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ZAIRE 1974: la folle corsa di Mwepu

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view post Posted on 10/2/2014, 22:54
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Chi ha veramente fatto la storia del calcio africano? La risposta non può che essere una e una sola: suo malgrado, lo Zaire del 1974. I Leopards dello Zaire sono entrati nella leggenda del calcio grazie ad un paio di batoste feroci, ma soprattutto in virtù di un gesto geniale, sorprendente e "definitivo".

Calma, andiamo per gradi. Mondiali del 1974, Germania. Il grande show di Cruijff, Beckenbauer, Rivelino e del capocannoniere polacco Lato. Il Mondiale di Chinaglia che, leggiadro, indica a Valcareggi le modalità per "andare a quel paese", simbolo deragliante di un Italia eliminata subito e capace di vincere unicamente con la nazionale di Haiti, dopo essere andata sotto per un gol di Emanuel Sanon, cannoniere e simbolo insieme al portiere acrobata Henry Francillon della nazionale dalla casacca rossa. Il Mondiale di Jurgen Sparwasser che, il 22 di Giugno, segna e assegna il "derby del muro" (così venne definito all’epoca, un’epoca dove nessuna Trabant aveva ancora capottato nell’Occidente) alla Germania dell’Est e se la ghigna alla faccia dei futuri campioni, prima di tornare a casa per colpa di Neeskens, Rensenbrink e Rivelino nel primo girone di semifinale.

E’ proprio nel 2° gruppo di quel Mondiale, che vengono inseriti i Leopards, casacche verde prato, tre righe gialle Adidas, stemmone con il leopardo sul torace ed orgoglio dello Zaire tutto. Campi da gioco: Francoforte e Gelsenkirchen. Rivali: Jugoslavia (ah, i perfidi slavi, sempre temibili…), Scozia (l’unica squadra a non aver mai perso una partita durante le qualificazioni a Germania’74!) ed i campioni in carica del Brasile (u Brasil, Rivelino, futebol bailado, samba, Dirceu…). Girone bello difficilotto per i leopardi, ma chissà, potrebbero anche essere una rivelazione, non si può dire. Ricordate che quelli erano anni in cui il calcio non dominava la televisione e ben poco si vedeva oltre gli spalti italici. Tutto può essere.

Ovviamente non fu. Lo Zaire risultò tanto "naif", sprovveduto e debole da suscitare una simpatia immediata e sempiterna. Una vera armata Brancaleone al cospetto del calcio europeo e sudamericano, un’accolita di improvvisatori che, peraltro, rappresentava realmente il meglio del calcio africano all’epoca. Sempre nel 1974, in Egitto, fu infatti proprio lo Zaire ad aggiudicarsi la Coppa d’Africa (girone eliminatorio alle spalle del Congo e sopra Guinea e Mauritius, semifinale vinta per 3 a 2 sui padroni di casa dell’Egitto e finale vinta nella partita di ripetizione per 2 a 0 sullo Zambia, dopo l’1-1 e il 2-2 ai tempi supplementari della gara giocata il giorno prima). Inoltre l’anno precedente, la formazione zairese dell’A.S.Vita si era aggiudicata la Coppa dei Campioni d’Africa, subentrando ai successi del 1967 e 1968 del TP Englebert.

Il presidente (imperator-simil dittatore) Mobutu Sese Soko aveva ripulito la capitale Kinshasa dalla criminalità con una maxi retata conclusasi con un’esecuzione di massa nei sotterranei dello stadio e, in ottobre, avrebbe cercato lustro ospitando il leggendario incontro di boxe tra Mohammed Alì e George Foreman, con imperdibile corredo di James Browm, Miriam Makeba e Spinners. I presupposti c’erano. Lo Zaire, nelle qualificazioni africane ai mondiali, fece fuori, nell’ordine: Togo, Camerun, Ghana, Zambia ed infine Marocco. Sì, i presupposti c’erano. Poi si giocò e ci si accorse che quello che mancava era la squadra. Un disastro.

Si partì il 14 giugno alle 19,30: Westfalenstadion di Dortmund, Scozia e Zaire di fronte a ventisettemila spettatori. I Leopards schierano Kazadi, Mwepu (ricordate questo nome), Mukombo, Buhanga, Lobilo, Kilasu, Mayanga, Mana, N’daye, Kidumu e Kakoko. Formazione di tutto rispetto, come avrete intuito dai nomi, ma non sufficiente ad arginare gli scozzesi, che non spingono al massimo ma insaccano due pere, al 26° con Lorimer e al 33° con Jordan, entrambi in forza al Leeds United. La tv italiana non manda nemmeno la partita in diretta, si accontenta di una misera sintesi alle due di pomeriggio del giorno dopo. Ehi, ma che facciamo, snobbiamo i leopardi? Comunque, poco male, non è stata una vera Waterloo, vediamo cosa succede con la Jugoslavia. Eh, vediamo dai.

8 Giugno, Gelsenkirchen, Parkstadion, ore 19, trentunmila spettatori (per mamma Rai ancora sintesi il giorno dopo). Lo Zaire schiera la stessa formazione dell’esordio con la sola variante di Kembo al posto di Mayanga. D’altro canto, squadra che ne prende solo due, non si cambia. Il dramma è che i leopardi ne buscano nove. Nooove a zero!! Una mazzata bestiale. Apre le marcature dopo soli sette minuti di gioco Bajevic ed al 13' Djazic raddoppia. Ci si attende una reazione dello Zaire, ma la squadra africana, completamente disorientata ed in balìa degli avversari, non riesce ad impensierire il portiere slavo se non con qualche tiro da lontano. Così, dopo soli quattro minuti, la
Jugoslavia va ancora in gol, stavolta per merito di Surjac ed al 21' realizza ancora con Katalinski.
Quattro a zero, eppure la Jugoslavia non è ancora paga. Al 29' Bajevic centra ancora il bersaglio, imitato cinque minuto dopo da Bogicevic. Lo Zaire, però, dal ventesimo minuto di gioco aveva in campo soltanto dieci uomini in quanto Ndaye era stato espulso.

All'inizio della ripresa la Jugoslavia si concede un po' di riposo e rallenta il ritmo, ma lo Zaire non sa approfittarne: troppo imprecisi i passaggi, troppo prevedibili ed elementari le sue trame offensive. Per circa un quarto d'ora la partita sembra spegnersi, poi la Jugoslavia riprende decisamente le redini dell'incontro e va ancora in gol al 63' con Oblack, al 65' con Petkovic ed al 69' con Bajevic. Una squadra allo sbando e ad un certo punto pare persino che la Jugoslavia (anche gli slavi non son poi così perfidi…) decida di non infierire troppo. Un gesto (non ancora quello) sintetizza l’intero incontro: al ventunesimo, il portiere Kazadi, tra le lacrime, chiede di essere sostituito. Più tardi affermerà che mai, nella vita, si era sentito così umiliato.

Sberla dura, anche perché ora tocca al Brasile, nientemeno che ai campioni del mondo. Facendole dovute proporzioni si teme un risultato stile cappotto d’Astrakan, qualcosa tipo ventisette a zero o giù di lì. I Leopards, giustamente, tremano, ma fieri, si presentano comunque puntuali all’appuntamento con la storia. Che è fissato alle 16 del 22 Giugno, ancora al Parkstadion di Gelsenkirchen (per la cronaca, neanche i detentori del titolo convincono la Rai a mandare l’incontro in diretta) di fronte a trentaseimila spettatori. Lo Zaire convince Kazadi a tornare tra i pali e cambia qualche elemento:dentro i nuovi Kibonge, Tshinabu, N’Tumba e vediamo un po’cosa succede.

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Succede che il Brasile ne infila tre (Jairzinho 13°, Rivelino 67°, Valdomiro 78°), il che, date le previsioni, è un mezzo trionfo. Troppa la disparità. Nonostante quello non fosse un Brasile irresistibile schierava comunque Leao, Nelinho, Luis Pereira, M.Marinho, F.Marinho, Piazza, Rivelino, Jairzinho, Leivinha, Cesar Carpegiani e Edu, collocandosi, rispetto agli africani, letteralmente su un altro pianeta.
Non è comunque nelle tre reti carioca che si deve cercare il diamante dell’incontro. Il picco, il gesto geniale (ecco, ci siamo) si colloca tra i nove metri circa che separano Rivelino, posizionato davanti al pallone, e la barriera leoparda schierata qualche metro davanti alla linea dell’area di rigore. Come d’abitudine su ogni punizione, Rivelino prende una lunga rincorsa mentre l’arbitro rumeno Rainea, novello mossiere del Palio di Siena, suda sette casacche per tenere a bada gli scalpitanti leopardi.

Stop. Fermo-immagine sul numero due dello Zaire, il volenteroso Ilunga Mwepu (sì, di nome faceva proprio Ilunga, come quando cercate di spiegare a vostra bisnonna con che lettera inizia Juventus) che tarantoleggia in barriera. All’improvviso Rainea fischia e lui, come i geni e gli eroi, i fulminati o i Masaniello che han fatto la storia, appalta la mente e la ragione e si affida al cuore e all’intuito. Vede Rivelino che esita e forse pensa "Ma che fai Rivelino, tentenni? Rivelino ma che cavolo fai, non tiri? Ah no, beh allora tiro io". E va. Lui va e corre con falcate imperiose, va nel silenzioimprovviso, davanti a settantaduemila sguardi attoniti di spettatori che lo vedono e pensano "ma
cos’hai nella testa Ilunga?". Lui è andato, troppo tardi, ormai è a un passo. Eccolo che arriva e pianta una stangata memorabile. Papapum e la palla viaggia verso la porta di Leao. Stop. Il tempo riprende il suo corso naturale, ed è il panico.

Rainea, indignato, fischia, chiama Mwepu e lo ammonisce. Jairzinho con una testa afro che al confronto Bob Marley sembra uno appena arrivato al C.A.R. non riesce a trattenere lacrime di riso, va vicino al numero due leopardico e agitando una mano sotto gli occhi, come quando si allontanano le mosche probabilmente gli dice "Uei, Ilunga, ma tu sei completamente andato". Mwepu intanto, stranito dal cartellino giallo di Rainea, letteralmente si inchina e ammicca tipo "va bè, allora ammoniscimi dai, hai ragione tu, dai". Morale, quest’uomo selezionato tra sedici milioni di abitanti e duemila tesserati zairesi si è presentato ai Mondiali senza nemmeno conoscere le regole basi del calcio giocato. Tipo: se stai fermo novanta minuti sulla linea di porta del portiere avversario facilmente finirai in fuori gioco e se hai una punizione contro non valgono le regole di "fazzoletto" per cui appena fischiano chi arriva primo vince. Meglio così, la stecca diabolica di Ilunga ha consegnato lo Zaire al mito, elevandolo in qualche modo dal mesto ultimo posto al girone (per la cronaca, la Scozia verrà eliminata per differenza reti, pagando oltremodo una certa clemenza riservata ai Leopards) concluso a zero punti e con meno quattordici di differenza reti.

Un dietro le quinte sorprendente verrà fuori anni dopo come testimoniato dallo stesso Mwepu alla televisione inglese: “Pensavamo che saremmo diventati ricchi, appena tornati in Africa, ma dopo la prima sconfitta venimmo a sapere che non saremmo mai stati pagati e quando perdemmo 9-0 conla Jugoslavia gli uomini di Mobutu ci vennero a minacciare. Se avessimo perso con più di tre gol di scarto dal Brasile, ci dissero, nessuno di noi sarebbe tornato a casa“. Era stato quello, quindi, il reale motivo che aveva innescato la corsa all’impazzata di Mwepu verso il pallone che stava per essere calciato da Rivelino. Gli epiteti rivolti dallo stesso difensore a Jarzinho, reo di essersi fatto scappare un sorriso dopo aver visto quel gesto, erano da attribuire all’incredibile tensione accumulata nei giorni precedenti l’incontro.

Passando dalla cronaca dei fatti alla storia, la partita - fortunatamente - era finita col risultato di 3-0 per i brasiliani. Tra l'altro una gara alla quale Mwepu aveva partecipato a causa di un banale errore dell’arbitro del precedente incontro con la Jugoslavia: il colombiano Omar Delgado, infatti, aveva espulso per errore Ndaye Mulamba, nonostante lo stesso terzino avesse ammesso di essere stato il colpevole di un calcio rifilato ad un avversario. Era stato, quindi, un caso a consegnare Mwepu e lo Zaire 74 alla storia del calcio. Era stata, invece, una fortuna che il pallottoliere preparato dai brasiliani si fosse fermato al numero tre...





FONTE - STORIEDICALCIO.ORG

Edited by ilvento71 - 16/2/2014, 00:11
 
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