno variazioni sul 2008 e addirittura un 28% ha «confessato» che la sua azienda chiuderà il bilancio con ricavi superiori a quelli fatti segnare l'anno prima. In più di qualche caso con incrementi superiori al 10%! Ma non è finita. Il questionario preparato dagli Ambrosetti boys e illustrato dalla giornalista americana Maria Bartiromo prevedeva una terza domanda, incisiva e rivelatrice. Rispetto a tre mesi fa avete deciso di incrementare il piano di investimenti previsto dalla vostra azienda o avete frenato? Circa il 33% degli interpellati ha risposto sì: altro che freno, abbiamo scelto di accelerare le spese per investimento. Un altro terzo ha comunque confermato i piani che aveva adottato e solo il restante 33% ha invece tarato al ribasso quanto stabilito un trimestre fa. Gli economisti di mezzo mondo prevedono una jobless recovery, una ripresa senza aumento di posti di lavoro? Beh, gli imprenditori di Cernobbio non la pensano così e stanno parlando delle proprie aziende. Il 40% dichiara che non ci saranno novità negative e l'occupazione resterà stabile ma un manipolo di coraggiosi, il 15% di chi ha risposto al quesito, ha detto che prevede di incrementare i posti di lavoro.

Prima di rispondere alle domande della Bartiromo gli industriali avevano ascoltato alcuni tra i più gettonati esponenti del circo bianco della crisi: l'americano Nouriel Roubini, il francese Jean Paul Fitoussi e l'inglese Martin Wolf. E i tre avevano riversato sulla platea secchiate di (sano) pessimismo. Tutto si può dire tranne che i nostri intrepidi imprenditori fossero plagiati. Anzi. Era stato spiegato loro che «la ripresa sarà a U, debole e lenta », che «il mondo ha palesato un'enorme capacità produttiva in eccesso», che «non si trova chi possa sostituire il consumatore americano come motore della ripresa» e Fitoussi aveva ridimensionato gli entusiasmi per il Pil dei cugini francesi tornato a salire («ha un piccolo significato »). Il solo Gary Becker, premio Nobel itinerante, li aveva tirati su inneggiando agli incrementi di produttività realizzati dentro e nonostante la crisi.

Come si spiega, dunque, l'ottimismo degli industriali italiani? «Vuol dire che hanno completato la ristrutturazione e pensano al futuro» azzarda Chicco Testa. Ma il vice-presidente della Confindustria, Alberto Bombassei, scuote la testa e ammette di «esser rimasto stupito dai risultati del sondaggio». Un caveat da tenere a mente riguarda il campione di Cernobbio: non rappresenta tutte le imprese italiane, qui vengono le grandi e le medie. Non certo le piccole e piccolissime. Poi come suggerisce il capo di Ibm Italia, Nicola Ciniero, «c'è la voglia di guardare al bicchiere mezzo pieno, il voto forse non è l'esatta fotografia della realtà ma esprime la voglia di reagire». E questa se vogliamo è la notizia. Testimonia Maria Paola Merloni: «Personalmente non sono sorpresa più di tanto. Diciamo che oggi a Cernobbio si è palesato lo spirito migliore della nostra industria. Il segnale è che non si va avanti solo con i tagli, si deve e si vuole tornare a investire ». Sintetizza per tutti Luigi Abete: «Gli industriali hanno capito che dopo la crisi non c'è l'Apocalisse, guardano al medio termine e con il cuore hanno già superato l'ostacolo».

Dario Di Vico
05 settembre 2009


IL direttore ad interim di Avvenire, Marco Tarquinio
Il sostituto di Boffo all'attacco:
«Cattiva stampa e video-indecenze»

Nel primo editoriale mette sotto accusa le tv. «Adesso giudichino i cattolici»


«Avvenire» non ci sta, e in un editoriale firmato oggi da Marco Tarquinio, che come direttore ad interim ha la responsabilità del quotidiano cattolico dopo le dimissioni del direttore Dino Boffo, rivendica i meriti del giornale premiato dai lettori («sono loro che giudicano della nostra pulizia e coerenza»), risponde alla «campagna diffamatoria» messa in atto dal Giornale di Feltri, si interroga «sulla sorte della libera stampa in Italia» e soprattutto mette pesantemente sotto accusa il ruolo delle televisioni nella vicenda che ha portato alla rinuncia di Boffo.

«C'è più di un problema nel mondo dell'informazione italiana», esordisce in prima pagina Tarquinio, che prosegue più avanti: «La libertà senza responsabilità non ha senso, e l'esercizio irresponsabile della libertà diventa inesorabilmente una maledizione per ogni comunità civile», per poi passare a stigmatizzare la «inconsistenza di quella maligna campagna diffamatoria costruita - nei titoli e negli articoli del Giornale diretto da Vittorio Feltri - su una lettera anonima travestita da documento del casellario giudiziario». Arrivando a parlare delle televisioni, Tarquinio scrive: «La magna pars dell'informazione televisiva pubblica e privata ha finito per amplificare le loro cannonate in faccia alla verità. Le falsità e le deformazioni sulla persona di Dino Boffo hanno avuto - per giorni - uno spazio tv irrimediabilmente insultante. Di Avvenire e della sua linea politica è stata fatta anche in tv una interessata caricatura. E questo perché Feltri & Co. sono stati fatti dilagare sul piccolo schermo con le loro tesi e (man mano che la verità veniva a galla) i loro aggiustamenti di tesi. E quando non sono stati loro - gli sbandieratori di una ignobile lettera anonima - a occupare lo schermo, le notizie di chiarimento venute dalla magistratura di Terni sono state ignorate o sminuzzate. Confuse - prosegue Tarquinio - in un polverone di chiacchiere in politichese. Tutt'al più di querimonie su una privacy violata, quando c'era una verità di vita fatta a pezzi. Un'autentica videoindecenza» .

L’editoriale si conclude con un invito a giudicare lanciato ai cattolici italiani. «Che giudichino loro in edicola e col telecomando questa libertà irresponsabile che, ancora una volta, nessun altro, neppure l'Ordine dei giornalisti, appare in grado di giudicare. Giudichino loro - finisce Tarquinio - la stampa della falsità e della cattiveria. Giudichino le videoindecenze».


05 settembre 2009



C'era anche il segretario generale della Cei al convegno dell'associazione
Azione cattolica: «Caso Boffo: attacco e intimidazione». Mons. Crociata applaude
Il prelato: «I cattolici non si facciano prendere dalla "sindrome dell'assedio"»


CITTÀ DEL VATICANO - Non ha voluto commentare il caso Boffo, ma il segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei), mons. Mariano Crociata, ha partecipato all'applauso con cui la platea dell'Azione cattolica ha accolto le parole di solidarietà all'ex direttore dell'Avvenire, espresse dal presidente dell'associazione, Franco Miano. Miano ha espresso sconcerto e condannato «con forza l'intimidazione che l'attacco del Giornale ha comportato contro una persona e contro, più in generale, la libertà di espressione».

ASSEDIO - I cattolici italiani devono evitare da una parte la «sindrome da assedio, di chi vede attorno a sé nemici e minacce alla fede e alla Chiesa», ma anche di «lasciarsi dettare il criterio di giudizio dalle mode del momento, anche sul piano dottrinale e morale», ha raccomandato mons. Crociata, intervenuto al convegno di presidenti e assistenti diocesani dall'Azione cattolica.

CARATTERE POPOLARE - «Il processo in atto», ha rilevato mons. Crociata, «ci fa assistere al lento declino dell'appartenenza religiosa forte alla Chiesa nel sentire di fondo della società italiana. Occorre trovare un equilibrio tra conservazione e adattamento». In segretario della Cei ha ricordato «il carattere popolare» della Chiesa italiana, contraddistinto «dalla non separatezza della condizione di vita dei credenti dal resto della società. Bisogna vigilare sulla tentazione di ridurre la fede alla dimensione privata, ma anche su quella opposta di adagiarsi sul mantenimento di un ambiente socio-culturale con tratti religiosi e più o meno vagamente cristiani, secondo una prospettiva da religione civile».


05 settembre 2009




IN AFGHANISTAN
Il marine morente: la foto
che ha fatto indignare il Pentagono

L'Ap mostra gli ultimi atti di vita di un soldato sul campo di battaglia. Proteste. «Non c'è compassione»


La fotografia di un giovane marine dilaniato e morente sul campo di battaglia in Afghanistan ha provocato le proteste del Pentagono. La decisione dell'agenzia Ap di mandare in circuito gli ultimi attimi di vita del caporale Joshua Bernard è stata una «raccapricciante violazione del buon senso e del rispetto delle persone», ha scritto il ministro della difesa Robert Gates alla maggiore agenzia di informazione americana. Gates ha scritto al presidente dell'Ap Thomas Curley dopo aver raccolto la protesta del padre del ragazzo, morto per le ferite riportate il 15 agosto nella provincia di Helmand. «Non sono nemico dei media, ma la vostra mancanza di compassione e di senso comune nel mettere la foto di questo giovane smembrato e mortalmente ferito sulle prime pagine di numerosi giornali è raccapricciante. Non c'è legge o diritto costituzionale che tenga. Qui è in gioco il buon senso e il rispetto delle persone».


La foto del marine morente
Nell'immagine della fotografa Ap Julie Jacobson, il soldato, sanguinante e morente, è assistito da due commilitoni dopo esser stato colpito da una granata in un boschetto di melograni nei pressi del villaggio di Dahaneh. Julie aveva scattato da lontano, con il teleobbiettivo, sotto il fuoco dei talebani, senza rendersi conto quel che riprendeva. «Poi l'ho visto, a dieci metri da me. Una gamba strappata dall'esplosione, l'altra appesa a un brandello di pelle. Aveva perso conoscenza». Per l'Ap la decisione di mettere l'immagine in circuito è stata difficile: «I nostri giornalisti documentano avvenimenti mondiali ogni giorno e l'Afghanistan non fa eccezione: è nostro dovere mostrare la realtà della guerra per spiacevole e brutale che sia», ha detto Santiago Lyon, il capo del servizio fotografico. L'agenzia ha aspettato che i funerali del giovane marine, 21 anni di New Portland in Maine, fossero stati celebrati il 24 agosto prima di distribuire l'immagine con l'embargo a oggi: l'idea era di dare ai quotidiani abbonati il tempo di riflettere sull'opportunità o meno di pubblicarla. Alcune testate si sono rifiutate di farlo. Immagini di soldati americani morti o mortalmente feriti in combattimento sono rare in parte perché è difficile per un giornalista avere accesso alla linea del fronte, in parte perchè le regole del Pentagono impediscono di mostrare le immagini fintanto che le famiglie non sono state avvertite. Dopo aver imposto per anni il bando, l'amministrazione Obama in aprile ha dato luce verde alla distribuzione di foto delle bare che rientrano in patria dall'Iraq e l'Afghanistan a patto che le famiglie fossero d'accordo: un'inversione di rotta a 180 gradi rispetto a quanto in vigore dagli anni Novanta.


04 settembre 2009


MORTI SULLE STRADE
Pirata della strada uccide un 77 enne
Fermato autista fuggito dopo lo scontro
Ai carabinieri l'uomo ha ammesso di essere alla guida.
L'incidente è avvenuto alle 6 del mattino in via del Trullo




ROMA - Nella prima mattina di sabato, Carmelo Pillitteri medico di 77 anni, è stato travolto e ucciso da un'auto pirata in via del Trullo, alla periferia della capitale. I carabinieri hanno ritrovato la macchina, una Bmw, abbandonata in una strada non lontana dal luogo dell'incidente mortale. Il proprietario - un uomo di 30 anni figlio di un poliziotto della capitale - , ascoltato dagli investigatori, ha ammesso di essere alla guida al momento dell'incidente ed è in stato di fermo nella caserma dei carabinieri del Nucleo Radio Mobile di Roma. Il 30enne è risultato negativo ai test di droga ed alcool ai quali è stato sottoposto.

FERMATO IL PROPRIETARIO DELL'AUTO - I carabinieri del nucleo radio mobile, una volta arrivati sul luogo dell'incidente, avvenuto verso le sei del mattino, hanno trovato accanto al corpo dell'anziano uno specchietto retrovisore di una Bmw ed alcuni vetri in frantumi. Poco dopo in via degli Alagno è stata trovata l'auto ricercata. Dopo il fermo del proprietario dell'auto, i militari stanno adesso cercando di stabilire le cause dell'incidente e verificare se la vittima sia stata investita mentre si trovava sul ciglio della strada o in mezzo alla careggiata, dove il corpo è stato trovato. Il magistrato di turno della procura dovrà ora decidere i provvedimenti da adottare nei confronti dell'investitore.


L'incidente di Pomezia (Faraglia)
UN 17ENNE MUORE A POMEZIA - L'incidente del Trullo arriva a poche ore da un altro mortale . Un ragazzo di 17 anni di Pomezia, alle porte della capitale, ha perso la vita nel tardo pomeriggio di venerdì in un incidente stradale sulla via del Mare. A bordo di una moto Aprilia 125, il giovane viaggiava da Torvaianica a Pomezia ed è stato falciato da una Marea station wagon. A bordo dell'auto, una coppia di Pomezia che, a quanto si apprende, aveva girato per recarsi ad un supermercato tagliando la strada al motorino. Sul posto sono intervenuti i carabinieri della Compagnia di Pomezia e la polizia municipale.


05 settembre 2009



Il dramma venerdì sera a Caraglio
Cuneo: 69enne uccide la convivente
La vittima è una 58enne di origine albanese. All'origine del gesto ci sarebbero stati i continui litigi tra i due

CUNEO - Ermete Armando, 69 anni, ha ucciso la convivente, Emine Hysem, 58 anni, di origine albanese, e si è consegnato ai carabinieri. È successo venerdì sera intorno alle 21 a Caraglio, in provincia di Cuneo. Secondo le prime ricostruzioni, l'omicida (un carpentiere munito di regolare porto d'armi) avrebbe sparato alla donna con un fucile calibro 22, poi avrebbe chiamato una vicina di casa la quale ha avvertito i carabinieri. All'arrivo dei militari l'uomo non ha opposto resistenza e ha confessato di essere stato l'autore del delitto. All'origine del gesto ci sarebbero stati i continui litigi tra i due, entrambi vedovi, che convivevano da un anno e mezzo. Il movente non è ancora chiaro ma i due, che soffrivano entrambi di momenti depressivi, litigavano da tempo per banali motivi.


05 settembre 2009



IL CAMBIO AL VERTICE RESTA UN AFFARE DI FAMIGLIA
Il Gabon nella rete dei Bongo
Petrolio, auto di lusso e povertà
Ali Ben succede al padre Omar. Morti e feriti nelle proteste


Ali Ben Bongo, figlio di Omar Bongo, satrapo del Gabon per 41 anni, morto l’8 giugno, è stato eletto presidente. La dinastia è salva, l’opposizione grida ai brogli e nella capitale e a Port Gentil, seconda città del Paese, sono scoppiati tafferugli.

Dev'essere stato difficile per il vecchio dittatore El Hadji Omar Bongo Ondimba scegliere il suo successore tra una trentina di figli (ovviamente avuti da donne diverse). Ha preferito Ali Ben Bongo che qualcuno dubita addirittura sia realmente suo discendente di sangue. «L'ha adottato perché è stato concepito a 18 mesi dal matrimonio con la sua prima moglie», sussurrano i maldicenti a Libreville, la capitale gabonese, e il cinquantenne delfino ha dovuto far intervenire la madre, Josephine Kama, cantante diventata Patience Dabany, che ha confermato. Ali Ben (nato nel 1959) si chiamava Alain Bernard ed era cristiano. Essenziale nella sua vittoria elettorale l'aiuto della Francia, interessata a mantenere la continuità di un regime che ha garantito al Paese la stabilità necessaria alle compagnie francesi, americane e all'italiana Eni, di sfruttare senza problemi il petrolio.

La dinastia Bongo è riuscita, almeno per ora, a assicurarsi la successione. Già il vecchio «dinosauro» aveva pensato ad allargarsi e dopo il divorzio con Josephine aveva scelto di sposare Edith Sassu Nguesso, giovanissima figlia di Dennis Sassu Nguesso, presidente cleptocrate del Congo Brazzaville. Omar Bongo, che prima di convertirsi all'Islam nel 1973 si chiamava Albert-Bernard Bongo, nei sui 41 anni di potere assoluto ha accumulato una fortuna enorme. I gabonesi, grazie ai proventi del petrolio, potrebbero essere ricchissimi. Invece la famiglia Bongo «allargata» è l'unica a sprofondare nell'oro, mentre la popolazione (meno di un milione e mezzo di persone) vive in condizioni miserabili. La collezione di automobili di Omar Bongo, finita al figlio, è leggendaria: due Ferrari, sei Mercedes, tre Porche, una Bugatti, due Rolls-Royce e una Maybach. Nessuno sa a quanto ammontino i beni della famiglia Bongo, una delle più ricche al mondo. Negli anni '90 gli americani avevano trovato nelle banche Usa 100 milioni di dollari appartenenti al dittatore. In Francia la compagnia petrolifera Elf-Aquitaine è stata accusata di aver versato nella casse del dittatore pesanti tangenti. Oltralpe i Bongo possiedono, oltre ad alcuni conti correnti milionari, 33 proprietà, compresa una villa da 25 milioni di euro. La prima moglie di Ali Ben, Inge, è apparsa in un reality show televisivo, Really Rich Real Estate, per acquistare una dimora da 23 milioni di euro a Hollywood.

Ogni tanto il vecchio mostrava grande benevolenza e così durante un incontro con i diplomatici a Libreville aveva annunciato una donazione di alcuni milioni di dollari per opere caritatevoli. L'ambasciatore americano, colpito da tanta magnanimità, chiese: »Denaro che viene da vostri fondi personali o dalle casse dello Stato?». Il presidente sembrò confuso ma poi i due uomini si trovarono d'accordo: questa distinzione era superflua e insignificante in Gabon.

Poco il denaro impiegato per sviluppare il Paese. A fianco di oleodotti modernissimi corrono strade sterrate piene di buche. I miliardi ottenuti dai proventi del petrolio non sono stati messi a disposizione della popolazione. In vero qualcosa è stata destinata per glorificare Papa Bongo: a parte le enormi gigantografie con il suo faccione ornato di baffi piazzate per le strade e le piazze di Libreville con cui “il popolo si congratula per i 40 anni al potere”, il Paese è pieno di palazzi e strade, a lui intitolati: dal Senato Omar Bongo, al boulevard trionfale Omar Bongo, all'università, allo stadio, alle palestre, all'ospedale militare. Perfino la città natale dell'uomo amico di tutti i presidenti francesi, da De Gaulle a Chirac, ha cambiato nome: ora si chiama Bongoville. Il suo scettro è passato al figlio Ali Ben che ha già rassicurato le compagnie petrolifere: “Il Paese non cambierà”. Il che, tradotto, vuol dire: voi vi prendere il petrolio e noi continueremo ad arricchirci. Qualcuno a Libreville ha aggiunto: “E la popolazione a morire di fame”


Il quotidiano inglese dedica ampio spazio alla recente alleanza mediatica
tra i due leader: interessi comuni nel nuovo canale satellitare Nessma
Guardian: "Per la tv araba
connection Gheddafi-Berlusconi

Il Financial Times si chiede: "Chi rimpiazzerà il Sultano?"



LONDRA - Silvio Berlusconi è protagonista di un nuovo caso di conflitto d'interessi, questa volta riguardo alla Libia, dopo l'ingresso di una società libica in una compagnia di produzione cinematografica controllata dalla Fininvest che ha recentemente acquistato quote in una tivù privata a Tripoli. A rivelare la "Gheddafi-Berlusconi connection" è il quotidiano Guardian di Londra, che ritorna sulle polemiche per la recente visita in Libia del nostro presidente del Consiglio ipotizzando che dietro l'amicizia politica trai due leader ci siano anche comuni interessi d'affari.

Nel giugno scorso, scrive il corrispondente da Roma del Guardian, John Hooper, una società libica, la Lafitrade, ha acquisito un 10 per cento di azioni nella Quinta Communications, una compagnia di produzione cinematografica fondata da un uomo d'affari tunisino che vive in Francia, Tarak Ben Ammar. La Lafitrade è controllata dalla Lafico, il fondo d'investimenti della famiglia Gheddafi, precisa l'articolo. Ma una delle altre società proprietarie della Quinta Communications, con una quota del 22 per cento, è una compagnia, registrata in Lussemburgo, di proprietà della Fininvest di Berlusconi; che ha a sua volta un legame con la Libia, perché Quinta e Mediaset, l'impero televisivo del premier, possiedono un quarto per ciascuna di un nuovo canale televisivo via satellite nel Magreb, chiamato Nessma Tv, tra i cui mercati c'è appunto anche la Libia. In pratica, scrive Hooper, facendo entrare Gheddafi nella Quinta Communications, Berlusconi "ha dato al regime libico una porzione di proprietà" della nuova stazione televisiva: "Sarà interessante vedere fino a che punto i giornalisti della Nessma Tv si sentiranno liberi di criticare l'operato di Gheddafi". L'ingresso della Libia nella compagnia di produzione controllata da Berlusconi, conclude il Guardian, "sarebbe stata una notizia di prima pagina in qualsiasi paese d'Europa, ma in Italia è stato riportato brevemente solo da un paio di quotidiani nelle pagine di notiziario finanziario". E quando Berlusconi ha visitato la Libia il mese scorso, "ha visitato una stazione tv locale, chiacchierando con la sua abituale disinvoltura con i giornalisti della redazione. Quella tv era la Nessma".

Un ampio articolo su Berlusconi appare oggi anche sul Financial Times: una recensione di due libri pubblicati di recente in Italia, "Il sultanato" di Giovanni Sartori, e "Papi - uno scandalo politico", di Peter Gomez, Marco Lillo e Marco Travaglio. "When in Rome, do as the Romans do", dice il proverbio inglese, quando sei a Roma, fai come i romani, e alludendo a questo motto popolare il quotidiano finanziario titola: "Quando sei a Roma, fai quello che dice Silvio Berlusconi". Il recensore, John Lloyd, membro della direzione del FT (e collaboratore di Repubblica), riassume così il senso dei due libri: "Il Sultano di Roma, al di sopra della legge, insofferente alle limitazioni, senza paura di alcuna opposizione, ha avuto una torrida primavera ed estate. Quando comincia la nuova stagione politica, vedremo quanto è stato danneggiato (da quanto è accaduto) e se sarà possibile che egli venga rimpiazzato, o dalla sinistra o più probabilmente da uno o l'altro dei suoi alleati di destra".

Sul caso Berlusconi ritorna anche il quotidiano spagnolo El Pais, pubblicando una lunga intervista al direttore di Repubblica, Ezio Mauro, nella quale Mauro afferma che il premier italiano aspira al potere assoluto e "usa il suo impero mediatico per tappare la bocca ai suoi nemici". Si tratta, osserva nell'intervista il direttore del nostro giornale, "di una battaglia per la libertà. Esiste in Italia una normale relazione tra la stampa e il potere? Si può criticare il primo ministro o no?", e aggiunge che il presidente del Consiglio sta "gravemente danneggiando l'immagine del paese". E in un altro articolo sul tema, il quotidiano spagnolo parla anche delle voci di una possibile vendita del Milan a Gheddafi, riportate anche dalla Voz de Galicia e altri giornali.

In Francia, Le Monde continua a riferire di "imbarazzo" nella Chiesa cattolica per il comportamento del primo ministro italiano, non solo riguardo alla sua vita privata ma anche sui temi dell'immigrazione; e un secondo articolo, sempre sul quotidiano francese, riferisce delle secche risposte del presidente della Commissione Europea a Berlusconi sulla Ue, dopo che il nostro premier avrebbe voluto "zittire" commissari e portavoce sui problemi dell'immigrazione. La Tribune de Geneve e l'Irish Times si occupano del documentario "Videocracy" presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, notando che il film "critica il pesante controllo di Berlusconi sui media" e il modo in cui questo influenza il paese.

E la storia del caso Feltri-Boffo arriva fino in Australia, dove il Sidney Morning Herald dedica un servizio allo "storico e potenzialmente disastroso scisma tra la Chiesa e il governo" di centro-destra italiano.

(5 settembre 2009)


L'adesione del deputato tedesco presidente del gruppo dei Socialisti e Democratici
Celebre il suo scontro a Strasburgo con Berlusconi che lo chiamò "Kapò"
Adesioni all'appello di Repubblica
Firma anche Martin Schulz




ROMA - Martin Schulz, presidente del gruppo parlamentare Socialisti e Democratici al parlamento europeo, ha aderito all'appello di Repubblica sulla libertà di stampa. Celebre il suo scontro con Silvio Berlusconi durante l'inaugurazione del semestre di presidenza italiano dell'Unione Europea nel luglio del 2003. Nella giornata di ieri nuove adesioni all'appello da parte di Nicola Piovani, Alessandro Baricco, Oliviero Toscani, Nanni Moretti e Claudio Abbado.

Lo scontro tra Schulz e Berlusconi - Era il 2 luglio del 2003. Silvio Berlusconi si insediava come presidente di turno dell'Unione Europea. Come capogruppo del Partito Socialista Europeo, nel Parlamento di Strasburgo, il tedesco Martin Schulz chiese al premier di chiarire due questioni: il conflitto d'interessi e le posizioni "xenofobe" della Lega Nord. La risposta di Berlusconi fece in poche ore il giro del mondo. "Signor Schulz, so che in Italia c'è un produttore che sta montando un film sui campi di concentramento nazisti: la suggerirò per il ruolo di kapò". Le reazioni furono immediate ma Berlusconi non presentò mai scuse ufficiali. Alla fine di quella seduta l'allora presidente del Parlamento Europeo, Pat Cox, si disse profondamente diaspiaciuto per le offese rivolte a Schulz.

GUARDA IL VIDEO DI BERLUSCONI CONTRO SCHULZ

Nei giorni scorsi il leader politico tedesco aveva criticato le posizione del presidente del Consiglio. "Berlusconi è una persona che sempre di più diventa un pericolo per la democrazia in Europa. Mi hanno consigliato di non intervenire sulle vicende italiane ma Berlusconi esercita un influsso sbagliato in Europa e perciò noi in Europa dobbiamo opporci", aveva affermato Schulz dopo le polemiche tra il premier e la Commissione europea.

(5 settembre 2009)
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 6/9/2009, 12:04




il presidente di Confindustria a Cernobbio
Marcegaglia: «La crisi non si risolve
sui tetti. Lavoriamo con i sindacati»

«Ammortizzatori sociali e fondi settoriali per le imprese, no cogestione». Epifani: «Vogliamo i fatti»


MILANO - Disoccupazione, piccole e medie aziende in difficoltà, banche accusate di non fare abbastanza, lavoratori sui tetti. Quanto durerà ancora la crisi? Quanto è grave? Che cosa si può fare? «Non siamo davanti a una catastrofe. Il problema della disoccupazione ci sarà, bisogna vigilare e intervenire anche con gli ammortizzatori sociali, ma niente panico», è la risposta di Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, che a margine del workshop Ambrosetti è intervenuta a proposito dei rinnovati allarmi sull'occupazione nel nostro Paese. «A oggi i posti di lavoro persi in Italia sono pochi, 200-300 mila. Può darsi ci sia nei prossimi mesi la perdita di alcuni posti di lavoro», ha osservato la presidente degli industriali richiamando tuttavia alla necessità di gestire il problema senza un eccessivo allarmismo.

LE PROTESTE DEI PRECARI - «La crisi non si risolve andando sui tetti, ma con gli ammortizzatori sociali», è il lapidario commento della Marcegaglia a proposito delle numerose iniziative di occupazione messe in atto nelle ultime settimane da disoccupati e precari di tutta Italia.

I SINDACATI - Le soluzioni dovrebbero essere trovate in concerto con i sindacati. C'è appunto un clima di avvicinamento tra Confindustria e Cgil a fronte delle difficoltà della crisi. «Adesso ci parleremo con Epifani per vedere di capire se ci sono dei modi per riunire le nostre strade», ha detto Marcegaglia, in attesa dell'incontro con il leader della Cgil. «La Cgil è un grande sindacato - ha aggiunto Marcegaglia -. Quello che ci dicevamo entrambi è che in un momento difficile come questo bisogna far prevalere le cose che ci uniscono rispetto a quelle che ci dividono».

EPIFANI: VOGLIAMO I FATTI - «Conviene a tutti affrontare la crisi più uniti», commenta Epifani, ma aggiunge: «Non possiamo basarci sulle parole, ci vogliono i fatti. Confindustria sa quali sono le nostre critiche e osservazioni, spero che ai tavoli di categoria si possa tenere conto di quella che è l'opinione della Cgil». Il segretario della Cgil, a margine del workshop Ambrosetti, ha aggiunto: «Spero che nei tavoli di trattativa delle categorie possano esserci delle aperture che possano consentire un clima diverso». Nel mattino Epifani si è incontrato per una colazione con il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia ed è atteso un ulteriore confronto a margine dei lavori del seminario di Cernobbio. Interpellato sull'esito del primo incontro Epifani ha detto: «Abbiamo solo scambiato qualche opinione, allo stato niente di più».

NO ALLA COGESTIONE - Emma Marcegaglia rivendica però «l'autonomia delle parti» nella gestione della crisi, escludendo di fatto l'idea della partecipazione dei lavoratori agli utili aziendali come possibile risposta alla crisi. La presidente degli industriali ne ha parlato nel suo intervento al Workshop Ambrosetti, al suo ultimo giorno a Cernobbio, provocando un applauso della platea. Marcegaglia ha sottolineato che «la Confindustria e il sindacato devono farsi parte integrante di un progetto paese», osservando che bisogna puntare alla «coesione e non alla conflittualità». Marcegaglia ha anche rilanciato il progetto di «un fondo per la capitalizzazione delle imprese».

FONDI PER LE IMPRESE - La Marcegaglia ha poi lanciato la proposta di fondi settoriali a sostegno delle imprese. «L'idea è di creare una sorta di società consortili che sottoscrivano obbligazioni e azioni di aziende, che le aziende stesse possano ricomprare dopo un periodo di circa tre anni». «Credo si tratti di un meccanismo che possa dare risposte alle esigenze di ricapitalizzazione e di consolidamento delle imprese», ha aggiunto.

LE BANCHE - Gli scontri fra governo e banche e fra banche e imprese per la Marcegaglia vanno superati «mettendo in campo strumenti operativi e concreti che aiutino le imprese» a superare la crisi. Riferendosi al nuovo attacco del ministro Tremonti al sistema bancario italiano, Marcegaglia ha ricordato che Confindustria ha «sollecitato molto le banche a stare vicino alle imprese in un momento difficile. Credo che in questo momento quello che è veramente essenziale è mettere in campo strumenti utili alle imprese. Abbiamo firmato il 3 agosto la moratoria sui crediti, ieri Faissola ha detto che ha aderito l'82% delle banche. Abbiamo anche proposto di creare dei fondi vari che possano aiutare le imprese a patrimonializzarsi»: tutti «strumenti operativi e concreti» per sostenere le imprese.

LA STAMPA - Emma Marcegaglia ha inoltre richiamato a una maggiore sobrietà e pacatezza nei toni del dibattito sulla stampa, ma non ritiene che ci siano pericoli per la libertà di informazione nel nostro Paese. «Non vedo un pericolo - ha osservato commentando la questione che tiene banco nel dibattito politico di questi giorni - ma credo che sia importante una maggiore attenzione e concentrazione sui temi della crisi e dell'occupazione e faccio un appello a una maggiore sobrietà e pacatezza».



06 settembre 2009



in pieno centro a roma, in piazza dei tribunali
Incidente all'alba: auto si ribalta
morte due ragazze, un'altra è gravissima

Anche due feriti nel frontale: erano tutti a bordo di una
Fiat Punto che dopo lo scontro si è cappottata più volte



ROMA - Due ragazze sono morte e altre due ragazzi sono rimasti feriti in un incidente stradale a piazza dei Tribunali, a Roma, stamani poco prima delle 6.30. La più grave è ricoverata in rianimazione all'ospedale Santo Spirito. La macchina su cui viaggiavano, una Fiato Punto, probabilmente per l'alta velocità, si è scontrata con un'altra vettura, una Honda Civic, sullo slargo del lungotevere che precede Castel Sant'Angelo, per poi cappottarsi più volte coinvolgendo altre vetture.

IN RIANIMAZIONE - In un primo momento i vigili urbani della capitale avevano comunicato che erano tre le donne decedute nell'incidente di piazza dei Tribunali a Roma di stamani. Invece, una è ricoverata al Santo Spirito nel reparto di rianimazione in gravissime condizioni. Le altre due, portate all'ospedale San Camillo e l'altra al Santo Spirito, dove sono morte.

FERITI DUE GIOVANI - I giovani erano tutti probabilmente reduci dalla notte in discoteca. È stato necessario l'intervento dei vigili del fuoco per estrarre i corpi delle tre giovani che, trasportate all'ospedale, sono morte. Gli altri due ragazzi che viaggiavano nella vettura sono feriti ma non sarebbero in gravi condizioni.

NON SI PU' MORIRE COSI' - «Morire così, è inaccettabile». A parlare tra le lacrime è una parente di Giulia, questo il nome di una delle due ragazze morte nel gravissimo incidente di stamani a piazza dei Tribunali, a Roma. Giulia aveva 22 anni, era di Latina e dopo l'incidente era stata portata all'ospedale San Camillo dove è morta. All'ospedale stanno arrivando parenti e amici della ragazza. Una delle sue migliori amiche si è avvicinata al banco dell'accettazione e ha chiesto: «Fatemi sapere almeno se è viva, siamo cresciute insieme»,. Alla risposta dei sanitari, la ragazza è scoppiata in lacrime ed è scappata via.


06 settembre 2009



OMICIDIO-SUICIDIO IN UN APPARTAMENTO nella periferia nord della capitale
Labaro, accoltella a morte la moglie
e si uccide lanciandosi dal sesto piano

Dramma della gelosia nella notte. Inutili i soccorsi:
Luigi Scacchioli non ha risparmiato nemmeno il cane



ROMA - Accoltella al petto e cerca di bruciare viva sua moglie. Poi Luigi Scacchioli, 40 anni, si uccide lanciandosi dal sesto piano di un palazzo a Labaro, nella periferia Nord di Roma. La follia non risparmia nemmeno il cagnolino della consorte che Scacchioli ha portato con sé nel volo terminato con lo schianto su un'auto parcheggiata. La donna, Tatiana Donceva, moldava di 32 anni, è morta dopo alcune ore di agonia: era stata trasportata in codice rosso all'ospedale Sant'Andrea dove i medici, che l'avevano ricoverata in rianimazione, hanno capito subito che le sue condizioni erano molto gravi e con poche speranze.



L'auto su cui si è schiantato l'omicida
SOCCORSI INUTILI - L'omicisio suicidio è avvenuto la scorsa notte intorno all'1.30, in via Arta Terme a Labaro, Roma. Nell'appartamento, oltre alla donna ferita e ustionata, i vigili del fuoco hanno spento un principio di incendio. La donna, soccorsa, è poi deceduta. Ai piedi del palazzo, è stato invece recuperato il corpo dell'uomo che si era schiantato su una Audi.

L'ALLARME DEI VICINI - A dare l'allarme sono stati alcuni vicini che la scorsa notte sono stati svegliati dalle urla di una violenta lite, l'ennesima, culminata poi con il ferimento di Tatiana Donceva con varie coltellate all'addome e poi l'incendio. Ad entrare nell'appartamento per primi sono stati i vigili del fuoco che dopo aver sfondato la porta d'ingresso hanno trovato la donna cosparsa di benzina ed in fiamme. Solo in un secondo momento si è capito che la donna era stata anche ferita diverse volte con un coltello all'addome. Secondo quanto si è appreso da alcuni vicini le liti tra i due coniugi erano molto frequenti soprattutto per questioni di gelosia.


06 settembre 2009


 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 7/9/2009, 16:51




L'incidente attorno alle 13. Un ferito è in gravi condizioni
Monte Bianco: cade elicottero, 2 morti
Precipitato sul ghiacciaio di Toula, il velivolo era impegnato in lavori di manutenzione della linea elettrica



DUE VITTIME - I morti nell'incidente all'elicottero caduto sul monte Bianco sono due, contrariamente a quanto reso noto in un primo momento dalle autorità. È vivo, ma gravemente ferito, il pilota del velivolo, Andrea Bellinzona, ricoverato in condizioni giudicate disperate, nell'ospedale di Aosta. Le due vittime sono Christian Jeantet e Giuliano Coaro (tecnici di volo), tutti residenti in Valle d'Aosta. L'altro ferito, che è stato trasportato all'ospedale di

Aosta, è un operaio dell'impresa edile Cte. I quattro erano impegnati in lavori alla rete elettrica sotto il rifugio Vecchio Torino. L'elicottero è della società Helops (Air vallee helicopter operations & services), gruppo Air Vallee, la stessa ditta che fornisce i velivoli al Soccorso alpino valdostano (che non è stato coinvolto nell'incidente, contrariamente a quanto sembrava in un primo momento). L'equipaggio ha spesso lavorato per la protezione civile valdostana. L'incidente è avvenuto poco prima delle 13 non lontano dal rifugio Torino Vecchio. Sul posto dell'incidente sono intervenuti tre elicotteri del Soccorso Alpino valdostano per le operazioni di recupero, rese particolarmente difficili dal vento e dalla zona impervia.
Solo poche ore prima, nella mattinata, un aereo da turismo francese era caduto sul Monte Rosa: il pilota, rimasto ferito ma non in pericolo di vita, era stato recuperato da una squadra dell’elisoccorso valdostano.

INCHIESTA - L'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo ha aperto un'inchiesta tecnica di sua competenza sull'incidente avvenuto presso il ghiacciaio Toula, sul Monte Bianco, all'elicottero SA 315B Lama (marche I-NERY), che ha provocato la morte di due occupanti. Un pool di investigatori dell'Ansv ha raggiunto la località dell'incidente per un primo sopralluogo operativo ed esaminare il relitto dell'elicottero.



07 settembre 2009



Global Economy Meeting
Trichet: «Crisi, superata fase di caduta libera ma dobbiamo restare prudenti»
Il presidente della Bce: «Gli indicatori economici vanno meglio del previsto però la strada potrebbe essere accidentata»


MILANO - Il peggio è passato e l'economia mondiale è probabilmente uscita dalla fase di caduta libera vissuta fra la fine del 2009 e l'inizio del 2010, ma «dobbiamo restare prudenti» e non si esclude che la strada da percorrere sia «accidentata». Il numero uno della Bce, Jean-Claude Trichet, in qualità di presidente anche del Global Economy Meeting, ha fatto il punto sulla situazione economica globale al termine degli incontri fra i banchieri centrali del G10.

DISOCCUPAZIONE - «Molti indicatori economici stanno andando meglio di quanto si pensasse, tante stime sono state riviste verso l'alto» ha detto Trichet, sottolineando che i governatori hanno discusso della disoccupazione in aumento nelle maggiori economie, e in particolare del suo impatto sulla fiducia e sulle famiglie. «Le autorità finanziarie mondiali devono prestare grande attenzione alle lezioni delle crisi finanziarie precedenti, non sarebbero perdonate in caso di nuove crisi» ha sottolineato.




07 settembre 2009



I dati del "Credit opinion"
Moody's: «Pil italiano a -4,4% nel 2009»
La previsione dell'agenzia di rating. Per il 2010 le stime sono di una crescita dello 0,1%

MILANO - Moody's stima per l'Italia una contrazione del Pil 2009 del 4,4%, mentre per il 2010 le previsioni sono di una crescita dello 0,1%. È quanto si legge nel 'Credit Opinion' diffuso dall'agenzia di rating.

DPEF - Il Governo, attraverso il Documento di programmazione economica e finanziaria, prevede invece per quest'anno una contrazione dell'economia italiana del 5,2%, mentre stima per il 2010 una crescita dello 0,5% del Pil. Secondo Moody's, poi, l'inflazione si attesterà quest'anno in Italia all'1%, per portarsi all'1,8% nel 2010.

RATING - Nella 'credit opinion' l'agenzia ricorda quindi di aver assegnato all'Italia rating Aa2 con prospettive (outlook) stabili. Moody's sottolinea come la forza economica italiana sia «molto elevata», ma la forza finanziaria del governo «è ritenuta 'elevata', invece che »molto elevata», a causa della necessità di finanziare un debito elevato, che nel 2008 ha interrotto il trend di discesa e a causa di una «relativa mancanza di dinamismo economico». Secondo l'agenzia il rating italiano potrebbe venir aumentato a fronte di una significativa e sostenibile riduzione del debito pubblico, grazie a variazioni fiscali significative e credibili. Allo stesso modo delle dinamiche prolungate di deterioramento del debito pubblico potrebbero portare a un declassamento.






07 settembre 2009



MELONI, RONCHI E «FAREFUTURO»: «Accuse ridicole»
Bossi e "Il Giornale" attaccano Fini

Nel Pdl è tensione con gli ex An



TORINO - «L'è matt». Tradotto dal dialetto varesotto: «È matto». Il giudizio tagliente su Gianfranco Fini è di Umberto Bossi e l'argomento è il voto agli immigrati alle elezioni amministrative, un tema che il presidente della Camera ha nella sua agenda sin dal 2003 e che ha recentemente rilanciato. Il giudizio è stato espresso dal leader della Lega Nord a Torino, alla festa del partito, come riportato dalla Stampa.it.

FELTRI - Ma quella del Senatùr non è l'unica frecciata rivolta a Fini, che negli ultimi mesi è parso in disaccordo con la Lega e talvolta anche con il suo partito, il Pdl, su alcuni temi (come sicurezza e testamento biologico). Tra gli attacchi più decisi c'è quello di Vittorio Feltri: «Rientra nei ranghi - scrive il direttore de "Il Giornale" - non rischierai più di essere ridicolo come lo sei stato negli ultimi tempi». Feltri punta il dito contro quelle che chiama 'virate'. «Sei ancora di destra o da quella parte ti sei fatto superare da Berlusconi? Non è una domanda provocatoria. Nasce piuttosto da una constatazione. Sulla questione degli immigrati parli come un vescovo. Sul testamento biologico parli invece come Marino, quello della cresta sulle note spese dell'Università da cui è stato licenziato». Secondo il direttore del "Giornale", Fini ha in mente una strategia. «Ti sta a cuore la simpatia della sinistra che non sai più come garantirti. Il motivo si può intuire, se sbaglio correggimi. Miri - conclude Feltri - al Quirinale perché hai verificato che la successione a Berlusconi avverrà con una gara cui è iscritta una folla».

FARE FUTURO - A Feltri replica Alessandro Campi, politologo e direttore scientifico di 'FareFuturo', la fondazione di cui Fini è presidente: «È ridicolo accusare Fini di essere ambizioso. Tutti i politici lo sono. Ed è ridicolo accusarlo di non essere di destra: Fini lo è, ma il suo modo di intendere la destra è diverso da quello di Feltri». «Si tratta della prosecuzione della campagna di stampa che ha avviato il 'Giornale' contro quelli che si ritiene siano gli avversari diretti o indiretti, interni o esterni, reali o supposti del Cavaliere e di questo governo - dice Campi all'Adnkronos-. Il tutto all'interno di una strategia che da un lato punta a blindare Berlusconi da pettegolezzi e attacchi, dall'altro rischia di renderlo prigioniero dei suoi pretoriani».

MELONI E RONCHI - Anche il ministro Giorgia Meloni, ministro della Gioventù, difende il presidente della Camera: «Anche quando non si è d'accordo, e a me è capitato più di una volta di non essere d’accordo con Fini, ci si deve rispettare. Ma credo che si debbano rispettare tutti quelli che hanno il coraggio di esprimere le posizioni più diverse, da cui nasce un confronto che porta a una sintesi e serve a crescere». Per il ministro per le Politiche Europee, Andrea Ronchi, «Fini è un leader coraggioso della Casa delle libertà, è il cofondatore del nuovo partito ed esprime una sensibilità che ha piena cittadinanza nel popolo del centrodestra».


07 settembre 2009



Si teme la catastrofe ecologica: a bordo della nave 250 tonnellate di Olio e combustibile
Traghetto a picco con 968 persone
Donna si salva dopo 24 ore in mare
Tragedia nelle Filippine: nove morti e un ulteriore disperso. Nessun ferito in un secondo naufragio



MILANO - Ci sono almeno nove morti e un disperso nel naufragio di un traghetto, il «Superferry 9», avvenuto al largo delle Filippine meridionali. Ma dopo le notizie drammatiche della tragedia ne arriva anche una di speranza: una donna che era tra le 968 persone che si trovavano a bordo dell'imbarcazione e che non risultava più all'appello è stata tratta in salvo dopo 24 ore trascorse in mare, in una zona tra l'altro infestata da squali.

«CONDIZIONI STABILI - Il miracoloso salvataggio, come ha spiegato il contrammiraglio Alexander Pama, comandante di zona della marina militare filippina, è stato portato a termine dagli specialisti dell'aeronautica, che hanno individuato e recuperato il corpo ancora in vita di Lita Casunglon e per cercarla, assieme all'altro disperso, si erano mobilitate diverse squadre militari di ricerca. Malgrado la durezza della prova cui è stata sottoposta, lo stato di salute della naufraga è apparso relativamente buono ai medici che le hanno prestato le prime cure. «È viva e versa in condizioni stabili», ha confermato Pama. La donna, è stata presa in cura da un'unità della Guardia Costiera per poi essere trasferita in elicottero a un ospedale di Zamboanga.

RISCHIO ECOLOGICO - A parte la sorte dell'ultimo disperso, a destare la preoccupazione delle autorità filippine è adesso la minaccia di una potenziale catastrofe ecologica, qualora dallo scafo sommerso si dovessero verificare fuoriuscite di sostanze inquinanti. Al momento dell'affondamento, infatti, a bordo c'erano complessivamente 225 tonnellate di olio combustibile più ulteriori 25 di lubrificante. Si è comunque deciso di dare la priorità alle ultime ricerche della persona ancora mancante all'appello, sebbene l'armatore abbia già ingaggiato esperti per prevenire o combattere eventuali chiazze di carburante in mare, e la Marina abbia fatto intervenire uomini e mezzi per affrontare, se del caso, l'emergenza.

LE CAUSE DELL'INCIDENTE - Indagini sono in corso per accertare le cause del disastro, sicuramente favorito comunque dalle avverse condizioni meteorologiche. Sembra però che il traghetto trasportasse un carico eccessivo, e che questo fosse stato sistemato nelle stive senza le dovute cautele: spostandosi durante il viaggio a causa dei marosi, avrebbe così provocato il ribaltamento della nave. Testimoni hanno raccontato inoltre agli inquirenti che il traghetto stava già sbandando quando era salpato dal porto di General Santos, sull'isola di Mindanao, diretto verso la provincia centrale di Iloilo e da lì alla capitale Manila. Pare altresì che anche il generatore di bordo avesse problemi, e non si esclude neppure una falla nella chiglia, esistente fin dalla partenza.

IL SECONDO NAUFRAGIO - Nel frattempo, più a nord, nell'arcipelago è avvenuto il secondo naufragio in due giorni: si tratta del mercantile «Mv Hera», battente bandiera panamense, che aveva cominciato a imbarcare acqua già da ieri, mentre era in rotta da Papua-Nuova Guinea alla Cina, e dal quale in mattinata era stato lanciato l'Sos dopo che i motori erano andati in avaria. Incolumi tuttavia i diciannove membri dell'equipaggio, quindici marinai di nazionalità filippina più quattro sud-coreani: sono andati alla deriva per diverse ore su una lancia, al largo della provincia centrale di Samar del Este, ma alla fine sono stati localizzati e salvati dai soccorritori.


07 settembre 2009



Il 6 settembre 1609 veniva ucciso John Colman, uomo di fiducia dell'esploratore Henry Hudson
"Ammazzato dagli indiani", dicono gli storici. Ma i detective seguono altre piste
Quel primo omicidio a New York
dopo 400 anni il caso è riaperto





NEW YORK - William McNeely ne ha visti tanti di morti ammazzati ma un caso come questo proprio no, il corpo che non si trova e i testimoni, beh, anche quelli scomparsi da tanto, troppo tempo. "Cold Cases" li chiamano i detective, un'etichetta così famosa che ha dato il titolo a un serial tv, ma più che freddo è un caso gelido, praticamente ibernato da secoli questo delitto consumato sulla costa del New Jersey, misterioso omicidio (vicino) a Manhattan, anzi a Manna-Hata, l'"Isola delle colline" nella lingua degli indiani che la vendettero per un pugno di perline agli avventurieri olandesi.

Perché di questo stiamo parlando: il primo delitto mai avvenuto nell'area di New York, 6 settembre del 1609, appena quattro giorni dopo l'arrivo della spedizione di Henry Hudson, il navigatore inglese al soldo degli olandesi che in quelle acque a cui darà il nome si era avventurato - novello Colombo - alla ricerca dell'agognato passaggio a nord-ovest per le Indie.

La Grande Mela festeggia il compleanno di Nuova Amsterdam, domani parte la settimana di celebrazioni che culminerà nella grande festa del 13 settembre. Ma nel clima gioioso ecco spuntare la storia della misteriosa morte di John Colman, che di Hudson era uno degli uomini di fiducia, forse l'unico altro inglese in quella marmaglia di sedici olandesi, che non lo amava. Scrive Edward Robb Ellis in quel capolavoro di 40 anni fa che è The Epic of New York: "Il capitano mandò fuori una scialuppa con cinque uomini in ricognizione. Stanchi della vita a bordo, i marinai erano deliziati dalla vista dei fiori e delle piante e dai profumi dolcissimi. Ma gli indiani avevano già cambiato atteggiamento verso quegli strani visi pallidi. Un gruppo di guerrieri su due canoe attaccò quella piccola spedizione composta una barca sola, e nel combattimento che ne seguì un inglese, John Colman, fu ucciso da una freccia conficcata in gola. Fu il primo europeo a morire sulle rive di New York". Davvero già allora per colpa degli indiani?

Negli ultimi tempi gli storici hanno avanzato più di un dubbio su quella idilliaca ricostruzione riassunta anche in un affresco del primo '900 all'Hudson County Courthouse del New Jersey (per la cronaca, il pittore Francis Millet morì in un'altra disgrazia navale: il Titanic...). E così nello stesso anno in cui New York festeggia il più basso indice di criminalità - oltre il 2 per cento di omicidi in meno, è la più sicura tra le metropoli Usa - il capo dei detective cittadini, Michael J. Palladino, convoca un panel di esperti: da un vecchio segugio come McNeely a uno storico come James Ring Adams passando per Joseph A. Pollini, ex capo della squadra "cold cases" della polizia. Risultati? Argomenta McNeely al New York Times: "Colman era inglese, la ciurma olandese. Non puoi escludere nulla e nessuno. Dopo il delitto io avrei trattenuto tutti, compresi gli altri marinai feriti nell'agguato. Dicevano che erano stati attaccati dagli indiani: troppo facile. Non so se possiamo parlare già di razzismo: sicuramente gli indiani erano un ottimo capro espiatorio".

Il vecchio detective naturalmente gioca con l'ironia. Ma perché gli olandesi avrebbero dovuto mascherare l'omicidio con un agguato degli indiani, che sicuramente ci fu? Dice Pollini: "Se potessimo esaminare il corpo, capiremmo se fu davvero una freccia a colpirlo o un altro oggetto contundente la cui ferita fu fatta passare per quella di una freccia...". Colman era stato assoldato direttamente da Hudson e non era per niente amato dagli olandesi. Sentimento ricambiato. "Guardando i loro pancioni, temo che questa gente pensi più a mangiare che a navigare", scrisse in una lettera alla moglie due giorni prima di morire. Ecco allora l'ipotesi della vendetta. Confortata anche dal fatto che la scomparsa di Colman favorì sempre più l'ascesa di Robert Juet, un tizio il cui "journal" è l'unica fonte a noi giunta della spedizione, e che in seguito fu protagonista proprio dell'ammutinamento contro il povero Hudson. Certo, anche la morte di capitan Henry, due anni dopo, resta un mistero: ma quella avvenne intorno a James Bay, che oggi è territorio canadese. McNeely e Palladino dovranno farsene una ragione. O presentare una bella rogatoria.

(7 settembre 2009)
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 8/9/2009, 17:29




Boffo smentisce il settimanale Chi
"Mi attribuisce frasi grottesche"


MILANO - "Quelle che mi si attribuiscono sono
dichiarazioni semplicemente grottesche": "smentisco nel modo più categorico di aver rilasciato in questi giorni una qualsiasi intervista a Chi o a qualunque altro giornale". L'ex direttore dell'Avvenire Dino Boffo entra di nuovo in collisione con i media del premier. Tutto nasce quando le agenzie di stampa rilanciano le anticipazioni di un'intervista che il settimanale scandalistico avrebbe fatto a Boffo. Le frasi sono pesanti. L'ex direttore di Avvenire avrebbe detto "Non finisce qui ci saranno pesanti conseguenze politiche". Dopo qualche ora però nasce il giallo. Lo stesso Boffo chiama le agenzie e detta: "Quelle che mi si attribuiscono sono dichiarazioni semplicemente grottesche. Smentisco nel modo più categorico di aver rilasciato in questi giorni una qualsiasi intervista a Chi o a qualunque altro giornale".

(8 settembre 2009)


L'arcivescovo di Milano: "Importanti i principi del cristianesimo
ma il giudizio di Dio è basato anche su fiori e frutti"

Tettamanzi ammonisce la Lega
"Bene le radici, ma conta l'agire"

Caso Boffo: "C'è stata un'aggressione alla Chiesa"

MILANO - Le radici cristiane sono "importantissime", ma "il Signore ci giudica" non solo da queste, ma anche "dai fiori e dai frutti che queste radici realizzano e i fiori e i frutti chiedono di essere confrontati con il Vangelo e, per parlare in termini laici, con la dignità personale di ogni essere umano". Sono senza possibilità di equivoci le parole che il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, riserva a chi gli chiede qualsi siano i rapporti con la Lega e con il suo leader Umberto Bossi. Lo stesso Bossi che, la scorsa settimana, è andato in Vaticano "per ricordare le radici cristiane" del Carroccio, dopo le dure polemiche sull'immigrazione.

E al leader del carroccio, che continua ad accreditare la Lega come il partito più vicino ai principi cattolici, Tettamanzi manda un severo altolà. Quei principi, è il senso del cardinale, non possono essere solo mere enunciazioni ma devono essere messi in pratica con le azioni. E vista la politica della Lega in tema di immigrazione le due cose stridono parecchio.

Poi Tettamanzi torna al caso Boffo. E lo fa chiedendosi quale sia "il problema". Per poi parlare di una vicenda che nasconde "una qualche forma di reazione, di critica, di aggressione alla Chiesa come tale e alle sue prese di posizione".

Ultima battuta sulle affermazioni del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che ha definito "una barzelletta cattocomunista" gli attacchi alla libertà di stampa. "Queste aggettivazioni non mi toccano - replica Tettamanzi - a me interessa la sostanza, che è l'essere umano e cristiano. Prima di fare distinzioni parlo dell'uomo".





(8 settembre 2009)


Il direttore della terza rete: "Quel programma è un patrimonio utile per l'azienda"
Intanto Michele Santoro scrive al direttore generale Masi: "Annozero viene ostacolato"
Rai 3, Ruffini si schiera con Report
"La Rai gli dia assistenza legale"


ROMA - Aria sempre più tesa su due dei programmi di punta di Rai 2 e Rai 3. Da una parte Michele Santoro denuncia i ritardi che stanno mettendo a rischio Annozero, dall'altra il direttore di Rai 3 Paolo Ruffini, si schiera per sollecitare l'assistenza legale ai giornalisti di Report. "E' un programma che si base su una squadra di freelance. A questi giornalisti la Rai ha garantito copertura legale negli anni passati. Ora l'azienda vuole rivedere la clausola, nonostante il parere contrario della rete. Report è un patrimonio e quindi è utile alla Rai", dice Ruffini.

Il caso Annozero. A due settimane dalla partenza di AnnoZero, nessuno dei contratti dei collaboratori del programma è stato ancora firmato. Compreso quello di Marco Travaglio, uno dei nomi di punta del programma di Rai 2. Per questo Michele Santoro, che conduce la trasmissione, ha scritto una lettera al direttore generale della Rai, Mauro Masi e al direttore di Raidue, Massimo Liofredi. Santoro ricorda come gli spot non siano ancora partiti e sottolinea che "non intende rinunciare a quanto le sentenze stabiliscono". Un chiaro riferimento alla sentenza con cui Santoro è stato reintegrato alla Rai.

Per Santoro, "una simile situazione non si è mai verificata da quando lavoro in televisione, né era mai accaduto che obiezioni e perplessità in materia editoriale si presentassero sotto forma di impedimenti burocratici. Perché questo modo di fare non può che minare l'autonomia dell'azienda e le sue finalità produttive".

Il giornalista parla poi di "ripetute assicurazioni" avute dai vertici Rai, ma nonostante questo "la situazione non è sostanzialmente cambiata". Anche perché, a quanto scrive Santoro, quello di Annozero non è un caso isolato. "Mi risulta che anche altri programmi di punta del servizio pubblico, in particolare di Rai 3, abbiano gli stessi problemi e si trovino a dover superare ostacoli pretestuosi per la messa in onda".

Santoro ricorda gli elevati introiti pubblicitari e l'elevato share della trasmissione ("che con le entrate degli spot supera abbondantemente i costi del programma"). E conclude: "Un'eventuale soppressione del programma aprirebbe un buco difficilmente colmabile nella programmazione, arrecando un danno ai bilanci della Rai valutabile in decine di milioni di euro".

L'ex europarlamentare ricorda, infine, le voci che parlano di una sorta di diktat del presidente del Consiglio verso alcune trasmissioni di Rai 3, e nel farlo rammenta ancora la sentenza della magistratura che ha imposto alla Rai di farlo tornare in onda. "Vi comunico quindi - conclude Santoro - che io non intendo rinunciare a quanto le sentenze stabiliscono; e, nell'interesse dell'azienda, mi aspetto che si recuperi il tempo perduto siglando tutti i contratti".

(8 settembre 2009)


Fini come pericolo per Berlusconi, e parte la guerra interna nella coalizione
Il premier sospetta che l'alleato sia entrato nel Pdl per controllarne il potere
Contro l'ex delfino
i bagliori del fuoco amico




Il presidente della Camera Gianfranco Fini seduto accanto al premier Silvio Berlusconi
FRANCESCO Storace, che conosce i suoi polli e ha un modo piuttosto sbrigativo di leggere i fatti della politica e di anticiparne le brutali ripercussioni sul potere, ha detto ieri: "È cominciata l'operazione per far fuori Fini". Non è detto che vada in porto, in genere sono partite lente e complicate.

Ma certo vale quel che vale, e quindi molto poco, l'assai tardiva messa a punto del principale usufruttuario di quell'impresa. Il presidente Berlusconi non sapeva, "com'è ovvio", dell'articolone anti-Fini sul Giornale; e quanto alla stima e vicinanza espressa soltanto in serata al presidente della Camera, beh, l'esperienza insegna che non di rado la retorica delle formule nasconde l'esatto contrario di ciò che viene detto.

Da che mondo è mondo, ogni sovrano assoluto - e il Cavaliere lo è - si concede il graziosissimo lusso di incoraggiare o prendere le distanze a seconda delle convenienze. La chiacchiere, come si dice, stanno a zero e nei rapporti personali fra i potenti contano solo i fatti - e a volte nemmeno quelli.

Con tale premessa si può stare sicuri che, anche stavolta, il messaggio è arrivato a destinazione. Nella migliore delle ipotesi, Fini può e anzi deve velocemente rientrare "nei ranghi". Nella peggiore, esposta da Storace, si è dato inizio a una defenestrazione "dai ranghi" del Pdl. Mentre l'esito intermedio prevede un realistico dispiegamento di forze, atmosfere e obiettivi al centro del quale è oggi in palio non solo il rango, ma lo stesso futuro politico di Gianfranco Fini, antico alleato divenuto un serio pericolo per il berlusconismo reale e applicato.

La novità del caso è che in questa categoria si può comprendere non solo la Lega e l'intera entità che faceva riferimento a Forza Italia, con i due coordinatori del Pdl Bondi e Verdini, ma ormai anche la maggior parte degli ex colonnelli di An. Dagli arzigogoli di La Russa alla freddezza di Gasparri, dal tiepido argomentare di Alemanno al mutismo di Matteoli, per la prima volta si è capito quanto poco Fini possa contare su quelli che per un quindicennio, in verità, ha tenuto sotto come tacchini.

E sembra adesso, la loro, quasi una reazione psicologica e liberatoria, la fine di una lunga tutela. Tutti ieri si sono più o meno debolmente concentrati sulle accuse di Feltri, dimenticando Bossi che del loro ex leader aveva detto, lo stesso giorno: "Quello è matto". E anche qui, più delle parole, che nulla pesano quando sono formali, reticenti e insincere, pesano i silenzi.

Ma soprattutto pesa, a pensarci bene, quel senso di inconfessabile ineluttabilità, quella specie di conclusione annunciata, quel destino sfuggente, ma sufficientemente chiaro, che già s'indovinava al congresso fondativo del pdl, quando Fini fece da perfetto guastafeste al trionfo del Cavaliere. O forse prima ancora, nell'inverno del 2007, allorché per ragioni rimaste misteriose, eppure elettoralmente comprensibili, comunque si fece rientrare le più accese paturnie anti-berlusconiane - "siamo alle comiche finali", "ho menato come un fabbro" - e senza tante storie aderì al progetto del predellino.

Ecco. In una vita pubblica in cui da tempo le idee e i progetti lasciano un po' il tempo che trovano, un po' si fatica a entrare nella disputa se l'attuale presidente della Camera sia di destra o meno; se abbia tradito qualcuno o qualcosa in nome di qualche cos'altro. Certo il ruolo istituzionale ne preserva l'azione. Ma per chi delle istituzioni ha un'idea tutta privata e personale l'impressione, o il sospetto è che nel gioco incessante del potere, Quirinale o non Quirinale alle viste, è che Fini sia infine entrato nel Pdl proprio per controllare il potere del Cavaliere, per impedirgli di costruire una creatura a sua immagine e somiglianza. Per fargli, in definitiva, più male.

S'intende: non sono dinamiche che si vanno a certificare dal notaio; e gli stessi giornale ne scrivono con beneficio d'inventario, seppure onestamente. Eppure la guerra sorda che s'intravede nel campo del Pdl ha tutta l'aria di essere iniziata in questa tubolenta fine d'estate.

Quel che la segna fin d'ora è l'ampiezza del contenzioso che dai temi sensibili dell'immigrazione si sposta di continuo sul versante ora della laicità dello Stato ora del controllo della comunicazione. Senza per questo tralasciare le questioni ormai quasi prevalenti che investono la coerenza personale, gli stili di vita, i comportamenti anche minuti dei leader, dei loro collaboratori e famigliari.

Tutto, insomma, compresa forse l'idea di patria e la politica estera. Fini è certo - lo dice lui stesso - "in minoranza". Ma è difficile, in tale condizione, pensare a un Berlusconi pronto a dividere con lui il potere. Così come negli spazi fisici, palchi, tribune, podi e prosceni televisivi, il Cavaliere non tollera di avere alcuno alle spalle; così è impossibile che accetti anche solo la più remota possibilità che Fini sia una possibile alternativa, tanto più se biologica. E tutto in fondo è ancora pronto a perdonargli, ma non quel che all'ex leader di An sfuggì prima dell'ennesima riconciliazione: "Tanto con me dovrà fare i conti. Non è eterno e io ho vent'anni di meno".

(8 settembre 2009)


Dopo l'attacco di Feltri e la retromarcia del Cavaliere, duro commento sul giornale ex An
"Partito irriconoscibile". Avvenire: "Il direttore del Giornale chieda scusa"

Il Secolo d'Italia: "Pdl ormai becero
E' Feltri ad uscire fuori dai ranghi"



Il presidente della Camera Gianfranco Fini accanto al premier Silvio Berlusconi
ROMA - Il Secolo d'Italia difende Gianfranco Fini. Il quotidiano ex Alleanza Nazionale ribatte all'attacco lanciato dal Giornale e ricorda a Vittorio Feltri che in passato ha sostenuto l'attuale presidente della Camera perchè condivideva "la sua visione di un centrodestra di tipo europeo". E invece il "nuovo Feltri", scrive il direttore Flavia Perina nell'editoriale, invita a rientrare nei ranghi, "una gentile metafora dell'antico tornate nelle fogne".

Nell'editoriale pubblicato ieri dal Giornale, Feltri aveva giudicato "vergognoso" il "comportamento" del presidente della Camera "sulla vicenda Boffo" e, dopo averlo accusato di improvvise "virate" per arrivare al Quirinale, gli dava un "consiglio non richiesto: rientri nei ranghi". Un attacco che aveva sollevato una bufera nel Pdl e costretto Berlusconi a prendere le distanze dall'articolo: "Confermo al presidente Fini la mia stima e la mia vicinanza".

Nella replica, il Secolo d'Italia scrive oggi che il giochino all'attacco "sta quotidianamente snaturando il profilo del Pdl e tradendo la sua stessa denominazione con l'immagine di un partito becero, nevrastenico, con la bava alla bocca, che abbaia contro gli avversari e adesso - rileva l'editoriale - anche contro gli alleati con un furore non giustificato dai fatti".

Anche Avvenire torna ad attaccare Vittorio Feltri. In un editoriale del quotidiano della Cei intitolato "Una esemplare ingiustizia - Boffo e il male radicale", si legge: Boffo, "direttore galantuomo", vittima di "un'aggressione mediatica", "uomo giusto", ha "fatto prova del destino che aspetta chi pratica la giustizia".

Ampio spazio Avvenire riserva spazio anche allo scontro che ha opposto Feltri al presidente della Camera Gianfranco Fini: "Feltri ha spacciato per reati contro la legge e la morale ignobili insulti contenuti in una lettera anonima diffamatoria. Rilegga se stesso Feltri. Ci pensi e, se ne è capace, chieda scusa",

(8 settembre 2009)


Il Cavaliere non ha digerito le parole dell'alleato sul caso Boffo
Per il presidente della Camera l'attacco del Giornale è "un segno disperato
"
L'ira di Gianfranco contro il premier
"Vado avanti, non mi farò intimidire"




Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi

ROMA - Quel "tu" così provocatorio e irriverente. Il "compagno" Fini, bollato come "vergognoso", perfino "ridicolo". Al presidente della Camera è stata chiarissima - fin dalla prima lettura del quotidiano della famiglia del premier - la portata dell'avvertimento contenuto nel nuovo fondo al vetriolo firmato da Vittorio Feltri. Un'"intimidazione", si è sfogato Gianfranco Fini con chi lo ha sentito al telefono. Come dire, nella campagna di caccia d'autunno inaugurata col bombardamento dell'Avvenire e del suo ormai ex direttore Boffo, nessuno può sentirsi al sicuro, non solo giornali e oppositori esterni al Pdl. "È un attacco nella natura di Feltri", è stata la prima impressione della terza carica dello Stato. "Ma soprattutto una nuova puntata che conferma il clima di imbarbarimento nel quale siamo caduti e che avevo denunciato dal palco della festa Pd di Genova. Come mi sento io? Bisognerebbe chiedere a Berlusconi, come si sente". C'è stupore, c'è rabbia, per un colpo che raggiunge a freddo il presidente della Camera, ancora nel ritiro toscano.

Quasi a freddo. Le parole pronunciate da Fini alla festa democratica, compresa la presa di distanza dagli argomenti e i metodi berlusconiani, il presidente del Consiglio non le aveva gradite affatto. La diffidenza ormai è al culmine. "Giafranco non ha ancora capito che così diventa come Casini - commentava ancora ieri - Deve capire che il leader del partito sono io. Si ricorda cosa ha detto la scorsa settimana sulla libertà di informazione e sulle presunte ordalie?". Non è un caso se dall'alba al tramonto Silvio Berlusconi non abbia pronunciato una sola parola per dissociarsi dal "suo" Giornale, a differenze di quanto accaduto poche ore dopo l'attacco a Boffo. Lo farà solo nel pomeriggio, con un tiratissimo attestato di "stima" dopo insistenti pressioni e la lunga mediazione del coordinatore del Pdl Ignazio La Russa. Quando il clima si era fatto davvero pesante e le reazioni degli ex aennini fedeli a Fini sempre più insofferenti, indignate. Per non dire della rabbia del presidente della Camera, cresciuta di ora in ora man mano che la dissociazione del premier non arrivava. Nemmeno l'ormai rituale telefonata di Gianni Letta - raccontano - è riuscita ad attenuare la collera. Attorno al presidente della Camera c'è la percezione netta della natura personale dell'avvertimento, nello stile della nuova campagna d'attacco, ma anche una consapevolezza di fondo: che si tratti cioè di una "manovra disperata, perché solo chi si sente isolato, per la prima volta all'angolo, spara nel mucchio, senza distinzione".

Di certo, adesso Fini sente di avere le "mani libere" sulla legge sul fine vita e sul ddl per il diritto di cittadinanza degli immigrati promosso dal fedelissimo Granata. Si apre una nuova partita, in barba al premier ("No al diritto di voto agli immigrati") e al leader leghista Umberto Bossi che ormai sulla politica di accoglienza insulta il presidente della Camera ("Quello è matto").

Il clima nella maggioranza è questo qui. Ma il regolamento di conti tra Berlusconi e Fini appare ormai a una svolta. Con le divergenze su biotestamento e immigrazione a fare solo da sfondo, da pretesti. I due non si vedono e non si sentono dai primi di agosto. Torneranno a farlo, forse, salvo "impegni improvvisi del premier", sabato sera. A Villa Madama è in programma la cena organizzata dal presidente della Camera Fini con i colleghi che guidano i parlamenti dei paesi del G8. Per cortesia istituzionale, il padrone di casa ha esteso l'invito al premier Berlusconi. Il clima, neanche a dirlo, però resta tesissimo. "Sarebbe bene non continuino a tirare la corda" confida Benedetto della Vedova, insieme a Bocchino, Granata, Briguglio, Bongiorno, pronto a sposare fino all'estremo la battaglia di Fini, fosse pure fino alla creazione del partito-kadima in salsa italiana, voltando le spalle al Pdl. Su quella strada non lo seguirà affatto Pierferdinando Casini, impegnato a costruire il suo nuovo soggetto di centro. Tuttavia, la solidarietà che ha espresso ieri il leader Udc al presidente della Camera segna un ulteriore tassello nella ricostruzione di un asse moderato antiberlusconiano ora tornato in auge.

(8 settembre 2009)


PAPà DELLA TELEVISIONE ITALIANA E RE DEI QUIZ, STAVA PREPARANDO IL RIENTRO SU SKY
Tv in lutto, è morto Mike Bongiorno
Il popolare presentatore è stato stroncato da un infarto mentre si trovava in vacanza a Montecarlo


MILANO - La televisione italiana perde uno dei suoi padri più conosciuti e famosi: Mike Bongiorno. Il popolare presentatore è deceduto durante una breve vacanza a Montecarlo. A darne notizia è stato il telegiornale di Sky, l’emittente per la quale Bongiorno avrebbe dovuto condurre un nuovo telequiz, dopo aver recentemente abbandonato il gruppo Mediaset, di cui era stato da sempre uno dei principali volti. Il decano dei presentatori aveva 85 anni: è stato colto da un infarto all'hotel Metropole, dove era in vacanza con la moglie Daniela. Proprio lunedì il popolare conduttore era partito da Milano per trascorrere un breve periodo di riposo a Montecarlo prima di tuffarsi nella nuova avventura televisiva sulle reti di Rupert Murdoch. Appena si è diffusa la notizia, una piccola folla di persone commosse ha iniziato a formarsi davanti all'abitazione milanese di Bongiorno, in via Giovanni da Procida, in zona Sempione.

«SCOMPARE UN GRANDE AMICO» - «Mi dispiace molto, era un amico, scompare un grande protagonista della storia della tv italiana» ha commentato a caldo Silvio Berlusconi, che negli anni Ottanta riuscì ad ingaggiarlo strappandolo alla Rai. «Sognava di diventare senatore», ha aggiunto il premier. Unanime il cordoglio del mondo della politica, oltre che della televisione, della cultura e dello sport. «Mike era l’essenza della televisione italiana» è invece il ricordo di Maurizio Costanzo. «Mi colpiva di lui la sua capacità di costruire i suoi errori e le sue gaffes». «È stato il primo divo della tv» ha detto poi l'altro decano dei presenttori italiani, Pippo Baudo, mentre per Piero Chiambretti Bongiorno resta una «figura immortale».

Baudo: «Era un punto di riferimento, scherzavamo sulla nostra rivalità»


RE DEI QUIZ - Italoamericano nato a New York (il nonno paterno era emigrato dalla Sicilia), Mike Bongiorno è stato il papà della televisione italiana. È stato lui infatti a presentare la prima trasmissione in onda dalla TV di Stato italiana (RAI), cioè Arrivi e partenze. Il conduttore avrebbe dovuto condurre il prossimo autunno su Sky Uno il Riskytutto, a 54 anni dalla prima messa in onda del primo grande quiz della televisione italiana Lascia o raddoppia?. Seguiranno anche i quiz Rischiatutto e Scommettiamo. A partire dal 1963, ha condotto undici edizioni del Festival di Sanremo. Alla fine degli anni Settanta Bongiorno ha contribuito alla nascita della tv commerciale. Il suo ultimo programma Rai è stato Flash (1980-1982), poi il passaggio a Mediaset (Bis, Superflash,Telemike). Dal 1989 al 2003 conduce la Ruota della Fortuna. Nelle ultime stagioni ha condotto vari programmi su Retequattro ed è diventato testimonial di alcune campagne pubblicitarie con Fiorello (Wind), con il quale aveva instaurato uno stretto rapporto di lavoro e di amicizia.


LE ESEQUIE - Le salma di Bongiorno è stata composta all'obitorio della Societè Monegasque de Thanatologie (Somotha), in Avenue Pasteur a Montecarlo dove sono attesi i familiari per definire l'organizzazione della camera ardente. L'ambasciatore italiano a Monaco, Franco Mistretta, si è recato nel pomeriggio all'hotel Metropole per porgere le condoglianze alla vedova. L'ambasciata è in attesa di ricevere la documentazione medico legale dalla società di pompe funebri per la pratica burocratica per il rimpatrio in Italia della salma, una pratica che richiede normalmente alcuni giorni


08 settembre 2009
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 9/9/2009, 13:36




IL capo dello Stato alla conferenza internazionale alla Farnesina:
Violenza sulle donne, Napolitano:

«In Italia ancora fatti raccapriccianti»

«Omofobia e xenofobia nascono dall'ignoranza dei principi della Costituzione»


ROMA - «La lotta contro ogni sopruso ai danni delle donne, contro la xenofobia, contro l'omofobia fa tutt'uno con la causa del rifiuto dell'intolleranza e della violenza, in larga misura oggi alimentata dall'ignoranza, dalla perdita dei valori ideali e morali, da un allontanamento spesso inconsapevole dei principi su cui la nostra Costituzione ha fondato la convivenza della nazione democratica». È questo il messaggio che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha voluto lanciare inaugurando mercoledì mattina alla Farnesina la conferenza internazionale sulla violenza contro le donne. Anche «in paesi evoluti e ricchi come l'Italia, dotati di Costituzione e di sistemi giuridici altamente sensibili ai diritti fondamentali delle donne, continuano a verificarsi fatti raccapriccianti, in particolare, negli ultimi tempi, di violenza di gruppo contro donne di ogni etnia, giovanissime e meno giovani» ha ricordato a tal proposito il capo dello Stato.

I DIRITTI E LA CONVIVENZA CIVILE - Napolitano ha sottolineato come oggi viviamo «nell'età dei diritti, intendendo la complessità di questa espressione: diritti proclamati, diritti affermati o in via di affermazione, diritti da conquistare, diritti da rendere universali». E ha ricordato come «il riconoscimento dei diritti umani» sia «condizione di convivenza civile, libera e democratica». «In qualsiasi contesto il pieno riconoscimento la concreta affermazione dei diritti umani - ha rilevato l'inquilino del Colle - costituisce una innegabile pietra di paragone della condizione effettiva delle popolazioni e delle persone del grado di avanzamento materiale e spirituale di un Paese».

«TUTTI RESPONSABILI» - «Dobbiamo sentirci egualmente responsabili dell'incompiutezza dei progressi faticosamente realizzati per l'affermazione della libertà, della dignità, e della parità dei diritti delle donne» ha poi aggiunto il presidente della Repubblica facendo un appello ai presenti a sentirsi tutti «egualmente impegnati a perseguire conquiste più comprensive, garantite e generalizzate». Per il capo dello Stato decisiva è «la dimensione educativa di questo impegno» nel senso di «educare l'insieme delle nostre società ai valori dell'uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di sesso - articolo 2 della Costituzione italiana - e ai valori della non discriminazione». Le violenze sulle donne, infatti, si ripetono, ha ricordato Napolitano, «nonostante che il Parlamento già da decenni si sia impegnato in una severa legislazione sulla violenza contro le donne, come reato contro la persona, e abbia di recente affrontato anche l'aspetto delle molestie e delle persecuzioni contro le donne nei luoghi di lavoro».


09 settembre 2009



Le previsioni del centro studi. Marcegaglia: «Fuori dal tunnel, ma saranno mesi duri»
Confindustria: «Ripresa lenta e insidiosa
nel biennio persi 700 mila posti di lavoro»

Nel 2009 il Pil dovrebbe segnare un calo del 4,8%, mentre l'anno prossimo ci sarà un +0,8%


ROMA - La recessione è «ormai alle spalle», ma l'uscita dalla crisi sarà «lenta e lunga, e perciò insidiosa». Anche perché l'Italia è in pieno dentro le «conseguenze» della bufera economica. È il quadro delineato dal centro studi di Confindustria (Csc). Secondo le previsioni, nel 2009 il Pil dovrebbe segnare un calo del 4,8%, mentre l'anno prossimo ci sarà un +0,8%. Previsioni riviste leggermente al rialzo rispetto al -4,9% e al +0,7% indicati a giugno, ma che restano comunque più ottimistiche rispetto alle stime diffuse dal governo nel Dpef (-5,2% quest’anno e +0,5% il prossimo). «Anche se la recessione è ormai alle spalle - afferma il Csc negli "Scenari economici" - le conseguenze della più grave crisi degli ultimi 80 anni si faranno sentire a lungo. Si profilano anni per recuperare i livelli di produzione toccati nel 2007 e in alcuni settori ciò potrebbe non avvenire mai».

MARCEGAGLIA - «Siamo fuori dal tunnel della recessione, il peggio è alle spalle, però la crescita sarà lenta e difficoltosa» commenta il presidente di Confindustria, Emma Marecegaglia, che annuncia «mesi un po' complicati da gestire dal punto di vista dell'occupazione. Serviranno grandi ristrutturazioni e riconversioni: non siamo davanti a una catastrofe, ma dobbiamo gestire mesi difficili. Così il Paese ce la può fare».

DISOCCUPAZIONE - Tra i dati più allarmanti del Csc ci sono quelli sulla disoccupazione: quest'anno lieviterà all’8,3% (nel 2008 era al 6,7%), schizzando poi al 9,5% l’anno prossimo, valore massimo dal 2000. Il numero di persone occupate calerà di 700.000 unità tra il quarto trimestre 2008 e il quarto trimestre del 2010 al netto degli effetti statistici derivanti dalle regolarizzazioni degli immigrati. Nel dettaglio, 570.000 posti persi nel corso del 2009 e altri 120.00 nel 2010. Non solo: le ore di Cassa integrazione sono vicine ai massimi degli anni '80. Nei primi otto mesi del 2009 le ore di cig autorizzate sono state pari a 573 milioni (dati destagionalizzati), che corrispondono a 490.000 unità di lavoro a tempo pieno. Se le richieste rimanessero per il resto dell'anno al livello medio registrato da gennaio ad agosto, le ore autorizzate di cig in rapporto alla forza lavoro raggiungerebbero nel 2009 l'1,95%, contro l'1,40% del 1993 e il 2,11% del 1984. Se invece restassero sui valori di agosto, nella media dell'anno risulterebbero pari al 2,33% della forza lavoro.

EXPORT E INVESTIMENTI - L'andamento del Pil - secondo viale dell'Astronomia - segnerà «modesti incrementi» nel secondo semestre dell'anno (+0,4% sul primo), per chiudere il 2009 a -4,8%, perdita «ormai acquisita con le dinamiche già osservate». In particolare, l'export trainerà l'economia italiana fuori dalla recessione (+4,1% nel 2010 e -17,3% quest’anno), grazie al parziale rimbalzo del commercio mondiale (+9,1% in volume, dopo il crollo del 14,4% quest’anno), perché «il dinamismo dei paesi emergenti sarà affiancato dalla ripresa di quelli avanzati». Tuttavia, «il recupero degli investimenti sarà modesto: +1,5% nel 2010, ottenuto in parte con gli incentivi governativi, da confrontare con la contrazione cumulata del 15,7% nel biennio precedente». I consumi, poi, l’anno prossimo aumenteranno dello 0,7% (-1,7% quest’anno), «sostenuti dalla maggior fiducia, mentre l’ulteriore progresso delle retribuzioni reali per addetto (+0,4%) sarà più che compensato nei redditi delle famiglie da una nuova contrazione dell’occupazione (-1,4% calcolata sulle unità di lavoro, che segue il -2,8% del 2009)».

MESI DECISIVI - I prossimi mesi saranno "decisivi" per il futuro di molte aziende italiane e si aprirà una stagione di «ristrutturazioni e aggiustamenti profondi». «Siamo entrati in una fase diversa della crisi - sottolinea il Csc - non meno delicata e densa di incognite per il futuro del sistema produttivo italiano. L’autunno e l’inverno prossimi saranno decisivi per molte imprese, incluse alcune tra le più innovative e dinamiche». «Sono a rischio - aggiunge il centro studi - anche imprese che si stavano trasformando, puntando su qualità, innovazione, internazionalizzazione. Non sarebbe una selezione benefica, che accresce l’efficienza del sistema, ma una distruzione deleteria».

PREZZI - La dinamica dei prezzi al consumo resterà molto bassa: l’inflazione sarà all’1,3% nel 2010, dopo lo 0,7% di quest’anno. Il deficit pubblico rimarrà al 5% del Pil anche nel 2010 (quest’anno -5,2%), mentre il debito salirà al 117,8% dal 114,8% raggiunto quest’anno. «La strada del recupero dei livelli di attività passati - evidenzia il Csc - rimane, soprattutto per l'Eurozona, fitta di ostacoli che ne freneranno lo slancio». Il principale resta la difficoltà di ottenere credito, ma c'è anche il ridimensionamento del prezzo delle abitazioni, la necessità delle famiglie americane di abbattere il debito e ripristinare un più appropriato tasso di risparmio, il quadro precario delle economie dell'Est Europa. Questi elementi «tracciano una traiettoria sottile, a filo di rasoio, per il ritorno alla crescita. Errori nelle politiche economiche, per esempio sulle scelte dei tempi e dei modi di ritiro degli stimoli espansivi o sull’apertura del commercio internazionale, «ricaccerebbero l'economia globale verso una nuova fase recessiva»


09 settembre 2009



dopo l'esposto presentato dal leader dell'Idv Antonio Di Pietro
Caso Boffo, inchieste a Monza e Terni
Le due Procure ipotizzano i reati di accesso abusivo a sistema informatico o falsificazione di atto pubblico


MILANO - Le Procure di Monza e Terni hanno aperto due inchieste a carico di ignoti sulla vicenda Boffo-Feltri. Le indagini sono state avviate in seguito all'esposto presentato dal leader dell'Idv Antonio Di Pietro. I reati ipotizzati sono accesso abusivo a sistema informatico o falsificazione di atto pubblico.

«OPERAZIONE DI DOSSIERAGGIO» - La denuncia è stata presentata dal leader dell'Italia dei Valori la scorsa settimana ai carabinieri di Roma che l'hanno poi trasmessa alle Procure di Monza e Terni, cui era indirizzata. Le due sedi lavoreranno dunque di concerto, in attesa che si faccia luce sulla vicenda per poi stabilire la competenza territoriale. Di Pietro prefigura due ipotesi di reato: la falsificazione da parte di qualcuno di un documento pubblico o atto giudiziario oppure l'accesso abusivo nel casellario giudiziario. Entrambe si basano sul fatto che il Giornale diretto da Vittorio Feltri, nel pubblicare il casellario dell'ex direttore di Avvenire Dino Boffo, era in possesso di un documento che solo un ufficiale di Polizia giudiziaria o un magistrato in servizio può avere. Di Pietro ritiene che sia stata un'«operazione di dossieraggio ai fini di destabilizzazione delle istituzioni».




09 settembre 2009



approvato dal Consiglio dei ministri
Via libera alla norma sui precari
Interesserà 12-13 mila docenti

Il provvedimento interesserà quanti fino allo scorso anno hanno avuto supplenze annuali

ROMA - Il Consiglio dei Ministri ha approvato una norma che consente di tutelare gli insegnanti precari. La norma verrà inserita nel decreto legge Ronchi (su questioni ambientali) e interesserà una platea di 12-13 mila docenti che fino allo scorso anno hanno avuto supplenze annuali.


09 settembre 2009



le carte dell'inchiesta di bari
Tarantini: il premier e quelle 30 ragazze Diciotto serate e 1000 euro a chi restava
Nei verbali il racconto degli incontri: le retribuivo ma senza dirlo a Berlusconi


BARI — Sarebbero una trentina le donne che Gianpaolo Tarantini avrebbe portato alle feste del premier Silvio Berlusconi. Alcune hanno ricevuto un compenso di 1.000 euro «per prestazioni sessuali », altre «soltanto un rimborso delle spese». Tra loro ci sono anche alcune ragazze comparse in programmi tv, come Barbara Guerra e Carolina Marconi del Grande Fratello. Non solo Patrizia D’Addario, dunque. Per oltre cinque mesi, da settembre 2008 alla fine di gennaio scorso, l’imprenditore pugliese ha reclutato italiane e straniere per allietare cene e incontri nelle residenze del presidente del Consiglio.

È stato lui stesso ad ammetterlo il 29 luglio scorso durante un interrogatorio nella caserma della Guardia di Finanza di Bari dove è stato convocato in segreto come indagato per favoreggiamento della prostituzione. Incalzato dagli inquirenti ha fornito dettagli su voli, spostamenti, elargizioni, confermando così quanto era già emerso dalle intercettazioni telefoniche. Nel verbale Tarantini ripete quello che aveva già detto in passato: «Le presentavo come mie amiche e tacevo che a volte le retribuivo ». Ma poi rivela che fu proprio «Berlusconi a presentarmi Guido Bertolaso, come gli avevo chiesto. E poi lo stesso Bertolaso inviò me e il mio amico Enrico Intini in Finmeccanica, ma dopo i primi incontri non è più successo nulla».


Le ragazze
«Ho accompagnato in una occasione Terry De Nicolò a casa del presidente Berlusconi a Roma, tacendo allo stesso gli accordi da me presi con la De Nicolò e la vera attività dalla stessa svolta, se non erro a settembre o ottobre 2008. Io ebbi in tale circostanza a retribuirla anticipatamente nella previsione di una sua prestazione sessuale poi non so se sia avvenuta. Vanessa Di Meglio è una mia carissima amica, che ho conosciuto per il tramite di mia moglie circa 10 anni fa. Da allora ho continuato a frequentarla invitandola a feste nelle quali la riempivo di attenzioni anche fornendole cocaina. Tendenzialmente la stessa non è una professionista del sesso ma all’occorrenza non disdegna di essere retribuita per prestazioni sessuali. Ho anche favorito le prestazioni sessuali della Di Meglio con il presidente Berlusconi in due circostanze a Roma il 5 settembre e l’8 ottobre 2008. Ricordo che il 5 settembre la Di Meglio si fermò a palazzo Grazioli. Sonia Carpendone, detta Monia, era da me conosciuta come una persona che a Milano esercitava la prostituzione, sicché sempre nella prospettiva che la stessa potesse effettuare prestazioni anche in favore del presidente Berlusconi, la invitai a Roma pagandole il biglietto aereo e le spese di soggiorno. La stessa giunse con una ragazza che si presentò come sua sorella che adesso apprendo da lei chiamarsi Roberta Nigro. Non ricordo che Monia e la sua amica si siano fermate quella notte a palazzo Grazioli».

La «Billionairina»
Tarantini si sofferma più volte sugli incontri organizzati con volti noti della tv: «In occasione di un incontro a casa del presidente Berlusconi a Roma il 23 settembre 2008 invitai Francesca Garasi che giunse con tre sue amiche, Carolina Marconi, attrice di Canale 5, Geraldine Semeghini, che nell’estate 2008 era responsabile del privé del Billionaire, che si presentò con una sua amica, e Maria Teresa De Nicolò. In quella circostanza mi limitai ad ospitare Geraldine Semeghini e la sua amica, ma l’unica che ebbe un incontro intimo fu la De Nicolò». Gli viene contestata una conversazione con una donna pugliese e lui chiarisce: «Graziana Capone è un avvocato che avevo conosciuto anni addietro e che ho avuto modo di rincontrare nello studio del mio amico avvocato Salvatore Castellaneta. In quest’ultima circostanza la stessa mi disse che voleva incontrare il presidente Berlusconi sapendo delle mie frequentazioni con lo stesso. Fu così che la invitai a venire con me a Milano dove la presentai al presidente. Io non ho retribuito la Capone Graziana limitandomi ad offrirle il biglietto aereo». «Barbara Guerra l’ho conosciuta a Milano presentatami da un mio amico Peter Faraone, mentre Ioana Visan detta Ana l’ho conosciuta tramite lo stesso Peter o Massimo Verdoscia. Sapevo che Barbara Guerra era una donna dello spettacolo mentre sapevo che Ioana era una escort. L’8 ottobre 2008 ricordo di aver invitato le stesse a Roma unitamente a Vanessa Di Meglio, limitandomi per quest’ultima a pagare il biglietto aereo ed il soggiorno in hotel, quanto alle altre due, che venivano da Milano corrispondendo alle stesse anche una somma di denaro per l’eventualità che potessero avere un rapporto sessuale con il presidente Berlusconi. Ricordo che sia Ioana Visan che Barbara Guerra si fermarono a casa del presidente. Per il 9 ottobre devo escludere di aver corrisposto altre somme di denaro alla Guerra ed alla Visan mentre confermo di non aver corrisposto alcunché a Carolina Marconi». «Quanto all’incontro a casa del presidente Berlusconi del 16 ottobre 2008 non ho corrisposto alcunché a Ioana Visan, Barbara Guerra e a Milena, sua amica, e a Clarissa Campironi, mia amica, limitandomi a sostenere le spese di viaggio e soggiorno poiché le tre venivano da Milano». Il verbale di Tarantini conferma quanto era già stato rivelato da Patrizia D’Addario: «L’ho conosciuta come Alessia in quanto così presentatami da Massimiliano Verdoscia, mio amico nonché collaboratore, poiché io stavo cercando una ragazza da portare ad una cena a casa di Berlusconi. Alla D’Addario rappresentai la possibilità di partecipare ad una cena a casa del presidente Berlusconi riconoscendole il pagamento delle spese di viaggio e di soggiorno a Roma e un forfait di 1.000 euro. Devo precisare che Verdoscia mi aveva parlato della D’Addario come di una donna immagine che all’occorrenza avrebbe potuto anche effettuare prestazioni sessuali. La D’Addario accettò la mia offerta, ma non ricordo se io o Verdoscia acquistammo il biglietto aereo».

Patrizia a Roma
Il racconto coincide anche nella ricostruzione degli spostamenti. Poi si arriva all’incontro: «Dopo aver prelevato Clarissa Campironi che ospitavo nell’Hotel De Russie mi recai unitamente al mio autista Dino Mastromarco a prendere la D’Addario. Credo che Iona Visan, Barbara Guerra e la sua amica Milena abbiano raggiunto palazzo Grazioli con mezzi loro. Né la Campironi né la D’Addario si fermarono a palazzo Grazioli… Confermo che il 4 novembre 2008 mi recai a palazzo Grazioli unitamente a Patrizia D’Addario, Barbara Montereale e Lucia Rossini. Ricordo di aver retribuito Patrizia D’Addario con l’importo di 1.000 euro sapendo che la stessa all’occorrenza si prostituiva ed in tale prospettiva diedi anche a Barbara Montereale, presentatami dalla D’Addario, l’importo di 1.000 euro esclusivamente perché svolgesse il ruolo di donna immagine, nulla diedi a Lucia Rossini, mia amica... La D’Addario mi fu possibile retribuirla solo in seguito poiché quella notte credo si era fermata a casa del presidente. Ricordo in particolare che quella sera dopo la cena io mi allontanai unitamente a Barbara Montereale ed a Lucia Rossini per tornare nei rispettivi alberghi, mentre Patrizia D’Addario rimase a casa del presidente in quanto mi disse di volergli parlare di una sua questione privata. Solo il giorno dopo seppi dalla stessa D’Addario che avesse passato la notte a palazzo Grazioli».

Le amiche
Tarantini afferma che in alcune occasioni le ragazze hanno partecipato gratuitamente agli eventi. «Il 21 ottobre 2008 ricordo di essermi recato a palazzo Grazioli insieme a Mary De Brito, Stella Schan e Donatella Marazza, tre mie amiche conosciute per il tramite di un’altra mia amica. Si trattò di una semplice cena ed io non ho retribuito alcuna delle tre... Non ho retribuito in alcun modo tali Maria Esther Garcia Polanco detta Maristel e Michaela Pribisova con le quali ho viaggiato da Roma a Milano con il presidente Berlusconi il 26 novembre 2008... Quanto alla mia frequentazione nel centro Messegué del 28 novembre, posso dire che sono andato con la sola Maristel senza averla retribuita in alcun modo ». Gli viene chiesto di una cena del 2 dicembre e lui dichiara: «Non ho retribuito in modo alcuno Luciana Francioli, Manuela Arcuri, Francesca Lana, Stella Maria Novarino per l’eventualità che avessero una prestazione sessuale con terzi, ed escludo che le stesse fossero dedite ad una attività di prostituzione». Non va così per il 10 dicembre, a palazzo Grazioli: «Ricordo di aver pagato tali Karen e Niang Kardiatou detta Hawa 1.000 euro ciascuna prospettando loro l’eventualità di una prestazione sessuale con il presidente Berlusconi. Nessuna delle due, peraltro, si fermò. Quanto alla festa del Milan del 15 dicembre del 2008 ricordo di aver pagato Karen ma esclusivamente perché facesse atto di presenza».

I volti della tv
L’imprenditore pugliese ammette che il 17 dicembre 2008 «portai a palazzo Grazioli Linda Santaguida e Camilla Cordeiro Charao, pagando la sola Camilla Cordeiro Charao che si fermò dal presidente». La prima è stata riserva all’ Isola dei Famosi , l’altra è stata la valletta del programma Scorie su Raidue. Poi Tarantini parla di altri eventi: «Il 23 dicembre portai Carolina Marconi e Graziana Capone a casa del presidente limitandomi a pagare le spese di viaggio e di soggiorno alla sola Graziana e nessuna delle due rimase. Il 6 gennaio 2009 andai a Villa Certosa in Sardegna insieme a Barbara Montereale e Chiara Guicciardi e Clarissa Campironi ma non pagai nessuna delle tre. Il 14 gennaio ricordo di essere andato a casa del presidente Berlusconi insieme a Guicciardi Chiara e Letizia Filippi, ma non pagai alcunché. Al di là di quanto riferito non ho in alcun modo retribuito le ragazze indicate o altre né ho in alcun modo favorito l’esercizio della prostituzione delle stesse in favore di persone diverse da quelle indicate. Quando accompagnavo le ragazze a palazzo Grazioli le facevo sedere sui sedili posteriori in quanto i finestrini posteriori della mia autovettura erano oscurati avendoli fatti sostituire nel settembre del 2008 se non ricordo male. Tale accorgimento era volto ad evitare che i giornalisti o altre persone potessero guardare nell’auto… Quando mi approssimavo a palazzo Grazioli avvertivo un responsabile della sicurezza del mio arrivo e quindi una volta giunto al portone la prima guardia avvisava altri del nostro arrivo. Entrati nel cortile venivamo accompagnati ai piani superiori dove venivamo ricevuti».

Guido Bertolaso
Alla fine del suo interrogatorio Tarantini parla della natura del suo legame con il premier e dichiara: «Io ho voluto conoscere il presidente Berlusconi ed a tal fine mi sono sottoposto a spese notevoli per entrare in confidenza con lui e sapendo del suo interesse verso il genere femminile non ho fatto altro che accompagnare da lui ragazze che presentavo come mie amiche tacendogli che a volte le retribuivo. Gli ho solo chiesto di presentarmi il responsabile della Protezione Civile, il dottor Guido Bertolaso, in quanto volevo che Enrico Intini mio amico con il quale avevo stipulato un contratto di collaborazione, potesse esporre allo stesso Bertolaso le competenze del suo gruppo industriale nella prospettiva di poter lavorare con la Protezione Civile. Una sera il presidente Berlusconi mi presentò Guido Bertolaso con il quale in seguito mi sono incontrato unitamente ad Enrico Intini. Bertolaso ci inviò a Finmeccanica ma poi, dopo i primi incontri con tale dottor Lunanuova, non è successo più nulla. Voglio infine precisare che il ricorso alle prostitute ed alla cocaina si inserisce in un mio progetto teso a realizzare una rete di connivenze nel settore della Pubblica amministrazione perché ho pensato in questi anni che le ragazze e la cocaina fossero una chiave di accesso per il successo nella società».


Angela Balenzano, Fiorenza Sarzanini
09 settembre 2009


Stephen Farrell era stato sequestrato dai Taliban vicino Kunduz
Nell'intervento delle forze speciali anche vittime civili e un soldato britannico
Afghanistan, liberato reporter del Nyt
nel raid ucciso l'interprete afgano




KABUL - E' stato liberato nella notte con un raid delle forze speciali anglo-americane il giornalista britannico Stephen Farrell, sequestrato quattro giorni fa vicino Kunduz insieme al suo interprete afgano. Quest'ultimo, Sultan Munadi, è rimasto ucciso nel raid che ha coinvolto anche la popolazione civile del villaggio. Almeno una donna è rimasta vittima dello scontro a fuoco.

Le truppe speciali sono intervenute poco prima dell'alba e sono ripartite insieme a Farrell, ma senza il suo interprete. Il corpo di Munadi è stato trovato più tardi fuori la casa del villaggio dove i sequestratori si erano rifugiati. La cognata di uno degli abitanti sarebbe rimasta uccisa nel raid. Ma un giornalista afgano che ha parlato con gli abitanti del villaggio, citato dal Nyt, dice che "donne e bambini" sono rimasti vittime del raid. Tra le vittime c'è anche un militare britannico.

Il racconto. In una breve telefonata, Farrell ha confermato a Susan Chira, collega del quotidiano the Times: "Sono fuori, Sono libero". Chira ha spiegato che Farrell ha precisato di essere stato liberato durante un'incursione compiuta da "un rilevante numero di soldati", che ha ingaggiato un violento combattimento con i suoi rapitori. Il giornalista ha detto inoltre di avere già avvertito la moglie.

In una seconda telefonata all'ufficio di corrispondenza del New York Times a Kabul, Farrell ha poi rivelato alcune delle circostanze che hanno portato alla sua liberazione, rivelando cosa è accaduto quando i due ostaggi hanno sentito il rumore assordante di alcuni elicotteri. "Eravamo in una stanza, i taliban correvano ovunque, era evidentemente un raid", ha spiegato, secondo quanto si legge sul quotidiano statunitense.
"Abbiamo pensato che ci avrebbero ucciso e che saremmo dovuti scappare".

Ad un certo punto, ha raccontato ancora Farrell, il collega afgano è uscito dalla stanza, urlando "Giornalisti! Giornalisti!": "ma è finito in mezzo a una raffica di proiettili, mentre io ho trovato riparo in un fosso". Farrell non ha però saputo precisare se i proiettili che hanno ucciso il suo interprete afgano sono partiti dalle armi alleate o dei talebani.

Dopo un minuto o due, Farrell ha detto di avere sentito delle voci britanniche che lo invitavano a venire allo scoperto. E dopo averlo fatto, ha scoperto il cadavere del suo collaboratore afgano.

Sultan Mohammad Munadi "è stato lasciato nella stessa posizione in cui è caduto", ha aggiunto Farrell, precisando di non sapere di più. "E' tutto quello che so. L'ho visto morire davanti ai miei occhi. Non si muoveva. Era morto. Era così vicino, giusto due passi davanti a me quando è stato colpito", ha ricordato il giornalista.

Il silenzio stampa. Come aveva fatto l'anno scorso per il rapimento del reporter premio Pulitzer David Rohde, il New York Times era riuscito a imporre un pressoché totale silenzio stampa sul sequestro. La scelta è stata spiegata dal direttore del giornale, Bill Keller, che ha difeso la cortina di silenzio concordata con gli altri media internazionali sul sequestro. "Avevamo paura che l'attenzione dei media alzasse la temperatura e aumentasse i rischi per i rapiti", ha detto Keller: "Siamo felici che Steve sia libero, ma profondamente rattristati che la sua libertà sia avvenuta a un tale costo. Stiamo facendo il possibile per ricostruire quanto è successo. I nostri pensieri sono con la famiglia di Sultan".

Farrell (a sinistra) con il suo interprete Sultan Munadi (a destra) durante un reportage

David Rohde era riuscito a evadere dai suoi rapitori dopo sette mesi di prigionia. Farrell, al New York Times dal 2007, era stato già rapito una volta nel 2004 a Fallujah in Iraq, quando lavorava per il Times di Londra. Il giornalista è di nazionalità britannica, ma ha anche il passaporto irlandese.

(9 settembre 2009) Tutti gli articoli di esteri


Attentato a Kabul, tre fuoristrada all'attacco. Morti almeno tre civili
In alcuni seggi affluenza del 100%. Già 200mila voti annullati
Kabul, "Karzai ha la maggioranza"
Sospetti brogli, riconteggio dei voti




KABUL - Hamid Karzai si sarebbe aggiudicato la maggioranza assoluta nelle elezioni politiche del 20 agosto scorso. Secondo i conteggi resi noti dalla Commissione elettorale in base al 91% delle sezioni scrutinate, il presidente uscente si è affermato con il 54% delle preferenze sul rivale Abdullah Abdullah, che si ferma al 28%. Ma sulle elezioni presidenziali del 20 agosto scorso si conferma l'ombra dei brogli. Il quotidiano britannico Guardian scrive che la Commissione elettorale ha ordinato un parziale riconteggio dei voti. In alcuni seggi si è registrata un'affluenza alle urne del 100 per cento o un singolo candidato ha ottenuto più del 95 per cento dei consensi. Già 200mila voti erano stati annullati perché in alcune aree l'affluenza alle urne era stata più alta del numero delle schede inviate ai seggi.

Attentato a Kabul. Un gruppo di terroristi suicidi è entrato in azione oggi davanti all'aeroporto di Kabul. Nell'attentato sono rimasti feriti anche tre soldati statunitensi e un belga delle forze Nato. I kamikaze hanno fatto esplodere la sua bomba "davanti all'ingresso principale della base militare dello scalo", ha detto il colonnello della Nato Koziel Bart.

Sulla zona si è alzata una densa colonna di fumo. Stando al racconto di testimoni oculari, gli attentatori sarebbero stati almeno tre, alla guida di altrettanti fuoristrada: a esplodere sarebbe stato il terzo veicolo, appena giunto a ridosso delle barriere di protezione in cemento. L'attentato fa seguito a quello del 17 agosto scorso contro il quartier generale della Nato nel cuore di Kabul, pochi giorni prima delle elezioni presidenziali.
(8 settembre 2009) Tutti gli articoli di esteri


Il Gip: le foto del 2007 scattate fuori da Villa Certosa
E così l'avvocato del premier Ghedini perde il primo round
"Zappadu non ha violato
la proprietà del premier"

Scatti in parte pubblicati da Oggi, in cui è con un gruppo di ragazze



TEMPIO PAUSANIA - L'ordinanza che comincia a smontare l'offensiva giudiziaria del padrone di Villa Certosa, il premier Silvio Berlusconi, e del suo legale, Nicolò Ghedini, è stata depositata nella cancelleria del tribunale di Tempio Pausania l'11 agosto. La firma il giudice per le indagini preliminari Vincenzo Cristiano. Venti righe con le quali si stabilisce che il fotoreporter Antonello Zappadu non ha violato i confini della "Certosa" quando, nel 2007, ha scattato le fotografie che ritraggono il presidente del consiglio - all'epoca era capo dell'opposizione - mentre si rilassa nel parco della sua residenza estiva con un gruppo di ragazze. Foto in parte pubblicate dal settimanale "Oggi" e in parte mai uscite perché già bloccate dal garante della privacy dopo un esposto dello stesso Berlusconi.
In principio è la denuncia-querela presentata il 5 luglio 2007 dall'avvocato Ghedini alla Procura di Milano, poi trasmessa, per competenza, alla Procura di Tempio. Ora il tribunale sardo si è espresso. Decidendo l'archiviazione del procedimento in relazione all'ipotesi di reato di violazione di domicilio (art.614). Quello su cui, di fatto, si incentrava la denuncia. Accogliendo la richiesta di archiviazione del pm Elisa Calligaris, il gip, sulla base delle indagini svolte dai carabinieri di Olbia, ha ritenuto che Zappadu non si è intromesso nel parco di Villa Certosa.

Si legge nell'ordinanza: "Gli investigatori hanno potuto accertare come le foto in sequestro siano state scattate in luogo diverso e estraneo dalla proprietà della persona offesa (Silvio Berlusconi)... " [...] oltretutto "Villa Certosa si estende per diversi ettari ed in parte non presenta alcuna recinzione... pertanto anche un parziale ingresso all'interno del perimetro della proprietà da parte dell'indagato (Zappadu) non escluderebbe la sua buona fede... ". Il contrario di quanto sostenuto da Berlusconi nella denuncia seguita al servizio pubblicato da "Oggi" e intitolato "L'harem di Silvio". Nell'esposto si parlava di scatti eseguiti "in perpetrazione del delitto di violazione di domicilio", poiché "come risulta evidente dall'analisi delle planimetrie del parco di Villa Certosa e delle fotografie aeree effettuate da diversi punti prospettici, non è materialmente possibile, in ragione della particolare conformazione dei luoghi, che le fotografie siano state effettuate senza entrare all'interno del parco stesso, varcando i confini delimitativi dell'area di proprietà privata". Confini che secondo il padrone di casa sono segnalati da "ben visibili e inequivocabili segni", ma che secondo il giudice in più punti non presentano alcuna recinzione.
Nella denuncia Berlusconi accusava Zappadu oltre che di violazione di domicilio anche di violazione della privacy.

Su questo secondo punto la partita è ancora aperta. Il giudice dovrà pronunciarsi dando un giudizio "di valore" sulle fotografie: lecite o meno, trattandosi di un personaggio pubblico ritratto in momenti privati? Del paniere di immagini che Zappadu ha venduto nel 2007 a "Oggi" - di cui il garante della privacy ha bloccato la diffusione - fanno parte anche altri scatti. Berlusconi è in compagnia delle sue ospiti. In una foto tiene in grembo due ragazze e intanto assiste divertito ad un bacio tra l'ex gieffina barese Angela Sozio e un'altra fanciulla. In un'altra sequenza c'è una scena goliardica, un finto matrimonio tra Silvio e una ragazza. Infine, un altro bacio saffico tra due ospiti della villa, ritratte da Zappadu mentre si fanno la doccia in giardino.

(9 settembre 2009)


La tragedia sul lavoro ad Artegna all'interno di uno stabilimento
Altri due feriti in altrettanti incidenti avvenuti in Emilia Romagna
Crolla un tetto nell'azienda
Morti due operai vicino a Udine

UDINE - Due operai sono morti in Friuli per il crollo di un tetto. E' successo stamattina ad Artegna, in provincia di Udine. Sul posto sono intervenuti i carabinieri per le indagini e gli accertamenti. L'incidente è avvenuto intorno alle 11 nello stabilimento della ditta Italsole, che produce mangimi per ruminanti, sulla statale Pontebbana. I due sarebbero precipitati per diversi metri mentre passavano su una passerella che unisce i tetti di due magazzini. Le vittime sarebbero il titolare della ditta esterna, un uomo di 80 anni, e un suo dipendente di 46 anni: il primo è morto sul colpo, il secondo durante il trasporto in ospedale. Sul luogo della tragedia è intervenuto un elicottero del 118.

Due feriti a Bologna - Due operai sono rimasti feriti in altri due, diversi incidenti sul lavoro avvenuti ieri pomeriggio nel bolognese. Il più grave a Imola, dove un uomo di 50 anni, Salvatore A., di Monghidoro, ha riportato lo schiacciamento del bacino dopo essere stato travolto da una fresatrice. L'operaio è ricoverato con prognosi riservata all'ospedale di Imola.
Sono meno preoccupanti, invece, le condizioni di Lorenzo N., 25 anni, di Loiano, rimasto ferito in uno stabilimento di Monterenzio. Il giovane ha riportato fratture alle gambe ed è ricoverato all'ospedale Maggiore di Bologna.

(9 settembre 2009)


all'abitato di Mirto ferito alla testa un operaio che transitava sulla Ionica
Da un magazzino vicino dicono di aver sentito i sibili di più colpi sfiorare le auto in coda
Cosenza, folle gioco al tiro a segno
In coma un automobilista


COSENZA - E' in coma un automobilista colpito alla testa da un colpo di fucile sparato dalla collinetta che costeggia la statale Ionica nel tratto più vicino al centro di Mirto, nel cosentino. Giuseppe Prantera, 32 anni, sarà operato, ma le sue condizioni sono disperate. Gli operai di un vicino magazzino di laterizi assicurano di aver sentito più volte il sibilo dei colpi sfiorare le auto ferme in coda. L'automobilista sarebbe stato vittima di un folle gioco al tiro a segno. Chi ha sparato è fuggito: lo cercano carabinieri e polizia. In caserma sono stati convocati i sei titolari che nella zona posseggono un'arma simile a quella che ha sparato. Saranno sottoposti allo stub, l'esame capace di rivelare se recentemente hanno sparato.

Tornava da un paese vicino Giuseppe Prantera: aveva accompagnato la sorella al lavoro e rientrava a Mirto per aiutare il padre nel bar di famiglia. Guidava la sua Opel Corsa bianca, il finestrino abbassato. Era fermo in coda nel tratto in cui l'Anas sta riasfaltando la strada e costringe il traffico a senso unico alternato. Qualche macchina dietro, era ferma anche una gazzella dei carabinieri. Un sibilo e l'automobilista si è accasciato sul volante. Al verde l'auto non è ripartita e i carabinieri sono scesi dalla macchina per capire cos'era successo.

Il proiettile aveva colpito l'operaio alla testa: era chiaro che il colpo era stato sparato dalla collinetta che costeggia la strada. "Abbiamo ordinato agli altri automobilisti di scendere e proteggersi dietro le loro macchine", racconta il sottufficiale dei carabinieri. "Temevamo che sparasse ancora. Poi sono arrivati i colleghi e le ambulanze".

Alcuni operai di un vicino magazzino di materiali edili giurano di aver sentito più volte il sibilo di proiettili sfiorare le auto in coda. "Stamane presto - spiegano - i colpi erano chiaramente di fucili da caccia. Poi il rumore è cambiato, erano come fischi nell'aria. Potevano essere di un fucile di precisione".

Un elicottero si è alzato in volo per perlustrare dall'alto la collinetta da dove è partito il colpo mentre l'intera zona è stata cintata. Alla caccia all'uomo partecipano carabinieri e poliziotti. Sei residenti nella zona, possessori di un'arma simile a quella che ha sparato, saranno sottoposti ad esami della scientifica per accertare se hanno sparato nelle ultime ore.

(9 settembre 2009)
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 9/9/2009, 18:56




Il prefetto ha invitato la popolazione a muoversi il meno possibile
Istanbul allagata, almeno 28 morti
Molte persone sono rimaste intrappolate nelle auto. Quartieri completamente invasi dall'acqua

MILANO - Almeno 28 morti, danni per svariati milioni di euro. È il bilancio, probabilmente non definitivo, di una pesantissima alluvione che sta colpendo la Turchia, e in particolare la città di Istanbul, dove è stato dichiarato lo stato di calamità. I quartieri più colpiti, secondo la Cnnturk, sono Halkan e Ikitelli, entrambi nella parte europea della città. Qui si trovano le sedi di molte società e le redazioni dei maggiori quotidiani.


STRADE ISOLATE - Anche l'esercito è stato impiegato per il recupero dei cadaveri e il soccorso ai superstiti nei quartieri isolati e sommersi dall’acqua. Il prefetto, Muammar Guler, ha invitato a mantenere la calma e a muoversi il meno possibili, spiegando che la Basýn Ekspres yolunu, la strada a scorrimento veloce che porta all’aeroporto di Istanbul, sarà isolata almeno fino a giovedì perché completamente allagata. Decine di auto sono state spazzate via dalla violenza dell'acqua e sono rimaste sommerse. Due ponti sull'autostrada Bahcekoy-Saray sono stati letteralmente demoliti.

ALMENO 28 VITTIME - Mercoledì sono stati recuperati 20 cadaveri, cui si aggiungono gli 8 di martedì per le violente piogge che hanno colpito la Tracia, la regione nella parte europea che si estende alle porte di Istanbul. Dei 20 trovati mercoledì, alcuni erano vicino a una stazione di rifornimento a Halkali, lungo una delle principali arterie della città, dove decine di persone sono rimaste intrappolate dentro le auto. Altri corpi sono stati trovati in un posteggio di tir a Ikitelli, una delle zone maggiormente colpite dalla pioggia. Nei quartieri più colpiti sono stati allestiti centri di accoglienza per gli sfollati, dove vengono dispensati pasti caldi e coperte.




09 settembre 2009






RICONOSCIUTO DALLA POLIZIA UN PICCHIATORE che guidava il pestaggio
Calci e pugni perché tifa Napoli:
notte di follia a piazzale delle Province
Ragazzo picchiato brutalmente in un bar al Tiburtino
chiacchierava con gli amici, aggredito anche da

Colpisce sedicenne per rubargli gli occhiali: preso

ROMA - Picchiato brutalmente perché campano e tifoso del Napoli. In una capitale sempre più preoccupata dagli episodi di omofobia, si deve registrare una nuova aggressione a un «diverso»: stavolta non si tratta dell'orientamento sessuale, ma della fede calcistica. Sia chiaro: il pestaggio non è avvenuto allo stadio, ma in un tranquillo bar all'aperto in via della Lega Lombarda, nella zona di piazzale delle Provincie. E' successo nella notte tra venerdì 4 e sabato 5 settembre a un ragazzo di 25 anni, Mauro (nome di fantasia) che chiacchierava di sport con quattro amici e quattro amiche, tutti studenti e laureati tra i 24 e i 28 anni.


Tifosi napoletani festeggiano la loro squadra
SFOTTO' E PUGNI - «I soliti sfottò - racconta a fatica con la faccia tumefatta da lividi ed ferite -. Io sono tifoso del Napoli, perchè la mia famiglia è campana. Ma i miei amici sono romanisti e li stavo prendendo in giro per le disavventure della squadra. Cose del tipo, "noi quest'anno in champions league e voi in serie B". Ridevamo tutti, ripeto era uno scherzo: non siamo certo ultras. Io vado allo stadio raramente».
All'inizio, sorridevano anche tre ragazzi seduti al tavolo accanto, hanno offerto persino una sigaretta a Mauro che si è fermato a parlare con loro per pochi attimi. Ma poi qualcosa è cambiato, rapidamente e senza motivo. «Sono scattati in piedi e mi sono venuti addosso urlando "Devi sta' attento a quello che dici, qui stamo a Roma" - ricorda -. Il primo, quello più violento, mi si è avvicinato e mi ha dato un pugno in faccia, colpendomi l'orecchio».

L'AGGRESSIONENei prossimi giorni, l'avvocato di Mauro denuncerà l'accaduto in maniera formale. Per ora è il ragazzo a parlare con il Corriere.it di quel pugno violento arrivato senza alcuna ragione. «Non me ne sono reso conto - dice - e quindi non ho potuto difendermi. Sono caduto a terra e basta». I suoi amici si sono alzati dal tavolo per cercare di difenderlo e per chiedere aiuto.
A quel punto, sono intervenuti anche gli altri due ragazzi «con la testa rasata» che hanno iniziato a picchiare di brutto anche le donne. «Erano in tre e menavano forte - aggiunge il ragazzo -. Ci hanno preso a sediate sulla schiena, ci hanno rovesciati addosso i tavolini. Anche le mie amiche sono state colpite, non hanno risparmiato nessuno. Si sono accaniti di più su di me, "il napoletano": mi hanno preso e buttato per terra. Ho battuto la testa violentemente, ma loro continuavamo a darmi pugni. Poi sono svenuto e da lì non ricordo più nulla».
Sono gli amici ad integrare il racconto. Dicono che tra gli insulti e le parolacce urlate dai tre picchiatori c'erano anche «le sopracciglia da checca» che Mauro si era disegnato con le pinzette, un vezzo molto in voga tra i giovani.

LA FUGA - La furia del branco si è esaurita di fronte alle urla di una ragazza che si è accorta che Mauro, in una pozza di sangue, aveva perso i sensi. «Non respira più, non respira più» ha urlato chiedendo pietà. Spaventati, i tre sono scappati via a bordo di una macchina e di due motorini, attenti a coprire le targhe. «I miei amici hanno subito chiamato i soccorsi - spiega ancora Mauro - e la cosa più assurda è che il gestore del bar non ci ha dato alcun aiuto. Anzi, quando qualcuno è andato a chiedergli di chiamare un’ambulanza, ha risposto: "Chiamatevela da soli, io non voglio problemi"».

IL PORTAFOGLI - All'arrivo delle volanti dei carabinieri e della polizia, Mauro era ancora svenuto. I suoi amici gli stanno accanto e a pochi passi trovano una traccia degli aggressori. Nella foga, uno di loro, il più violento ha perso il portafoglio: dentro i documenti e il tesserino da pugile.
«Lo hanno subito portato ai poliziotti - aggiunge Mauro - che hanno sogghignato dicendo: "E' sempre lui che fa queste cose". Lo conoscevano, visto che lo hanno chiamato anche con un soprannome».

LA DENUNCIA - Mauro è stato portato in ambulanza al pronto soccorso del Policlinico Umberto I dove gli hanno riscontrato una prognosi di sette giorni. Per miracolo i pugni e i calci non hanno rotto zigomi e mascella. «Ero sotto shock e ho rifiutato la Tac - dice -. Ho fatto l'esame privatamente e mi hanno riscontrato alcuni versamenti interni».
Anche gli amici di Mauro sono state medicati: per loro la prognosi va dai 4 ai 7 giorni. «Mercoledì ho appuntamento dal mio avvocato e presenterò subito una denuncia - dice infine -. Ho aspettato questi giorni perchè dovevo fare le visite mediche. Ma ora basta: i responsabili dovranno pagare».



pisa, distrutti 150 ettari di bosco alle pendici del monte Serra
L'Italia brucia, caccia ai responsabili
Liguria, Toscana e Basilicata sono le regioni più colpite. Aperta inchiesta a Genova per l'incendio sul monte Fasce


MILANO - L'Italia continua a bruciare. Liguria, Toscana e Basilicata le regioni più colpite dagli incendi che stanno distruggendo centinaia di ettari di aree verdi, avvicinandosi in alcuni casi alle abitazioni.

LIGURIA - A Genova le squadre dei vigili del fuoco, 60 uomini e 30 mezzi, sono impegnate a Molassana, Nervi, Bavari e Marasco, dove i venti, seppure con forza ridotta rispetto alla notte, continuano ad alimentare le fiamme. Nella zona di La Spezia i vigili sono al lavoro a Mattarana e Lerici, altri stanno operando a Carro e Carrodano, nella zona delle Cinque Terre. La situazione è sotto controllo in tutta la regione e si sta provvedendo allo spegnimento degli ultimi focolai. Intanto il pm Silvio Franz ha aperto un'inchiesta con l'ipotesi di incendio colposo per il grande rogo che ha distrutto oltre 600 ettari di pineta, macchia mediterranea e pascoli sul monte Fasce e sul monte Moro e che ha assediato per oltre due giorni la città: sono ufficialmente indagati i quattro operai del Comune segnalati dal nucleo di polizia ambientale e forestale. I quattro operai avrebbero bruciato rami e fiori secchi dopo aver fatto pulizia nel cimitero di Nervi, quindi avrebbero coperto sommariamente con della terra il mucchio, lasciando però alcune aperture che hanno provocato, a detta della Forestale, un effetto carbonaia. In serata i tizzoni ardenti hanno dato fuoco alla macchia circostante e l'incendio si è poi rapidamente propagato alla pineta.

TOSCANA - Nella zona di Pisa proseguono da martedì le operazioni di spegnimento nelle campagne di Vicopisano e Calci: a scopo cautelativo i vigili del fuoco hanno evacuato tre frazioni di Calci, in tutto 40 persone. Anche qui la situazione sembra sotto controllo. «La situazione è ormai completamente sotto controllo e l'incendio in fase di spegnimento, non ci sono più pericoli né per le case, né per la popolazione» ha detto il prefetto di Pisa Benedetto Basile, che ha trascorso la mattinata al Com, il centro operativo mobile della Protezione civile allestito a Calci dopo il devastante incendio che ha distrutto circa 150 ettari di bosco alle pendici del monte Serra. «È stato decisivo il lavoro di quattro elicotteri e due Canadair che ha permesso di avere ragione delle fiamme - ha aggiunto Basile -. Ora inizierà il lavoro di bonifica». Infine, il prefetto ha ribadito la convinzione che si tratti di un atto doloso: «Sono stato tutta la notte in giro sui luoghi dell'incendio e non ci sono dubbi che questo scempio sia stato opera di una mano criminale. Abbiamo il sospetto che i diversi punti di accensione, in zone anche particolarmente impervie, possano essere stati almeno quattro, se non di più».

CAMPANIA - In Campania è in corso da martedì un incendio nella zona di Fosso Bianco a Torre del Greco (Napoli), un'area compresa nel parco nazionale del Vesuvio. Durante la notte le fiamme hanno ripreso vigore per il forte vento. Nella zona, oltre alle squadre di terra dell'antincendio boschivo regionale, dei volontari e dei vigili del fuoco, hanno operato due Canadair. Secondo gli uomini dell'antincendio le fiamme dovrebbe essere domate definitivamente in giornata, per poi avviare l'opera di bonifica dell'intera area, stimata in almeno 5 ettari. Anche Barano d'Ischia, sempre nel Napoletano, è stata colpita dal fuoco e sono arrivati due aerei Fire Boss (con minore capacità ma più agilità rispetto ai Canadair). Le fiamme, alte una decina di metri, hanno minacciato da vicino alcune abitazioni e poi un bosco di querce. In Basilicata i vigili del fuoco sono impegnati nello spegnimento di un incendio in un bosco a Maratea, località Acquafredda (Potenza). Anche in questo caso il fronte del fuoco è sotto controllo.

ARRESTATO PIROMANE - A Gualdo Tadino, in Umbria, un idraulico di 21 anni è stato arrestato con l'accusa di avere appiccato il fuoco in un bosco della montagna gualdese. L'incendio ha colpito lunedì un'area di circa ottomila metri quadrati, tra bosco e sterpaglia, nella zona di Ponticelli, sotto il cosiddetto Cristo delle Vette. Le indagini sono state svolte dai carabinieri e dal corpo forestale. Il giovane era già stato denunciato nel 2006 per altri 16 piccoli incendi in boschi della stessa zona. Le fiamme, spinte dal vento, si erano pericolosamente avvicinate ad alcune case.




09 settembre 2009


 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 10/9/2009, 10:24




Napolitano al Csm: «Discussione serena
sulle accuse del premier ai giudici
»

Il presidente della Repubblica a proposito delle pratiche
a tutela dei magistrati: «Serve equilibrio»



ROMA - L'esame delle pratiche a tutela dei magistrati - di cui alcune aperte in seguito ad accuse rivolte dal premier Berlusconi alle toghe - «avvenga con serenità ed equilibrio». È l'auspicio espresso dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano in una lettera firmata da Loris D'Ambrosio, segretario generale della Presidenza della Repubblica e letta dal vicepresidente dell'organo di autogoverno della magistratura Nicola Mancino in apertura dell'assemblea plenaria del Csm.

LE PRATICHE - L'esame delle pratiche, riviste e deliberate dalla Prima Commissione alla luce del nuovo regolamento varato a Palazzo dei Marescialli nello scorso luglio, è stato da tempo fissato all'ordine del giorno. Tra queste, spicca il documento che tutela i magistrati milanesi, tra cui Nicoletta Gandus, presidente del collegio di fronte al quale è stato processato in primo grado l'avvocato inglese David Mills, coimputato del premier (la cui posizione è stata stralciata per effetto del lodo Alfano) per corruzione in atti giudiziari. Nella delibera proposta al plenum dalla Prima Commissione, si ricordano le espressioni usate dal presidente del Consiglio («magistrati di estrema sinistra hanno intentato contro di me per fini di lotta politica») contro le toghe milanesi nella lettera indirizzata al presidente del Senato Renato Schifani il 18 giugno 2008, relativa al decreto sicurezza: «Gli atti dei magistrati - si legge nel documento che sarà esaminato - possono essere certamente discussi e criticati, le soluzioni giuridiche adottate possono essere contestate, le ipotesi accusatorie possono risultare infondate e chi è imputato in un processo, chiunque sia, ha il diritto di difendersi nella maniera più ampia a norma di legge; tutt'altro, invece, è adoperare espressioni denigratorie verso il singolo magistrato o l'attività giudiziaria». Altre dichiarazioni del premier sono al centro di due pratiche inerenti gli uffici giudiziari di Napoli: la prima si riferisce alle parole di Berlusconi («l'armata rossa delle toghe si rimette in movimento») pronunciate nel dicembre 2007 in merito al procedimento aperto nei suoi confronti per corruzione e istigazione alla corruzione nel caso Saccà; l'altra, invece, riguarda un episodio più recente (26 marzo 2009), ossia l'inaugurazione del termovalorizzatore di Acerra, quando il premier criticò le toghe titolari del fascicolo su presunte irregolarità nella gestione dello smaltimento dei rifiuti in Campania. Dichiarazioni, quelle di Berlusconi, che, secondo la Prima Commissione, «hanno determinato disagio, imbarazzo e preoccupazione per la possibilità di un sereno procedere di indagini e processi».


10 settembre 2009



Parlamentari nell’inchiesta sulla sanità
I pm alla commissione del Senato: tre o quattro coinvolti. I nomi dopo le verifiche sul loro ruolo


ROMA - Tre o quattro parlamentari sono coinvolti nelle indagini sulla corruzione nella sanità pugliese. È quanto hanno rivelato i magistrati alla delegazione della Commissione d’inchiesta del Senato, che due giorni fa è andata in missione a Bari per raccogliere materiale e informazioni. Un veloce blitz. I senatori prima hanno incontrato in Regione il governatore Nichi Vendola e l’assessore alla Sanità, Tommaso Fiore. E poi si sono recati dai pm del capoluogo pugliese che stanno conducendo le indagini.

«È stata un’audizione amichevole ed è stata utile, molto utile», hanno detto i parlamentari. L’incontro è durato poco più di un’ora. E dopo le formalità di rito, è arrivata — secca — la domanda di Giuseppe Astore, dell’Italia dei valori, vicepresidente della Commissione. «Ci sono politici coinvolti?», ha chiesto il senatore, che ha ricevuto l’incarico da Ignazio Marino (presidente della Commissione) di coordinare i lavori a Bari. Dopo un attimo di gelo, i pm hanno risposto: «Ci sono molti esponenti locali collusi. E anche dirigenti nazionali ». Astore allora — come hanno riferito alcuni dei partecipanti — ha incalzato i magistrati. «Ci sono anche parlamentari coinvolti nell’inchiesta? ».

«Tre o quattro», la replica dei magistrati Giuseppe Scelsi e Roberto Rossi, mentre gli altri due pm, Lorenzo Nicastro e Desirée Digeronimo ascoltavano. I nomi non sono stati fatti. Anche perché l’incontro è stato preliminare. Entro un paio di settimane ci dovrebbe essere un secondo round senatori- procura. Per adesso i pm hanno consegnato un’ampia documentazione alla Commissione: si tratta delle carte relative a quattro delle diverse inchieste in corso, ma da quanto emerso non ci sarebbero atti secretati, «ma tutti documenti già a disposizione dei legali. Si tratta di materiale necessario per inquadrare il problema a livello generale », hanno spiegato in procura. «Ci hanno dato spontaneamente alcuni documenti — ha confermato al termine della riunione lo stesso Astore —, è stata solo una presa d’atto, in un clima di reciproca collaborazione. C’è un pool che lavora con discrezione e che mi sembra anche molto equilibrato nel suo lavoro. Hanno raccontato su che cosa vertono le indagini che stanno eseguendo, con i dovuti segreti e i dovuti distinguo, come è normale che sia». E appunto fra «i dovuti segreti » ci sono anche i nomi dei parlamentari coinvolti, che secondo le indiscrezioni dovrebbero essere di entrambi gli schieramenti (pare due o tre del Pdl, uno del Pd). L’accordo verbale è che i pm, dopo aver effettuato verifiche sul ruolo di questi parlamentari, sveleranno i nomi alla Commissione, qualora ritengano che ci siano «elementi probanti a loro carico per andare avanti con l’inchiesta » .

«A noi in questa fase i nomi non interessano — ha spiegato Lionello Cosentino, del Pd —, perché vogliamo solo capire come funzionano i meccanismi della corruzione, in Puglia come in altre Regioni, per poi formulare proposte di interventi legislativi e migliorare l’efficienza del sistema. Non intendiamo sostituirci alla procura». In realtà la Commissione ha pieni poteri. E il vicepresidente Astore ha già detto ai pm che nel prossimo incontro vuole i nomi. I senatori hanno dunque dato tempo alla procura di effettuare altri accertamenti. Ma poi o risulteranno elementi certi (e a quel punto la Commissione vuole venirne a conoscenza), oppure si deve bloccare lo stillicidio di voci e illazioni sul coinvolgimento di politici e parlamentari. Una linea questa condivisa a quanto pare anche dai senatori del Pdl che fanno parte della Commissione stessa e che a Bari erano rappresentati da Michele Saccomanno.







L’estate di Tarantini :
«Droga e affari nella mia villa»

I verbali: in Sardegna con cocaina nella cassaforte


BARI — Le feste in Sardegna, la cocaina per gli ospiti, i rapporti con Sabina Began e con Eva Cavalli, le liti al Billionaire. Ma anche i contatti con Finmeccanica per cercare di chiudere alcuni affari legati al settore sanitario. C’è pure questo nei verbali di Gianpaolo Tarantini, l’imprenditore pugliese che ha ammesso di aver reclutato una trentina di donne da portare nelle residenze del premier Silvio Berlusconi. Ragazze italiane e straniere, «alcune disponibili ad avere rapporti sessuali», che venivano retribuite con 1.000 euro. Il 28 luglio scorso l’uomo — indagato per corruzione, favoreggiamento della prostituzione e cessione di stupefacenti — viene convocato nella caserma della Guardia di Finanza di Bari. Il pubblico ministero e gli investigatori gli contestano quanto emerge dalle telefonate intercettate nell’estate del 2008, quella che fu poi segnata dall’incontro tra Tarantini e il premier avvenuto durante una cena a Villa Certosa. Un ruolo chiave lo gioca Massimo Verdoscia, l’uomo che presentò Patrizia D’Addario a Tarantini, arrestato agli inizi dello scorso agosto pure lui perché avrebbe ceduto droga ad amici e conoscenti.

La coca in cassaforte
Il verbale comincia proprio dalla scelta della casa a Porto Cervo: «Nel giugno insieme a mia moglie ed a Massimo Verdoscia e famiglia decidemmo di prendere in affitto una villa in Sardegna per un importo di circa 70.000,00 euro, che pagammo io, per un importo maggiore, e Massimo Verdoscia. Prima di andare in Sardegna, io, Massimo Verdoscia e Alessandro Mannarini (anche lui iscritto nel registro degli indagati per cessione di droga, ndr ) decidemmo di acquistare un quantitativo di circa 50-70 grammi di cocaina ed un quantitativo più ridotto di 'MD' (una droga sintetica simile all’ecstasy, ndr ). Lo stupefacente fu acquistato alla fine di giugno in circostanze diverse da me, da Verdoscia e da Mannarini, ognuno con proprie disponibilità finanziarie. Lo stupefacente fu trasportato in Sardegna in unica soluzione da Alessandro Mannarini, a bordo dell’autovettura con la quale si mosse da casa mia in quanto dormiva in una dependance della stessa, ma una volta giunta in Sardegna fu suddivisa tra me, Verdoscia e Mannarini. Io tenni per me la parte più rilevante conservandola nella cassaforte della mia camera da letto. Acquistai la mia parte di stupefacente da due o tre persone, se non ricordo male tale Nico e tale Onofrio, mentre ricordo che Verdoscia l’acquistò da tale Stefano. Ho acquistato stupefacenti anche in passato ma da altre persone. Ricordo di averla acquistata, sempre insieme a Verdoscia e Mannarini, in occasione di un viaggio a Montecarlo per assistere ad un gran premio automobilistico nella primavera del 2008. Ricordo che in occasione di una festa al club Gorgeous di Bari per il festeggiamento dei 30 anni di mia moglie ho ceduto gratuitamente cocaina ad alcuni invitati. Anche in occasione di una festa fatta a casa mia, nella primavera 2008, ricordo di aver offerto gratuitamente sostanze stupefacenti».


Le dosi alla Began
I contatti di Tarantini con Sabina Began, soprannominata «l’Ape regina» per essere una delle «favorite» del premier, emergono dalle conversazioni registrate dai finanzieri. Lui nega però di essere il suo pusher. E dichiara: «Non ricordo di aver portato sostanze stupefacenti in occasione del concerto della star Madonna tenutosi a Roma allo stadio Olimpico nel settembre 2008, dove mi accompagnai con persone, tra le quali la signora Benetton, che non hanno nulla a che fare con la droga. Sia Massimo Verdoscia che Alessandro Mannarini erano a conoscenza che la droga fosse custodita nella cassaforte. Ebbi anche una discussione con Mannarini in quanto riscontrai una mancanza di sostanza stupefacente che avevo lasciato in cassaforte. Non ricordo a chi ho ceduto lo stupefacente in Sardegna, ogni tanto ne portavo con me piccole quantità. Personalmente non credo di aver ceduto dello stupefacente a Sabina Beganovic, mentre sono sicuro che le sia stato ceduto sia da Verdoscia che da Mannarini. Le cessioni da me operate nel tempo non sono state finalizzate a coltivare relazioni professionali ma operate al fine di tenere alto il sistema delle mia relazioni personali innanzitutto nella città di Bari. Posso escludere che dalla cessione gratuita delle sostanze stupefacenti siano da me derivati vantaggi sia patrimoniali che professionali. Voglio precisare che durante il mio soggiorno in Sardegna nell’estate 2008 ho ceduto più volte sostanze stupefacenti a Francesca Lana. Non ricordo di aver ceduto dello stupefacente a tale Victoria. Non ricordo di aver ceduto o offerto sostanze stupefacenti a Maria Teresa De Nicolò».

Il malore di Eva
Dalle intercettazioni emerge che la moglie dello stilista Cavalli si sarebbe sentita male proprio durante una delle feste organizzate in Sardegna. Così Tarantini cerca di dimostrare la propria estraneità alla vicenda: «Non corrisponde al vero il fatto che io abbia versato lo stupefacente 'MD' nel bicchiere di Eva Duringer a sua insaputa. Ammetto di averne parlato con tale Pietrino ma escludo dal tenore della conversazione possa evincersi una qualsiasi mia eventuale ammissione. Posso aggiungere che scherzosamente la stessa Eva Cavalli mi chiese, qualche tempo dopo, se io le avessi versato qualche sostanza stupefacente nel suo bicchiere. Ma io le risposi che non mi sarei mai permesso di fare un gesto simile». Movimentate da liti e ubriacature sembrano essere anche le serate che la compagnia legata a Tarantini trascorre nei locali della Costa Smeralda. «Escludo che nella notte tra l’8 e il 9 agosto 2008 la discussione avuta con Tommaso Buti nei bagni del Billionaire sia riconducibile alla sua opposizione al ché io entrassi nel bagno con Nena Rustic e tale Paola al fine di far uso di stupefacente. La ragione della discussione che ebbi con Tommaso Buti era riconducibile al fatto che stava maltrattando la Nena ed io sono intervenuto per difenderla».

La riunione con Finmeccanica
Il giorno precedente, esattamente il 27 luglio scorso, Tarantini viene interrogato su una riunione avvenuta presso l’Hotel de Russie a Roma a fine gennaio 2009. E racconta: «Conosco Enrico Intini da circa un anno in quanto mi è stato presentato dall’avvocato Salvatore Castellaneta e dal signor Roberto De Santis, in occasione della realizzazione di un progetto per la tracciabilità del sangue mostratomi da un mio amico tale Pino e per il quale cercavo finanziatori. Con Intini avevo un contratto di collaborazione che venne formalizzato in seguito ed in forza del quale, essendo venuto a conoscenza delle difficoltà incontrate dallo stesso Intini in relazione ad una procedura di gara per le pulizie dell’Asl di Bari, presi l’iniziativa di organizzare un incontro a Roma con l’avvocato Lea Cosentino (direttore generale della stessa Asl, ndr ). Io ero venuto a conoscenza che Enrico Intini non avrebbe mai vinto da solo quella gara e lo stesso Intini ebbe a lamentarsene con me. Io a quel punto gli dissi che la Cosentino non gli avrebbe mai fatto vincere una gara da solo e che avrebbe comunque avuto grosse possibilità se fossero stati fatti tre lotti. Questo io dissi anche perché ne avevo parlato con Lea Cosentino. Fu per queste ragioni che organizzai l’incontro di Roma del 21 gennaio 2009. Io sapevo che a quell’incontro avrebbero partecipato, oltre alla Cosentino, anche Rino Metrangolo, dirigente di Finmeccanica e Cosimo Catalano, titolare della società della Supernova, entrambi interessati alla stessa gara. In particolare era a conoscenza della circostanza che quella gara seguiva altra di uguale contenuto ma annullata perché il bando era errato. Avevo in particolare appreso che il precedente bando era stato annullato o era in fase di annullamento in quanto l’importo indicato a base di gara era calcolato su un numero di ausiliari ormai eccedente a causa dell’internalizzazione di ausiliari operato nel frattempo».

La gara in tre lotti
«L’occasione fu propizia — continua Tarantini — per sostituire al principio del lotto unico l’idea di tre lotti, come io personalmente suggerii a Lea Cosentino e a Antonio Colella, dirigente dell’area patrimonio dell’Asl di Bari. In tal modo avremmo potuto assicurare a Catalano, ad Intini ed a Metrangolo di gareggiare vincendo ciascuno un lotto. La gara in tre lotti, a quanto mi consta, non si è mai tenuta e nulla è avvenuto dopo quell’incontro a Roma. Lea Cosentino era interessata all’ipotesi dei tre lotti in quanto in tal modo, come lei mi disse, avrebbe smesso di subire le scelte altrui ed avrebbe potuto al contrario concorrere a definire l’individuazione dei vincitori della gara. Io stesso invitai all’incontro Metrangolo, in quanto dirigente di Finmeccanica interessato a partecipare alla gara, mentre fu Lea Cosentino a far intervenire alla riunione Cosimo Catalano, anch’esso direttamente interessato. Nel caso in cui questo progetto di lottizzazione della gara fosse andato in porto, io avrei percepito circa il quattro per cento dell’importo aggiudicato da Intini e circa il quattro per cento da Catalano. Non avevo ancora parlato di compensi con Metrangolo. Quando Enrico Intini giunse alla riunione al De Russie, prospettò l’eventualità di un ricorso come mera provocazione in quanto Intini era già d’accordo con me sulla suddivisione in tre lotti della gara ma intervenne parlando di un suo ricorso perché si vide in difficoltà trovando in quella riunione persone che non si aspettava di trovare». Angela Balenzano Fiorenza Sarzanini


10 settembre 2009


discorso a sessione congiunte della Camera dei Rappresentanti e del Senato
Obama: «Via alla riforma sanitaria.
Costa meno delle guerre di Bush»

«Siamo l'unica democrazia al mondo che non garantisce la copertura medica universale ai suoi cittadini»


WASHINGTON - Con un discorso a sessione congiunte della Camera dei Rappresentanti e del Senato, Barack Obama ha lanciato un appassionato appello ai congressisti perché approvino subito una riforma che trasformerà in maniera sostanziale il sistema sanitario statunitense e il mercato delle assicurazioni. «Siamo l'unica democrazia al mondo che non garantisce la copertura medica universale ai suoi cittadini» ha detto Obama nel suo atteso intervento, trasmesso anche in diretta televisiva, accolto a tratti da grandi applausi; e se non si agisce subito sulla riforma sanitaria, molti americani potrebbero pagare con la vita.

COSTERA' MENO DELLE GUERRE IN IRAQ E AFGHANISTAN - La riforma della sanità pubblica americana proposta dalla Casa Bianca «costa meno di quanto abbiamo speso per le guerre in Iraq e in Afghanistan» ha poi indicato al Congresso il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, quantificando i costi della riforma in «circa 900 miliardi di dollari in 10 anni». L'inquilino della Casa Bianca ha ricordato che anche gli sgravi fiscali offerti ai più ricchi dal suo predecessore George W. Bush e approvati dal Congresso all'inizio della legislatura in questione sono costati molto di più. Sulla riforma proposta, Obama ha detto che «molti dei costi prospettati verranno pagati con denaro già speso, ma speso male, nel sistema previdenziale attuale. Il piano non aumenterà il nostro deficit». La riforma costerà 900 miliardi di dollari nell’arco dei prossimi dieci anni. Obama ha chiarito che il piano non aumenterà di un solo dollaro il deficit pubblico. "Il motivo per cui ho trovato un debito da mille miliardi di dollari entrando alla Casa Bianca è che troppe delle iniziative prese nell’ultimo decennio non avevano copertura finanziaria e io non farò lo stesso errore per il sistema sanitario".

«FINITO IL TEMPO DEI BISTICCI» - Obama ha aggiunto che «è ora di mettere da parte i litigi» e chiesto azioni rapide perché si è più vicini che mai all'obiettivo della riforma: al traguardo, ha detto, ci sarà un sistema che migliorerà la stabilità di coloro che sono già assicurati e allargherà le opzioni per quelli che oggi non possono contare su una copertura sanitaria. «Credo che ci sia un ampio consenso su questi aspetti del piano», sebbene «persistano divergenze su dettagli significativi». Quanto ai critici della sua proposta, li ha accusati di usare tecniche dilatorie invece di un onesto e concreto dibattito: «Non perderò tempo, con coloro che sono giunti alla conclusione che è meglio cancellare questo piano che tentare di migliorarlo». «Non manterrò le braccia incrociate mentre gli interessi particolare usano le stesse tecniche trite per mantenere le cose esattamente come stanno. Se confonderanno il contenuto del piano, gli chiederemo le prove». «Non sono il primo presidente che prende a cuore questa causa, ma sono determinato a essere l'ultimo» Nel suo discorso, Obama ha ripetuto sostanzialmente quello che aveva già detto a più riprese; ma ha tentato di vincere le resistenze di un Congresso spaccato tra quelli che appoggiano con entusiasmo un maggiore intervento dello Stato nel settore sanitario, ovvero la maggior parte dei democratici, e quelli che si oppongono a qualsiasi intervento dello Stato nel settore. «Il tempo dei bisticci» è l'avvertimento del presidente, «è finito. E così il tempo dei giochetti. È il momento di agire».


10 settembre 2009



ha obbligato il pilota dell'aereo a sorvolare sette volte Città del Messico
Aereo di linea dirottato in Messico
da un pastore "guidato da Dio"


Flores Pereyra, tossicodipendente, ha detto di aver avuto una rivelazione divina: «il Messico è in pericolo»


CITTA' DEL MESSICO - E' finito senza spargimento di sangue il sequestro di un aereo in Messico: liberati tutti gli ostaggi e arrestati i pirati dell'aria. A guidare il dirottamento è stato Josè Marc Flores Pereyra, un pastore boliviano residente in Messico, che ha detto di aver sequestrato il velivolo per una rivelazione divina: lo ha riferito alla stampa il segretario alla sicurezza messicana, Genaro Garcia Luna. Flores Pereyra è stato detenuto in Bolivia accusato di un furto ed è tossicodipendente, ha precisato Garcia Luna.

«INTERVENTO PER SALVARE IL MESSICO» - Flores Pereira ha raccontato di essere pastore di una Chiesa cristiana, ha aggiunto Garcia Luna, assicurando che lo stesso non ha alcun rapporto con gruppi terroristici. È stata «una rivelazione divina» relativa al fatto che «il Messico fosse in pericolo, a causa di un terremoto», a spingere l'uomo a portare a termine il dirottamento, ha proseguito Garcia Luna, ricordando che il sequestratore ha obbligato il pilota dell'aereo a sorvolare sette volte Città del Messico. Nelle dichiarazioni fatte alla polizia, l'uomo ha inoltre ricordato che il giorno in cui ha attuato il sequestro, è il 9 settembre 2009, e cioè il 9/9/99, che - ha aggiunto - ha un valore cabalistico.

CALDERON ERA ATTESO IN AEROPORTO - I dirottatori non erano comunque riusciti a entrare nella cabina di pilotaggio chiusa a chiave e corazzata. Il presidente Felipe Calderon era atteso nell'hangar presidenziale e si doveva imbarcare su un volo per un viaggio di lavoro. L'aereo, un Boeing 737 di Aeromexico, è rimasto sempre parcheggiato sulla pista 23 dello scalo della capitale ed era stato subito circondato dagli uomini delle forze armate messicane.



09 settembre 2009


IL VERDETTO SLITTA DI 10-15 giorni
Battisti, slitta il sì all'estradizione
Processo sospeso a tarda notte, ma la maggioranza
dei magistrati ha accolto le richieste del nostro governo



BRASILIA - Il governo italiano è ormai a un passo dalla vittoria nella diatriba con il Brasile sull'estradizione dell'ex terrorista Cesare Battisti, ma non c’è ancora una decisione definitiva. Dopo una giornata convulsa e ricca di colpi di scena, la Corte suprema brasiliana ha rinviato a data da destinarsi il voto finale proprio mentre sembrava consolidata una maggioranza a favore dell'estradizione. E’ stato un giudice contrario alla consegna di Battisti all'Italia, Marco Aurelio Mello, a chiedere la sospensione del processo a tarda notte quando ormai la maggioranza dei magistrati aveva deciso di accogliere le richieste del nostro governo. Mello ha chiesto di riesaminare tutte le carte e adesso potrebbero passare altri 10-15 giorni prima di una nuova convocazione e del verdetto finale. Dei nove giudici togati, quattro si sono espressi ieri a favore dell'estradizione e tre contro.


Attivisti radicali manifestano all'esterno del tribunale federale di Brasilia a sostegno di Cesare Battisti (Ap)
DUE VOTI - Mancano due voti, tra cui quello del presidente della Corte, Gilmar Mendes, che si è già manifestato contro l'asilo politico a Battisti e per la riconsegna all’Italia. A meno di ulteriori colpi di scena, dunque, i giudici brasiliani negheranno che l’ex terrorista dei Pac abbia i requisiti di legge per restare in Brasile come rifugiato, contrariando la decisione presa lo scorso gennaio dal governo Lula. I quattro membri della Corte che hanno già espresso il loro parere sostengono che Battisti è stato condannato in Italia per reati comuni e non politici (quattro omicidi tra il 1978 e il 1979). Soddisfazione è stata espressa dall’avvocato che rappresenta il governo italiano, Antonio Bulhoes. Ma la battaglia non è ancora finita.


09 settembre 2009


Il Cavaliere aveva detto che «non siamo una caserma» e che «c'è libertà sui temi etici»
Berlusconi: «Fraintendimento con Fini»
La replica: «E' riduttivo, così non va bene»

Botta e risposta a distanza tra i due leader del Pdl. Il presidente della Camera: nel partito occorre discutere

MILANO - Berlusconi prova a ricucire, ma a Fini non basta. Parlando ad Atreju, la festa nazionale dei giovani del Pdl, il capo del governo liquida come un «fraintendimento» le incomprensioni degli ultimi tempi con il presidente della Camera. Ma a stretto giro di agenzie di stampa è lo stesso Fini a replicare: «Parlare di fraintendimento è riduttivo. Per quanto l'ottimismo di Berlusconi sia proverbiale, definire "fraintendimento" le tante valutazioni di carattere politico su cui nel Pdl è necessario discutere, è non soltanto riduttivo ma soprattutto rischia di non contribuire a risolvere i problemi». Poi interpellato dai cronisti, il premer aggiunge: «Rispetto le posizioni espresse in questi giorni da Gianfranco Fini, sarei io il primo a difendere la sua libertà di espressione. Siamo pronti a lottare perchè ciascuno possa esprimere le sue opinioni».


Il presidente della Camera, Gianfranco Fini (Eidon)
«PARTITO ANARCHICO» - Il capo del governo aveva affrontato la platea ripercorrendo ancora una volta i risultati di questi primi quindici mesi di governo. E sulle divergenze di opinione registrate con il co-fondatore del Pdl, una delle ultime quella sul testamento biologico, aveva spiegato che «il Pdl non è una caserma, ciascuno ha la libertà di potersi esprimere e sui temi etici c'è libertà di coscienza». «È chiaro che il movimento esprime una posizione - aveva aggiunto - , ma chi non si riconosce può esprimersi liberamente». E ancora: nel Pdl «non è detto che tutte le opinioni siano identiche. Forza Italia era un partito monarchico, perchè il monarca ero io, ma anche anarchico. Nel Pdl deve essere ancora di più così: anche se Fini o altri su certi temi hanno una loro posizione, che può anche essere diversa da quella del presidente del Consiglio, l'importante è che si vada d'accordo sui temi più importanti».

LA TELEFONATA - Non è la prima volta che negli ultimi giorni Berlusconi cerca di smorzare i toni della polemica ricevendone però una replica in netto contrasto. L'ultima era stata quella sul «tutto a posto» con cui il Cavaliere aveva cercato di chiudere la polemica scaturita dagli attacchi al presidente della Camera sferrati dal Giornale, quotidiano di Vittorio Feltri di proprietà della famiglia Berlusconi. «Con Fini c'è stato un fraintendimento - ha allora detto il premier -, oggi abbiamo avuto una telefonata molto cordiale e molto simpatica. Le mie parole di martedì (appunto, «con Fini tutto a posto», ndr ) sono state dette in buona fede».

«SONO STATO POVERO» - «Gli italiani si riconoscono in me, sono uno che si è costruito da solo e che è stato povero, ho i loro stessi sentimenti e interessi», aveva detto ancora Berlusconi ai giovani del Pdl. «Mi piace il calcio, amo la vita e divertirmi, amo gli altri e tra gli altri amo soprattutto le belle donne, come tutti gli italiani che si rispettano». Poi aveva confidato il segreto del successo alle elezioni in Sardegna: «Soru la mattina si guarda allo specchio e si è già rovinato la giornata», ha detto il presidente, sottolineando la «tristezza» delle facce di comunisti e cattocomunisti.

«NON LEGGETE I GIORNALI» - Infine era tornato sulla polemica contro i mezzi di informazione. «Se non sapessi che ancora una volta scriveranno che attacco la stampa, direi a voi ragazzi di impiegare il vostro tempo in maniera diversa dalla lettura dei giornali - ha detto -. Io l'ho fatto e ne ho tratto giovamento». Berlusconi ha ricordato la polemica nata dopo che i giornali hanno parlato di scontro tra l'Italia e la Ue, un contrasto che il premier smentisce esistere. «Tutto il resto sono favole di certa stampa - ha allora precisato - e ho detto povera Italia per la stampa con cui ci troviamo a dover fare i conti». Per non parlare «della stampa che diffonde catastrofismo e fa il tifo per la crisi».



09 settembre 2009


NEL BIELLESE
Tragedia della disperazione, partorisce
e soffoca la bambina appena nata

La donna, operaia tessile in cassa integrazione, aveva cercato di tenere nascosta la situazione al marito.

BIELLA - Ha confessato di aver soffocato la sua bambina appena nata, l'ultima di 4 fratelli, avuta dopo 11 anni dall'ultima gravidanza. I fatti si sono svolti in una cascina di Castelletto Cervo, nel Biellese, ma il dramma assume un peso ancor più grave perchè la donna, che oggi ha 38 anni, ha un precedente: tentò di abbandonare il terzo figlio neonato, in una scatola di cartone, sul davanzale di una cascina adiacente la sua abitazione.

LA STORIA - La vicenda è venuta alla luce dopo che,all' alba di martedì scorso, la donna colpita da un'emorragia, ha chiesto l'aiuto del 118. I medici, accorsi nell'abitazione l'hanno trovata in gravi condizioni. Con lei c'erano il marito e la piccola moribonda. Inutile la corsa in ospedale dove la neonata è arrivata ormai senza vita. La donna, operaia tessile in cassa integrazione, a causa dei rapporti tesi in famiglia e di una situazione economica disastrosa, aveva cercato di tenere nascosta la situazione al marito. La famiglia non era assistita dai servizi sociali, nè per motivi economici, nè per ragioni di disagio o di altra natura. Il marito, di origini calabresi, operaio in una fonderia, è stato indagato per concorso in infanticidio anche se il suo ruolo sembrerebbe secondario.

LA DINAMICA - La donna, ancora ricoverata in ospedale, nel racconto che ha fatto alla polizia ha lasciato ancora diversi punti oscuri, che gli investigatori stanno cercando di chiarire. La bimba, chiamata Alice, sarebbe rimasta soffocata quasi per un gesto automatico, dettato dalla disperazione: «Ho messo una mano sulla bocca perchè nessuno sentisse il suo pianto. Poi non so perchè non sono più riuscita a togliere la mano»,avrebbe spiegato nella sua confessione.


09 settembre 2009
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 10/9/2009, 19:35




Intervento al seminario della scuola di di formazione del partito di Gubbio
"Non sono un 'compagno travestito', e non aspiro a fare il Capo dello stato"
Fini al seminario del Pdl
"Contro di me uno stillicidio"

Punto per punto, il presidente della Camera ha ribadito le questioni sollevate da mesi
La democrazia interna, il rapporto con la Lega, gli immigrati, il biotestamento, la mafia



GUBBIO - Il presidente della Camera partecipa a Gubbio al seminario della scuola di formazione del Pdl. E torna all'attacco: "Contro di me uno stillicidio non degno del partito". "Non è degno il dibattito in un partito con questo stillicidio di dichiarazioni basate su tre ipotesi: che sono folle, che sono un 'compagno travestito' e che aspiro a fare il Capo dello stato". "Chiedere democrazia interna - ha proseguito - non rappresenta un reato di lesa maestà".

Punto per punto, il presidente della Camera ha ribadito le posizioni espresse da settimane, difendendole, ma anche chiarendole ulteriormente, per evitare, come aveva denunciato ieri replicando a Berlusconi, che vengano relegate al ruolo di "fraintendimenti". E, al termine dell'intervento, ha dichiarato: "Abbiamo cominciato a discutere. Quello che dovevo dire l'ho detto, ognuno tragga le sue conclusioni".

"Dal 27 marzo non si è deciso nulla". "Hanno detto che io aspiro al Quirinale ma piuttosto ambisco a fare il successore di Ban Ki Moon", ha esordito il presidente della Camera. "Ieri a Berlusconi ho detto che dal 27 marzo non si è deciso nulla ed il punto è proprio questo: non è possibile che non si sia deciso nulla, il partito non è un organigramma. Serve un cambio di marcia, un dibattito interno".

Immigrati, non solo sicurezza. Il presidente della Camera è poi entrato nel merito dei temi della discussione che intende affrontare all'interno del Pdl, a cominciare dagli immigrati". "Quando vengono respinti dei clandestini si fa bene, ma se su un barcone c'è un bambino o una donna incinta che sta per partorire e magari viene rimandata in un paese dove c'è un dittatore che la manda a morte, la sussistenza del diritto d'asilo la pretendo da un paese civile", ha ribadito, ricordando che la questione degli immigrati non può essere affrontata come "un problema di sicurezza", come vorrebbe la Lega, ma in modo globale.

Lega, "attenti ai plauditori". E a proposito della Lega, ha affermato Fini: "A Berlusconi dico: attento ai plauditori e cioè a quelli che dicono che va tutto bene e poi, quando Berlusconi non sente, dicono qualcos'altro", avverte Fini. "E' un reato avere delle proposte, delle richieste da avanzare? Io chiedo che non soltanto non lo sia, ma che sia indispensabile per far radicare il partito e per farlo crescere".

Stragi: prima la verità. Anche in riferimento ai processi per le stragi di mafia, Fini ha manifestato un orientamento molto diverso da quello di Berlusconi: "Mai, mai, mai dare l'impressione di non avere a cuore la legalità e la verità. Sono convinto quanto voi dell'accanimento giudiziario contro Berlusconi, ma non dobbiamo lasciare nemmeno il minimo sospetto sulla volontà del Pdl di accertare la verità sulle stragi di mafia. Se ci sono elementi nuovi, santo cielo se si devono riaprire le indagini, anche dopo 14-15 anni! Soprattutto se non si ha nulla da temere, come è per Forza Italia e certamente per Berlusconi".

Biotestamento: "discutere e votare". Altra questione aperta, è quella del biotestamento: "Se un giorno ci sarà modo di discutere, il che vuol dire anche con eventuali emendamenti, con cose non collimanti con il testo del Senato, non ci sarà nulla di male se si metteranno a confronto delle posizioni, magari anche votando: sarà un momento in cui il Pdl non avrà fatto un passo indietro ma un passo in avanti o forse il primo momento in cui si sarà comportato da partito del 35-40% dei voti".

Sud, si ripristini la legalità. "Il Pdl è un partito nazionale, non può avere la testa al Nord o al Sud ed è per questo che dobbiamo discutere la questione meridionale", ha detto Fini, ricordando che nel Mezzogiorno il problema principale è quello del ripristino della legalità.

Fini incassa gli elogi di Poettering. Parole di elogio per il ruolo in Italia di Gianfranco Fini sono state pronunciate da parte dell'ex presidente dell'Europarlamento Hans-Gert Poettering: "Fini è certamente un politico molto abile, adesso è nel Pdl e certo svolge un ruolo importante nella politica italiana", ha detto l'autorevole esponente tedesco dei Popolari in un'intervista all'Adnkronos. Sul fronte Ue però, Poettering non crede che il presidente della Camera possa assumere un ruolo di leadership nel centro-destra europeo, come prefigurato a inizio estate dall'ex premier spagnolo Josè Maria Aznar: "Non è possibile che l'ex presidente di An possa diventare il leader del Ppe, questo è contro la psicologia del partito".

Frattini: "Stillicidio? E' contro Berlusconi". Ma Franco Frattini, ministro degli Esteri, ribatte al presidente della Camera usando le sua stesse parole: "Lo stillicidio vergognoso è quello contro Berlusconi. La solidarietà umana va oltre il dubbio politico e oltre il fatto che dobbiamo parlare di più. C'è una rete internazionale che non solo vuole il male di Berlusconi ma anche dell'Italia".

(10 settembre 2009)


La biblioteca di Ponteranica, nel bergamasco, era stata dedicata al giovane ucciso dalla Mafia
La Picerno (Pd): "Solo politica intrisa di ideologia, la Lega si assuma le proprie responsabilità"
"Via la targa per Peppino Impastato"
Decisione shock del sindaco leghista




BERGAMO - Il nuovo sindaco leghista di Ponteranica, in provincia di Bergamo, ha fatto rimuovere ieri la targa voluta un anno e mezzo fa dal suo precedessore di centrosinistra per dedicare la biblioteca civica a Peppino Impastato, giovane siciliano ucciso dalla mafia nel 1978.

Cristiano Aldegani, primo cittadino del paese lombardo, motiva l'iniziativa con il desiderio di onorare personalità locali, suscitando, però, la reazione degli esponenti locali del Pd e dell'associazione antimafia Libera. "Sono polemiche pretestuose - ribatte il sindaco - fatte da persone in malafede. C'è addirittura chi mi accusa di essere pro-mafia, è assurdo".

La rimozione della targa è "sconcertante" commenta Pina Picierno, responsabile "Legalità" del Partito Democratico. Secondo l'ex ministro-ombra, la Lega "fa politica con paraocchi ideologico". Una politica che, a suo parere, è "intrisa di ideologia e di interessi localistici, che dividono e indeboliscono il Paese. Negare la memoria di un giovane ucciso dalla mafia non trova giustificazioni. La Lega si assuma le proprie responsabilità e sia coerente". Si associa alle proteste anche il capogruppo dell'Idv alla Camera Massimo Donadi: "Rimuovere la targa è un gesto incivile, uno schiaffo alla memoria di chi ha combattuto contro la mafia a costo della propria vita. Siamo indignati da una decisione che offende la coscienza collettiva di tutta l'Italia perché la lotta contro il crimine non è una questione territoriale".

Il sindaco, di contro, precisa che l'iniziativa della Giunta "non ha alcuna motivazione diversa" da quella di valorizzare personalità locali, come il sacerdote Giancarlo Baggi, al quale sarà presto ridedicata la biblioteca. A fine giugno, dieci giorni dopo le elezioni, c'era stato anche un incontro, che lo stesso Aldegani definisce "cordialissimo", con i rappresentanti locali di Libera. In quell'occasione si era parlato di un'eventuale manifestazione "riparatoria" dedicata ad Impastato. Tuttavia, oggi il sindaco fa un passo indietro spiegando che prima di riproporre l'idea della manifestazione dovrà sentire "la volontà della Giunta e della maggioranza".
(10 settembre 2009)

VERGOGNA!!!
VERGOGNA!!!
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VERGOGNA!!!
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Precipitazioni torrenziali, sotto accusa l'urbanizzazione selvaggia
Istanbul, operai affogati nelle fabbriche. "Le piogge più violente in 80 anni"
Inondazioni in Turchia
trentuno morti per le piogge




Venti morti nella sola Istanbul, decine di dispersi, 31 vittime accertate in tutto il Paese: è stata una giornata drammatica, quella di ieri, per la Turchia. L'abbondante messe di piogge caduta in poche ore soprattutto al nord e sulla metropoli spartita in due dallo Stretto del Bosforo ha assestato un serio colpo a una città che si prepara, con grande impegno, alle manifestazioni che la vedranno Capitale della Cultura nel 2010.

I dati forniti dal ministero dell'Ambiente dicono che nella regione attorno a Istanbul si sono riversate un terzo delle precipitazioni che normalmente si registrano in un anno. Si è trattato, ha spiegato il ministro Veysel Eroglu, delle piogge più violente degli ultimi 80 anni. Oltre 1.800 edifici, fra case e negozi, sono rimasti devastati.

La zona più colpita è quella di Ikitelli, sull'ampia strada che dall'aeroporto internazionale Ataturk porta fino in centro. Qui avevano sede, sino a pochi anni fa, alcuni dei più importanti quotidiani turchi. Qui l'alluvione ha colpito ieri numerose fabbriche che sorgono ora nell'area, mentre la forza dell'acqua scardinava i magazzini riversando il contenuto sulla strada dove alcuni sciacalli erano lesti a impossessarsi dei prodotti degli stabilimenti. Proprio su questa via centinaia di persone sono rimaste bloccate nelle loro autovetture. E qui sono annegate sette operaie, rimaste intrappolate in un pulmino che le portava al lavoro.

Sulle tv turche le polemiche sono molto aspre. Gli esperti sostengono che se la città ha reagito così male è colpa dell'urbanizzazione sfrenata subita negli ultimi 20 anni. Ed è appena dell'altro ieri un rapporto locale condotto sulla qualità della vita nelle varie località, dove la sorpresa viene da Ankara, la capitale, premiata come la più vivibile nel Paese. Seguita - anche qui abbastanza clamorosamente - da Eskishehir, nell'Anatolia centrale. Istanbul si piazza al terzo posto. Ankara è prima per fattori economici, i servizi sanitari, quello scolastico, le attività culturali. Eskishehir è invece la città più intellettuale, con il più alto numero di cinema e teatri per abitante. Istanbul è una città unica al mondo per la sua sfolgorante bellezza. Ma non purtroppo per qualità della vita, aria, criminalità e traffico. Il disastro di ieri lo conferma.
(10 settembre 2009)
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 11/9/2009, 12:50




«A Berlusconi ho detto: "Impensabile che un partito non decida nulla"»
Fini al Pdl: «Stillicidio contro di me»
Scossa al partito: «Più democrazia interna». Mafia e stragi: «Mai far pensare di non avere a cuore la verità»

MILANO - Non sembrano calmarsi le acque all'interno del Pdl tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Prova ne è l'intervento del presidente della Camera alla scuola di formazione del Pdl a Gubbio. Un'occasione sfruttata da Fini per chiarire prima di ogni altra cosa che «non è degno il dibattito in un partito con questo stillicidio di dichiarazioni» contro la sua persona. Dichiarazioni, spiega il leader di Montecitorio, «basate su tre ipotesi: che sono folle, che sono un "compagno travestito" e che aspiro a fare il capo dello Stato».

«SERVE CAMBIO DI MARCIA» - Fini prova dunque a scuotere il Pdl, ribadisce il suo no a un partito-caserma e sottolinea la necessità di una maggiore «democrazia interna». «Ieri a Berlusconi - spiega il presidente della Camera - ho detto che dal 27 marzo non si è deciso nulla ed il punto è proprio questo: non è possibile che non si sia deciso nulla, il partito non è un organigramma. Serve un cambio di marcia, un dibattito interno».

«ATTENTO AI PLAUDITORI» - Poi il presidente della Camera affronta il tema del rapporto tra Pdl e Lega, e anche in questo caso torna a ribadire la necessità di discutere con il partito guidato da Umberto Bossi, di avanzare proposte, di mediare. Nel Pdl occorre confrontarsi e alla fine anche votare, dice Fini, invitando ancora una volta il Pdl ad uscire dall'immobilismo dopo quasi sei mesi dalla fondazione. E avverte: «A Berlusconi dico: attento ai plauditori e cioè a quelli che dicono che va tutto bene e poi, quando Berlusconi non sente, dicono qualcos'altro».

MAFIA - Un intervento a tutto campo quello a Gubbio in cui il presidente della Camera affronta anche il tema della giustizia, alla luce (il riferimento non è esplicito ma chiaro) delle recenti dichiarazioni di Berlusconi («le procure di Milano e Palermo cospirano contro di noi»). Fini invita il Pdl a fugare ogni possibile sospetto di voler contrastare l'azione dei giudici sulle stragi di mafia dell'inizio degli anni '90. «Mai, mai, mai dare l'impressione di non avere a cuore la legalità e la verità», dice. «Sono convinto quanto voi - aggiunge - dell'accanimento giudiziario contro Berlusconi, ma non dobbiamo lasciare nemmeno il minimo sospetto sulla volontà del Pdl di accertare la verità sulle stragi di mafia. Se ci sono elementi nuovi, santo cielo se si devono riaprire le indagini, anche dopo 14-15 anni! Soprattutto se non si ha nulla da temere, come è per Forza Italia e certamente per Berlusconi».

BIOTESTAMENTO, CRISI, IMMIGRATI - Fini, infine ribadisce poi le sue posizioni sul biotestamento, invitando il Pdl a fare un passo avanti sulla via del confronto, magari anche attraverso lo strumento del voto. E sul diritto di voto agli immigrati non torna indietro: «Bisogna smetterla di mortificare le proposte. Dire di dare il voto agli immigrati alle elezioni amministrative non è cattocomunista. In alcuni paesi europei è già in vigore». Quanto alla crisi finanziaria, il presidente della Camera ci tiene a sottolineare che «affermare che a causa della crisi economica ci sono persone in difficoltà significa semplicemente fotografare la realtà e non mettere in discussione l’attività del governo».



10 settembre 2009


il giovane supporter laziale morì l'11 novembre 2007 nell'area di badia al pino sull'a1
Caso Sandri: l'agente Spaccarotella sparò per fermare l'auto dei tifosi laziali
Rese note le motivazioni della condanna a soli 6 anni del poliziotto che uccise involontariamente «Gabbo»


AREZZO - Se la sentenza ha fatto discutere, lo faranno sicuramente anche le motivazioni che hanno portato a questa scelta. In particolare la parte relativa allo sparo. Che, secondo la corte di Arezzo, fu un colpo volontario sparato per fermare l'auto. Mirò per colpire la parte bassa del mezzo, presumibilmente le ruote. «Appare quanto mai improbabile e del tutto irragionevole ipotizzare» che l'agente possa essere stato indotto «all'azione per un fine diverso da quello di fermare» la macchina. Lo scrive la corte d'assise di Arezzo nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 14 luglio ha condannato Luigi Spaccarotella, il poliziotto all'epoca in servizio alla polizia stradale, a sei anni di reclusione per l'omicidio colposo di Gabriele Sandri, il tifoso della Lazio ucciso l'11 novembre 2007 nell'area di servizio di Badia al Pino, sull'A1, da un colpo di pistola sparato dall'agente.

LE MOTIVAZIONI - Per la corte, che ha depositato le motivazioni nei giorni scorsi, «l'ipotesi accusatoria di omicidio volontario nella forma del dolo eventuale non può essere ritenuta adeguatamente e sufficientemente provata», non risulta supportata «nè sul piano logico e neppure su quello fattuale da elementi che siano univocamente indicativi». I giudici spiegano che è difficile capire «cosa possa essere scattato nella mente dell'agente» allorchè ha deciso di porsi in quel modo così anomalo e determinato «pur non trovandosi davanti a un crimine che imponesse interventi decisi», ma soltanto «a dei banalissimi tafferugli». Ma certo l'agente «mai e poi mai» può aver «seriamente pensato, accettando anche solo vagamente tale prospettiva, che il proiettile finisse invece col colpire e addirittura uccidere taluno degli occupanti». Per i giudici quel colpo, sparato dopo uno in aria, fu esploso «volontariamente» da Spaccarotella, smentendo così quando affermato dal poliziotto che ai colleghi aveva detto di aver sparato anche la seconda volta in aria. Un colpo che, per la corte, venne certamente deviato dalla rete. I giudici rilevano anche che l'agente quando sparò «aveva un campo visivo ampio» che gli permetteva di vedere bene l'auto dei tifosi che si trovava al di là dell'autostrada.

I TESTIMONI - Per quanto riguarda i testimoni che avevano visto l'agente con le braccia tese in posizione di tiro, la Corte scrive che la loro «oggettiva rilevanza della distanza del punto di osservazione» rende «manifestamente evidente l'impossibilità di una concreta determinazione della precisa angolazione del braccio (o delle braccia) rispetto all'asse del corpo, e quindi della possibilità di desumere da ciò se l'obiettivo preso di mira fossero gli occupanti del veicolo o la parte inferiore di questo». Per la corte inoltre «è da ritenere sommariamente probabile che la precipitosa partenza dell'auto», sulla quale viaggiava Sandri, «abbia fatto da detonatore in una situazione vissuta da Spaccarotella come uno smacco per essere stata la serietà della propria iniziativa - ovvero esibire l'arma per costringerli a fermarsi - oggetto non solo di mancata adeguata attenzione ma addirittura come dileggio da parte di quei giovani che di fatto non lo avevano neppure preso in considerazione».


11 settembre 2009

VERGOGNA!
VERGOGNA!
VERGOGNA!




Giuliano Tuzi era stato arrestato con l'accusa di ave molestato la piccola di otto anni
Il suo avvocato, Flavio Jacinto: "E' stato vittima di un errore grossolano"
Italiano arrestato per un bacio alla figlia
Il tribunale brasiliano concede la libertà


BRASILIA - Sarà rilasciato nelle prossime ore Giuliano Tuzi, l'imprenditore italiano arrestato a Fortaleza, in Brasile, con l'accusa di aver molestato la figlia di otto anni. E' quanto ha deciso il giudice Cristinane Maria Martins Pinto de Faria che ha concesso all'uomo la libertà provvisoria.

Nella motivazione della sentenza, secondo quanto riferito dal quotidiano on-line 'Folha de San Paulo', il giudice ha stabilito che l'uomo, tornato in Italia, debba informare il giudice su eventuali cambi di residenza o sull'allontanamento da casa per più di otto giorni.

Tuzi è stato "vittima di un errore grossolano", ha sottolineato il suo legale, Flavio Jacinto, citato dalla stampa brasiliana, precisando che l'intera vicenda è il frutto di "una spiacevole confusione".

L'imprenditore, che nei giorni scorsi era stato ricoverato a causa di un malore, dovrà essere presente a Fortaleza a tutti i procedimenti giudiziari relativi al suo caso fino alla fine del processo.

(10 settembre 2009)


Dopo il caso Gabanelli, contratto in ritardo per Fazio. Rinvii e direzione sotto scacco
Il direttore della rete: "Puntano su una tv McDonald, tutta uguale. Ed è un grave errore"
La destra all'assedio finale
del fortino rosso di Raitre

L'ironia della Littizzetto: "Non capisco dove Silvio veda da noi tutto 'sto comunismo"


ROMA - Un editto soft, una goccia cinese che scava la roccia fino all'obiettivo finale: addomesticare la Gabanelli, Fazio, la Littizzetto, Bertolino, "Parla con me", ridimensionare, cancellare forse. Silvio Berlusconi l'ha anche detto: quei programmi di Raitre non mi piacciono.
Senza i toni concitati di Sofia, ma l'ha detto. E da tempo il direttore generale Mauro Masi lavora per trovare un sostituto di chi Raitre la dirige con quei volti, con quegli artisti. Gioca di sponda, propone nomi su nomi, cerca professionisti dal curriculum impeccabile. Non spiega esattamente per quale motivo, ma va sostituito Paolo Ruffini, che gestisce la baracca da sette anni. Il resto, la normalizzazione dei programmi sgraditi, verrà da sé. "Dove lo vede Silvio tutto questo comunismo a Raitre, cosa c'è di anormale? Se il problema è che Fazio è un uomo e io una donna, ci operiamo. Così rientriamo nei loro canoni di normalità", scherza Luciana Littizzetto, appuntamento fisso del week-end di Che tempo che fa, pubblico trasversale, risate a sinistra e a destra. Magari questo dà fastidio.

La Rai della nuova era Berlusconi non vuole mandare nessuno a Casablanca, ma qualcuno a casa sì. Il pressing sul Partito democratico per avvicendare i vertici di Tg3 e Raitre e incrinare un'identità non è solo un'indiscrezione. Comunque ci sono anche gli indizi, i dati di fatto: l'intenzione resa esplicita da Masi di togliere la tutela legale a un programma di inchiesta che giocoforza si porta dietro grane su grane come "Report". E un giallo finora rimasto sottotraccia su "Che tempo che fa". Il contratto tra Rai e Endemol, la produzione del programma, non è ancora stato firmato. Un ritardo che appare poco tecnico e molto politico a sole tre settimane dalla messa in onda (3 ottobre).

Il senso di Raitre secondo Fazio è "mettere in luce la vera funzione del servizio pubblico: che è somma di voci, non sottrazione. È scambio di idee, pluralità, polifonia in una grande azienda culturale". L'idea di chiudere qualche bocca (e qualche programma) "mi sembra ancora prima che sbagliata anti-moderna. La televisione di tutti deve far parlare tutti anziché limitarsi a non dire niente".

Semmai la critica rivolta a Fazio è quella di essere troppo moderato, poco cattivo, accomodante. "Ma capisco l'imbarazzo di alcuni. Da noi si respira un'aria di libertà, per altri invece è scontato che i programmi si costruiscano sentendo le segreterie dei partiti".

Il paradosso dello scontro campale giocato sulla pelle di Raitre è che tutti i programmi sono ormai in rampa di lancio. "Parla con me" scatta il 29 settembre, "Report" cascasse il mondo, anche senza copertura legale, l'11 ottobre, Fazio la settimana prima. Ruffini gira come una trottola per le conferenze stampa della nuova stagione. Poi torna in trincea, nell'ufficio al primo piano di Viale Mazzini. Non pronuncia mai la parola censura, ma difende il carattere della rete che fu del maestro Guglielmi, il suo essere portabandiera del servizio pubblico. "Un'offerta multipla arricchisce la Rai, non la penalizza.

Il pluralismo è patrimonio collettivo", dice Ruffini. E se la direzione generale la pensa diversamente, commette un errore. "Perché fare delle tre reti un indistinto omogeneizzato? Avremmo l'effetto McDonald, che ha gli stessi panini in tutte le parti del mondo".

Dicono le malelingue che un ottimo uomo Rai come Giovanni Minoli sarebbe disposto a ridimensionare i volti noti e di successo della rete, sbarcando al posto di Ruffini. Dicono che non si preoccupi dell'opposizione dei consiglieri del Pd, pronto a incassare soltanto i voti della maggioranza. Ma dagli artisti, ai dirigenti e ai 100 lavoratori della terza rete, Ruffini continua a ottenere in queste ore sostegno e riconoscimenti che superano persino la prova del settimo anno di vita in comune.

Il direttore di Raitre sarà in piazza il 19 per la libertà di stampa. Anche Milena Gabanelli parteciperà. Con l'occhio sempre attento allo sviluppo della trattativa con la Rai per la tutela legale. "Report" punta allo scudo di Viale Mazzini perché se si crede in un prodotto lo si difende, altrimenti lo si cancella. E la filosofia della stakanovista Gabanelli è che delle due l'una: o si lavora pancia a terra a caccia di scoop o si perde la giornata a parlare con gli avvocati. "Ruffini - racconta Fazio - ha sempre garantito a me e alla mia squadra condivisione del progetto e assoluta autonomia. Sono elementi essenziali di qualsiasi lavoro, compreso il nostro".

Eppoi gli ascolti di Raitre vanno bene, dunque la "prima domanda non è chi al posto di chi, ma perché. Perché bisogna cambiare?". Per creare un coro monocorde al servizio del pensiero unico berlusconiano? "Nel servizio pubblico devono esserci tante verità - dice Ruffini - . Questa è la sua missione, nel rispetto degli spettatori, dell'editore, delle persone. Si vuole invece una verità di Stato? Allora siamo in Unione sovietica".

La Littizzetto, con la sua leggerezza, spiega bene cosa non va nell'assedio al fortino di Raitre. Per la comica c'entra la politica sì, ma anche "una grande confusione del Paese in cui nessuno si fida di nessuno e proliferano i più realisti del re". Gli ospiti di "Che tempo che fa" davvero importanti, davvero graditi dal pubblico non sono i Prodi, i Veltroni, gli esponenti della sinistra che secondo i falchi del Pdl occupano le poltrona bianca di fronte a Fazio senza contraddittorio e senza un bilanciamento di ospiti a destra. "Il nostro merito è di mettere in onda volti nuovi, assolutamente spiazzanti. Ceronetti non ha niente di televisivo, è un personaggio inconsueto, fuori dal coro e dal circuito. Eppure la sua presenza dà i brividi". L'"alto" dello scrittore torinese, il "basso" delle battute fulminanti della Littizzetto pochi minuti dopo. Anche questa è Raitre. "A Ruffini darei il Telegatto", esclama Luciana. Ma i vertici della Rai appoggeranno la candidatura?

(11 settembre 2009)
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 12/9/2009, 11:57




lì si esercita il potere legislativo e il controllo sull'esecutivo»
Napolitano: «Insostituibile
il ruolo del Parlamento»


Il presidente della Repubblica: «Non c'è altro luogo in cui si incarni il principio della rappresentanza»


ROMA - Il ruolo delle Assemblee parlamentari «è insostituibile». Lo ha ribadito il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, durante l'incontro con una delegazione dei presidenti dei parlamenti dei Paesi del G8. «Pur nella diversità dei sistemi di governo, taluni presidenziali altri no - ha detto Napolitano - in tutti i nostri paesi si attribuisce un ruolo insostituibile alle Assemblee parlamentari. Permettetemi - ha aggiunto - di insistere sull'aggettivo insostituibile. È qualcosa in cui credo profondamente, avendo dedicato una parte molto grande della mia vita all'impegno nel Parlamento italiano e da ultimo nel parlamento europeo».

POTERE LEGISLATIVO - Secondo il Capo dello Stato non c'è «altro luogo in cui si incarni il principio fondamentale della rappresentanza come nelle assemblee elette dai cittadini, a suffragio universale per esercitare il potere legislativo e per svolgere funzioni di controllo nei confronti del potere esecutivo».

GOVERNO - Il presidente della Repubblica lancia quindi un monito al governo: «Chi governa, per libera scelta della maggioranza degli eletti dal popolo, deve poter assumere decisioni tempestive ed efficaci» sottolinea, «ma ciò non significa che si possa sfuggire a un corretto rapporto tra l'esecutivo e l'assemblea parlamentare, a un equilibrio che si fondi sul reciproco rispetto e su uno spirito di autentica cooperazione».


12 settembre 2009



Dietro le quinte
Il Cavaliere e il sondaggio su Fini
«Non andrebbe oltre il 4%»

Il capo del governo studia le contromosse

Berlusconi sa che non è finita e non finirà, che i media insisteranno sui festini e le donnine, che le vicende giudiziarie torneranno a lambirlo, che «i miei nemici» — come definisce l’indistinta coalizione di interessi a lui ostile — cercheranno di tenerlo sotto pressione.

Ma la variabile oggi è Fini. Perché se da una parte il Cavaliere è certo che il presidente della Camera continuerà a distinguersi - tenendo in fibrillazione governo, partito e maggioranza - dall’altra non riesce ancora a capire quale sia il vero obiettivo del «cofondatore» del Pdl. Era scontato che il premier lo accusasse di «tradimento», «ingratitudine» e «slealtà» dopo il suo discorso di Gubbio. Così com’era chiaro che l’ex leader di An avrebbe pubblicamente detto ciò che da tempo spiegava nei colloqui riservati: e cioè che «Berlusconi per difendersi si è consegnato nelle mani di Bossi», che «il Pdl è ridotto a una sorta di Forza Italia allargata », che «se spegnessero la luce nella stanza del governo e lì dentro ci fosse Tremonti non si sa cosa gli accadrebbe».

È vero che il tema sollevato da Fini sulla vita interna del nuovo partito è assai sentito, persino il capogruppo Cicchitto - subito dopo il congresso - sosteneva che «d’ora in poi la democrazia telefonica usata da Berlusconi in Forza Italia non potrà più bastare». Ma a Gubbio Fini si è spinto oltre, criticando la politica dell’esecutivo e - secondo il premier - «alimentando speculazioni» sul delicato tema delle inchieste di mafia. I tentativi di rattoppo non hanno nascosto lo sbrego, semmai l’hanno reso più evidente. In più Bossi è tornato ad attaccare in modo veemente il presidente della Camera, con il quale - dopo il varo del decreto sicurezza - aveva tentato di stringere un accordo, se è vero che era andato a trovarlo di persona a Montecitorio: «Gianfranco, tienimi fuori dalle tue beghe con Silvio. Io non c’entro nulla e non voglio finirci in mezzo». Non è andata così.

E comunque resta senza risposta l’interrogativo del Cavaliere: dove vuole arrivare Fini? Finora sono state valutate due ipotesi. La prima è quella che il premier definisce «la sindrome da Elefantino», riferimento alla lista presentata da Fini alle Europee del ’99, e con la quale l’allora capo di An provò a conquistare la leadership del centro- destra. Quell’operazione fallì. E fallirebbe anche stavolta, a detta di Berlusconi, che ha commissionato subito un sondaggio per rilevare l’appeal elettorale dell’alleato: «Se si presentasse con una sua lista e con le sue idee, non andrebbe oltre il 4%». Ma prospettive di terzo polo non ce ne sono, anche Montezemolo ha voluto mettere a tacere i boatos. Inoltre Fini non intende «ballare da solo», sebbene si senta solo nel Pdl. Tanto che la mattina dell’attacco di Feltri sul Giornale notò che nemmeno Gianni Letta l’aveva chiamato per solidarizzare.

C’è allora l’altra ipotesi: quella cioè che Fini immagini un precipitare degli eventi per fattori al momento non noti. La sentenza della Consulta sul «lodo Alfano» è vissuta nel Palazzo come una sorta di sentenza sulla legislatura. Però non basta a spiegare tutto. Eppoi «io non me ne andrò mai, mai», ripete il Cavaliere, conscio che la sua immagine internazionale è irrimediabilmente rovinata, ma forte del consenso nel Paese. Anche i dirigenti del Pd l’hanno constatato nel primo rilevamento riservato che hanno ricevuto da Ipsos dopo la pausa estiva. Nonostante le polemiche e gli scandali, da luglio a settembre Berlusconi ha perso solo un punto nell’indice di fiducia (50,7%), restando davanti a tutti gli altri leader, anche loro tutti in calo. Di più: il Pdl, in trend positivo da luglio, è arrivato al 38,2%. E la forbice nelle intenzioni di voto per coalizioni è aumentato di un punto e mezzo, con il centrodestra oggi al 49,4% e il centrosinistra al 37,9%.

«E allora: cosa devo chiarire con Fini?», s’infuria il Cavaliere. Forse il premier dovrebbe valutare una terza ipotesi, esaminata da alcuni dirigenti del Pdl. È un altro scenario, non quello del «Fini contro Berlusconi », ma quello del «Fini dopo Berlusconi», magari logorato dagli attacchi. Ecco la sfida. Ecco la scommessa

Francesco Verderami
12 settembre 2009


Parla l'uomo chiave nell'inchiesta sulle tangenti nella sanità pugliese
«Sbaglia chi dice di non conoscermi»
E ai giudici dice: «Temo per la mia vita»

L'imprenditre Tarantini e le prese di distanze di D'Alema e Emiliano: «Se i pm lo chiedono, fornirò indicazioni»
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MILANO - «Sbagliano quanti oggi dicono di non conoscermi o di non ricordarsi di me. Farebbero bene a ricordarsi chi sono». Così l'imprenditore barese Gianpaolo Tarantini ha risposto in Procura alle domande dei giornalisti che gli facevano notare che in molti, soprattutto uomini politici, affermano di non conoscerlo dopo aver saputo dei suoi guai giudiziari. Ma in serata D'Alema conferma: «Non ho mai avuto rapporti con Tarantini. Se lui sostiene il contrario dica come, quando e dove».


GLI ESPONENTI DEL PD - «Emiliano e D'Alema - ha detto Tarantini incalzato dai giornalisti - hanno detto di non conoscermi: se ce lo chiederanno gli inquirenti forniremo tutte le indicazioni utili». Si riferisce alla cena in un ristorante di Bari, a cui eravate presenti Lei, Massimo D'Alema e il sindaco Michele Emiliano? «Sì, ma non dico nulla perché su quella cena sono in corso indagini da parte della Procura della Repubblica». L'ex presidente dei Ds, dal canto suo, aveva affermato nei giorni scorsi di non conoscere Tarantini e di non avere mai avuto rapporti con lui, mostrandosi infastidito per il fatto che alla presenza ad una cena elettorale a cui aveva preso parte lo stesso imprenditore («ne faccio centinaia, quella sera ne ho fatte due o tre») sia stata data grande enfasi dai media.

«TEMO PER LA MIA VITA» - Ma non è tutto. In un esposto depositato nelle mani del procuratore della Repubblica di Bari, Antonio Laudati, Tarantini dice ora di temere per la sua vita. Si sente come un collaboratore di giustizia che, dopo aver rivelato ai magistrati i nomi dei responsabili di alcuni omicidi, vede le proprie confessioni pubblicate dai giornali. L'imprenditore confessa che, se qualcuno dovesse minacciarlo, non esiterà a chiedere alle forze di polizia e alla magistratura di essere tutelato, proprio come si fa con i pentiti» di mafia. L'esposto è stato consegnato dopo la pubblicazione dei verbali del suo interrogatorio.

IL PATTEGGIAMENTO NEGATO - Nel frattempo lo stesso Laudati ha rilevato che «dal verbale si capisce chiaramente che Tarantini ha fatto delle dichiarazioni ed ha chiesto il patteggiamento e che il patteggiamento non è stato accordato». Tuttavia, ha precisato, la richiesta di patteggiamento «c'è nel verbale che avete pubblicato voi. Non mi risulta che ci sia stato alcun patteggiamento, quindi - ha aggiunto il capo della procura barese - evidentemente quel verbale è una parte di un processo più ampio, quindi ora fatemi lavorare». Laudati ha spiegato che la questione relativa al patteggiamento è stata affrontata dal suo predecessore, Emilio Marzano, e che la scelta è da lui condivisa.

EMILIANO - «Ove Tarantini non chiarisca immediatamente che non mi ha mai conosciuto, che io non gli ho mai chiesto alcunché e che non sono mai andato a casa sua, lo querelerò senza indugio, perché ciò che ha dichiarato può far pensare che io non abbia detto la verità», ha replicato il sindaco di Bari, Michele Emiliano. «Me lo sono trovato una sera in un ristorante e mentre mi diceva il suo nome ho capito che era l'organizzatore della cena», ha detto il sindaco. Replica Tarantini: «Sorvolo sui toni minacciosi e offensivi di Emiliano, ma mi rallegra sapere che siamo d'accordo sull'unica cosa che io ho sempre dichiarato: cioè che abbiamo cenato insieme».




11 settembre 2009


Brunetta: «registi parassiti»
E il cinema si ribella

Maselli: «Repressione». Montaldo: «Non sa cos’è la cultura»


MILANO — Cinema nel mirino: senza giri di parole, il ministro della Pubblica amministrazione e dell’Innovazione Renato Brunetta ieri — nel suo intervento alla scuola di formazione del Pdl a Gubbio — si è sentito di «consigliare» il collega Sandro Bondi, responsabile dei Beni culturali, presente in sala. Premessa: «Esiste in Italia un culturame parassitario vissuto di risorse pubbliche che sputa sentenze contro il proprio Paese ed è quello che si vede in questi giorni alla Mostra del Cinema di Venezia».

Il consiglio: «Bene fai Sandro a chiudere quel rubinetto del Fus». Il ministro ha proseguito parlando di «registi che hanno ricevuto 30/40 milioni di euro di finanziamenti incassando in tutta la loro vita 3-4 mila euro. Questi stessi autori nobili, con l'aria sofferente, ti spiegano che questa Italia fa schifo...Solo che loro non hanno mai lavorato per avere un'Italia migliore». Applausi a scena aperta dalla platea «amica».

Che hanno portato ad un’altra stoccata, contro «i parassiti dei teatri lirici: i finti cantanti, scenografi che non si sono mai confrontati con il mercato, tanto Pantalone pagava. A lavorare...». E infine: «Questo è un pezzo di Italia molto rappresentata, molto 'placida' e questa Italia è leggermente schifosa». Dove la scelta dell’aggettivo pare tutt'altro che casuale dopo che Michele Placido, a Venezia con il suo film sul ’68, Il grande sogno, si è reso protagonista di una polemica che dalla casa di produzione Medusa si era estesa a Berlusconi.

Dalla stessa sede, poco prima, anche il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini aveva commentato: «Sono rimasta sorpresa nel sentire dagli attori della Mostra degli elogi sul ’68. Quella cultura dell’ugualitarismo e del sei politico ha danneggiato una generazione. Forse Placido non le ha vissute e non le conosce».

Ma, come prevedibile, le reazioni sono state tutte per Brunetta. Citto Maselli, al Lido con Ombre rosse, ha replicato: «Non è un caso che Brunetta usi la parola 'culturame' che è stata la bandiera di Mario Scelba negli anni delle peggiori repressioni nei confronti delle culture e della vita democratica del nostro Paese. Il tono, l'arroganza e il semplicismo di Brunetta parlano da soli».

Sempre da Venezia, Giuliano Montaldo, ex presidente di Rai Cinema, ha tuonato: «Ma di che stiamo parlando. Non è passata proprio al lido una 'nuova' attrice che si chiama Noemi? Non sanno cosa significhi la parola cultura».

Molte anche le reazioni politiche. Emilia De Biasi, deputata del Pd della commissione Cultura di Montecitorio: «Brunetta si commenta da solo. Sconcerta la volgarità e la gratuità delle sue affermazioni contro il mondo della cultura». L’ex ministro dei Beni Culturali Giovanna Melandri ha parlato di «furia iconoclasta e distruttiva con cui Brunetta, Bondi e company stanno mortificando il mondo della cultura italiana». Giuseppe Giulietti di Art.21 ha ribattuto: «Bondi non ha bisogno dei suggerimenti di Brunetta, ci ha pensato già lui». Ha condiviso «lo spirito» delle parole del ministro Gabriella Carlucci (Pdl), secondo cui «i soldi pubblici devono essere concessi a chi li merita».

Curioso che, solo qualche ora prima rispetto all’uscita di Brunetta, uno dei volti simbolo della protesta contro i tagli al Fus, Sergio Castellitto, fosse tornato sulla questione. Era anche lui alla Mostra per il film di Vincenzo Terraciano Tris di donne & abiti nuziali, peraltro realizzato con il contributo del Mibac, ed aveva dichiarato: «Dall’Excelsior di Roma a quello di Venezia, voglio ricordare che il problema dei tagli al Fus c’è ancora anche se, all’italiana, d’estate finisce un po’ tutto sotto l’ombrellone ». Lo deve aver pensato anche Brunetta.


12 settembre 2009


Al centro delle indagini anche le dichiarazioni di Ciancimino jr. Nella Dna pareri troppo diversi per una trama unica
Milano, Palermo e le stragi
Ma le novità vengono dai pm di Firenze

I magistrati toscani e le rivelazioni di Spatuzza

ROMA — Quando gli è stato chiesto di commentare le ultime affermazioni di Silvio Berlusconi sui magistrati che «pagati dal pubblico complottano contro di noi», tornando a indagare sulle stragi mafiose del ’92 e ’93, il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso ha risposto col suo sorriso pacato: «Penso che non siano mal spesi i soldi dei cittadini quando si cerca di trovare la verità». Parlava alla video-chat del Corriere.it , il superprocuratore, che ha aggiunto: «Non si può pensare che tutto sia immutabile perché c’è stata una sentenza definitiva o una prima archiviazione, in passato».

Piero Grasso non è mai stato additato come «toga schierata», o pubblico ministero «politicizzato»; anzi, quando guidava la Procura di Palermo ha ricevuto accuse di segno opposto. Oggi, però, si schiera a difesa delle indagini riaperte: «Il vezzo di gridare al complotto è un modo per cercare di far comprendere che è soltanto una strumentalizzazione politica, cosa che escludo totalmente». Il superprocuratore conosce i nuovi elementi emersi dalle inchieste tuttora in corso, sa che cosa c’è da accertare e in quali direzioni. A cominciare dall’indagine dei magistrati di Firenze, competenti per le stragi del 1993 sul continente, che hanno interrogato a lungo il neopentito di mafia Gaspare Spatuzza, «uomo d’onore» vicinissimo ai fratelli «stragisti» Filippo e Giuseppe Graviano. E’ da lì emergono le principali novità.

Spatuzza ha parlato anche delle stragi palermitane del ’92 — in particolare quella di via D’Amelio, dove furono uccisi Paolo Borsellino e gli agenti di scorta — coi pubblici ministeri di Caltanissetta, oltre che dei legami e degli affari del clan Graviano di cui si occupa la Procura di Milano (i due capimafia furono arrestati in quella città, nel 1994). Infine coi magistrati di Palermo, per alcuni omicidi e altri attività delle cosche. Immaginare che ci siano «teoremi» comuni tra questi uffici giudiziari (Berlusconi ha citato, nello specifico, Palermo e Milano) o accordi di qualche tipo per raggiungere un obiettivo comune, sembra davvero un azzardo. Non fosse altro perché i magistrati dei diversi uffici hanno mostrato in passato di lavorare con metodi diversi, e perché nelle riunioni di coordinamento svoltesi alla Direzione nazionale antimafia hanno espresso pareri e considerazioni differenti e a volte molto distanti tra loro.

Quanto alle dichiarazioni di Spatuzza, non sono tanto i due uffici citati dal premier, quanto quelli di Firenze e Caltanissetta a cercare riscontri. Non a caso è stata la Procura toscana a chiedere il programma di protezione per il collaboratore di giustizia, che evidentemente ha offerto apprezzabili «elementi di novità» sulle bombe del ’93 e sulle strategie mafiose di quella stagione. I magistrati di Caltanissetta si sono accodati, ma sottolineando — per esempio — che sui cosiddetti «mandanti esterni» a Cosa Nostra nelle stragi siciliane l’ex braccio destro dei Graviano avrebbe fatto dichiarazioni «troppo generiche e non in grado di fornire utili sviluppi alle indagini».

Un motivo in più per dubitare del presunto disegno comune alle varie Procure. I pm di Caltanissetta considerano invece credibili le nuove verità del neopentito sulla strage di via D’Amelio, che portano a conclusioni diverse da quelle raggiunte nei processi sul coinvolgimento dei mandanti mafiosi. Logico, dunque, che abbiano riaperto l’inchiesta e s’interroghino sul perché altri pentiti dissero cose diverse e portarono a conclusioni che oggi appaiono sbagliate.

Sono vicende distinte ma evidentemente collegate con quelle sulle «trattative» tra Stato e mafia nel periodo delle stragi, di cui parla Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo Vito. Lui è un imputato- testimone che ha parlato e parla soprattutto con le Procure di Palermo e Caltanissetta. La prossima settimana i giudici della Corte d’appello palermitana decideranno se ascoltarlo o meno nel processo contro il senatore del Popolo della libertà Marcello Dell’Utri, già condannato a nove anni di carcere, in primo grado, per concorso in associazione mafiosa. Al contrario dei loro colleghi siciliani, gli inquirenti di Firenze e Milano non hanno mai ritenuto di interrogare Massimo Ciancimino, forse anche per valutazioni diverse sulla sua attendibilità e utilità; un altro particolare che fa ritenere poco credibile l’idea di un’unica trama dietro le diverse indagini che agitano nuovamente i rapporti tra politica e magistratura.

Giovanni Bianconi
12 settembre 2009


Atletica z
Semenya, la carriera è già al capolinea
La vincitrice degli 800 mondiali conserverà l’oro, ma non potrà più gareggiare vista la sua natura di ermafrodito


MILANO —Caster Mokgadi Semenya, sudafricana di Polokwane, 18 anni compiuti il 7 gennaio, campionessa mondiale degli 800 metri a Berlino (1'55'45), potrebbe aver già chiuso la sua carriera internazionale. La Federatletica mondiale (Iaaf) non ha confermato, né smentito quanto pubblicato da due giornali australiani, «Sydney Daily Telegraph» e «Australian», ma appare ormai evidente che la Semenya è un ermafrodito, in base ai test che avrebbero (hanno) rilevato un livello di testosterone tre volte più elevato della media e l'assenza delle gonadi (utero e ovaie).

Ha detto il portavoce della Iaaf, Nick Davies: «Ci sarà un consiglio il 21 novembre e quella sarà la sede per prendere una decisione definitiva». Ma secondo il «Daily Telegraph», la Iaaf «avrebbe consigliato la Semenya a sottoporsi subito ad un intervento chirurgico, perché la situazione provoca gravi rischi per la salute». L'orientamento è quello di non togliere la medaglia d'oro alla vincitrice degli 800, perché non si tratta di un caso di doping e perché il dolo non è dell'atleta, semmai dei dirigenti federali che l'hanno fatta gareggiare, pur avendo più di un sospetto, come si era capito anche nella finale della 4x100 ai Giochi africani juniores a Mauritius, quando la Semenya aveva disputato una frazione alla Bolt, in rapporto con quanto fatto dalle avversarie. «Discrezione» ha raccomandato il presidente del Cio, Jacques Rogge; «cautela e attenzione nell'analizzare i risultati dei test», ha suggerito il responsabile medico della Iaaf, lo svedese Arne Ljungqvist. Resta il fatto che il Consiglio della Iaaf imporrà un fermo alla Semenya (che oggi avrebbe dovuto correre una campestre e che invece rinuncia, perché non sta bene): stop alle gare internazionali, perché la situazione dell'atleta, con una produzione tripla di testosterone, verrebbe considerato l'equivalente di un caso di doping, sebbene naturale e dunque in assenza di dolo da parte dell'atleta.

Ma la Federatletica sudafricana non ci sta e ha usato toni durissimi, a cominciare dal ministro dello sport, Makhenkesi Stofile: «Se la Iaaf dovesse escludere la Semenya, scoppierebbe la terza guerra mondiale. Siamo pronti a rivolgerci ai più alti livelli per contestare una decisione del genere, totalmente ingiusta. Abbiamo appreso con disgusto le notizie diffuse dai media. Di certo non possiamo aspettare fine novembre, per capire le intenzioni della Iaaf». Il presidente sudafricano, Jacob Zuma, ha criticato in maniera pesante la violazione della privacy: «Tutto questo è contro i diritti di una persona; non è stato rispettato il rapporto fra medico e paziente. Perché sono già stati pubblicati gli esami?» Molti sudafricani accusano la Iaaf di razzismo e la mobilitazione è quella di un Paese intero.

Il problema però è esclusivamente tecnico e non coinvolge Caster Semenya come persona. Verso di lei la solidarietà è totale, ma si tratta di capire se ha i requisiti per partecipare alle gare femminili oppure se il suo status le offre vantaggi tali da falsare il regolare svolgimento delle competizioni.

Di certo la Federatletica sudafricana avrebbe dovuto valutare meglio la situazione fin dalle origini, invece di esporre una ragazza di 18 anni ad una centrifuga mediatica, che non accenna a spegnersi a quasi un mese dalla finale di Berlino (19 agosto). Quello della Semenya è l’ottavo caso di sesso sospetto da parte di atleti che dal 2005 hanno partecipato a Olimpiade o Mondiali: quattro atlete sono state invitate a ritirarsi; tre sono state autorizzate a continuare con l’atletica, dopo un supplemento di accertamenti. E fra queste dovrebbe essere anche Pamela Jelimo, dominatrice degli 800 nel 2008, con l'oro olimpico: si starebbe sottoponendo a cure mediche per abbassare il livello di testosterone. E anche così si spiegherebbe il 2009 in ombra.


12 settembre 2009
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 13/9/2009, 12:58




gli stati generali del centro
Casini: «In Parlamento possibile
maggioranza contro la Lega»

Il leader Udc: «Basta diktat, il Carroccio la smetta
di agitare lo spauracchio delle elezioni anticipate»



CHIANCIANO TERME (Siena) - Chiarisce che lo scontro politico tra Fini e Bossi «non fa sognare i centristi, perché noi non vivremo mai sulle disgrazie altrui». Respinge al mittente l'invito di Dario Franceschini (Pd), rifiutando l'idea di una «santa alleanza» contro Silvio Berlusconi. Rilancia il progetto politico del Grande Centro: «Forse l'unico elemento in condizione di cambiare la politica italiana». E poi sferra l'affondo contro la Lega: «Instilla veleno ogni giorno: prima le ronde, poi le gabbie salariali e la questione degli immigrati. Basta ai loro diktat. Le elezioni anticipate? Facciamole!». Pier Ferdinando Casini conclude i lavori degli Stati Generali del Centro, a Chianciano Terme, e dopo la mossa di Francesco Rutelli (l'esponente del Pd non ha smentito la possibilità di un impegno comune) il leader Udc ci tiene a ringraziare Gianfranco Fini per il suo intervento che sabato ha strappato applausi convinti in platea. «Grazie al presidente della Camera - dice Casini - non per la sua lezione di Catechismo sul biotestamento, ma perché ha assicurato che difenderà i diritti dei parlamentari. Su questo non avevo dubbi, ma credo che il suo intervento sia stato significativo».

DECISIVI - Poi Casini rivendica il ruolo dell'Udc nell'attuale scenario politico: «Siamo decisivi e domani potremmo essere la forza di cambiamento del Paese. In questo momento potremmo avere tre stati d'animo: di compiacimento perché le Europee sono andate bene, le Amministrative meglio, e andiamo sereni verso le Regionali; di consapevolezza: noi eravamo sopravvissuti alle Politiche, oggi siamo decisivi e il corteggiamento a cui siamo sottoposti, basato su questioni non politiche, dimostra che tutti riconoscono che siamo decisivi e domani potremmo essere la forza di cambiamento del paese perché questa politica non piace agli italiani». Tuttavia secondo Casini c'è pure bisogno di «autocritica»: «Bisogna fare di più, il partito ha dato poco rispetto alle nostre possibilità. Noi non alimentiamo il gossip della politica, noi contestiamo la politica fatta di gossip».

BOSSI - Infine Casini lancia la sfida: «Se Bossi pensa di agitare lo spauracchio delle elezioni anticipate per ricattare la politica italiana a sottostare a lui, sappia che in questo Parlamento c'è una maggioranza ampia che a questi diktat non ci vuole stare». «Bossi - scandisce Casini - non spaventa nessuno. La Lega deve avere qualcuno che gli dice basta, è finito, e se non glielo dice Berlusconi una maggioranza in Parlamento si troverà. Se Bossi tira la corda sappia che in Parlamento ci si mette dieci minuti a trovare una maggioranza che faccia a meno dei diktat della Lega». «Non stiamo complottando con nessuno - aggiunge Casini - né stiamo evocando nessun uomo forte o nessun uomo nuovo, anche perché già ne abbiamo avuta esperienza e ci basta...». «Ieri Bossi ha detto: 'o si fa come dico io o si va alle elezioni anticipate' - sottolinea Casini - Io non so da dover arrivano queste voci di voto anticipato. Forse, per motivi diversi, Bossi e Berlusconi fanno circolare questa ipotesi. Ma noi siamo pronti. Noi siamo una forza dell'opposizione e vogliamo le elezioni».

FRANCESCHINI - Tra i primi a replicare a Casini c'è proprio Franceschini: «Stiamo assistendo al 32/mo tentativo di fare il grande centro - afferma il segretario del Pd - perché si mette la parola grande davanti ma poi ci si accorge che è piccolo, residuale». «Il bipolarismo è in Europa e in tutto il mondo - spiega Franceschini - noi non possiamo tornare indietro e non vorrei che un giorno scoprissimo che il bipolarismo è stato creato attorno a Berlusconi e contro di lui». Franceschini ribadisce, come già altre volte, che un conto è fare alleanze programmatiche, un conto è ripercorrere vecchi modelli, come quelli già visti, «che vanno da Mastella a Diliberto, da Dini a Pecoraro Scanio».



13 settembre 2009



Nuova polemica sul tricolore: i militanti lo coprono con uno striscione anti-moschea
Bossi: «Il federalismo non ci basta più»
Il Senatùr a Venezia: la Padania sarà uno stato libero. Calderoli: «Andare alle elezioni ora sarebbe una pazzia»


MILANO - «La Padania un giorno sarà uno stato libero, indipendente e sovrano». Non solo: «Non basterà il federalismo, vogliamo cambiamenti più radicali. Venezia e Milano, se avessero fatto l’accordo secoli fa non sarebbe arrivato neanche Napoleone». Nella giornata conclusiva della festa dei popoli padani, poco prima di riversare in Laguna l'ampolla con l'acqua del Po prelevata sul Monviso, Umberto Bossi torna ad alzare i toni e a rilanciare, di fatto, la tematica secessionista. Perchè «l'Italia è già federalista» e ora la gente della Padania non si accontenta più. «Non ci fermeremo - ha detto il Senatùr -, neppure il carcere ci spaventa. Ci fanno la guerra in tutti i modi ma alla fine pagheranno perchè i popoli vincono. I lombardi, i veneti quando furono uniti non furono mai sconfitti». Il giorno dopo avere buttato lì, durante un comizio a Ferrara, l'ipotesi di elezioni anticipate qualora non si completi il passaggio alla forma dello stato federalista, il capo della Lega gioca una volta di più la carta dell'identità. E annuncia per l'anno prossimo una catena umana sul Po, un atto che dovrebbe simboleggiare una barriera contro l'immigrazione e per ribadire che i popoli padani vogliono ottenere «i loro diritti di libertà».

GLI SCONTRI CON FINI E UDC - Protagonista negli ultimi due giorni di un acceso botta e risposta con Gianfranco Fini sul tema dei diritti agli immigrati, Bossi ha parlato ai suoi fedelissimi rispolverando la questione delle gabbie salariali, spiegando che la vita al Nord costa il 17% in più, ed esortando gli operai ad aderire al federalismo perché questo «è proprio per loro». Quasi nello stesso momento, da Chianciano, il leader dell'Udc lanciava un monito alla Lega: «Basta diktat, in Parlamento ci sono i numeri per una maggioranza senza la Lega».

«ELEZIONI? UNA PAZZIA» - Di elezioni anticipate non ha parlato. Lo aveva invece fatto prima dell'inizio del comizio il ministro per la Semplificazione, Roberto Calderoli, che aveva cercato di ridurre la portata delle parole pronunciate il giorno precedente dal capo leghista. «Il nostro vangelo - ha detto Calderoli - è il programma elettorale e noi intendiamo realizzarlo. È evidente che se qualcuno dovesse discostarsi da questo programma, si aprirebbe una questione politica, ma sarebbe pazzia, nel mezzo di una crisi, con le riforme che stiamo realizzando, andare ad elezioni».

«SEDIAMOCI A UN TAVOLO» - Calderoli era intervenuto anche sulle tensioni all'interno del Pdl: «Io di queste cose ne ho viste passare tante, credo che ci sia la necessità di sedersi a un tavolo dove parlare di questi argomenti politici, ricordando però che il programma elettorale c'è e in buona parte è già stato realizzato». Il ministro aveva poi detto che «prima della fine dell'anno ci saranno il decreto attuativo del federalismo fiscale, il codice delle autonomie, la busta paga improntata al costo della vita. Questi sono i temi che interessano la nostra gente e non dare il diritto di voto all'ultimo arrivato». Il «colonnello» leghista aveva poi liquidato con una battuta una domanda sulle vicende private di Silvio Berlusconi e il caso delle feste con ragazze nelle sue residenze: «Escort? Io conosco solo l'auto della Ford».

LA POLEMICA SUL TRICOLORE - Nella kermesse veneziana è stato ancora oggetto di polemica il tricolore che come ogni anno la signora Lucia Massarotto, che abita in Riva degli Schiavoni, ha esposto alla finestra proprio di fronte al palco da cui parlerà Bossi (che in passato le aveva suggerito di usare quella bandiera... al gabinetto). Un enorme striscione della Lega di Gallarate che recita «Mai alla moschea» è stato innalzato polemicamente davanti all'abitazione della Massarotto. Da parte dei leghisti applausi e grida di approvazione.


13 settembre 2009



A CENA E IN BARCA
«Quel weekend a Ponza
tra cena e barca a vela»

Un imprenditore racconta un week end a Ponza. L'ex premier: incrociato, mai conosciuto



L’ex ministro degli Esteri Massimo D’Alema a bordo della sua barca a vela Ikarus, con cui ad aprile ha vinto con il suo equipaggio la regata «Roma per tutti», da Civitavecchia a Lipari e ritorno, 526 miglia di mare (circa mille chilometri). Ikarus è una barca da corsa «per famiglia», con tanto di lavatrice e playstation (Olycom)
Una cena in un ristorante di Ponza e poi una traversata da Ventotene a Gaeta durante la quale si sono trovati sulla stessa barca. È questo l’incontro che ha spinto Gianpaolo Tarantini a lanciare avvertimenti a Massimo D’Alema che aveva detto di non averlo «mai conosciuto». «Farebbe bene a ricordarsi chi sono», era stata l’intimazione. Ma la tesi dell’ex ministro degli Esteri non cambia, «perché ci siamo incrociati, siamo stati presentati, ma certo questo non vuol dire che ci conosciamo». È una vicenda che ha contorni confusi, perché confusi e talvolta contraddittori sono i ricordi degli stessi protagonisti. Anche su quando è avvenuta. A sentire D’Alema bisogna tornare all’estate del 2007. Ma forse è il 2006, come invece sostiene Francesco Maldarizzi, l’imprenditore barese diventato il trait d’union fra i due.


Perché era lui il proprietario della barca che effettuò il trasferimento dall’isola alla terraferma. E perché la sera precedente era uno degli invitati al ristorante «Il Tramonto » «per l’evento organizzato dalle autorità locali in onore di quello che allora era un ministro, stava alla Farnesina», come dice adesso che gli viene chiesto di rammentare i dettagli. Lo stesso anno, 2006, viene confermato da Ivan Altieri, il proprietario del locale che di quella serata sembra avere ricordi nitidi: «Come potrei dimenticarla, visto che ad un altro tavolo sedeva l’attuale sindaco di Roma Gianni Alemanno? Loro nemmeno si salutarono, ma io pensai che se fosse arrivato Bruno Vespa avremmo potuto fare Porta a Porta » .

Il ristoratore sottolinea di non aver riconosciuto altri personaggi famosi. Si sa che allo stesso tavolo di D’Alema sedevano numerosi velisti, compreso Paolo Poletti, all’epoca capo di Stato Maggiore della Guardia di Finanza e attuale vicedirettore dell’Aisi, il servizio segreto interno. Anche Roberto De Santis, l’imprenditore amico di D’Alema che conosceva bene Tarantini, aveva scelto l’isola come meta per il fine settimana da trascorrere in barca. E anche lui sarebbe stato uno dei partecipanti alla serata. Sono buoni conoscenti D’Alema e Maldarizzi, che in Puglia possiede numerose concessionarie di auto e dal 2008 ha aperto attività anche in Toscana. «Ci telefonammo — racconta — e ci accordammo per vederci alla cena. In barca con me c’erano Gianpaolo Tarantini e sua moglie, mentre D’Alema era su Ikarus con sua moglie». Come mai invitò Tarantini? «Siamo amici e poiché io avevo preso la barca in affitto lui venne a Ponza con l’intenzione di acquistarla. Era mio ospite e dunque venne con me anche al ristorante». Il «Tramonto» è un locale in montagna, famoso per il panorama mozzafiato che guarda a Palmarola. «C’erano almeno venti persone — spiega Maldarizzi — forse addirittura trenta. Noi eravamo da un lato del tavolo, D’Alema a quello opposto. C’erano il sindaco, il vicesindaco, altre personalità. Io non riuscii a scambiare con D’Alema neanche una parola e dunque mi sento di escludere che possa avere parlato con Tarantini».

Anche su questo c’è contraddizione, Altieri fornisce una versione diversa: «Erano una ventina, ma escludo che ci fossero sindaco e vicesindaco. Non era sicuramente una cena ufficiale. Io fui chiamato da un mio amico che fa l’assicuratore per la prenotazione del tavolo e quando arrivarono capii che erano tutti appassionati di vela. Era una grande tavolata al termine di una giornata trascorsa in mare». Il giorno dopo c’è il nuovo incontro. «D’Alema doveva lasciare Ikarus al cugino che stava a Ventotene — ricorda Maldarizzi — e così mi chiese un passaggio fino a Gaeta dove io avrei dovuto restituire la mia barca. Gli proposi di stare insieme per fare il bagno o per il pranzo, ma lui rifiutò. Del resto chi conosce D’Alema sa bene che lui è un velista vero, vive il mare e preferisce non avere troppe persone intorno». L’appuntamento viene così fissato per la fine della giornata. «Salì a bordo con la famiglia e con gli uomini della scorta», afferma l’imprenditore. A questo punto il ricordo di Maldarizzi si fa vago, a tratti confuso: «In barca c’erano almeno dodici persone, sinceramente non ricordo se D’Alema e Tarantini possano essersi scambiati qualche parola. Ma se così è stato, di certo si è trattato di un contatto del tutto casuale. Massimo è fatto così, non dà mai troppa confidenza alle persone. La traversata sarà durata una quarantina di minuti, non ci sarebbe stato neanche il tempo di approfondire la conversazione. E poi c’erano tutti gli addetti alla sicurezza. Quando siamo arrivati in porto abbiamo avuto il tempo per un saluto e poi sono partiti».

L’obiettivo di Tarantini appare ormai evidente: accreditarsi come buon conoscente dei politici di destra e sinistra per dimostrare che anche nel suo rapporto con il presidente del Consiglio, per conto del quale ha ammesso di aver reclutato trenta ragazze «alcune anche a pagamento per incontri sessuali», non c’era nulla di illecito. E mettere sullo stesso piano situazioni che appaiono molto differenti. Il tentativo di patteggiare la pena e chiudere con il minimo danno l’inchiesta avviata dai magistrati di Bari non è riuscito perché la Procura si è opposta alla sua istanza. L’imprenditore accusato di corruzione, favoreggiamento della prostituzione, cessione di stupefacenti avrebbe così deciso di alzare la posta. Tanto che a qualche amico avrebbe già confidato: «Se mi arrestano sono pronto a trascinarmi dietro svariate persone».



13 settembre 2009



I ragazzi sono rimasti intrappolati nell'abitacolo del veicolo che ha preso fuoco
A tutta velocità contro un albero
Due ventenni muoiono carbonizzati

L'incidente è avvenuto a Milano, vicino all'ippodromo di San Siro. I corpi identificati solo dopo molte ore

MILANO - Due giovani, di 26 e 25 anni, sono morti la notte scorsa a Milano in un drammatico incidente stradale, finendo contro un platano a bordo della loro Audi TT coupè. È successo in via Diomede, in zona San Siro, a ridosso dell'ippodromo. I due occupanti dell'auto sono morti carbonizzati a seguito dell'incendio sviluppatosi nella vettura dopo lo schianto. Solo in mattinata gli agenti della polizia locale sono riusciti ad identificarli. La causa dell'incidente è da attribuirsi all'alta velocità.


13 settembre 2009



Si è ripreso dopo pochi minuti, poi i parenti lo hanno convinto a recarsi in ospedale
Peres, malore al comizio
Momenti di paura a Tel Aviv

Il presidente israeliano ha perso conoscenza nel corso di una cerimonia e si è accasciato sul palco


MILANO - Il presidente israeliano Shimon Peres, ha avuto un malore durante una cerimonia a Tel Aviv e si è accasciato sul palco. Dopo alcuni minuti di stordimento sarebbe però tornato cosciente. In un primo tempo si era diffusa la notizia, poi non confermata, di un suo ricovero d'urgenza in ospedale. Sembra invece che sia stato soccorso direttamente sul posto da alcuni medici arrivati in ambulanza.

IL MALORE - Peres ha avvertito il malore mentre si trovava al Centro Rabin di Tel Aviv. Dopo aver risposto ad alcune domande rivoltegli dal pubblico è svenuto e si è ripreso dopo qualche istante, ripresentandosi alla platea per rassicurare personalmente tutti i presenti. I suoi familiari lo hanno convinto a salire su un'automobile diretta all'ospedale Shiba di Tel Aviv dopo che più di una volta lo stesso Peres aveva detto di sentirsi tranquillo e di poter fare a meno del ricovero.

NOTTATA DI ESAMI - L'emittente televisiva Canale 10 aveva per prima reso noto che il presidente era in stato di coscienza e non c'erano timori per la sua vita. Nell'ospedale Shiba (Tel ha-Shomer) di Tel Aviv un'equipe di medici lo ha accolto e ha programmato per l'intera nottata approfonditi esami medici. Secondo l'emittente all'origine del suo svenimento potrebbe esserci una spossatezza per il recente accumularsi di impegni politici. Il suo portavoce, Ayelet Frisch, ha in ogni caso rassicurato dicendo che non si è trattato di un infarto e che non vi è alcun problema cardiaco ma «è stata solo una questione di stanchezza». Il medico personale del premio Nobel per la Pace ha aggiunto che «sta bene», ha avuto solo «un calo di pressione» e si è ripreso «in pochi secondi».



12 settembre 2009



LI carabinieri lo hanno trovato in un appartamento nel centro della città'
Reggio Calabria, arrestato il boss Barbaro
Era uno dei capi della 'ndrangheta a Platì. Latitante dal 2001 deve scontare 22 anni per omicidio e mafia


REGGIO CALABRIA - E’ finita questa sera la latitanza di Carmelo Barbaro, di Platì, ricercato dal 2001 per associazione di tipo mafioso, omicidio ed altri reati. Barbaro, che deve scontare oltre 22 anni di carcere, è stato tratto in arresto in un appartamento all’interno di uno stabile sul centralissimo piazzale della Libertà, a Reggio Calabria, dai carabinieri del comando provinciale reggino.

L'ORDINE DI CATTURA - Barbaro era inserito nell'elenco dei trenta latitanti più pericolosi d'Italia del programma speciale di ricerca della Polizia. Lo scorso ottobre erano state diramate anche le ricerche in campo internazionale, per arresto ai fini di estradizione.


12 settembre 2009



Tensioni tra pescatori e animalisti. La denuncia nel documentario di Richard O'Barry
Il mare rosso sangue di Taiji, film e realtà
Iniziata la caccia ai grandi mammiferi, già al debutto uccisi 100 delfini e una cinquantina di balene pilota


MILANO - Strade interrotte e transennate con tanto di filo spinato. Sbarramenti di polizia. Divieto assoluto di scattare fotografie. Insulti e minacce. Tutto pur di nascondere il «segreto» della baia di Taiji, la città costiera a sud di Osaka, protagonista del film di Louie Psihovos e Richard O'Barry, «The Cove», premiato all'edizione 2009 del Sundace Film Festival. La pellicola racconta della mattanza di balene e soprattutto delfini che avviene ogni anno in questo angolo di Giappone. Un film documentario che da alcuni giorni è tornato ad essere drammatica realtà.

IL PRIMO «BOTTINO» - La prima battuta di pesca della stagione, iniziata ufficialmente il primo di settembre, si è conclusa con un «bottino» di un centinaio di delfini dal naso a bottiglia e di una cinquantina di balene pilota. La prefettura di Wakayama, in cui si trova la città, ha dichiarato che dei cento delfini catturati, i 40 o 50 esemplari più belli saranno venduti agli acquari, mentre gli altri saranno nuovamente rilasciati in mare. La carne di balena, invece, sarà venduta ai mercati del pesce per essere consumata. La quota assegnata ai pescatori giapponesi dalla International Whaling Commission per quest'anno è di 240 pezzi, tra delfini e balene. Sulla liberazione dei delfini non destinati all'industria dello spettacolo, però, i gruppi animalisti e ambientalisti nutrono seri dubbi.


IMMAGINI RUBATE - L'avvio della stagione è stato contrassegnato dalle proteste e dagli scontri verbali tra i sostenitori della causa animalista e i pescatori della città, che a quanto riferiscono le cronache non hanno affatto gradito l'essere diventati protagonisti di un film. La pellicola era stata realizzata di nascosto, con telecamere radiocomandate mimetizzate tra gli alberi e registrazioni subacquee, dopo che invano i due registi avevano tentato di ottenere l'autorizzazione delle autorità ad effettuare le riprese alla luce del sole. Un diniego interpretato come la volontà di non far sapere come le cose stiano veramente. Le riprese effettuate in gran segreto avevano consentito ai due registi di raccogliere immagini agghiaccianti, come altre ne erano arrivate in passato - sempre catturate di straforo dagli animalisti -, e su tutte quella ormai tristemente famosa del mare completamente colorato di rosso dal sangue degli animali arpionati. Immagini, quelle del nuovo documentario, in grado di sconvolgere gli stessi giapponesi spesso ignari di cosa ci sia dietro i pezzi di pesce già ripulito, porzionato e confezionato che si ri trovano sugli scaffali dei supermercati, come ben si vede in una scena del documentario, accolto con grande interesse in tutto il mondo ma che con tutta probabilità avrà difficoltà a fare breccia in Giappone.

BUSINESS E TRADIZIONE - Il Paese asiatico ha sempre difeso la propria pesca tradizionale e non a caso è uno di quelli che non ha sottoscritto la moratoria internazionale contro la caccia alle balene. Caccia che le sue navi continuano regolarmente a praticare, con la scusante della cattura a scopi «scientifici». Quanto ai delfini, le autorità nipponiche e le associazioni dell'industria ittica hanno spesso fatto notare che il consumo di carne di delfino o di balena non può essere contestato dalle popolazioni occidentali, che consumano altri tipi di carne senza che questo appaia come un sacrilegio. Insomma, da una parte i delfini e dall'altra manzo e maiali. «E' esattamente la stessa cosa» dicono alcuni abitanti della zona di Taiji, nelle corrispondenze delle agenzie di stampa. Non solo: molti ricordano come la caccia ai mammiferi marini non sia soltanto un business, ma una tradizione culturale, tanto che ogni anno vengono organizzate cerimonie rituali per rendere omaggio agli spiriti dei delfini e delle balene morte.

DELFINI PER BALENE - Gli animalisti però non ci stanno e ricordano come i delfini finiscano «per sbaglio» nelle reti gettate per catturare le balene e come spesso, nei ristoranti, la carne di delfino sia spacciata come carne di balena, particolarmente ricercata e per questo più costosa. Non solo: denunciano livelli di inquinamento da mercurio particolarmente elevati per i mammiferi che vivono in queste acque e che si trasferiscono poi, di conseguenza, nei piatti degli ignari consumatori. Il massacro che si perpetua anno dopo anno, è insomma il messaggio, non è solo crudele, ma anche dannoso in primo luogo per l'uomo.

Alessandro Sala
12 settembre 2009


È successo ad avellino
Minorenni aggrediscono fidanzatini
«Volevamo soltanto divertirci»

Due sedicenni si accaniscono contro una coppia
Sono stati rintracciati dai carabinieri e denunciati


NAPOLI - Calci e pugni a due fidanzatini di 17 anni: è accaduto la scorsa notte ad Avellino. Anche gli aggressori sono minorenni, hanno sedici anni. E ai carabinieri che li hanno fermati hanno detto: «Lo abbiamo fatto per divertirci, per passare il tempo». È accaduto tutto poco prima delle ore 23, in via De Concilii, nel cuore della movida. I fidanzati si trovavano davanti a un pub quando sono stati avvicinati da un ragazzo che non conoscevano e che era visibilmente ubriaco. Ha iniziato ad insultarli e dopo essere stato allontanato dai due è ritornato, questa volta in compagnia di un altro ragazzo.

LA RICOSTRUZIONE - È stato allora che i due sedicenni hanno iniziato a picchiare i fidanzati e, quando sono andati via, lungo la strada, hanno continuato a dare schiaffi e pugni anche ad altri ragazzi che incontravano per caso. I carabinieri, allertati dalle vittime, li hanno rintracciati in piazza Aldo Moro, vicino alla fermata dell'autobus, pronti a tornarsene a Monteforte, loro comune di residenza. I sedicenni sono stati denunciati. Con i carabinieri si sono giustificati dicendo che «era solo un modo per divertirsi».


13 settembre 2009




La tesi è accreditata da un pentito della 'ndrangheta. Scattate foto a 500 metri sul fondo
Cosenza, il giallo della nave affondata
Le cosche l'hanno usata per i rifiuti tossici

Un sottomarino telecomandato ha scoperto un vecchio mercantile al largo di Cetraro. Forse è pieno di scorie


MILANO - Una grossa nave mercantile, adagiata sul fondale antistante Cetraro, centro del Tirreno cosentino, è stata scoperta oggi dal mezzo telecomandato sottomarino della nave che la Regione Calabria sta utilizzando per fare luce sulla vicenda che vede la zona di mare del Tirreno come possibile deposito di scorie tossiche o forse anche radioattive. La scoperta è avvenuta nel pomeriggio, quando finalmente il robot è riuscito ad effettuare delle fotografie abbastanza nitide. Si tratta di un mercantile lungo almeno 120 metri con un profondo squarcio sulla prua dal quale si intravedono anche dei fusti. Due contenitori sono visibili anche all'esterno della nave. Dai primi accertamenti risulta che la stiva è piena, ma non si sa di quale materiale.

NAVE NON IDENTIFICATA - La nave, di cui si ignora al momento la denominazione, è quasi completamente ricoperta di vecchie reti, evidentemente appartenenti a pescherecci che negli anni hanno incrociato nella zona e che le hanno perse, perchè si sono impigliate sul grosso ostacolo. L'epoca della costruzione della nave affondata, secondo quanto emerso dai primi rilievi, risalirebbe agli anni '60-'70. Il luogo del ritrovamento è a circa 20 miglia nautiche dalla costa, ad una profondità di circa 480 metri. Solo dopo diversi giorni di tentativi, la nave di ricerca ha potuto raggiungere il luogo esatto, a causa del mare mosso. Le ricerche sono state effettuate dalla motonave «Coopernaut Franca», chiamata dalla Regione Calabria su disposizione del procuratore di Paola, Bruno Giordano, nell'ambito di un'inchiesta sull'illecito smaltimento di rifiuti tossici.

LE RIVELAZIONI DEL PENTITO - Le foto scattate sono adesso al vaglio dei tecnici, che cercheranno di individuare di quale nave si tratti. Il sospetto è che sia la Cursky, segnalata da un pentito, Francesco Fonti, in una dichiarazione spontanea, e descritta come una nave che trasportava 120 fusti di materiale tossico. Secondo Fonti, la nave farebbe parte di un gruppo di tre imbarcazioni, fatte sparire grazie all'aiuto della cosca Muto di Cetraro.

«ALLARGARE LE INDAGINI» - «Il ritrovamento della nave al largo di Cetraro conferma quanto Legambiente ha denunciato sin dal 1994, quando presentammo l'esposto che dette il via alle indagini sui relitti sospetti - dice Nuccio Barillá di Legambiente Calabria -. Il Comitato per la veritá sulle navi dei veleni non ha mai smesso di cercare di fare chiarezza sulle responsabilitá dei trafficanti e sulle eventuali conseguenze sanitarie degli affondamenti. Speriamo che ora la veritá venga finalmente a galla». «Da diverse indagini sui traffici illeciti dei rifiuti, a partire da quelle condotte dal Capitano di Corvetta Natale De Grazia, morto misteriosamente proprio nel corso di una indagine sulle cosiddette navi a perdere - fa poi notare il vicepresidente di Legambiente Sebastiano Venneri - emergono numerosi elementi a testimonianza che gli affondamenti di vecchie navi colme di rifiuti tossici siano stati frequenti e diffusi in varie aree. Speriamo che le indagini si allarghino anche a tutte le vecchie inchieste irrisolte a La Spezia come in Calabria o in Sicilia o in Alto Adriatico».


12 settembre 2009


Tra '93 e '94 il piano di una strage allo stadio Olimpico: così il pentito Spatuzza ne parla ai pm toscani
Il messaggio sarebbe arrivato da Graviano, boss indicato come vicino a Dell'Utri in alcune inchieste
"Il super-attentato ha l'ok del compaesano"
Le carte di Firenze che turbano la politica





ROMA - Prima ha parlato dell'uccisione di Paolo Borsellino con i procuratori di Caltanissetta, poi ha continuato a parlare con i procuratori di Firenze sulle stragi mafiose in Continente del 1993. E Gaspare Spatuzza, boss del quartiere palermitano di Brancaccio soprannominato "U' tignusu" per le sue calvizie, ha cominciato dalla fine. Ha cominciato dal fallito attentato all'Olimpico, da quel massacro che nei piani di Cosa Nostra corleonese sarebbe dovuto avvenire una domenica pomeriggio allo stadio "per ammazzare almeno 100 carabinieri" del servizio d'ordine.

Per fortuna, quella volta qualcosa non funzionò nei circuiti elettrici del telecomando che avrebbe dovuto far saltare in aria un'auto - una Lancia Thema - con dentro 120 chili di esplosivo. Non ci fu strage. Ma rivela oggi il pentito Gaspare Spatuzza ai magistrati di Firenze: "Giuseppe Graviano mi disse che per quell'attentato avevamo la copertura politica del nostro compaesano".

Le indagini riaperte sui massacri di diciassette anni fa sono disseminate di indizi che stanno portando gli investigatori a riesaminare uno scenario già esplorato in passato, ipotesi che girano intorno agli ambienti imprenditoriali milanesi frequentati dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, boss di Palermo più volte citati - in inchieste e anche in sentenze - come vicini al senatore Marcello Dell'Utri. E' a Firenze che hanno dato a Gaspare Spatuzza lo status di pentito (è entrato nel programma di protezione su richiesta della procura toscana), è a Firenze che il mafioso di Brancaccio sta svelando tante cose su quella stagione di "instabilità" mafiose a cavallo fra il 1992 e il 1994.

Rapinatore e poi sicario - è uno dei killer di don Pino Puglisi, il parroco ucciso a Palermo nel settembre 1993 - capo del mandamento di Brancaccio, legatissimo ai Graviano, Gaspare Spatuzza dopo avere fornito una diversa ricostruzione della strage di via D'Amelio (autoaccusandosi e smentendo il pentito Vincenzo Scarantino che a sua volta si era autoaccusato dello stesso massacro), è stato ascoltato sulle bombe di Firenze e Roma e Milano, dieci morti e centosei feriti.

E poi anche sul fallito attentato all'Olimpico, quello che - se fosse avvenuto - sarebbe stato uno degli ultimi atti della strategia mafiosa nell'attacco contro lo Stato. La "comprensione" del fallito attentato dell'Olimpico potrebbe, a questo punto, diventare la chiave per entrare in tutti i misteri delle stragi.

Inizialmente le ricostruzioni poliziesche avevano fatto risalire il progetto dell'attentato nel periodo ottobre-novembre 1993, poi il pentito Salvatore Grigoli aveva indicato una data precisa (domenica 31 ottobre, la partita era Lazio-Udinese), poi ancora un altro pentito - Antonio Scarano - aveva spostato di qualche mese il giorno della strage: 6 febbraio 1994, ventiduesima giornata di campionato, all'Olimpico l'incontro Roma-Milan. Gaspare Spatuzza racconta adesso alcuni restroscena cominciando con quella frase sulla "copertura politica".

Dichiarazione che va ad aggiungersi a quelle precedenti scivolate nell'inchiesta sui "mandanti esterni" per le bombe in Continente, prima fra tutte quella di Nino Giuffrè, il capomandamento di Caccamo. Spiegava Giuffrè ai giudici di Firenze: "L'attentato dell'Olimpico doveva essere un messaggio mandato in alto loco... Sarà stato uno dei soliti colpi di testa di Leoluca Bagarella contro i carabinieri, magari perché gli avevano arrestato il cognato Totò Riina, o perché mirava ad altri discorsi, ad eventuali contatti che poi ci sono stati fra i carabinieri e parti di Cosa Nostra".

Ma Antonino Giuffrè, più che della seconda ipotesi era convinto della prima. E spiegava ancora che - in quel periodo - dentro Cosa Nostra era già stato impartito l'ordine "di appoggiare la nuova formazione politica che era Forza Italia", che Cosa Nostra non avrebbe mai più continuato con le stragi, che "se ci fosse stato l'attentato dello stadio Olimpico a Bagarella gli avrebbero senza dubbio staccato la testa: sarebbe morto".

Le indagini di Firenze si incrociano con quelle della procura di Caltanissetta su Capaci e su via D'Amelio, con quelle di Palermo sulla famosa "trattativa" fra i Corleonesi e apparati dello Stato e infine quelle di Milano sugli investimenti in Lombardia dei fratelli Graviano. Dallo sviluppo di tutte questi filoni fra qualche mese affiorerà probabilmente qualcosa di più concreto, di più chiaro. Al momento sono soltanto "spunti investigativi", sono tracce.

(13 settembre 2009)
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 13/9/2009, 19:37




Annie Marie Le, 24 anni, si sarebbe dovuta sposare oggi a New York
ma da martedì si sono perse le sue tracce. L'Fbi ha interrogato alcune persone
Usa, studentessa di Yale scomparsa
ritrovati abiti sporti di sangue




NEW YORK - Circa 160 invitati erano attesi oggi a New York per il matrimonio di Annie Marie Le, 24 anni, e del suo fidanzato, Jonathan Widawsky. Ma la cerimonia è stata annullata perché da martedì la ragazza, studentessa in farmacia a Yale, è scomparsa.

Annie è svanita nel nulla martedì quando è stata vista per l'ultima volta nel laboratorio scientifico dell'ateneo. La borsa, il telefonino e le carte di credito sono state ritrovate nella stanza dove lavorava. Gli inquirenti stanno esaminando tute le immagini delle videocamere di sorveglianza nella speranza di trovare degli indizi utili. Un giallo che sembra una storia di "Senza traccia".

Gli investigatori hanno trovato alcuni abiti sporchi di sangue nascosti nel laboratorio, anche se la portavoce dell'Fbi, Kim Merz, ha spiegato che devono essere effettuati alcuni esami prima di appurare se gli indumenti appartengono alla ragazza.

Nelle ultime ore sono state interrogate alcune persone tra cui un uomo che è stato portato via dagli agenti a bordo di un'auto. I dirigenti di Yale hanno offerto una ricompensa di 10 mila dollari a chi darà informazioni utili per la soluzione del caso.

(13 settembre 2009)


Rubata l'intera collezione degli atleti, un milione di taglia a chi darà informazioni
Era stato Weisman, proprietario della serie, a commissionarla all'amico artista
Undici Warhol in un colpo solo
furto su misura a Los Angeles



NEW YORK - Chi ha rubato Mohammed Ali? Chi s'è portato a casa Pelé? L'ultima beffa di Andy Warhol è la scomparsa di quei ritratti denunciata dal collezionista e miliardario Richard Weisman: se fare soldi è il livello più alto dell'arte (Andy dixit) come definire allora questo furto? La collezione Weisman è così nota che lui stesso l'ha raccontata anche in un libro, From Picasso To Pop.

Vecchio amico dell'artista che profetizzava per tutti 15 minuti di notorietà, di celebrità Richard si è sempre circondato: ai suoi party potevi godere di un drink con Carl Bernstein e poi vedere sbucare dalla cucina Vitas Gerulaitis.

Adesso toccherà a Mark Sommer della polizia di Los Angeles scovare chi è spuntato nella notte tra il 2 e il 3 settembre nella villa di Angelo Drive. "Hanno fatto un lavoretto davvero pulito", dice il detective. "In casa nessuna infrazione". Chi ha colpito sapeva che cosa cercare e dove: è andato dritto nella dining room a tirare giù i volti acrilici di Pelé, Cassius Clay e pochi altri campioni, il resto dei Warhol della collezione Weisman è stato lasciato appeso al muro: "Cercavano proprio gli Atleti. Per qualche ragione che noi non conosciamo". Giura di non conoscerla neppure Weisman: il miliardario non ha voluto commentare il furto limitandosi a dire che si tratta di "una profonda perdita personale per me e per la mia famiglia". Una gran bella perdita.

Una mostra di Warhol s'è appena conclusa alla Green Sacks Gallery di Santa Monica e dice al Los Angeles Times la direttrice Tyler Lemkin che "il valore di opere su tela simili può arrivare al milione di dollari l'una". Da casa Weisman ne sono spariti undici ma quando sei anni fa lo stesso miliardario aveva cercato di vendere la collezione la richiesta era di soli 3 milioni. Un affare sfumato che aggiunge giallo al giallo.

I Weisman sono una dinastia di collezionisti: Frederick e Marcia, i genitori di Richard, avevano raccolto una fortuna dopo la seconda guerra mondiale inseguendo le opere dei contemporanei. Una passione che il miliardario ha perfezionato fino a diventare amico e committente di artisti come Warhol. Fu proprio Richard a commissionargli quella serie di coloratissimi ritratti che naturalmente il mito pop art realizzò in serie. "Un bel pasticcio per noi", spiega ora il capo del reparto furti d'arte della polizia di Los Angeles, Donald Hrycyk: "Sembrano tutti uguali, ci abbiamo messo un bel po' a identificare quelli giusti per non creare confusione".

Il furto è stato segnalato dalla bambinaia rientrata in casa giovedì scorso. L'allarme è stato dato subito ma la polizia ha tenuto la notizia segreta per qualche giorno per avviare l'inchiesta. L'unico indizio raccolto è un camioncino color marrone avvistato nei pressi di Angelo Drive: un po' poco. Un milione di dollari a chi potrà dare informazioni determinanti.

L'ultima volta che la collezione era stata vista in pubblico risale all'anno scorso. La mostra American Pop: Featuring Andy Warhol's Athletes from the Richard Weisman Collection è stata il fiore all'occhiello del Crocker Art Museum di Sacramento. Il miliardario-collezionista ha tenuto anche una lezione spiegando come avesse deciso di commissionare quei ritratti perché il mondo dello sport e quello dell'arte si erano incontrati poco.

Il mondo dell'arte e quello dei ladri invece si incontrano spesso. Un wanted da cinque milioni di dollari è stato lanciato quasi vent'anni fa per il furto stramiliardario al museo di Boston: tra tanto ben di Dio è sparito anche uno dei soli 35 Vermeer riconosciuti al mondo. Warhol è in ottima compagnia.

(13 settembre 2009)


vertici di viale Mazzini "tagliano" la trasmissione di Floris
Il conduttore: "Decisione immotivata". Ruffini: "Noi eravamo contrari"
Da Vespa la consegna delle case in Abruzzo
la Rai cancella la puntata di Ballarò

Rizzo Nervo: "Masi si ricordi che non è più a Palazzo Chigi"
Vespa: "E' un riconoscimento per l'impegno di Porta a Porta
"



ROMA - Uno speciale di Porta a Porta in prima serata martedì, dedicato alla consegna delle prime case ai terremotati d'Abruzzo, farà slittare la prima puntata della nuova stagione di Ballarò. Una decisione che il vicedirettore generale Antonio Marano motiva con la volontà di "valorizzare un momento importante per il Paese". Ma che crea polemiche. "E' un atto immotivato ai miei occhi, non riesco a comprenderne le ragioni. Avremmo potuto trattare gli stessi temi dello speciale di Raiuno, non vedo il motivo di sostituirci" commenta il conduttore Giovanni Floris. "Si tratta di una decisione presa contro il nostro parere" sottolinea il direttore di Raitre, Paolo Ruffini.

Marano, però, difende la scelta e nega contrasti: "Per Ballarò non c'è alcun problema, è solo uno spostamento che abbiamo ritenuto opportuno visto il tipo di evento e per non far sovrapporre due programmi di approfondimento". Spiegazioni che non convincono nè Floris nè Ruffini. "Abbiamo
un inviato in Abruzzo da due settimane - spiega il giornalista di Rai 3 -, e la cerimonia del 15 settembre era un avvenimento previsto da prima che presentassimo la trasmissione. Naturalmente poi avremmo parlato anche di altro, di attualità politica e di attualità economica".

Ruffini rincara la dose: "Ho detto al responsabile dei palinsesti che la decisione di stravolgere la programmazione con una comunicazione improvvisa via e-mail, a meno di 48 ore dalla messa in onda del programma, dopo che era già stata tenuta peraltro la conferenza stampa avrebbe inevitabilmente assunto un nuovo sapore e danneggiato l'immagine aziendale". Preoccupazioni che i vertici di viale Mazzini non hanno minimamente raccolto. E che alimenta i timori di chi parla di una volontà "normalizzatrice" da parte dell'esecutivo su Rai 3. "A tutti quelli che mi telefonano allarmati dico che mi auguro che sia solo un episodio sgradevole e grave, e che mi auguro che andremo in onda prima possibile dicendo tutto quello che abbiamo da dire" promette Floris.

Dal suo canto il presidente del Cda Paolo Garimberti (che ha appreso della decisione solo oggi pomeriggio) riconosce che, trattandosi di una "un evento programmato e programmabile, si poteva fare tutto per tempo ed evitare di mettere la Rai al centro di nuove polemiche politiche". Il consigliere d'amministrazione Nino Rizzo Nervo tira in ballo il direttore generale Mauro Masi parlando di "un'azione di disturbo sulla terza rete che ha come fine la sua 'normalizzazione'. Qualcuno dovrebbe spiegare al direttore generale che non è più a Palazzo Chigi e che vi è una profonda differenza tra televisione pubblica e televisione di Stato". Da viale Mazzini, però, si rivendica la legittimità della scelta: ad un evento come la riconsegna delle case ai terremotati è giusto dare il maggiore spazio possibile su Raiuno.

E se il presidente della Fnsi Roberto Natale diche il vertice della Rai "sembra aver smarrito il senso della dignità del servizio pubblico", il cdr del Tg3 vede un attacco all'informazione della Rai: "La terza rete è sotto tiro, si tratta di un colpo durissimo ai principi di
pluralismo che sono alla base del servizio pubblico".

Critico il Pd che, per bocca di Paolo Gentiloni, parla di "un grave tentativo di trasformare la consegna delle prime case ai terremotati di Onna in una sorta di reality show governativo, col premier come protagonista". Mentre Pier Luigi Bersani ricorda l'appuntamento del 19 settembre per la libertà di informazione: "Meglio andare a discuterne in piazza del Popolo sabato prossimo". Replica secca del Pdl: "Lo spostamento è solo un fatto tecnico e le polemiche contro questa decisione suscitano solo "indifferenza". Evita la polemica, invece, Bruno Vespa che definisce la puntata "un riconoscimento" per l'impegno di Porta a Porta nella raccolta di fondi per i terremotati.

(13 settembre 2009)


Zavoli accusa. E su Libération uno speciale sul Cavaliere sotto pressione
Il segretario di Stato spagnolo: chiare le frasi di Zapatero, nessuna critica a Berlusconi
"Nell'aria c'è qualcosa
che non è democrazia"





ROMA - Tira una brutta aria. "C'è qualcosa che non corrisponde ad una vera democrazia". Sergio Zavoli, presidente della commissione di Vigilanza Rai, dopo un lungo silenzio, torna a parlare della situazione italiana e dello stato di salute dell'informazione. Per dire che "esiste un atteggiamento perverso nei confronti della qualità dell'informazione.

Non c'è più interesse ad approfondire nulla e c'è un concreto sentore del fatto che esista, nell'aria, un qualcosa che non corrisponde ad una vera democrazia". Un timore, quello di Zavoli, che si sta diffondendo anche in Europa, a leggere gli editoriali che i maggiori quotidiani esteri hanno dedicato anche ieri all'Italia.

Estremamente critici quelli francesi e spagnoli, dopo lo show di Berlusconi durante la conferenza stampa di giovedì con Zapatero. Due giorni fa il premier iberico aveva detto: "Taccio per cortesia istituzionale, tutti sanno cosa penso della parità uomo donna". Una frase dalla quale traspariva l'imbarazzo di Zapatero.

Ma ieri le diplomazie hanno lavorato e in giornata i due premier si sono sentiti al telefono per ribadire la "profonda amicizia" tra i due Paesi. Il segretario di stato spagnolo, Diego Lopez Garrido, intervistato dal Tg1, ha precisato che "le dichiarazioni di Zapatero sono state chiare e non accettano nessuna interpretazione aggiuntiva: nessuna critica alle parole di Berlusconi".

Ma la stampa spagnola non molla. Ieri El Pais ha pubblicato un editoriale molto critico in cui definiva Berlusconi un personaggio "ridicolo, ogni volta che parla in pubblico". E in Francia grande spazio all'Italia è stato dedicato dall'inserto del week end di Libération. Copertina con una grande foto del premier italiano scattata a Palazzo Grazioli. All'interno quattro pagine con foto di Berlusconi, Noemi e Patrizia D'Addario.

L'articolo racconta di "un'Italia che non si occupa di ciò che dice Berlusconi" e di Repubblica "un quotidiano che non molla nonostante i colpi bassi e interpella quotidianamente il capo del governo sulle sue tresche, attirandosi i fulmini del tycoon dei media". E un altro quotidiano d'oltralpe, Le Monde, ieri titolava, in italiano, a pagina due: "Basta, Cavaliere!".


(13 settembre 2009)


La stampa inglese continua a dare rilievo alle vicende italiane
"Il ferreo controllo di Berlusconi sul potere si sta indebolendo"
"Dopo gli scandali, lo scontro con Fini"
Il Telegraph vede il premier in difficoltà

Il magazine del "Sunday Times" parla di "piccoli Hitler" a proposito
delle ronde: "Gruppi di vigilantes di estrema destra pattugliano le strade italiane"



LONDRA - "Sesso, scandali e divisioni nel partito". Il Sunday Telegraph di oggi titola così un servizio di una pagina sul caso Berlusconi, a cui la stampa britannica continua a dare grande rilievo. Dopo essersi scontrato con la Chiesa cattolica, la stampa internazionale e l'Unione Europea, afferma l'articolo, "Silvio Berlusconi ora rischia di farsi un nemico ancora più temibile, il suo più stretto alleato politico", ovvero Gianfranco Fini, numero due del Pdl e presidente della Camera. La frattura con Fini "ha aumentato la sensazione di crisi attorno al governo di centro-destra e intensificato le supposizioni secondo cui, dopo 15 anni in prima linea nella politica italiana, il ferreo controllo di Berlusconi sul potere si stia indebolendo", scrive il Telegraph.

Un'estate di "scandali di sesso" sembra lasciare il passo a "un autunno di antagonismo sia con gli avversari che con i propri amici". Il giornale elenca i segnali a partire dal fatto che il premier sta esagerando, lasciandosi andare a un tono "troppo pomposo perfino per uno come lui". Soltanto nell'ultima settimana si è paragonato a Superman, si è descritto come un torero che respinge gli attacchi dei tori infuriati della stampa italiana, ha detto che tutti gli italiani vogliono essere come lui e che lui è il migliore premier d'Italia in 150 anni. A proposito dei party con le giovani donne portate a casa del premier dall'uomo d'affari Giampolo Tarantini, il Telegraph nota che alcune erano "est europee o del Sud America", sollevando "imbarazzanti domande per Berlusconi sulla possibilità che i suoi appuntamenti amorosi possano esporlo a ricatti da potenze straniere". L'articolo si conclude ricordando che in ottobre la Corte Costituzionale potrebbe abolire la legge che ha dato a Berlusconi l'immunità da azioni giudiziarie e cita in proposito il parere del politologo Marc Lazar: "E' la sua paura ossessiva".

Ma la stampa internazionale sembra avere deciso di occuparsi di Berlusconi non solo dal punto di vista degli scandali a sfondo sessuale e dei problemi giudiziari, bensì anche e soprattutto sul piano dei suoi errori politici. Il magazine del Sunday Times dedica un'ampia inchiesta alla discussa questione dei vigilantes. Con questo titolo: "Piccoli Hitler. Incoraggianti da Silvio Berlusconi, gruppi di vigilantes di estrema destra stanno pattugliando le strade dell'Italia, risvegliando paure di un ritorno al fascismo". Con tanta attenzione concentrata sulle avventure sessuali del premier, afferma l'articolo, "questo brutto rigurgito di razzismo si è potuto diffondere quietamente e insidiosamente. E' una decisione che suscita allarme".

Una strada simile viene percorsa da El Pais, il quotidiano spagnolo oggetto di pesanti critiche da parte di Berlusconi. Da un lato, il Pais ritorna sulla affermazione del premier sul fatto che non avrebbe mai pagato una donna per non perdere il piacere della conquista, e si chiede in un ironico editoriale: "Davvero crede di poter conquistare tutte col suo tupè artificiale e la sua dentatura posticcia?" Ma poi, in un lungo articolo di inchiesta intitolato "L'Italia attraversa il deserto", El Pais analizza la gravità della crisi economica italiana e le promesse mancate di Berlusconi per riformare il sistema e risolvere i problemi. Lo stesso discorso si applica, in Francia, a un'inchiesta del Figaro, che parla di un nuovo fronte giudiziario apertosi per il premier italiano, questa volta non per questioni di tasse e bustarelle ma per un'accusa molto più grave, quella di "presunte connivenze con la mafia", e a tale titolo il quotidiano parigino ricorda le "oggettive collusioni" sottolineate dalla condanna in primo grado a nove anni di reclusione per Marcello Dell'Utri, "stretto collaboratore" di Berlusconi, appunto per "connivenze mafiose". Sempre in Francia, Le Monde pubblica un articolo sulla libertà di stampa nel nostro paese, intitolato "Berlusconi e i media, agonia di una democrazia", accompagnato da un editoriale sul Cavaliere intitolato semplicemente "basta!" E in America, il Chicago Tribune intervista il politologo Giovanni Sartori, che definisce ancora una volta Berlusconi "non un dittatore, ma un sultano", lo stesso titolo del suo ultimo libro dedicato allo strapotere del premier.

A Londra, anche l'Observer parla di Berlusconi, affermando che la decisione di dare a Mike Bongiorno dei funerali di stato poteva avvenire solo nell'Italia odierna: "Forse soltanto nella videocrazia di Berlusconi poteva accadere che un presentatore televisivo ricevesse esequie di stato", scrive il giornale. Il Sunday Times dedica una pagina pure all'intervento di Marina Berlusconi, figlia di prima nozze del premier e presidente della Fininvest, che ha dichiarato che gli attacchi a suo padre sono come "coltellate alla schiena": ma il più diffuso domenicale britannico ricorda che, "dopo un'estate in cui la Chiesa cattolica ha pesantemente criticato il primo ministro, ora egli potrebbe fare ulteriori passi falsi per le critiche rivoltegli dal suo principale alleato di partito, Gianfranco Fini". Il giornale nota anche che il primo ministro spagnolo Zapatero ha "nascosto a malapena il suo imbarazzo" nell'apparire insieme a Berlusconi a una conferenza stampa nei giorni scorsi.

Sulla vicenda scrive anche l'Evening Standard, pubblicando un estratto di "Tendenza Veronica", il libro di Maria Latella su Veronica Lario, intitolando l'articolo "la signora Berlusconi va al contrattacco".

(13 settembre 2009)
 
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96 replies since 6/8/2009, 10:36   4895 views
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