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Mr_Stylesclash
view post Posted on 24/8/2009, 13:20




che bello, anzichè vedere il tg1 si viene qua e si legge, meglio così :D
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 25/8/2009, 12:21




esplosione in un villaggio a 20 km dalla capitale: le vittime sono poliziotti
Attentato kamikaze in Cecenia: 4 morti
L'attacco all'indomani della visita a sorpresa di Vladimir Putin, che ha incontrato il presidente Kadyrov a Grozny



GROZNY - Attentato suicida in Cecenia: quattro poliziotti sono stati uccisi e un altro è ferito, come riferisce l'agenzia Ria Novosti. L'attacco è avvenuto nella notte nel villaggio di Mesker-Yurt (a 20 km da Grozny, nel distretto di Shali - mappa), all'indomani della visita a sorpresa di Vladimir Putin. «Un attentatore suicida si è avvicinato a cinque ufficiali di polizia mentre aspettavano che venisse lavato il loro veicolo a un lavaggio auto e ha attivato un congegno artigianale, nascosto sotto gli abiti - ha detto alla Ria Novosti una fonte delle forze di sicurezza -. Quattro ufficiali sono rimasti uccisi sul colpo».

LA VISITA DI PUTIN - Il premier russo ha incontrato il presidente Ramzan Kadyrov per discutere della situazione socio-economica, dell'occupazione e di alcuni progetti di investimento. Durante la sua visita, il premier ha reso omaggio alla tomba del padre di Kadyrov, Akhmad, il presidente ucciso a maggio del 2004 in un attentato dinamitardo allo stadio di Grozny e che lunedì avrebbe compiuto 58 anni.

KAMIKAZE IN BICICLETTA - A Grozny c'è stato un tragico precedente dell'attentato odierno: venerdì scorso altri quattro poliziotti e una passante sono stati uccisi in due attacchi messi a segno da kamikaze in bicicletta, modalità finora inedita da parte della guerriglia cecena. Il primo attentatore si è fatto esplodere davanti a due poliziotti, nel centro della capitale. Mezz'ora dopo, un altro ribelle suicida ha compiuto un attentato analogo, uccidendo altri due agenti.

ATTACCO IN INGUSCEZIA - Dopo la fine delle operazioni militari russe nella regione, il governo presieduto da Kadyrov ha dovuto affrontare una recrudescenza terroristica che sta colpendo anche la vicina Inguscezia, dove venerdì un agente è stato ucciso: i killer hanno aperto il fuoco contro l'auto su cui viaggiava. Lunedì un poliziotto è stato ucciso e altri quattro feriti in uno scontro a fuoco con i ribelli nella zona dell villaggio Duba-Yurt.

CONDANNATO INDIPENDENTISTA - Intanto la sedicente Corte suprema della Sharia dell'Emirato del Caucaso ha condannato a morte un esponente storico degli indipendentisti ceceni, Akhmed Zakaiev, residente a Londra e autoproclamatosi primo ministro del governo separatista in esilio. È scritto su due siti considerati vicini ai ribelli, Kavkazcenter.com e Islamdin.ru. «Zakaiev ha abbandonato l'Islam riconoscendo legittimo il governo di Ramzan Kadyrov» si legge. Il documento allude alla decisione di Zakaiev di partecipare a negoziati con rappresentanti del presidente filorusso, prima a Oslo e poi a Londra. Allora era stato deciso di convocare un congresso mondiale ceceno per instaurare una pace durevole. «La Corte ha dichiarato che l'uccisione di questo apostata è un dovere di ogni musulmano se non si pente pubblicamente» prosegue il testo. Zakaiev è ricercato come terrorista da Mosca, ma Grozny chiede per lui un'amnistia.




25 agosto 2009



DOPO le polemiche per la denuncia a piede libero del pregiudicato
Il gip dispone la custodia in carcere
per l'aggressore dei due ragazzi gay

Accolta la richiesta della Procura nei confronti del pregiudicato, conosciuto come «Svastichella»


Il gip del tribunale di Roma La Viola ha firmato la richiesta di custodia cautelare in carcere per l'uomo di 40 anni, un pregiudicato soprannominato «Svastichella», che nella notte tra venerdì e sabato aggredì due giovani gay nel quartiere Eur, a Roma. Era la richiesta che il procuratore di Roma Giovanni Ferrara e il pm Pietro Pollidori avevano presentata al Gip. Il pregiudicato romano era stato denunciato dalla polizia con l'accusa di tentato omicidio dopo aver accoltellato uno dei due giovani e ferito, rompendogli una bottiglia sulla testa, il suo compagno. Il mancato fermo aveva provocato polemiche.

L'AVVOCATO DELLA VITTIMA - «Finalmente è stato emesso questo provvedimento cautelare che costituisce anche una chiara e precisa risposta da parte della magistratura rispetto a reati di una inaudita gravità». Ad affermarlo è l'avvocato Daniele Stoppello, che rappresenta uno dei ragazzi omosessuali aggrediti commentando la decisione del gip di emettere una misura cautelare nei confronti del presunto responsabile dell'aggressore. «Ho informato il mio assistito e la sua famiglia di questa decisione del gip - ha continuato il penalista - e c'è stato un momento di grande esaltazione. Per loro è importante sapere che il responsabile di quel gesto sia stato arrestato. Ora sono più tranquilli e sereni. L'estrema gravità dei fatti non poteva che giustificare l'arresto del responsabile di questo gravissimo gesto

SODDISFAZIONE DELL'ARCIGAY - «Finalmente una buona notizia che attendevamo da ore. Siamo soddisfatti che sia stata accolta la nostra istanza». Così il presidente di Arcigay Roma Fabrizio Marrazzo ha commentato, in una nota, la notizia della decisione del gip del tribunale di Roma di firmare la richiesta di custodia cautelare per l'aggressore dei due ragazzi gay all'Eur.


25 agosto 2009




a luglio gary reinbach, 22 anni, è morto di cirrosi epatica
Gb, negato trapianto a giovane di 19 anni Il padre si rivolge al tribunale
Il ragazzo avrebbe bisogno di un fegato, ma il sistema sanitario rifiuta l'operazione a chi ha problemi di alcol

LONDRA- L'ultima speranza sono gli avvocati. Perché due settimane sono poche. Pochissime se si tratta di salvare la vita del proprio figlio. Succede in Inghilterra, dove a un ragazzo di 19 anni, ricoverato dopo aver bevuto 30 lattine di birra in un fine settimana, è stato negato un trapianto di fegato perché non ha dimostrato di poter stare sobrio per almeno sei mesi consecutivi. Per i medici potrebbe morire entro 15 giorni. E il padre Brian ha deciso di intraprendere una battaglia legale. «Bisogna fare un'eccezione, perché queste regole vanno bene per gli adulti, e non per i più giovani che hanno ancora tutta la vita davanti», ha spiegato.

LE REGOLE- Le regole dei trapianti alla ribalta. E questo è un nuovo caso dopo quello di Gary Reinbach, 22 anni, morto il 20 luglio perché gli è stata negata l'operazione. Teenager e alcol. Un problema enorme. Considerata «una piaga sociale». Soprattutto in un paese dove da una parte i donatori di fegato scarseggiano, dall'altra le richieste sono in continuo aumento. Per questo le linee guida sono chiare: a chi non dimostra di essere stato sobrio per almeno se mesi, nessun trapianto.

IL CASO- E la vicenda di Garreth, riaccende, ancora una volta, il dibattito. Il ragazzo è stato ricoverato all'inizio del mese all'ospedale di Ulster in Irlanda dopo aver passato un fine settimana con gli amici. Un due giorni di maratona alcolica, durante la quale il ragazzo ha bevuto 30 lattine di birra. Il fegato non ha retto. E i medici si sono rifiutati di metterlo in lista d'attesa per il trapianto. Venerdì Garreth è stato trasferito al King's College Hospital di Londra, dove i dottori pensano potrebbe morire in due settimane. Esami clinici e biopsie, per cercare di stabilizzarlo. E un team legale che ha già preso in mano la pratica. Il padre vorrebbe cambiare le linee guida per poter salvare il figlio. E il tribunale è l'ultima speranza.



25 agosto 2009


iscritti nel registro degli indagati per omicidio colposo
Locri, 4 medici indagati
per la bimba morta in ospedale

Si tratta di un atto dovuto per consentire agli indagati di nominare propri periti in vista dell'autopsia


LOCRI (REGGIO CALABRIA) - Quattro medici, tre dell'ospedale di Locri ed uno esterno, sono stati iscritti nel registro degli indagati per omicidio colposo in relazione alla morte di Sara Varti, la bambina di cinque anni deceduta lunedì nell'ospedale di Locri. Il pm della Procura di Locri che coordina l'inchiesta, Rosanna Sgueglia, ha anche disposto l'autopsia che sarà eseguita mercoledì mattina dal medico legale Aldo Barbaro. L'iscrizione dei medici nel registro degli indagati, secondo quanto si è appreso in Procura, al momento è un atto dovuto per consentire agli indagati di nominare propri periti in vista dell'autopsia.

LA VICENDA - Il magistrato, stamani, ha anche sentito informalmente i nonni della bambina che avevano in affidamento la piccola dopo che i genitori erano dovuti rientrare a Vecchiano (Pisa) dove vivono e lavorano. La bambina è morta lunedì pomeriggio nel reparto di rianimazione dove era stata ricoverata in mattinata dopo che la sera precedente era stata visitata dai medici dell'ospedale e rimandata a casa con il suggerimento di una terapia sintomatica. Durante la notte, secondo i primi accertamenti compiuti dall'Azienda sanitaria che ha istituito un'apposita commissione di verifica, la piccola non ha avuto particolari problemi ma le sue condizioni si sono improvvisamente aggravate nella tarda mattinata di lunedì.


25 agosto 2009



LA POLEMICA
Berlusconi e Frecce tricolori in Libia
Divisi i giornali del centrodestra
Feltri: «Realpolitik». Belpietro: «Silvio non andare»



MILANO - È scontro tra i due maggiori quotidiani vicini alle posizioni del centrodestra sulla prossima missione in Libia del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e delle Frecce tricolori. Così se il direttore del Giornale, Vittorio Feltri, dice sì per ragioni di real politik, un no netto viene dal direttore di Libero, Maurizio Belpietro, che afferma: «Caro Cavaliere, non salga sul cammello».

LA DIATRIBA - Feltri non ha dubbi: «Chiunque capisce che la collaborazione con il Colonnello, piaccia o no, è indispensabile; quindi non ci è consentito assumere atteggiamenti ostili verso di lui che possano compromettere il "contatto"». Per Belpietro, soprattutto dopo l'accoglienza trionfale a Tripoli del terrorista di Lockerbie, «non si tratta di fare i puri di spirito, semmai è ora di non essere troppo cinici. C'è un problema di coerenza, o, meglio ancora, un problema morale. Se Berlusconi vuole salvare capra e cavoli, ovvero la lotta al terrorismo e le ragioni politiche, inventi qualcosa, trovi una via d'uscita. L'importante e che insieme alla capra e ai cavoli salvi anche la faccia».


25 agosto 2009



Dodici le segnalazioni nell’ultimo anno al centro del Fatebenefratelli
«Giochi erotici in cambio dell’iPod» Allarme sesso a pagamento in classe
Segnalazioni di microprostituzione a scuola dopo la denuncia dell’assessore Landi
«I vostri figli fanno sesso online»: il Comune scrive alle famiglie


MILANO - Giorgia di prima C (e parliamo di medie) ha pubblicato la sua foto su Messenger. È seminuda, una mano sposta la canottiera. Il seno è ancora acerbo, ma il sorriso è da attrice consumata. Puro esibizionismo, lei non chiede nulla in cambio di una sbirciatina «virtuale ». Viviana, invece, in cambio di un iPod, offre un pacchetto di prestazioni orali nel bagno del liceo, a orari concordati. Un singolo incontro, in un istituto a nordovest di Milano, costa cinque euro. I ragazzi si scambiano filmati pornografici con il cellulare. E, insieme a questi, i book delle compagne, cosa fa Rosa e per quanto lo fa. Una sorta di database consultabile online. Certo, i nomi sono di fantasia, ma l’allarme «sesso malato» a scuola, lanciato dall’assessore Giampaolo Landi di Chiavenna, «è vero e serio». «E questa è solo la punta dell’iceberg».

Il centro e la periferia, la Milano bene e quella dei palazzoni degradati, i bambini e gli adolescenti, è un tarlo trasversale e poco rintracciabile questa sessuomania dai risvolti hard che colpisce i ragazzi milanesi. «E non è giusto far finta di niente, pensare 'non succederà a mio figlio', dimenticare la cosa come se riguardasse sempre e solo gli altri», spiega Luca Bernardo, primario della struttura di Pediatria e dell’area adolescenza al Fatebenefratelli. «Sono i numeri a dimostrarlo». Dodici segnalazioni nell’ultimo anno, arrivate al centro diretto da Bernardo, l’unico in Italia (almeno in una struttura pubblica) che si occupa di tutti i problemi dell’adolescenza. Una al mese, non è poco. Otto ragazzi che per questioni di bullismo sono arrivati a raccontare a medici e psicologi le loro vicende personali e quelle dei compagni, a rivelare un giro di microprostituzione. Con loro, anche quattro ragazzine tra i 14 e i 17 anni. «I rapporti avvengono nelle scuole o nei locali — racconta l’esperto — anche tra gruppi. E mai durante l’intervallo, ma ad orari stabiliti prima, durante la fase preliminare ». Quella in cui ci si mette d’accordo.

La materia di scambio: iPhone, iPod, schede per la ricarica del cellulare, vestiti e scarpe griffate. «Le ragazze si comportano come l’ape regina che attira a sé il maschio — continua Bernardo —, sono calme e disinibite. Di solito hanno qualche anno in meno rispetto ai partner. I maschi le scelgono consultando il book virtuale». Un fenomeno sotterraneo, difficile da far emergere. «Sono nicchie, zone oscure — commenta Michela Francisetti, preside all’istituto comprensivo Pertini — ma non è questo il punto. Il problema è quello che sta dietro, il disagio di una società che fa fatica a indicare un percorso educativo, l’immagine imprecisa che le giovani hanno di sé e che i coetanei hanno di loro». Un appello a parlare, a raccontare e raccontarsi. Anche a questo punta la campagna del Comune che invierà nei prossimi giorni materiale informativo alle famiglie milanesi. L'Osservatorio sui diritti dei minori apprezza questo progetto di sensibilizzazione e sollecita la polizia a intensificare il monitoraggio della rete: «Alcune videochat di libero accesso e non vietate ai minori, consentono conversazioni con giovanissimi che si esibiscono in atteggiamenti sessualmente espliciti».


25 agosto 2009
 
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No use for a nickname
view post Posted on 25/8/2009, 13:33




L'artista di "Thriller" ha avuto un arresto cardiaco ed è morto la notte del 25 giugno all'età di 50 anni. Da allora le indagini degli investigatori dello stato e federali si sono concentrate su Conrad Murray, medico personale di Jackson che era al suo capezzale al momento della morte.

I riscontri, contenuti in un mandato di perquisizione nella casa e negli uffici di Murray, delineano il profilo di una pop star insonne, incapace di dormire senza ricorrere a forti farmaci. Jackson faceva uso di propofol, utilizzato normalmente per sedare pazienti ed anestetizzarli prima di interventi come la colonscopia, e lo chiamava il suo "latte".

"Il medico legale capo di Los Angeles dottor (Lakshmanan) Sathyavagiswaran, ha indicato di aver esaminato i risultati tossicologici e le sue conclusioni preliminari sulle cause della morte di Jackson è che è dovuta a livelli letali di propofol (diprivan)", si legge nel mandato di perquisizione degli uffici di Murray emesso in California.
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 25/8/2009, 18:52




le elezioni presidenziali
Afghanistan, primi risultati
Testa a testa Karzai-Abdullah

Dopo lo spoglio del 10% dei voti espressi, al presidente è attribuito il 41% delle preferenze, al rivale il 39%


KABUL - Si profila un testa a testa tra Hamid Karzai e Abdullah Abdullah, stando almeno ai primi risultati parziali delle presidenziali in Afghanistan, forniti dalla Commissione elettorale indipendente. Dopo lo spoglio del 10% dei voti espressi, al presidente uscente è attribuito il 41% delle preferenze, al principale rivale il 39%.

I NUMERI - «Su un totale di 524.444 voti validi, 212.927 sono andati a Karzai e 202.889 ad Abdullah», ha riferito un portavoce della Commissione elettorale in una conferenza stampa. Nei prossimi giorni, la Commissione continuerà a diffondere i risultati parziali delle elezioni del 20 agosto ma i dati definitivi non saranno disponibili prima di metà-fine settembre.

IPOTESI BALLOTTAGGIO - Se né il presidente uscente né il principale avversario Abdullah riusciranno a ottenere più del 50%, i due dovranno confrontarsi di nuovo al secondo turno. I sostenitori di Karzai si sono già sbilanciati, affermando che il presidente ha raggiunto circa il 70% delle preferenze, mentre Abdullah ha denunciato pesanti irregolarità a favore di Karzai.


25 agosto 2009


Afghanistan: tre bambini muoiono giocando con un ordigno inesploso
Attentato a Kandahar : 36 morti
Cinque autobomba esplodono davanti l'agenzia canadese per lo sviluppo. Scontri al confine, parà fanno fuoco


BALA MORGHAB (Afghanistan) - Ancora violenze e sangue in Afghanistan. Cinque autobomba collegate tra loro sono esplose a Kandahar, nel sud dell'Afghanistan. Il bilancio è di almeno 36 morti e 64 feriti. Lo hanno indicato fonti sanitarie locali. Si tratta di numeri provvisori perché la polizia ha riferito che diverse persone sono rimaste intrappolate sotto le macerie. Gli ordigni, piazzati in cinque automobili parcheggiate, sono esplosi simultaneamente vicino a un edificio che ospita gli uffici dell'agenzia internazionale canadese per lo Sviluppo. Nella stessa zona si trovano anche le forze di sicurezza afghane e un progetto edilizio giapponese. Un abitante del posto, che ha chiesto di rimanere anonimo, ha detto che dopo l'esplosione - che ha mandato in frantumi molte finestre - sono scoppiati scontri a fuoco.

ATTACCO - Intanto, nell'area di Bala Morghab - dove era stato attaccato un posto di frontiera con il Turkmenistan e dove due poliziotti afgani erano stati uccisi - un plotone della Folgore e tre elicotteri italiani sono stati protagonisti di un violento scontro a fuoco con gli insorti. L'operazione ha coinvolto i parà italiani, intervenuti in soccorso delle forze di sicurezza afgane. I parà della Folgore «sono stati attaccati con armi leggere e razzi Rpg e hanno risposto al fuoco. Lo stesso hanno fatto i due elicotteri Mangusta e il Chinook che trasportava il plotone», ha spiegato al termine dell'operazione il generale Rosario Castellano, comandante del contingente multinazionale della Nato schierato nell'Ovest del Paese. Alla fine «la minaccia è stata neutralizzata» ha aggiunto, senza però specificare l'entità delle perdite tra gli insorti. Nessun militare italiano è rimasto ferito.

BAMBINI - L'agenzia di stampa afghana Pajhwok rende noto inoltre che tre bambini sono morti e altri sono rimasti feriti per l'improvvisio scoppio di un proiettile di mortaio da loro rinvenuto. Un portavoce dell'ospedale Emergency di Lashkargah, capoluogo della provincia meridionale di Helmand, ha precisato che la tragedia è avvenuta nel distretto di Greshk. I bambini hanno trovato l'ordigno inesploso, con cui hanno cominciato a giocare. Lo scoppio li ha investiti in pieno uccidendone tre e ferendone altri cinque. Inoltre nel distretto di Nad Ali della stessa provincia due agenti di polizia sono morti e tre hanno riportato ferite quando il fuoristrada su cui viaggiavano ha urtato, facendolo esplodere, un rudimentale ordigno (Ied) collocato sul ciglio della strada dai talebani.


25 agosto 2009


L'esponente leghista aveva accusato il presule di parlare a titolo personale
Immigrati, è scontro Lega-Vaticano
Monsignor Vegliò: «Calderoli offende»

Il presidente del Pontificio consiglio per i Migranti: «Dal ministro parole inaccettabili»

L'Aquila, Berlusconi alla Perdonanza. Premier a cena col cardinale Bertone

Roberto Calderoli al Meeting di Rimini (IPP)
CITTÀ DEL VATICANO - È ancora scontro tra il Vaticano e la Lega sugli immigrati. A sollevare le polemiche la tragedia degli eritrei nel Canale di Sicilia e le successive dichiarazioni di esponenti del Carroccio e della Santa Sede. In una dichiarazione diffusa alla stampa, monsignor Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio per i Migranti, va ora all'attacco contro il ministro Roberto Calderoli, accusandolo di aver usato parole «inaccettabili e offensive, quasi che io - si legge nel comunicato - sia responsabile della morte di tanti poveri esseri umani inghiottiti dalle acque del Mediterraneo». Tre giorni fa l'esponente leghista, difendendo la linea del governo sulla lotta all'immigrazione clandestina, aveva detto che «solo un messaggio chiaro» può fermare i viaggi «della disperazione, che, purtroppo, hanno portato a morire, nelle acque del canale di Sicilia, tanti, partiti anche sulla base dei messaggi dell'opposizione o di monsignor Vegliò». Le parole del ministro della Semplificazione erano arrivate dopo che il presidente del Pontificio Consiglio per i Migranti, davanti alla tragedia del Canale di Sicilia in cui sarebbero morti 73 eritrei, aveva espresso il suo «dolore» per «il continuo ripetersi» delle morti in mare e aveva esortato le «società sviluppate» a «rispettare sempre i diritti dei migranti» e a non «chiudersi all'egoismo». «Mai sono stato contraddetto dalla Santa Sede», «mai sono stato contraddetto dalla Conferenza episcopale italiana» e «come capo dicastero ho il grande onore di fare dichiarazioni a nome della Santa Sede» ha voluto precisare Vegliò rispondendo direttamente al ministro leghista.

LA POLEMICA -Nell'intervista rilasciata a Radio Vaticana in seguito alla sciagura nel Canale di Sicilia, Vegliò aveva anche sottolineato che, a suo avviso le società «cosiddette civili», sono sempre più egoiste, al punto da preferire, in casi estremi, di condividere i propri beni con gli animali domestici piuttosto che con lo straniero. Dopo l'intervista, Calderoli aveva tra l'altro sottolineato che «le parole sugli immigrati pronunciate da monsignor Vegliò non sono quelle del Vaticano e della Cei da cui, anzi, spesso, lo stesso Vegliò è stato poi contraddetto». «La mia dichiarazione - ha precisato ora il presule - partiva solo da un fatto concreto, tragico: la morte di tante persone, senza accuse, ma chiamando tutti alla propria responsabilità».

REAZIONI - Sulla scia delle parole di monsignor Vegliò, l'opposizione insorge contro l'esecutivo. «Il governo continua a farci fare una pessima figura con tutti. Dopo la Ue, l'Unhcr, ora anche col Vaticano. La dichiarazione di monsignor Vegliò è di una chiarezza lampante. L'esecutivo, soprattutto per quanto riguarda le tematiche dell'immigrazione, non può essere guidato dal Carroccio», afferma il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, segretario della Commissione Affari Europei. Per il presidente dei senatori dell'Italia dei Valori Felice Belisario, le parole del numero uno del Pontificio Consiglio epr i Migranti dimostrano che «il Carroccio tiene in ostaggio Berlusconi e il suo esecutivo e che, per accontentare il suo elettorato xenofobo, è disposto a farci fare una pessima figura anche con la Santa Sede. Che cosa ne dicono i cattolici del Pdl? Perchè stanno zitti?», chiede Belisario. A parlare, tra gli esponenti del governo, è il ministro La Russa: «Ho grande rispetto per la Chiesa e mi inchino alla sua missione, che è quella della carità, che deve essere esercitata nei confronti di tutti. Poi c'è una missione diversa, che è quella di chi ha il dovere di far rispettare le leggi, missione che appartiene alla politica e alle istituzioni» spiega il titolare della Difesa.




25 agosto 2009



La giovane 25 anni, era madre di una bimba di due anni
Sulmona, agente di polizia in pensione uccide la figlia tossicodipendente
L'uomo di 53 anni era stato riformato per motivi di depressione. Ha tentato il suicidio senza riuscirvi

SULMONA (L'AQUILA) - Avevano trascorso la mattinata insieme ed erano di ritorno dal Sert di Sulmona dove la figlia Irene, di 25 anni, era stata condotta dal padre per la sua tossicodipendenza, ma la giovane aveva ancora una volta rifiutato di curarsi. Nel tragitto di ritorno a casa il padre, Vincenzo Marruccelli, di 53 anni, forse preso da raptus, le ha sparato alla nuca con una pistola Beretta 7,65, uccidendola sul colpo. A quanto si apprende Marruccelli, ex agente di polizia penitenziaria era stato riformato per motivi di depressione. Marruccelli aveva la regolare detenzione dell'arma, tecnicamente «per motivi affettivi», in quanto le era stata lasciata in eredità dal padre. Nella sua casa di San Pietro di Bagnaturo, una frazione di Pratola Peligna, sono stati rinvenuti una cinquantina di proiettili detenuti illegalmente.

COSA È SUCCESSO - L'uomo, dopo essersi reso conto di quello che aveva fatto si è diretto immediatamente al commissariato di polizia di Sulmona con il corpo della figlia in auto. Con la macchina è entrato nel cortile approfittando del cancello lasciato momentaneamente aperto. Nel cortile è uscito dall'auto con la pistola in pugno ed ha cercato di togliersi la vita puntandosi l'arma contro. Circondato dagli agenti e in preda al panico, però, non è riuscito a premere il grilletto, ha buttato a terra l'arma scoppiando in un pianto dirotto. Gli agenti che lo circondavano lo hanno subito bloccato. La procura di Sulmona lo ha indagato dei reati di omicidio e porto abusivo di arma. L'uomo è stato successivamente arrestato e tradotto nel carcere di Sulmona. La figlia è morta sul colpo e i sanitari del 118 quando sono arrivati nel cortile del commissariato non hanno potuto fare altro che constatarne la morte. La giovane, sempre secondo quanto emerso, in passato aveva avuto guai giudiziari per problemi relativi all'uso di sostanze stupefacenti. La procura della Repubblica ha disposto l'autopsia, mentre la figlioletta di due anni della vittima è stata affidata alla nonna materna.


25 agosto 2009



Ancora non si conoscono le motivazioni del gesto
Uccide la madre con 60 coltellate
Una donna anziana accoltellata a morte dal figlio
di 61 anni a Curnasco di Treviolo


BERGAMO - Ha ucciso la madre con oltre 60 coltellate, poi si è seduto su una sedia e l'ha guardata morire. Solo dopo alcuni minuti ha chiamato i carabinieri e si è lasciato arrestare. A finire in manette con l'accusa di omicidio volontario è stato un pregiudicato, G.B., di 61 anni. Erano le 15 quando l'uomo, forse in preda a un raptus, ha colpito la madre Camilla Morelli, 83 anni, residente in via Bergamo a Curnasco.

LA RICOSTRUZIONE - L'omicida ha afferrato un coltello di piccole dimensioni, fabbricato artigianalmente, e ha colpito la donna con oltre 60 colpi, lasciandola morente sul pavimento della cucina. Dopo aver commesso il fatto, l'omicida si è seduto nella stessa stanza e ha chiamato il 112. I militari hanno fatto irruzione nell'abitazione dove hanno trovato la donna in fin di vita e il figlio, con gli abiti ancora sporchi di sangue, pronto a confessare tutto. A pochi passi, sul tavolo della cucina, c'era anche l'arma del delitto, già ripulita. Secondo quanto riferiscono i militari, l'uomo era in cura in un centro di igiene mentale a Bergamo. Per il 61enne si sono aperte le porte del carcere.




25 agosto 2009




Nel marzo scorso LA BARCA ITALIANA era stata sequestrata dalle autorità libiche
Sequestrato da motovedetta tunisina un peschereccio siciliano con 7 marinai
Il «Chiaraluna», di Mazara del Vallo, condotto a Sfax. L'accusa: avrebbe sconfinato mentre pescava


MAZARA DEL VALLO (TRAPANI) - Ancora l'ennesimo episodio della «guerra» tra il governo tunisino e i pescherecci italiani per i presunti sconfinamenti in acque tunisine. Un peschereccio della flotta di Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, il «Chiaraluna», con a bordo sette uomini di equipaggio (tre italiani e quattro tunisini) è stato sequestrato all'alba da una motovedetta di militari tunisini a sud del canale di Sicilia. Sembra che il peschereccio sia stato condotto verso il porto di Sfax.

I PRECEDENTI - Nel marzo scorso il «Chiaraluna» era stato sequestrato dalle autorità libiche mentre si trovava a circa quaranta miglia a Nord della costa africana. Allora a bordo si trovavano dieci uomini di equipaggio (sei tunisini e quattro italiani).

INTERVIENE LA PROVINCIA - Il presidente della Provincia di Trapani, Mimmo Turano, dopo la notizia del sequestro del motopesca, di proprietà dell'armatore mazarese Franco Campo, ha attivato i suoi uffici. «Con vero dispiacere - afferma Turano - apprendo che, uomini del mare di Mazara del Vallo sono stati sequestrati. Ho dato mandato all'assessore Lisma di assicurarsi sullo stato di salute dell'equipaggio e di intervenire presso il locale consolato tunisino per avere maggiori informazioni sulla vicenda».


25 agosto 2009



deficit 2009 in calo a 1580 miliardi di dollari, ma nei prossimi 10 anni salirà fino a 9.050 miliardi
Usa: il Pil salirà del 2% nel 201o
Casa Bianca: nel 2009 prevista flessione del 2,8% ma nel 2011 crescerà del 3,8%. Disoccupazione al top nel 2010


WASHINGTON (USA) - Crescita in arrivo per l'economia Usa, ma il deficit nei prossimi dieci anni salirà sensibilmente, mentre la disoccupazione toccherà il suo punto massimo il prossimo anno. Il Pil americano si contrarrà nel 2009 del 2,8%, per poi tornare a crescere nel 2010 quando segnerà un +2%. Nel 2011 l'economia americana si espanderà del 3,8%. È quanto prevede la Casa Bianca, secondo al quale il tasso di disoccupazione 2009 si attesterà nel 2009 al 9,3% per poi salire nel 2010 al 9,8%.

DEFICIT - Sul fronte del deficit dei conti pubblici quest'ultimo toccherà quest'anno quota 1.580 miliardi di dollari, pari all'11,2% del Pil. La Casa Bianca ha rivisto al ribasso la stima fornita in precedenza di 1.841 miliardi di dollari. Il miglioramento è dovuto in larga misura alla cancellazione della voce di spesa da 250 miliardi di dollari che era stata inserita provvisoriamente per pagare un eventuale rifinanziamento dei fondi Tarp (la sigla sta per Troubled Asset Recovery Program e indica i soldi prestati dal governo alle banche per rendere più solidi i loro bilanci) . A causa della debolezza prevista per l'economia nei prossimi anni, la Casa Bianca ha tuttavia peggiorato le previsioni di deficit per i prossimi anni e ora vede un passivo per complessivi 9.050 miliardi entro il 2019 contro i 7100 miliardi di dollari inizialmente previsti.



25 agosto 2009



CALCIOMERCATO
Inter, giallo Sneijder: è atteso a Milano,
ma lui preferisce restare al Real

Secondo la stampa spagnola, il giocatore olandese avrebbe di nuovo cambiato idea sul trasferimento


MILANO - Una cosa è certa: l'idea di trasferirsi a Milano non lo entusiasma più di tanto. E non è ben chiaro se si tratti di motivi tecnici, geografici o economici. Fatto sta che Wesley Sneijder, obiettivo numero uno dell'Inter di Mourinho, avrebbe nuovamente cambiato idea. Almeno secondo quanto afferma l'edizione online del quotidiano "Marca". Dopo aver dato il via libera al suo passaggio in nerazzurro - anche perché il Real Madrid gli ha fatto capire di volerlo cedere - il trequartista olandese avrebbe fatto dietrofront.

DIETROFRONT - Eppure in mattinata l'affare sembrava in dirittura d'arrivo. Nelle ultime ore il giocatore, atteso a Milano, non avrebbe superato le sue perplessità a proposito di un passaggio in nerazzurro. Anche perché lui, nonostante la concorrenza di Kakà e Cristiano Ronaldo, è convinto di riuscire a far cambiare idea al suo allenatore., Pellegrini



25 agosto 2009

 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 26/8/2009, 12:55




fratello di john e bob fu portabandiera della battaglia per i diritti civili
Usa in lutto, morto Ted Kennedy
Obama: «Ho il cuore a pezzi»

Il senatore democratico, malato da tempo di un tumore al cervello, è deceduto all'età di 77 anni


Il Vecchio Leone e la fine di una dinastia di Ennio Caretto
Ted Kennedy (Reuters)
NEW YORK (USA) - E' morto a 77 anni seguito di una lunga malattia il senatore democratico americano Edward Kennedy (meglio noto come Ted) fratello dell'ex presidente degli Stati Uniti John Kennedy e del candidato alla presidenza Bob entrambi morti assassinati. «Abbiamo perso il centro insostituibile della nostra famiglia e della luce gioiosa della nostra vita, ma l'ispirazione della sua fede, ottimismo e perseveranza vivrà nei nostri cuori per sempre», si legge in un comunicato della famiglia citato dalla Cnn. «Ringraziamo tutti coloro che gli hanno dato assistenza nell'ultimo anno, e tutti quelli che lo hanno accompagnato nella sua incessante marcia per il progresso verso la giustizia».

OBAMA - «Ho il cuore spezzato» ha commentato il presidente degli Stati Uniti Barack Obama. «Un capitolo importante della nostra storia si è chiuso. Il nostro Paese - ha detto Obama in un comunicato diffuso da Martha's Vineyard, feudo proprio del clan Kennedy - ha perso un grande leader, che ha preso il testimone dei suoi fratelli caduti ed è diventato il più grande senatore degli Stati Uniti dei nostri tempi».

MALATO DA TEMPO - Ted Kennedy era malato da tempo di un tumore al cervello. Da giorni si rincorrevano voci circa un drastico peggioramento delle sue condizioni, alimentate anche dalla sua assenza al funerale della sorella Eunice Shriver Kennedy, due settimane fa. Kennedy aveva inoltre scritto una disperata lettera ai vertici del suo Stato, il Massachusetts, chiedendo di essere sostituito nel suo ruolo di senatore a Washington il prima possibile, senza aspettare l’elezione suppletiva necessaria per legge. Il senatore, infaticabile sostenitore di Barack Obama, temeva infatti che la sua assenza nuocesse al partito al momento di votare la tanto discussa riforma sanitaria.


CHI ERA - Nato a Boston il 22 febbraio 1932, ultimogenito di Joseph Kennedy e Rose Fitzgerald, cresciuto fra New York, la Florida e l’Inghilterra, Edward Moore Kennedy si laureò ad Harvard nel 1956, dopo essere stato espulso e poi riammesso per aver falsificato un esame di spagnolo. In seguito si specializzò in legge alla University of Virginia, curando nel frattempo la campagna elettorale del fratello John, eletto presidente nel 1960. Divenuto senatore del Massachussetts nel 1962 prendendo il posto del fratello grazie a una elezione suppletiva, Ted Kennedy non lascerà più l’impegno politico, venendo eletto per otto mandati consecutivi dal 1964 al 2006. Durante gli oltre quaranta anni nelle prime fila della politica di Washington, Kennedy ha avuto un ruolo fondamentale nella definizione delle strategie della sinistra americana, contribuendo attivamente alla realizzazione di leggi di impatto decisivo sulla vita dei cittadini. La sua storia riassume in modo emblematico quella della famiglia Kennedy, il più grande clan della politica americana, segnata da grandi trionfi così come da scandali e tragedie. Dopo l’omicidio di Jfk, il 22 novembre del 1963, e dopo averne dovuto comunicare la morte al padre, Ted si salvò nel 1964 da un incidente aereo nel quale morirono il pilota e un suo assistente. Il senatore rimase per diversi mesi in ospedale con alcune costole rotte, un polmone perforato, emorragie interne e forti dolori alla schiena che non lo abbandonarono più.





I MOMENTI STORICI - Fu sempre Ted nel 1968 a pronunciare l'elogio funebre di un altro fratello ucciso, Robert, al quale era profondamente legato. Dalla scomparsa del padre, nel 1969, il più giovane dei fratelli Kennedy divenne di fatto il patriarca della famiglia, oltre che il tutore dei 13 figli dei fratelli John e Robert. Lo scandalo che però ne ha segnato indelebilmente, e forse stroncato, l’ascesa politica risale alla notte del 18 luglio 1969. Di ritorno da una festa a Chappaquiddick Island, a Martha’s Vineyard, ebbe un incidente e finì in mare con l’auto. Ted Kennedy riuscì a salvarsi, lasciando però nella vettura la ragazza che era con lui, Mary Jo Kopechne. Il senatore non chiamò la polizia fino al giorno dopo, quando il corpo della donna fu ritrovato. Il 25 luglio si dichiarò colpevole di omissione di soccorso, negando però di essere ubriaco al momento dell’incidente, e fu condannato a due mesi di prigione, condanna poi sospesa. L’anno seguente Kennedy vinse nuovamente le elezioni per il Senato con il 62% dei voti. Nella sua unica corsa per la presidenza, nel 1980, venne sbaragliato durante le primarie dall’allora inquilino della Casa Bianca, Jimmy Carter. In seguito, alla convention democratica di Boston nel 2004, venne celebrato definitivamente come il patriarca del partito. Nel 2005 divenne inoltre il più anziano senatore in carica dopo Robert Byrd. Nel 2006 la rivista Time lo selezionò tra i migliori dieci senatori d’America. Il più giovane dei Kennedy è divenuto negli anni uno degli ultimi baluardi della sinistra del partito democratico, sebbene al Senato fosse tra i principali promotori delle coalizioni.


26 agosto 2009


I titolari della ricevitoria di BAGNONE: «VISTO? Non SIAMO NOI I VINCITORI»
La schedina d'oro in banca a Milano
Prima mossa del supermilionario. «Ce l'ha detto la Sisal»



MILANO - Il vincitore dei 148 milioni di euro al Superenalotto esiste e si è mosso. «La Sisal ci ha comunicato che la schedina vincitrice è stata depositata in una banca a Milano, nella giornata di martedì». Lo annuncia la figlia di Anna Maria Ciampini, titolare, insieme con Vanni Simonetti, del bar ricevitoria Biffi di Bagnone dove è stata giocata la schedina da 148 milioni di euro.

SOLLIEVO - La notizia del deposito a Milano è stata accolta con sollievo dai titolari del bar. «Non siamo noi i vincitori - sottolinea la ragazza - ormai deve essere ben chiaro. Nonostante questo, però, continuano ad arrivarci lettere di banche, finanziarie e singole persone che ci chiedono aiuto». I titolari del bar Biffi smentiscono, inoltre, la notizia pubblicata oggi dal tabloid tedesco Bild secondo cui Vanni Simonetti avrebbe ricevuto telefonate di minacce. Il giornale ipotizza che le minacce siano di matrice mafiosa. «No, nessuna minaccia - smentiscono con decisione al bar Biffi -. Non abbiamo alcuna intenzione di chiedere protezione alla polizia».


26 agosto 2009



l'omicida-suicida soffriva di crisi depressive
Genova: madre uccide il figlio e s'impicca
La donna ha strangolato il bimbo di 19 giorni con un cavo d'alimentazione per cellulari

GENOVA - Tragedia in un appartamento di Genova. Una donna di Genova, Sabrina Ricci, 35 anni, ha strangolato il proprio figlioletto di appena 19 giorni e poi si è tolta la vita impiccandosi. L'omicidio-suicidio si è consumato in un'abitazione di corso Martinetti a Genova. Il bambino è stato ucciso nel letto con un cavetto di alimentazione per telefoni cellulari. Madre e figlio erano in casa da soli. Secondo le prime indiscrezioni, il padre del bambino non avrebbe riconosciuto il figlio e la madre, disoccupata, avrebbe sofferto di depressione post partum.

LA SCOPERTA - Il cadavere della donna, sarebbe stato trovato vicino a quello del figlioletto. La donna si sarebbe infatti impiccata alla spalliera del letto. A trovare i due corpi privi di vita sembra sia stato il padre della donna, che aveva le chiavi di casa, preoccupato perchè la figlia da martedì sera non rispondeva al telefono. Secondo quanto appreso dal dirigente della sezione omicidi della squadra mobile Alessandra Bucci, si tratterebbe di un classico caso di depressione post-partum.

LE TESTIMONIANZE - La donna si era trasferita da poco a vivere nell'appartamento nel seminterrato di una palazzina di pochi piani di corso Martinetti, nel quartiere di Sampierdarena. I vicini di casa per ora preferiscono non parlare, ma quei pochi che si lasciano sfuggire qualche parola, raccontano di una donna che viveva da sola col proprio bimbo. Intanto il medico legale che ha fatto la prima ispezione sui due cadaveri, Andrea Leoncini, farebbe risalire la morte a martedì, tra il tardo pomeriggio e la sera. La donna si è impiccata alla spalliera del letto usando un cordino di nylon, mentre il piccolo è stato strangolato con un cavo di alimentazione per telefoni cellulari. Dopo il sopralluogo, gli investigatori della squadra mobile si sono allontanati col padre di Sabrina Ricci, che è stato accompagnato in questura per ulteriori accertamenti ed in particolare per ricostruire il contesto in cui la tragedia si è consumata. Del caso si occupa il sostituto procuratore Vittorio Ranieri Miniati. Secondo quanto riferito dalla polizia, nell'appartamento non sarebbe stato ritrovato alcuno scritto lasciato per motivare la decisione del gesto.


26 agosto 2009



Angelo De Rosa colpito all'addome da roberto scarpiello, 19 anni
Foggia: diciassettenne ucciso a coltellate
Lite nel centro storico della città. L'aggressore è un 19enne, già arrestato

MILANO - Un diciassettenne, Angelo De Rosa, è stato ucciso con una coltellata all'addome durante un litigio avvenuto verso le 22,30 di martedì nel centro storico a Foggia. A colpirlo sarebbe stato Roberto Scarpiello di 19 anni che, già arrestato dai carabinieri, ha confessato.

LA DINAMICA DEI FATTI - L'omicidio è avvenuto in piazza del Lago, in pieno centro cittadino. I due ragazzi hanno cominciato a litigare (per un apprezzamento a una ragazzina o più probabilmente per uno scherzo di cattivo gusto) e, ad un certo punto, Scarpiello ha tirato fuori un coltello col quale ha colpito De Rosa all'addome. Il ragazzo è stato portato immediatamente agli Ospedali Riuniti di Foggia dove è stato sottoposto a un delicato intervento chirurgico, ma le sue condizioni sono subito apparse disperate, tanto che i medici ne hanno disposto il trasferimento in un centro specializzato della Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo. Durante il tragitto, verso l'1.30, il giovane è morto. Al momento della lite erano presenti tanti giovani. I carabinieri hanno potuto raccogliere elementi utili per individuare ed arrestare il giovane presunto omicida.


26 agosto 2009



CALCIO E VIOLENZA
Torna l'incubo Hooligan in Inghilterra
Scontri e invasioni di campo al derby
Incidenti durante West Ham e Milwall. Un tifoso accoltellato. Zola: «Mai vista una cosa del genere»


LONDRA - Un tifoso accoltellato, scontri all'esterno dello stadio, tre invasioni di campo: il derby londinese tra West Ham e Milwall, disputato mercoledì per la Carling Cup, è stato caratterizzato da gravissimi episodi di violenza avvenuti all'interno e all'esterno dell'impianto di Upton Park, la casa degli 'hammers' allenati da Gianfranco Zola. Esponenti delle opposte tifoserie si sono affrontati nelle zone adiacenti allo stadio. Gli scontri, con lancio di sassi e bottiglie, si sono verificati nonostante la presenza delle forze dell'ordine, schierate per prevenire eventuali disordini. Un uomo di 44 anni è finito all'ospedale, in condizioni che non appaiono gravi, per una ferita da taglio. La situazione non è migliorata granché durante la partita, che il West Ham ha vinto 3-1 ai tempi supplementari.


INVASIONI DI CAMPO- La gara è stata condizionata da tre invasioni di campo. La prima si è verificata quando il West Ham ha firmato il gol dell'1-1 con Junior Stanislas a 3 minuti dalla fine dei tempi regolamentari. Il secondo episodio è avvenuto dopo la rete del 2-1 realizzata su rigore ancora da Stanislas. Polizia e steward hanno faticato per far uscire dal terreno di gioco una cinquantina di persone. Il match è stato sospeso per 6 minuti dal direttore di gara Paul Taylor. Il 3-1 siglato da Zavon Hines ha chiuso la partita: al triplice fischio finale, i giocatori sono fuggiti negli spogliatoi per evitare nuovi incontri ravvicinati con gli 'invasori'.

LA CONDANNA- «Condanniamo nel modo più assoluto ciò che è accaduto a Upton Park. Lavoreremo con tutte le parti in causa, polizia e club, per ricostruire i fatti», fa sapere la Football Association, la federazione inglese, attraverso un portavoce. La FA è pronta a bandire a vita dagli stadi i responsabili che verranno identificati: «Per loro non c'è posto nel nostro sport». «Ho giocato qui 7 anni e non ho mai visto niente del genere», ha commentato alla fine Zola. «Ero completamente scioccato, sapevo che questa partita aveva un significato particolare per le tifoserie, ma non immaginavo una situazione del genere. Cosa posso dire? Sono un uomo di sport, amo il calcio. Amo andare in campo per far divertire i tifosi, quello che è successo va al di là delle mie possibilità», ha aggiunto. Il West Ham ha annunciato che offrirà la massima collaborazione agli investigatori ed è pronto a intraprendere azioni nei confronti dei responsabili.

RIVALITA'- Il West Ham, che milita in Premier League, e il Millwall, che gioca in terza divisione, non si incontravano dal 2005. La rivalità tra 'hammers' e 'lions' è nota, così come la fama che accompagna i sostenitori del Millwall. Questi ultimi però non sarebbero responsabili dei disordini all'interno dello stadio secondo quanto ha affermato Kenny Jackett, manager della formazione ospite: «Non ho temuto per la mia sicurezza. Non c'erano tifosi del Millwall sul campo, sono rimasti dove dovevano rimanere. Non sapevo dell'accoltellamento all'esterno dello stadio, mi dispiace molto. In questo paese c'è grande passione per il calcio, ma quando si supera il limite bisogna prendere provvedimenti».


26 agosto 2009

 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 26/8/2009, 18:41




«Biotestamento, farò il possibile per correggere il testo»
Monito di Fini sull'immigrazione:
«L'approccio emotivo è miope»

ìIl presidente della Camera interviene alla Festa del Pd: «No a politiche vagamente razziste»


ROMA - Il tema dell'immigrazione non deve essere piegato alla «propaganda quotidiana». Gianfranco Fini interviene alla Festa del Pd di Genova e lancia quello che appare come un monito dopo le polemiche degli ultimi giorni (non ultima lo scontro tra Lega e Vaticano). «Affrontare un tema così grande, con un'ottica riduttiva, che qualche esponente politico sembra avere - afferma il presidente della Camera - rischia di non portarci da nessun parte. L'approccio emotivo e fondato soltanto sulla questione della sicurezza dei cittadini italiani è miope e sbagliato». Non solo. Secondo Fini, i diritti fondamentali dell'uomo sono «universali e non possono essere negati. Di fronte a ciò, e alla portata biblica delle migrazioni, le risposte devono essere quanto più globali possibile, innanzitutto dalla parte ricca del pianeta nei confronti del Sud del mondo. Il problema delle migrazioni non lo risolvi quando il migrante è sul tuo uscio di casa».

NO A POLITICHE RAZZISTE - «Spogliandosi dei panni del presidente della Camera», e tornando a vestire quelli di «uno dei fondatori del Pdl», Fini rimarca le differenze rispetto all'approccio leghista proprio sul tema dell'immigrazione: «Ho l'impressione che il Carroccio continui a guardare con lo specchietto retrovisore, o se volete guarda al quotidiano. Mi auguro che il Pdl comprenda che se si limita a produrre una fotocopia della politica dell'originale, dove per originale si intende la Lega Nord, è naturale che l'originale sia sempre più gradito. Per questo è necessario che il Pdl affini l'approccio alla materia». «Chi arriva in Italia è una persona - ribadisce poi. - La distinzione tra regolare e clandestino non può essere la cartina al tornasole per orientare una politica». Fini sintetizza il suo pensiero con una formula: «Estremo rigore nel rispetto delle regole fondamentali per l'ingresso e la permanenza sul territorio nazionale, ma censura nei confronti di qualsiasi politica che sia vagamente discriminatoria, xenofoba, razzista». E poi aggiunge: «Alcune politiche fatte in Italia non dovevano essere inserite in un provvedimento normativo e sono lieto che il Parlamento abbia detto di no». Il presidente della Camera fa un esempio: «La norma che prevedeva che se un clandestino si presenta in ospedale non ha diritto di essere curato». Fini lancia però un avvertimento. «Attenzione a non cadere nell'eccesso contrario, nel pensare cioè che tutti coloro che arrivano in Italia abbiano la possibilità di farlo».

LEGA E CHIESA - Il presidente della Camera accoglie comunque positivamente il chiarimento del Carroccio dopo l'articolo della "Padania" che parlava di una possibile revisione del Concordato. «È positivo che la Lega nord abbia detto 'non se ne discute, il Concordato non c'entra nulla'. E ci mancherebbe». «La Chiesa - aggiunge - lancia un messaggio di carattere universale: come si può pensare che abbia un'ottica nazionale? Non si può piegare la Chiesa alla propaganda quotidiana, come se fosse un perenne comizio di periferia quello che viene da una fonte così autorevole».

BIOTESTAMENTO - Fini affronta anche la questione "biotestamento" e promette che farà «il possibile per correggere il testo alla Camera». «Non credo che si tratti di favorire la morte - spiega - ma di prendere atto della impossibilità di impedirla, affidando all'affetto dei familiari e alla scienza dei medici la decisione». «Non voglio fare nessuna crociata contro i cattolici, per i quali ho il massimo rispetto - afferma - ma chi dice che su queste questioni decide la Chiesa e non il Parlamento per me è un clericale. Io dico di no, spetta al Parlamento decidere». «Ogni cittadino e ogni parlamentare - ribadisce - deve rispondere alla sua personale coscienza. Su questioni relative alla vita e alla morte non ci può essere un vincolo di maggioranza o di partito».


26 agosto 2009


IMMIGRAZIONE
Malta: «Ecco la foto degli eritrei,
erano in buone condizioni di salute»

Diffusa un'immagine aerea del gommone. Ma uno
dei migranti conferma la morte di 73 persone



MILANO - Le forze armate maltesi hanno diffuso una foto aerea che ritrae il gommone dei cinque eritrei arrivati nei giorni scorsi in Italia. La foto, che risale al 19 agosto, mostra l'imbarcazione con le cinque persone a bordo mentre si trovava in acque libiche, affiancata da una motovedetta militare maltese, identificata con il numero P61. «Questa immagine mostra chiaramente l'eccellente stato di pulizia in cui si trovava il gommone intercettato e anche il buon stato di salute dei suoi occupanti che si vedono seduti dentro», afferma una nota che accompagna l'immagine, inviata dal maggiore Ivan M. Consiglio del servizio relazioni pubbliche delle forze armate di Malta.

ERITREO CONFERMA - Intanto il sostituto procuratore della Repubblica di Agrigento, Santo Fornasier, ha completato l'interrogatorio di tre dei cinque eritrei sopravvissuti alla traversata del Canale di Sicilia che secondo il loro racconto è costata la vita ad almeno 73 connazionali. Due migranti erano stati sentiti martedì, ora è stato ascoltato il terzo. Secondo quanto si è appreso i tre hanno confermato la versione già raccolta dalle forze dell'ordine che li avevano soccorsi giovedì al largo di Lampedusa, e hanno ribadito le accuse verso le autorità maltesi che non li avrebbero soccorsi ma solo riforniti di acqua e salvagente invitandoli a proseguire verso le acque italiane. Il procuratore della Repubblica Renato Di Natale ha confermato che si sta valutando l'ipotesi di una rogatoria internazionale a Malta per accertare esattamente che cosa è accaduto anche con l'ausilio delle autorità maltesi. È stato intanto dimesso dall'ospedale «Cervello» di Palermo l'eritreo ricoverato per disidratazione assieme all'unica donna del gruppo, che resta invece in cura sia perché appare tuttora disidradata sia per alcune piaghe alla schiena. Le sue condizioni non sono comunque gravi. L'uomo dimesso è stato trasferito in una struttura di accoglienza.


26 agosto 2009




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Le immagini pubblicate da Sun e Telegraph
L'ultima sul mostro di Loch Ness:
appare su Google Earth

«Nessie» sul Web, con le foto riprese dal satellite. Gli scettici: «Si tratta di una barca»

MILANO - Dopo tanto silenzio, «Nessie», l'illustre inquilino del Lago di Loch Ness, sembra si sia rifatto vivo. Perlomeno in Rete. Chi cerca trova: aprendo il portale di Google Earth - esattamente al grado di latitudine 57°12'52.13"N e quello di longitudine 4°34'14.16" W, ecco veder spuntare la sagoma di una bizzarra creatura. L'oggetto misterioso è stato scoperto da Jason Cooke, un 25enne addetto alla sicurezza di Nottingham. Al tabloid Sun, che oltre al Telegraph, ha diffuso la notizia, ha dichiarato: «Non potevo crederci. Corrisponde fedelmente alla descrizione di Nessie». Sono solo alcune macchie bianche quelle che si vedono attraverso gli scatti dell'occhio del satellite di Google. L'essere misterioso sarebbe lungo circa 20 metri.

I DUBBI - Abile uso di Photoshop o incredibile ritrovamento? Il ricercatore Adrian Shine del «Loch Ness Project» ha spiegato al giornale inglese che «è veramente sbalorditivo - dobbiamo però analizzarlo più precisamente». Già, anche perché da anni non si ha più segno di vita del mostro: alcuni sostengono sia scomparso - vittima probabilmente del cambiamento climatico. Il più soddisfatto è Gary Campbell, a capo del fan club ufficiale del mostro. Ciononostante: «Per troppo tempo non si hanno più avuto avvistamenti che potessero provare che Nessi e la sua famiglia siano in buona salute», ha aggiunto Campbell. Per i più scettici, invece, «ci vuole molta fantasia per vedere in quella chiazza il mostro di Loch Ness. Più semplicemente si tratta di una barca la cui prua e poppa rimbalzano sul lago.

PRIMO AVVISTAMENTO NEL 565 - Il primo avvistamento del mostro risale al 565 d.C., quando un monaco irlandese raccontò di aver assistito al funerale di un uomo «catturato da una selvaggia bestia marina». Da allora il mito è cresciuto, gli avvistamenti pure, i sostenitori sicuramente, ma soprattutto il turismo di curiosi in questa zona.

Elmar Burchia
26 agosto 2009
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 27/8/2009, 10:38




A Siracusa 53 curdi. Arrestati due presunti scafisti
Immigrati: nuovi sbarchi a Malta
e in Sicilia. C'è anche una vittima

Sull'isola maltese arrivate 80 persone, tra le quali 14 donne e una bambina. Un morto recuperato in mare


LA VALLETTA - Nuovi sbarchi di extracomunitari a Malta e in Sicilia il giorno dopo la diffusione da parte delle autorità della Valletta di una foto che ritrae il gommone che trasportava 78 eritrei di cui solo cinque si sono salvati. Altri due gommoni con in tutto ottanta persone a bordo, uno dei quali morto, sono giunti a Malta. Il primo natante è arrivato direttamente a terra a Marsaxlokk; il secondo è stato intercettato dalla Marina maltese al largo delle coste di Birzebbugia. La vittima si trovava accanto al natante soccorso alla deriva. Tra i clandestini arrivati ci sono quattordici donne, tra cui tre in gravidanza, e una bimba di 7 anni.

SICILIA - Sono giunti a Siracusa mercoledì sera altri 55 migranti a bordo di un peschereccio intercettato da un aereo della Guardia di finanza a 70 miglia a sud-est di Portopalo di Capo Passero. Due di loro sono stati arrestati con l'accusa di essere gli scafisti che hanno pilotato l'imbarcazione. I restanti 53, che hanno detto di essere curdi iracheni o turchi, sono stati condotti nel centro di accoglienza di Pozzallo (Ragusa).


27 agosto 2009



Giovane morto per sala operatoria chiusa, polemiche nel Nisseno
Sanità Calabria, nuova morte sospetta
Sicilia, proteste dopo decesso 23enne

Catanzaro, 61enne deceduto dopo essersi presentato al pronto soccorso con dolori al petto ed ai reni

CATANZARO - Ancora un caso (è il quinto dal dieci agosto scorso) di morte sospetta in Calabria. Il Quotidiano della Calabria riporta la vicenda di Felice Antonio Caligiuri, di 61 anni, morto due giorni fa nell'ospedale Pugliese-Ciaccio di Catanzaro. L'uomo, secondo quanto riferisce il giornale, si è presentato al pronto soccorso dell'ospedale la sera del 24 con forti dolori al petto ed ai reni e con una gamba immobilizzata. Le sue condizioni sono lievemente migliorate grazie anche ad una flebo fatta in ambulanza, e dopo la mezzanotte, non essendo stato visitato da un medico ha deciso di lasciare l'ospedale. Il 25, però, l'uomo ha accusato nuovamente forti dolori al petto ed il figlio lo ha riportato in ospedale dove sarebbe stato classificato come un codice bianco. Dopo alcune ore di attesa, scrive Il Quotidiano, all'uomo, è stato fatto un elettrocardiogramma, ma Felice Antonio Caligiuri è morto prima di conoscerne l'esito. Sulla vicenda i familiari hanno presentato una denuncia alla polizia. Le indagini sono condotte dalla squadra mobile e coordinate dalla Procura.

I FUNERALI DI SARA A LOCRI - Saranno celebrati nel pomeriggio a Casignana i funerali di Sara Sarti, la bambina di cinque anni morta lunedì scorso nell'ospedale di Locri per cause in corso d'accertamento. Le esequie sono state fissate dopo che la salma della bambina, a conclusione dell'autopsia, è stata consegnata ai genitori. Il sindaco di Casignana, Pietro Armando Crinò, ha proclamato per giovedì, in coincidenza con i funerali di Sara Sarti, il lutto cittadino.

PROTESTE IN SICILIA - Un caso di malasanità anche in Sicilia. La morte di un giovane che era rimasto ferito gravemente in un incidente stradale e che i medici non avevano potuto soccorrere perché la sala operatoria è chiusa ha scatenato a Mazzarino (Caltanissetta) la protesta dell'intero paese. Tutti i negozi giovedì mattina sono rimasti chiusi e dimostranti occupano dalla notte scorsa la strada 626 Caltanissetta-Gela, dove lo svincolo di Judica e altri bivi sono stati bloccati con autovetture e trattori. A scatenare la rabbia della popolazione di Mazzarino, la vicenda di Filippo Li Gambi, 23 anni. Il giovane giovedì scorso aveva auto un incidente con la sua motocicletta e nella caduta si era tranciato una gamba. Era stato trasportato all'ospedale «Santo Stefano» del paese, ma i medici non avevano potuto intervenire perchè la sala operatoria era chiusa, e avevano fatto trasferire Filippo al «Sant'Elia» di Caltanissetta, dov'era deceduto subito dopo il ricovero, probabilmente a causa dell'imponente emorragia. Mercoledì sera, subito dopo i funerali, il padre del ragazzo, Giovanni Li Gambi, si era incatenato nell'ospedale di Mazzarino. I suoi concittadini, solidali con lui ma allo stesso tempo indignati per il disservizio che la chiusura della sala operatoria comporta, nella notte sono scesi in piazza. La strada 626 è occupata dalla mezzanotte circa, e in mattinata i blocchi sono stati organizzati in più punti della Caltanissetta-Gela.



27 agosto 2009



la violenza fuori dal gay village di roma
«Svastichella» al gip : «Mi hanno provocato. Non ho niente contro i gay»
In carcere, il pregiudicato 40enne è interrogato
dal giudice: «E' stata una aggressione reciproca»


«Sono stato provocato, si è trattato di una reciproca aggressione: non ho niente contro gli omosessuali,». Parla Alessandro Sardelli, alias «Svastichella». Il 40enne, durante l'interrogatorio di garanzia a Regina Coeli, ha fornito la sua versione di quanto è avvenuto fuori dal Gay Village. «E' stato un incidente» ha ripetuto riferendosi all'aggressione e il ferimento di due giovani omosessuali che hanno denunciato di essere stati assaliti soltanto perchè si stavano baciando.

«NON SO NULLA DEL COLTELLO» - Assistito dall’avvocato di ufficio Annamaria Di Giacomo, Sardelli ha sottolineato di aver reagito a una aggressione e di non aver nulla contro gli omosessuali in genere. All’interrogatorio è stato presente anche il pm Pietro Pollidori. Sardelli, conosciuto come «Svastichella», ha poi aggiunto di non sapere nulla del coltello, dell’arma da taglio che sarebbe stata usata per colpire il giovane gay. Gli inquirenti comunque ritengono la ricostruzione offerta nel corso dell’interrogatorio coerente con le ipotesi accusatorie.


27 agosto 2009




Il governo lancia un piano per le donazioni. E ammette:
due operazioni su tre fatte a danno dei detenuti giustiziati

Cina, dal boia all'espianto di organi
"Sì, abbiamo usato i condannati"



UN COLPO DI PISTOLA alla nuca del condannato e dottori ad aspettarne il corpo in ambulanza per affrettarsi a rimuoverne cuore, reni e fegato una volta certificatane la morte: è così che avvengono due operazioni di espianto degli organi su tre in Cina. Dopo anni di sospetti e denunce, ad ammettere per la prima volta l'ampiezza del fenomeno è stato lo stesso viceministro della Sanità Huang Jiefu annunciando al quotidiano China Daily un nuovo programma nazionale di donazione degli organi che contrasti il mercato nero e rispetti al contempo i diritti dei detenuti nel braccio della morte.

In un Paese la cui popolazione respinge culturalmente l'idea di venire seppellita senza che il proprio corpo sia intatto, solo 130 persone in 7 anni hanno autorizzato la donazione degli organi. Per colmare il divario tra domanda e offerta, il governo - che uccide il più alto numero di detenuti al mondo, 1718 nel 2008 secondo Amnesty International - è perciò ricorso nel 65% dei casi ai condannati a morte. Ufficialmente i detenuti dovrebbero prestare il loro consenso scritto, ma l'opaco sistema giudiziario cinese ha lasciato ampio spazio agli abusi. Che però non sono bastati: su 1 milione di cinesi in attesa di un nuovo organo, solo l'1% l'anno riesce a ottenerlo.

In questo contesto non ha faticato a nascere un fiorente mercato nero che richiama anche numerosi stranieri, i cosiddetti "turisti dei trapianti". Un mercato neppure tanto oscuro: le inserzioni dei "trafficanti di organi" si trovano facilmente su internet. Basta andare sul sito daifumd. com (daifu in cinese vuol dire dottore) per imbattersi nell'annuncio di un 35enne che mette in vendita il suo rene per 200/300mila yuan, 20/30mila euro. Neppure la legge che dal 2007 impone che i donatori vivi siano il coniuge o un consanguineo ha fermato i trapianti illegali: sono anzi aumentati dal 15% del totale nel 2006 al 49%. Per aggirare la legge del resto basta falsificare i documenti o comprare la complicità dei funzionari. Laddove vendere un organo può fruttare migliaia di euro, si fa sempre più fatica a trovare donatori volontari. Ed è per spezzare questo circolo vizioso che priva di speranza milioni di malati, i più poveri, che il nuovo sistema - ha spiegato Jiefu - aiuterà finanziariamente non solo chi aspetta un trapianto, ma anche il donatore.
(27 agosto 2009)
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 27/8/2009, 18:51




erano scomparsi lunedì. erano in cordata, hanno fatto una caduta di 200 metri
Svizzera: trovati morti 2 alpinisti italiani
Davide Bassani e Giuseppe Picone, entrambi della provincia di Varese, hanno perso la vita sul Lagginhorn

MILANO - Due alpinisti della provincia di Varese hanno perso la vita in Svizzera a seguito di un incidente di montagna. Davide Bassani, 46 anni, originario di Vergiate, ma che lavorava a Golasecca dove faceva il parrucchiere, e Giuseppe Picone, 62 anni, di Golasecca, sono morti durante un’ascensione sulla montagna svizzera del Lagginhorn.

LE RICERCHE - I due erano scomparsi da lunedì 24 agosto, quando erano stati visti per l'ultima volta dal gestore del rifugio Weissmies. Ricerche erano state effettuate dalla polizia cantonale vallese fin dal giorno successivo, ma le cattive condizioni metereologiche nella zona le avevano interrotte. Oggi la scoperta: i corpi sono stati trovati a 3300 metri di quota. I due, che erano in cordata, hanno fatto, per motivi ancora da chiarire, un volo di quasi 200 metri.



27 agosto 2009

 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 28/8/2009, 10:47




LE STORIE
Ecco i piccoli che rischiano: dal distretto dei salotti ai centri commerciali
La Piquattro di Matera e i prefabbricati in magazzino


«Siamo abituati a combattere e combattiamo. Ma per evitare la catastrofe ci devono dare altre armi». Il secondo autunno di crisi si avvicina, a soffrire di più sono le piccole e medie imprese, corpo e anima della nostra economia. E per capire quanta fatica ci sia in questa anima e in questo corpo basta arrivare a Calolziocorte, provincia di Lecco, e bussare alla porta della Castelli Pietro srl. È vero, Piermario Muzzolon combatte ancora. Ma sopra la sua azienda vede un cielo grigio: 65 dipendenti, 40 in cassa integrazione da gennaio, un fatturato in picchiata del 60%. Il settore è di quelli a rischio: trattamento termico dei metalli, cioè indurimento di bulloni e parti meccaniche. Di quali «altre armi» parla il signor Muzzolon? «A farci male non è solo il calo della domanda e la concorrenza di Cina e India. Lo sapete che in Italia l'energia costa il 30% in più della media europea? Un handicap del 3% lo posso recuperare lavorando sull'efficienza, ma così rischio di chiudere».

Chiudere, eccola la parola maledetta che nessun imprenditore vuole sentire.
Operaio protesta sui binari a Termini Imerese
Perché dietro non c'è solo un fallimento d'impresa ma anche una sconfitta personale, spesso di una famiglia, a volte di generazioni. Eppure sono tanti i segnali raccolti dalle antenne delle associazioni che seguono le piccole e medie imprese come Confapi, Cna, Confesercenti e le camere di commercio. Da Calolziocorte a Poggibonsi, in Toscana, la paura è la stessa. Fonderie Bartalesi, fatturato di 6 milioni di euro, 25 dipendenti, cassa integrazione a rotazione. E tutti in trincea: per limitare i danni gli operai sono stati utilizzati per la manutenzione degli impianti, rinunciando alla solita ditta esterna. E ad agosto capannone aperto per intercettare le poche commesse che altri, in ferie, non potevano soddisfare: «Ci è andata bene — racconta il titolare Fabio Petri — ci è arrivata una commessa dalla Francia, stampi per bottiglie. Ma da gennaio gli ordini sono praticamente fermi». Loro alla concorrenza cinese hanno risposto alzando il tiro, prodotti di qualità che in Cina (per ora) non riescono ancora a produrre: «Per questo avevamo investito 3 milioni di euro. Ma se non riparte la domanda non possiamo arrampicarci sugli specchi». È il contrappasso di questo autunno di crisi: chi ha investito lanciando il cuore oltre l'ostacolo si trova peggio di chi si era limitato a vivacchiare. Una beffa che non risparmia nemmeno i più piccoli. Un mese fa Marino Francesconi ha abbassato per l'ultima volta la serranda del suo negozio di elettrodomestici a San Cesario, in provincia di Modena. Fine attività, per fortuna il locale era suo e l'ha affittato: «Ma solo perché me lo ha chiesto una banca. altrimenti avrei detto di no: qualsiasi negozio sarebbe finito a rotoli. E io con loro».

Il primo guaio sono stati i centri commerciali: «Hanno aperto ovunque e da me non veniva più nessuno. Ho provato a riciclarmi, ho investito sull'assistenza e riparavo le lavatrici che tutti compravano al Mercatone e all'Ipercoop. Ci ho rimesso per due anni, poi è arrivata pure la crisi e ho detto basta». Forse non consolerà il signor Francesconi, ma anche per i centri commerciali non è proprio aria. La Ottavi prefabbricati — 50 dipendenti a Sant'egidio alla vibrata, in Abruzzo — costruisce e poi rivende terreni e strutture per iper in tutto il Centro sud: «Abbiamo 200 mila metri quadri di strutture pronti — dice Vincenzo Ottavi — ma non si muove una foglia». Lui punta il dito contro un altro nemico classico dell'imprenditore, la burocrazia: «Quando l'economia andava non riuscivamo a lavorare perché ci vogliono due anni solo per approvare una variante urbanistica. Prima o poi le cose ripartiranno ma noi saremo sempre fermi per colpa di quelli lì. E nel frattempo, magari, di crisi ne arriva un'altra». La Piquattro di Matera fa parte di quel distretto del salotto che in pochi anni ha visto crollare i lavoratori da 15 mila a 5 mila. Loro, 50 dipendenti, hanno risposto puntando su prodotti di gamma più alta, specie per i ricchi mercati del Nord Europa. Ma adesso sono guai: «Abbiamo un patrimonio di 15 milioni di euro — spiega Antonio Manfredi — ma in questo momento non facciamo utili. La banca non ci finanzia e noi non riusciamo a comprare le materie prime. L'ossigeno serve quando uno sta per morire. Se uno è già morto che glielo dai a fare?»


california, Il patrigno: «È stato come vincere alla lotteria»
Rapita nel 1991 si presenta dalla polizia
Prigioniera in un rifugio per diciotto anni

Jaycee Lee Dugard è stata sequestrata e tenuta segregata da Nancy e Phil Garrido, che da lei ha avuto due figlie

WASHINGTON – Jaycee era scomparsa nel giugno del 1991, rapita da due persone poco lontana da casa a South Lake Tahoe, California. Aveva solo 11 anni. Mercoledì una ragazza si è presentata alla polizia di Antioch, non lontano da San Francisco sostenendo di essere Jaycee Lee Dugard. E grazie alle sue informazioni gli agenti hanno arrestato una coppia con l’accusa di rapimento.

PRUDENZA - Gli investigatori federali sono prudenti sulla svolta nel caso mentre gli uomini dello Sceriffo di Antioch si dicono sicuri al 99 per cento che si tratti proprio di Jaycee, anche se la risposta definitiva verrà dal test del Dna. «È stato come vincere alla lotteria», è stata la reazione del patrigno che dopo 18 anni aveva ben poche speranze di riabbracciare la ragazza. Il caso aveva suscitato grande commozione. Jaycee era stata portata via a forza da due persone scese da un’auto poco lontano dalla sua abitazione. Invano il patrigno aveva cercato di inseguire in bici i sequestratori. Dramma nel dramma, l’uomo - per diverso tempo - era stato tenuto d’occhio dall’Fbi che lo riteneva coinvolto nella sparizione della figlia.



Phil Garrido (Epa)
I RAPITORI - I rapitori sono Phil e Nancy Garrido, 58 e 55 anni, descritti da chi li conosce come «persone normali». Un vicino però ha aggiunto un particolare interessante: «Non ha mai visto una ragazza nella casa dei due. Con loro - ha spiegato - viveva solo la madre di Phil, costretta a letto da una paralisi». Sempre informazioni di stampa hanno rivelato che Garrido sarebbe segnalato come «predatore sessuale» ed avrebbe dunque dei precedenti.

RIFUGIO SEGRETO - Non solo Phil Garrido ha rapito 18 anni fa Jaycee Dugard, ma l’ha confinata in un rifugio segreto e da lei avrebbe avuto due figlie. Due ragazzine di 11 e 15 anni che non sono mai andate a scuola, né hanno visto un dottore e sono state obbligate a vivere in una specie di nascondiglio creato nel cortile della sua abitazione. C’è chi lo ha definito un "nucleo" composto da baracche e tende, una doccia rudimentale e con almeno un ambiente insonorizzato. Attorno poi una recinzione. La luce era garantita da un cavo collegato all’abitazione principale. Dettagli sconvolgenti che potrebbero essere seguiti da altri.

RICOSTRUZIONE - Nel giugno 1991 Jaycee viene rapita a pochi metri dalla sua abitazione a South Lake Tahoe, California. Due persone, scese da una strana vettura, l’afferrano e fuggono. Invano il patrigno cerca di inseguirli in bici. Le successive indagini non portano a risultati. Neppure l’interesse di popolari trasmissioni tv, come American Most Wanted, spingono qualcuno a parlare.


Il rifugio dove la ragazza è stata segregata (Epa)
LA SVOLTA - La sconvolgente vicenda emerge martedì quando Garrido entra nell’Università di Berkeley per distribuire opuscoli religiosi. La sicurezza del campus lo ferma per un controllo scoprendo che ha precedenti penali per violenza sessuale ed è in libertà vigilata. L’uomo è allora convocato dalla polizia a Concord, vicino a San Francisco, dove incontra il funzionario che segue il suo caso. Garrido si presenta con la moglie Nancy, due ragazzine e una donna che dice di chiamarsi Allissa. L’investigatore si insospettisce perché ha visitato più volte la casa di Garrido ad Antioch ma non aveva mai notato "Allissa" e i bambini. Pone allora delle domande precise e la misteriosa ragazza rivela sua vera identità: sono Jaycee Dugart.

I CONTROLLI - Gli agenti raggiungono l’abitazione di Garrido ed entrano nella "prigione" non visibile dall’esterno. È qui che Jaycee sarebbe stata tenuta in questi anni insieme alle figlie avute dal mostro. Sembra che in passato un vicino avesse notato le minori e avesse avvertito le autorità ma non era stato trovato nulla di anormale. Per la semplice ragione - ha ammesso la polizia - che non avevano perquisito il recinto nel cortile. In realtà qualche dubbio era venuto agli abitanti della zona ma dicono - oggi - che non sospettavano vi fossero delle persone tenute in ostaggio. La titolare di un negozio, Cheyvonne Molino, ha invece ricordato che l’uomo si era presentato in giugno insieme alle bambine nel suo locale: «Mi erano sembrate molto timide».

IL PERSONAGGIO – Garrido, oltre alle sue perversioni, era noto per i comportamenti strani. Predicava il ritorno alla religione e sosteneva di essere in grado di controllare il suono con la sua mente. E nelle prime dichiarazioni rilasciate dopo l’arresto ha sorpreso tutti affermando che la sua relazione con le vittime era affettuosa e calorosa.



la flessione rispetto al mese di giugno è dello 0,4%
Istat: a luglio i prezzi alla produzione industriale scesi del 7,5% su base annua
Il calo tendenziale è il più alto addirittura da gennaio 1992

MILANO - Ancora un segnale della crisi in atto. I prezzi alla produzione industriale nel mese di luglio sono diminuiti dello 0,4% rispetto a giugno e del 7,5% su luglio 2008. Lo comunica l'Istat, precisando che il calo tendenziale è il più ampio non solo da gennaio 2006, data di inizio della serie di dati confrontabili, ma addirittura da gennaio 1992.

CONFRONTO - Secondo l'Istat nel confronto tra la media degli ultimi tre mesi (maggio-giugno) e quella dei tre mesi precedenti l'indice è diminuito dello 0,2%. Nel mercato interno si registra un calo congiunturale dello 0,6% e una diminuzione tendenziale dell'8,5%. Trend simile anche sul mercato estero, dove l'indice scende dello 0,2% su base mensile e del 4% su base annua.







E sul caso Berlusconi: «E' normale che la Chiesa lo critichi»
Bossi a Fini: «È la Lega che porta voti»
Il Senatùr replica al presidente della Camera che aveva esortato il Pdl a non replicare la linea del Carroccio

Veltroni: via da Facebook lo slogan razzista (27 agosto 2009)
Umberto Bossi in canottiera questa estate a Calalzo di Cadore (Stefano Cavicchi)
MILANO - «Peccato che la Lega porti i voti». Così il leader della Lega Nord Umberto Bossi risponde, da Melzo, nel Milanese, dove ha tenuto un comizio, alle parole del presidente della Camera Gianfranco Fini, secondo il quale il Pdl non deve replicare la linea politica della Lega.

«MOSCHEA A MILANO? SPERO DI NO» - Prima di prendere la parola dal palco, parlando con i cronisti il Senatùr ha detto di auspicare che non si concretizzi l'auspicio formulato dal vicario episcopale della cittá di Milano, monsignor Erminio De Scalzi, secondo il quale è tempo che i musulmani a Milano abbiano un loro luogo di culto. «Spero di no», commenta Bossi.

IMMIGRAZIONE, FACEBOOK E L'EUROPA - E quanto alle polemiche su posizioni razziste emerse dal social network Facebook e attribuite alla Lega (un videogioco dal titolo «Rimbalza il clandestino», per il quale è stato chiamato in causa direttamente il figlio di Bossi, Renzo; e un manifesto che invitava a "torturare" i clandestini) il capo del Carroccio ha precisato che il suo partito «non c'entra». «Il popolo leghista -ha aggiunto il leader del Carroccio - è troppo intelligente e ora basta che uno dica una stupidaggine... non sanno come fermare la valanga. Può darsi che ci sia qualche pirla che la pensa così, ma noi siamo per aiutare gli immigrati a casa loro e non qui. Abbiamo milioni di immigrati e non abbiamo posti di lavoro». «Le carceri sono una cosa spaventosa, gli immigrati sono ammucchiati lì e non va bene - ha poi detto Bossi -. In fondo sono persone anche loro. L'Europa parla ma non dà mai i soldi».

IL FEDERALISMO FISCALE - Bossi ha poi difeso il federalismo fiscale spiegando che «se tu i soldi li butti via, lo Stato non te ne dará più: ti darà un calcio in culo invece dei soldi». «Ci devono spiegare -continua Bossi- perchè a Milano un rotolo di carta costa x e in certe regioni costa 5 volte tanto. Ve lo dico io: se li grattano, altro che».

BERLUSCONI È ODIATO DALLA MAFIA - Bossi, infine, ha invitato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a stare «attento» alle vendette della mafia possibili per la sua azione di governo contro la criminalità organizzata e ipotizza che la vicenda delle donne «possa essere stata organizzata proprio dalla mafia per colpirlo». «Credo poco che il premier possa andare di qua e di là con le donne. Sono cose in gran parte inventate - ha premesso Bossi - piuttosto Berlusconi è odiato dalla mafia e se non sta attento la mafia può fargli del male. Io ho pensato che quella storia delle donne sia per quel problema lì: la legge approvata sul sequestro dei beni mafiosi, che alla mafia ha fatto un male enorme». «Stai attento Berlusconi - ha continuato Bossi - perché quelli non perdonano, la mafia è vendicativa».

IL «TRAPPOLONE» E LA CHIESA - In un'intervista a Repubblica, Bossi ha poi evidenziato che «Berlusconi è una brava persona, mi dispiace per tutto il casino che gli è scoppiato. Mi dispiace per la famiglia, per i figli. È caduto in un trappolone. Sì degli errori li ha fatti. È stato ingenuo. Altri più furbi di lui non ci sarebbero cascati. Chi le fa le organizza bene» Quanto alle prese di posizione di ambienti ecclesiastici Bossi rileva: «È giusto che lo abbiano invitato a cambiare stile di vita. È giusto e normale. La Chiesa indica degli indirizzi morali. È chiaro che non può non farlo con un leader politico che guida un Paese. È sempre stato così nella storia dei rapporti tra Stato e Chiesa». Quanto all'immagine del premier italiano all'estero, Bossi dice: «Nel mondo ci sono tanti di quei problemi che gli Stati hanno molte altre cose a cui pensare che non alle donnine. E comunque Berlusconi resta saldo al timone, è riuscito a tenere in piedi la baracca. Finche c'è la Lega, poi, può stare tranquillo».





Obama ha definito un oltraggio le feste a Tripoli, Brown si è detto disgustato
Alla vigilia del viaggio era opportuno un gesto solidale con l'America
Usa irritati con il governo italiano
per il silenzio sul colpevole di Lockerbie

Preoccupano le provocazioni anti-americane del Colonnello






NEW YORK - "Ma il governo italiano ha condannato l'accoglienza trionfale che il terrorista di Lockerbie ha ricevuto in Libia?" È la domanda che mi rivolge il mio interlocutore alla Casa Bianca. Una domanda retorica, naturalmente. All'Amministrazione Obama, tramite il Dipartimento di Stato, il National Security Council e l'Ambasciata Usa a Roma, non mancano certo i mezzi tecnici per monitorare le dichiarazioni del nostro governo. Quella domanda è un modo cortese per esprimere la perplessità e il disagio di Washington sul silenzio del governo italiano, alla vigilia del viaggio di Berlusconi a Tripoli.

Una visita ad alto rischio di gaffes, dopo l'accoglienza trionfale organizzata dal governo libico per Ali al-Megrahi, colpevole della strage nei cieli della Scozia in cui undici anni fa morirono 189 americani. Condannato all'ergastolo, al-Megrahi è stato rilasciato da Glasgow perché sarebbe malato di cancro. Obama aveva subito ammonito la Libia: "Che al suo arrivo non sia trattato da eroe". Come è invece accaduto, suscitando orrore in America. "Un oltraggio", ha definito Obama le feste per l'arrivo a Tripoli del terrorista, accolto con tutti gli onori dal figlio del colonnello Gheddafi. Anche il premier britannico Gordon Brown si è detto "furioso e disgustato".

Sull'opportunità della visita di Berlusconi gli americani non vogliono polemizzare. Sanno che era programmata da tempo, prima della liberazione di al-Megrahi. Ripetono che Berlusconi vede chi vuole, l'Italia è un paese sovrano. Tuttavia il trionfo tributato a Tripoli per chi ha sulla coscienza tante vittime americane, è una ferita profonda. Il silenzio del governo italiano stupisce. Alla vigilia del viaggio del nostro premier, era opportuno un piccolo gesto di solidarietà con l'America. Per puntualizzare. E prevenire nuove strumentalizzazioni, che Gheddafi potrà orchestrare approfittando della presenza di un ospite occidentale.

La sensibilità di Washington non è destinata a scendere nei prossimi giorni, al contrario. A tenere accesa l'attenzione sul caso libico c'è una scadenza delicata e imbarazzante. Il 23 settembre si apre al Palazzo di Vetro di New York la 64esima Assemblea generale delle Nazioni Unite. Quest'anno, per una sciagurata coincidenza, proprio sotto la presidenza della Libia. Che si trova anche a far parte del Consiglio di sicurezza. È una visibilità rara, che dà ad ogni gesto di Gheddafi un carattere ancora più esplosivo, e insopportabile per gli americani. Lo si verifica con la vicenda della tenda del colonnello.

Come in tutti i suoi viaggi, Gheddafi pretende di piantare una tenda residenziale anche quando sarà a New York. La prima richiesta - Central Park - è stata respinta dal sindaco Bloomberg. Con una risposta secca: "A Central Park il campeggio è vietato. Sempre e a chiunque, punto". Allora il governo libico ha spostato le sue mire sul giardino di una villa nel New Jersey, sull'altra sponda del fiume Hudson rispetto a Manhattan. Acquistata dalla Libia per la residenza del suo ambasciatore all'Onu, la villa è abbandonata da anni. Ora può tornare utile. Ma proprio nel New Jersey abitano molti familiari delle vittime del volo Pan Am 103, che persero la vita per l'attentato organizzato dai servizi segreti libici nel dicembre 1988. I due senatori del New Jersey, Frank Lautenberg e Robert Menendez, sono in stato di allarme, mobilitati per impedire una nuova offesa. Hanno scritto al segretario di Stato Hillary Clinton perché impedisca a Gheddafi di piantare la tenda nel New Jersey.

E' in questo clima che Washington osserva l'avvicinarsi del viaggio di Berlusconi a Tripoli. Chiedendosi quale "uso" vorrà farne Gheddafi. E se l'Italia saprà sottrarsi a eventuali provocazioni anti-americane del Colonnello.

(28 agosto 2009)


Il Cavaliere contro Repubblica: "Mi diffama". Accuse alla stampa estera
Berlusconi fa causa alle 10 domande
Chiesto un milione di risarcimento




ROMA - Nuovo attacco di Silvio Berlusconi a Repubblica. Il premier va dai giudici e chiede un risarcimento danni per un milione di euro al Gruppo L'Espresso. A suo giudizio le domande formulate il 26 giugno da Giuseppe D'Avanzo sono "diffamatorie". Per la prima volta nella storia dell'informazione italiana gli interrogativi di un giornale finiscono davanti a un tribunale civile.

La citazione in giudizio del presidente del Consiglio, firmata il 24 agosto, riguarda, oltre alle "dieci nuove domande" anche un articolo del 6 agosto dal titolo ""Berlusconi ormai ricattabile" media stranieri all'attacco: Nouvel Observateur teme infiltrazioni della mafia russa", un servizio che riportava i giudizi della stampa di tutto il mondo sul caso italiano. Invitati a comparire al Tribunale di Roma Giampiero Martinotti, autore del pezzo contestato, il direttore responsabile di Repubblica Ezio Mauro e il gruppo L'Espresso.

Al centro dell'iniziativa legale del presidente del Consiglio sono però le domande rivolte a Silvio Berlusconi, "ripetutamente pubblicate sul quotidiano La Repubblica" e "per più di sessanta giorni", come sottolineano i suoi avvocati. Si tratta, per il premier, di "domande retoriche" che "non mirano ad ottenere una risposta del destinatario, ma sono volte a insinuare nel lettore l'idea che la persona "interrogata" si rifiuti di rispondere". Domande alle quali il capo del governo non ha mai risposto, come noto. Per Berlusconi sono "palesemente diffamatorie" perché "il lettore è indotto a pensare che la proposizione formulata non sia interrogativa, bensì affermativa ed è spinto a recepire come circostanze vere, realtà di fatto inesistenti".

L'esposizione del "Dr. Silvio Berlusconi, nato a Milano il 29 settembre 1936", inizia dall'articolo di Martinotti che da Parigi riporta i servizi della stampa estera dedicati al caso Berlusconi. Servizi quel giorno numerosi e scandalizzati, come sottolinea l'attacco del pezzo: ""Sesso, potere e menzogne": il titolo del Nouvel Observateur, in edicola oggi riassume alla perfezione la valanga di commenti della stampa estera sul nostro presidente del Consiglio. I giornali di tutto il mondo, di destra e di sinistra, moderati o progressisti, non sanno più come qualificare le gesta berlusconiane: si passa dalla "libidine geriatrica" (The Independent) a un capo del governo "graffiato dalla figlia" (Le Figaro), che "gli dà lezioni" (The Daily Telegraph), "gli fa la morale" (Elle) e che lo biasima con un "vergogna, papà!" (l'australiano News)".

Di quella cronaca, basata solo su citazioni testuali, è in particolare un articolo del settimanale francese Nouvel Observateur quello che ha fatto scattare la reazione di Berlusconi. L'autore Serge Raffy scrive sull'Observateur che "con lo scorrere delle rivelazioni, l'ipotesi di un'infiltrazione della mafia russa al vertice dello Stato italiano prende consistenza". E parla poi "di una registrazione che rischia di alimentare ancor più lo scandalo" che coinvolgerebbe Mara Carfagna e Mariastella Gelmini.

Secondo Berlusconi, Repubblica, "con l'espediente di riportare il contenuto del settimanale francese ha pubblicato ancora una volta - nel quadro della ben nota polemica di questi ultimi mesi - notizie non veritiere, riportando circostanze che in alcun modo corrispondono alla situazione di fatto e di diritto realmente esistente". Conclusione: "Il danno arrecato al Dr. Berlusconi è pertanto enorme" sia per il "ruolo del protagonista", sia perché la notizia è stata diffusa da "un quotidiano con ampia tiratura e diffusione e destinato ad un elevato numero di lettori". Da qui la richiesta di danni per un milione di euro oltre a una somma, da stabilire, "a titolo di riparazione".

(28 agosto 2009) Tutti gli articoli di politica


Querela di Berlusconi a Repubblica
Bersani: "Dieci volte sconsiderata"

ROMA - ''L'iniziativa di portare in tribunale le dieci domande di Repubblica mi pare inaccettabile e dieci volte sconsiderata''. Lo afferma il candidato alla segreteria del Partito democratico, Pier Luigi Bersani. "Percorrendo questa strada - commenta Bersani - il presidente del Consiglio si vedrà costretto a chiamare in tribunale mezzo mondo''.

Anche Sonia Alfano, europarlamentare dell'Italia dei valori, ritiene che "portare le 10 domande di repubblica in tribunale" sia "un atto infame e ridicolo". "Il 'caimano' - afferma a proposito della iniziativa del premier - la smetta di attaccare ad ogni piè sospinto i media non allineati con minacce che ricordano ben altri tempi e si comporti da capo del Governo di una moderna democrazia: la smetta di mentire, tanto ormai non gli crede più nessuno, e risponda punto per punto. Un paese dove non vi è libertà d'informazione non si può definire libero. E l'Italia libera lo sta divenendo sempre meno".

(28 agosto 2009)


Insabbiare


Non potendo rispondere, se non con la menzogna, Silvio Berlusconi ha deciso di portare in tribunale le dieci domande di Repubblica, per chiedere ai giudici di fermarle, in modo che non sia più possibile chiedergli conto di vicende che non ha mai saputo chiarire: insabbiando così - almeno in Italia - la pubblica vergogna di comportamenti privati che sono al centro di uno scandalo internazionale e lo perseguitano politicamente.

E' la prima volta, nella memoria di un Paese libero, che un uomo politico fa causa alle domande che gli vengono rivolte. Ed è la misura delle difficoltà e delle paure che popolano l'estate dell'uomo più potente d'Italia. La questione è semplice: poiché è incapace di dire la verità sul "ciarpame politico" che ha creato con le sue stesse mani e che da mesi lo circonda, il Capo del governo chiede alla magistratura di bloccare l'accertamento della verità, impedendo la libera attività giornalistica d'inchiesta, che ha prodotto quelle domande senza risposta.

In questa svolta c'è l'insofferenza per ogni controllo, per qualsiasi critica, per qualunque spazio giornalistico d'indagine che sfugga al dominio proprietario o all'intimidazione di un potere che si concepisce come assoluto, e inattaccabile. Berlusconi, nel suo atto giudiziario contro Repubblica vuole infatti colpire e impedire anche la citazione in Italia delle inchieste dei giornali stranieri, in modo che il Paese resti all'oscuro e sotto controllo. Ognuno vede quanto sia debole un potere che ha paura delle domande, e pensa che basti tenere al buio i concittadini per farla franca.

Tutto questo - la richiesta agli imprenditori di non fare pubblicità sul nostro giornale, l'accusa di eversione, l'attacco ai "delinquenti", la causa alle domande - da parte di un premier che è anche editore, e che usa ogni mezzo contro la libertà di stampa, nel silenzio generale. Altro che calunnie: ormai, dovrebbe essere l'Italia a sentirsi vilipesa dai comportamenti di quest'uomo.

(28 agosto 2009)


L'ANALISI
La menzogna come potere


Avanzare delle domande a un uomo politico nell'Italia meravigliosa di Silvio Berlusconi è già un'offesa che esige un castigo?

L'Egoarca ritiene che sollecitare delle risposte dinanzi alle incoerenze delle dichiarazioni pubbliche del capo del governo sia diffamatorio e vada punito e che quelle domande debbano essere cancellate d'imperio per mano di un giudice e debba essere interdetto al giornale di riproporle all'opinione pubblica. E' interessante leggere, nell'atto di citazione firmato da Silvio Berlusconi, perché le dieci domande che Repubblica propone al presidente del Consiglio sono "retoriche, insinuanti, diffamatorie".

Sono retoriche, sostiene Berlusconi, perché "non mirano a ottenere una risposta dal destinatario, ma sono volte a insinuare l'idea che la persona "interrogata" si rifiuti di rispondere". Sono diffamatorie perché attribuiscono "comportamenti incresciosi, mai tenuti" e inducono il lettore "a recepire come circostanze vere, realtà di fatto inesistenti". Peraltro, "è sufficiente porre mente alle dichiarazioni già rese in pubblico dalle persone interessate, per riconoscerne la falsità, l'offensività e il carattere diffamatorio di quelle domande che proprio "domande" non sono".

Come fin dal primo giorno di questo caso squisitamente politico, una volta di più, Berlusconi ci dimostra quanto, nel dispositivo del suo sistema politico, la menzogna abbia un primato assoluto e come già abbiamo avuto modo di dire, una sua funzione specifica. Distruttiva, punitiva e creatrice allo stesso tempo. Distruttiva della trama stessa della realtà; punitiva della reputazione di chi non occulta i "duri fatti"; creatrice di una narrazione fantastica che nega eventi, parole e luoghi per sostituirli con una scena di cartapesta popolata di nemici e immaginari complotti politici.

Non c'è, infatti, nessuna delle dieci domande che non nasca dentro un fatto e non c'è nessun fatto che nasca al di fuori di testimonianze dirette, di circostanze accertate e mai smentite, dei racconti contraddittori di Berlusconi.

E' utile ora mettersi sotto gli occhi queste benedette domande. Le prime due affiorano dai festeggiamenti di una ragazza di Napoli, Noemi, che diventa maggiorenne. E' Veronica Lario ad accusare Berlusconi di "frequentare minorenni". E' Berlusconi che decide di andare in tv a smentire di frequentare minorenni. Nel farlo, in pubblico, l'Egoarca giura di aver incontrato la minorenne "soltanto tre o quattro volte alla presenza dei genitori". Questi sono fatti. Come è un fatto che le parole di Berlusconi sono demolite da circostanze, svelate da Repubblica, che il capo del governo o non può smentire o deve ammettere: non conosceva i genitori della minorenne (le ha telefonato per la prima volta nell'autunno del 2008 guardandone un portfolio); l'ha incontrata da sola per lo meno in due occasioni (una cena offerta dal governo e nelle vacanze del Capodanno 2009).

La terza domanda chiede conto al presidente del Consiglio delle promesse di candidature offerte a ragazze che lo chiamano "papi". La circostanza è indiscutibile, riferita da più testimoni e direttamente dalla stessa minorenne di Napoli. La quarta, la quinta, la sesta e settima domanda ruotano intorno agli incontri del capo del governo con prostitute che potrebbero averlo reso vulnerabile fino a compromettere gli affari di Stato. La vita disordinata di Berlusconi è diventata ormai "storia nota", ammessa a collo torto dallo stesso capo del governo e in palese contraddizione con le sue politiche pubbliche (marcia nel Family day, vuole punire con il carcere i clienti delle prostitute). La sua ricattabilità - un fatto - è dimostrata dai documenti sonori e visivi che le ospiti retribuite di Palazzo Grazioli hanno raccolto finanche nella camera da letto del Presidente del Consiglio.

L'ottava domanda è politica: può un uomo con queste abitudini volere la presidenza della Repubblica? Chi non glielo chiederebbe? La nona nasce, ancora una volta, dalle parole di Berlusconi. E' Berlusconi che annuncia in pubblico "un progetto eversivo" di questo giornale. E' un fatto. E' lecito che il giornale chieda al presidente del Consiglio se intenda muovere le burocrazie della sicurezza, spioni e tutte quelle pratiche che seguono (intercettazioni su tutto). Non è minacciato l'interesse nazionale, non si vuole scalzarlo dal governo e manipolare la "sovranità popolare"? In questo lucidissimo delirio paranoico, Berlusconi potrebbe aver deciso, forse ha deciso, di usare la mano forte contro giornalisti, magistrati e testimoni. Che ne dia conto. Grazie.

La decima domanda infine (e ancora una volta) non ha nulla di retorico né di insinuante. E' Veronica Lario che svela di essersi rivolta agli amici più cari del marito per invocare un aiuto per chi, come Berlusconi, "non sta bene". E' un fatto. Come è un fatto che, oggi, nel cerchio stretto del capo del governo, sono disposti ad ammettere che è la satiriasi, la sexual addiction a rendere instabile Berlusconi.

Questa la realtà dei fatti, questi i comportamenti tenuti, queste le domande che chiedono ancora oggi - anzi, oggi con maggiore urgenza di ieri - una risposta. Dieci risposte chiare, per favore. E' un diritto chiederle per un giornale, è un dovere per un uomo di governo offrirle perché l'interesse pubblico dell'affare è evidente.

Si discute della qualità dello spazio democratico e la citazione di Berlusconi ne è una conferma. E dunque, anche a costo di ripetersi, tutta la faccenda gira intorno a un solo problema: fino a che punto il premier può ingannare l'opinione pubblica mentendo, in questo caso, sulle candidature delle "veline", sulla sua amicizia con una minorenne e tacendo lo stato delle sue condizioni psicofisiche? Non è sempre una minaccia per la res publica la menzogna? La menzogna di chi governa non va bandita incondizionatamente dal discorso pubblico se si vuole salvaguardare il vincolo tra governati e governanti? Con la sua richiesta all'ordine giudiziario di impedire la pubblicazione di domande alle quali non può rispondere, abbiamo una rumorosa conferma di un'opinione che già s'era affacciata in questi mesi: Berlusconi vuole insegnarci che, al di fuori della sua verità, non ce ne può essere un'altra. Vuole ricordarci che la memoria individuale e collettiva è a suo appannaggio, una sua proprietà, manipolabile a piacere. La sua ultima mossa conferma un uso della menzogna come la funzione distruttiva di un potere che elimina l'irruzione del reale e nasconde i fatti, questa volta anche per decisione giudiziaria. La mordacchia (come chiamarla?) che Berlusconi chiede al magistrato di imporre mostra il nuovo volto, finora occultato dal sorriso, di un potere spietato. E' il paradigma di una macchina politica che intimorisce. E' la tecnica di una politica che rende flessibili le qualifiche "vero", "falso" nel virtuale politico e televisivo che Berlusconi domina. E' una strategia che vuole ridurre i fatti a trascurabili opinioni lasciando campo libero a una menzogna deliberata che soffoca la realtà e quando c'è chi non è disposto ad accettare né ad abituarsi a quella menzogna invoca il potere punitivo dello Stato per impedire anche il dubbio, anche una domanda. Come è chiaro ormai da mesi, quest'affare ci interroga tutti. Siamo disposti a ridurre la complessità del reale a dato manipolabile, e quindi superfluo. Possiamo o è già vietato, chiederci quale funzione specifica e drammatica abbia la menzogna nell'epoca dell'immagine, della Finktionpolitik? Sono i "falsi indiscutibili" di Berlusconi a rendere rassegnata l'opinione pubblica italiana o il "carnevale permanente" l'ha già uccisa? Di questo discutiamo, di questo ancora discuteremo, quale che sia la decisione di un giudice, quale che sia il silenzio di un'informazione conformista. La questione è in fondo questa: l'opinione pubblica può fare delle domande al potere?

(28 agosto 2009)


L'ANALISI
La perdonanza mediatica


Nella Chiesa antica la penitenza era una cosa seria. Riguardava peccati come l'omicidio, l'apostasia, l'adulterio e veniva amministrata in forma pubblica.

Dopo che il peccatore era stato escluso dalla comunità liturgica per un congruo periodo di tempo e aveva confessato al vescovo il proprio peccato. Il perdono liturgico si poteva ottenere solo una volta nella vita, e se poi si peccava di nuovo non c'era più possibilità di essere riammessi a pieno titolo nella comunità cristiana. All'inizio del medioevo la penitenza divenne reiterabile, ma non per questo perse di rigore: i confessori (ruolo che prese a essere esercitato anche dai semplici sacerdoti) avevano a disposizione appositi libri, i cosiddetti "penitenziali", dove a determinati peccati si facevano corrispondere determinate pene secondo un tariffario oggettivo per evitare favoritismi e disposizioni "ad personam", possibili anche a quei tempi. Per esempio il penitenziaro di Burcardo di Worms, databile intorno all'anno Mille, stabiliva che per un omicidio ci fossero 40 giorni consecutivi di digiuno a pane e acqua e poi 7 anni costellati da privazioni di ogni sorta, soprattutto astinenze sessuali; per un giuramento falso, sempre i canonici 40 giorni di digiuno da estendere poi a tutti i venerdì della vita; per un adulterio "penitenza a pane e acqua per due quaresime e per 14 anni consecutivi". E' importante notare che nel primo millennio l'assoluzione dei peccati veniva concessa solo dopo aver compiuto le opere penitenziali.

Con l'estendersi della mondanizzazione della Chiesa la procedura legata alla penitenza si fece più flessibile: l'assoluzione venne concessa subito dopo l'accusa a voce dei peccati da parte del penitente e a prescindere dall'esecuzione della penitenza assegnata, per soddisfare la quale, peraltro, nacque presto la pratica delle indulgenze. E' noto che fu proprio il persistente abuso della vendita delle indulgenze a costituire la causa della ribellione di Martin Lutero e la successiva divisione della Chiesa.

Nonostante ciò anche la perdonanza celestiniana del 1294 era, ed è, una cosa molto seria. Nella bolla d'indizione papa Celestino V fa ampio riferimento a Giovanni Battista, in particolare al suo martirio, visto che la perdonanza ricorre proprio il 29 agosto, giorno della celebrazione liturgica della decapitazione dell'ultimo grande profeta biblico. E' noto infatti che Giovanni Battista finì in galera e poi venne decapitato per la sua severità morale, in particolare per aver richiamato il re Erode al rispetto della morale matrimoniale, infranta pubblicamente dal sovrano che conviveva illecitamente con la moglie del fratello Filippo, Erodiade, "donna impudica", come la definisce papa Celestino V nella bolla. E' a tutti evidente che Giovanni Battista, seguendo lo stile degli altri profeti biblici, non aveva ancora sviluppato la sottile arte della diplomazia ecclesiastica, capace di distinguere tra vita privata e ruolo istituzionale dell'uomo politico, e così utile a navigare tra le tempeste del mondo senza perdere (fisicamente) la testa. Nella sua ingenuità il Battista riteneva che per un uomo politico non fosse ipotizzabile nessuna distinzione tra vita privata e ruolo istituzionale: era così inesperto di come va il mondo da essere addirittura convinto che se un uomo non è in grado di governare bene e con equità la propria famiglia, meno che mai potrebbe governare bene e con equità la propria nazione. Evidente che era un primitivo, ben al di sotto delle sottili distinzioni che si teorizzano in questi giorni al Meeting di Rimini e che consentono al segretario di Stato del Vaticano di cenare serenamente con l'attuale capo del governo italiano elevandosi mille miglia più in alto rispetto alla rozzezza del Battista con quel suo modo irrituale di sindacare sulla vita sentimentale del leader del suo tempo.

Ma se era seria la penitenza antica ed era seria la Perdonanza di papa Celestino, ancor più serio, terribilmente drammatico, è lo sfondo su cui tutto questo oggi si ripresenta, cioè il terremoto del 6 aprile coi suoi 308 morti, 1500 feriti e le decine di migliaia di sfollati. Nella celebrazione della perdonanza celestiniana di quest'anno all'Aquila si intrecciano quindi tre realtà che meritano rispetto incondizionato da parte di ogni coscienza adeguatamente formata, tanto più se cattolica visto il patrimonio spirituale che è in gioco. Sarebbe stato quindi auspicabile che la gerarchia ecclesiastica non avesse consentito di sfruttare un evento del genere per speculazioni politiche, concedendo visibilità e "perdonanza mediatica" a chi, accusato di aver avuto a che fare con un buon numero di Erodiadi, non ha mai accettato di rispondere pubblicamente e analiticamente alle precise domande in merito, come invece il suo ruolo istituzionale gli impone. E' chiaro a tutti infatti che all'homo politicus, a ogni homo politicus, non interessano le indulgenze ecclesiastiche, neppure quelle plenarie (le quali peraltro si possono ottenere in ognuna della nostre chiese con relativa facilità, rivolgersi al proprio parroco per sapere come).

All'homo politicus interessa solo la sua riserva di caccia, l'elettorato, e sa bene che la vera indulgenza al riguardo non la si ottiene confessandosi e comunicandosi e facendo tutte le altre pratiche devote prescritte da papa Celestino otto secoli fa, ma semplicemente apparendo in tv accanto al potente porporato sorridente e benevolente. E' questa l'indulgenza che il capo del governo, abilissimo homo politicus, cerca, ed è questa l'indulgenza che il segretario di Stato Vaticano gli concederà, con buona pace della testa di san Giovanni Battista, di Celestino V e della sua Perdonanza.

Non posso concludere però senza chiedermi se questo spensierato teatro di potenti che si legittimano a vicenda non abbia qualcosa a che fare con quel nichilismo a proposito del quale Benedetto XVI ha avuto di recente parole di pesantissima condanna. Il fatto che la gerarchia della Chiesa cattolica teoreticamente condanni il nichilismo e poi praticamente lo alimenti, si può spiegare solo con una sete infinita di potere, la quale non giace nelle coscienze dei singoli prelati ma è intrinsecamente connaturata alla struttura di cui essi sono al servizio. La cosa è tanto più drammatica perché forse mai come ora gli uomini sentono il bisogno di apprendere l'arte del perdono e della riconciliazione.

(28 agosto 2009)


Il retroscena. Il processo per "normalizzare la Rai"
Timori per un settembre nero dell'economia
"Adesso passiamo al contrattacco"
il premier avvia la campagna d'autunno



ROMA - La "svolta" risale ai primi di agosto, a una serie di riunioni avute con i suoi consiglieri tra Arcore e Roma, prima della partenza per la Sardegna. E' in quegli incontri che Silvio Berlusconi matura l'idea di un "cambio di passo" rispetto a quelli che considera nemici mortali: giornali, media stranieri, alcuni editori. "Adesso basta, siamo rimasti troppo passivi - questo l'ordine impartito dal Cavaliere - dobbiamo ribattere colpo su colpo. Speravano che gettassi la spugna, hanno provato a sfinirmi, a demotivarmi, hanno persino aggredito la mia famiglia, ma adesso inizierò a difendermi".

Una strategia d'attacco a 360 gradi a cui il premier ha pensato a lungo e che prevede un ampio spettro di azioni, sia politiche che legali, mediatiche e di propaganda. "Finora abbiamo pensato alle difese", spiega uno dei consiglieri del presidente del Consiglio, "adesso passiamo al contrattacco". I fronti sono tanti.

I ministri del Pdl, quelli di provenienza forzista per intenderci, hanno ricevuto il "consiglio" di disertare gli inviti alle feste del Pd, perché "non si parla con il nemico mentre ti sta sparando addosso". Mara Carfagna e Franco Frattini si sono subito adeguati. C'è poi la trincea più importante, quella dell'informazione. Anzitutto quella della Rai, dove le redazioni sono state affidate a direttori che hanno garantito di non dare conto della vita privata del presidente del Consiglio. Resta solo il fortino di Raitre e la riserva di Michele Santoro su Raidue, ma anche su questo fronte qualche discreta pressione l'azienda la sta già esercitando, se è vero che i giornalisti di Annozero non hanno visto ancora i loro contratti. E anche la presenza di Marco Travaglio in trasmissione sarebbe in discussione.

L'accerchiamento del nemico passa quindi per Raitre, con il tentativo di ridimensionare quei programmi affidati a conduttori non allineati - come Milena Gabanelli, Fabio Fazio, Serena Dandini - facendo fuori l'attuale direttore Paolo Ruffini. C'è poi il versante della stampa amica, il Giornale anzitutto, che da quando ha cambiato direttore ha dato il via a una pesante campagna di attacchi personali.

Ribattere "colpo su colpo", contrattaccare. Tanto più che per l'autunno, nonostante le caute parole di ottimismo del governatore Draghi sui segnali di ripresa, nel governo i più avveduti temono il peggio. "Siamo tutti preoccupati - confessa un ministro - perché la crisi raggiungerà il suo acme proprio a settembre". E gli effetti si scaricheranno anzitutto sulle piccole imprese del Nord, bacino elettorale del Pdl e della Lega. I report sul tavolo dei ministri descrivono scenari da incubo, prevedono che centinaia di imprese sotto i 15 dipendenti non riapriranno dopo le ferie, mandando sul lastrico famiglie intere. Per questo il controllo dell'informazione è vitale, senza contare le vicende private del premier.

C'è il versante legale, affidato al consigliere-avvocato Niccolò Ghedini. La citazione in giudizio di Repubblica per le dieci domande a Berlusconi è solo l'antipasto. Senza contare che ieri anche le anticipazioni del nuovo libro di Maria Latella su Veronica e Berlusconi sono stato bollate da Ghedini come "totalmente inveritiere". Con l'allegata "diffida" a chiunque a pubblicarne stralci. A Repubblica Ghedini conferma il cambio di passo: "Fino ad oggi non abbiamo esperito alcun tipo di azione e il presidente Berlusconi ha preferito finora soprassedere. Ma c'è stato un tale stratificarsi di articoli scollegati da fatti reali, offensivi e gravemente lesivi dell'onore del presidente del Consiglio che io stesso alla fine gli ho consigliato di procedere. Si è passato il segno".

Per ridare smalto alla sua immagine all'estero, dove i media hanno avuto meno riguardi nei suoi confronti, Berlusconi prima dell'estate ha persino consultato dei professionisti della comunicazione. Alla fine è passata l'idea di utilizzare le strutture che già ci sono, le ambasciate e gli Istituti di cultura. Formalmente si parlerà di raddrizzare l'immagine del Paese, sfregiato dalla "munnezza" per le strade e dai liquami nella Grotta azzurra. In realtà ad essere rilanciata sarà l'immagine del governo italiano e soprattutto quella del suo leader.

(28 agosto 2009)
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 28/8/2009, 12:05




LA POLEMICA
I direttori di Tg3 e RaiTre sono ritenuti da tutti ottimi professionisti
ma non piacciono a Berlusconi: per questo ha dato l'ordine di farli fuori
L'assalto finale
al fortino di RaiTre







GLI attuali direttori di Tg3 e RaiTre, Antonio Di Bella e Paolo Ruffini, sono ritenuti da tutti ottimi professionisti, fra i migliori della Rai. Hanno ottenuto del resto, sia in qualità che in quantità d'ascolti, molti eccellenti risultati. Tranne l'unico che conti nell'Italia di oggi: piacere a Berlusconi. Per questo il sultano ha dato ai vertici di viale Mazzini l'ordine di farli fuori, trovando una scusa. Compito non facile, perché di ragioni davvero non ce ne sono. Ma quando non esistono spiegazioni logiche, di solito basta inventarsi un complotto e un colpevole.

I vertici Rai, che invece non brillano né per doti professionali né per fantasia, hanno infine convenuto d'indicare all'opinione pubblica il colpevole più banale: la sinistra. È ormai come dire che l'assassino è il maggiordomo, ma funziona sempre. Sarebbe il Pd a volere il caos della terza rete per poter lottizzare dopo il congresso, secondo il volere del vincitore. L'ipotesi sembra troppo cretina perfino per gli elevati standard di autolesionismo del centrosinistra. Ma Antonio Di Pietro, per esempio, ci crede e dà una mano ad addossare alla sinistra la colpa dell'epurazione voluta da Berlusconi.

Naturalmente ai tre candidati alla segreteria del Pd, Pierluigi Bersani, Dario Franceschini e Ignazio Marino, basterebbero dieci minuti per smontare la vicenda. Il tempo di prendersi un caffè insieme e annunciare il via libera alle nomine di RaiTre. Ma evidentemente i tre non sono in grado di prendere insieme neppure un caffè, oppure non capiscono la portata della minaccia.

Nel mirino di Berlusconi non ci sono tanto questa o quella poltrona Rai, le ha già quasi tutte. Se così fosse, non varrebbe neppure la pena di parlarne. Ma al premier interessa piuttosto eliminare un gruppo di programmi amati e, per lui, pericolosi. Si tratta anzitutto di "Che tempo che fa" di Fabio Fazio e di "Report" di Milena Gabanelli, fiori all'occhiello della rete, quindi dei salotti di Serena Dandini e di Daria Bignardi, "Parla con me" e "L'era glaciale".

Un bouquet di trasmissioni che ha molti meriti o demeriti, dipende dai punti di vista. Riescono a coniugare qualità e popolarità, danno un senso al concetto di servizio pubblico e tengono attaccato alla Rai un pezzo d'Italia moderna e intelligente, assai ambita dai pubblicitari, la quale altrimenti sarebbe già del tutto emigrata sul satellite. L'obiettivo del premier e padrone di Mediaset è di cancellarli. Stavolta con calma, senza editti, lavorando di cesello sul palinsesto e tagliando i fondi.

Il direttore Ruffini, degno erede di Angelo Guglielmi, non accetterebbe mai di sottoscrivere una simile sterilizzazione della rete. Occorre dunque uno spaventapasseri di sinistra disposto alla bisogna, in cambio della poltrona. Se ne trovano a mazzi, basta fare un fischio e si forma la coda davanti a Palazzo Grazioli. I nuovi direttori di Tg3 e RaiTre faranno tanti complimenti a Fazio e Gabanelli, Littizzetto e Dandini, ma diranno che è venuto il tempo di cambiare, innovare. In peggio, aggiungiamo pure.

Può stupire che Berlusconi, con tutto il potere di cui dispone, si concentri su questa battaglia. Ma il risultato alle elezioni europee di giugno l'ha ormai convinto che anche le riserve indiane debbano essere bonificate e gli ultimi professionisti della comunicazione vadano sostituiti con burattini pubblicitari manovrati da Palazzo Chigi.

Il piano d'assalto all'ultima roccaforte indipendente dall'egemonia berlusconiana è astuto e probabilmente andrà in porto. A meno che Franceschini, Bersani e Marino non trovino quei dieci minuti per disinnescarlo. Ma sono troppo impegnati a discutere sulla forma del partito e il suo radicamento nel territorio. L'ipotesi che l'attuale RaiTre sia ormai il principale radicamento nel territorio della cultura progressista in Italia sopraggiungerà soltanto fra qualche anno, come si dice in questi casi: a babbo morto.

(27 agosto 2009)


Anche da Mediaset no allo spot del film che racconta l'ascesa delle tv di Berlusconi
La tv di Stato esigeva un contraddittorio per rispettare il pluralismo
La Rai rifiuta il trailer di Videocracy
"E' un film che critica il governo"


ROMA - Nelle televisioni italiane è vietato parlare di tv, vietato dire che c'è una connessione tra il capo del governo e quello che si vede sul piccolo schermo. La Rai ha rifiutato il trailer di Videocracy il film di Erik Gandini che ricostruisce i trent'anni di crescita dei canali Mediaset e del nostro sistema televisivo.

"Come sempre abbiamo mandato i trailer all'AnicaAgis che gestisce gli spazi che la Rai dedica alla promozione del cinema. La risposta è stata che la Rai non avrebbe mai trasmesso i nostri spot perché secondo loro, parrà surreale, si tratta di un messaggio politico, non di un film", dice Domenico Procacci della Fandango che distribuisce il film. Netto rifiuto anche da parte di Mediaset, in questo caso con una comunicazione verbale da Publitalia. "Ci hanno detto che secondo loro film e trailer sono un attacco al sistema tv commerciale, quindi non ritenevano opportuno mandarlo in onda proprio sulle reti Mediaset".

A lasciare perplessi i distributori di Fandango e il regista sono infatti proprio le motivazioni della Rai. Con una lettera in stile legal-burocratese, la tv di Stato spiega che, anche se non siamo in periodo di campagna elettorale, il pluralismo alla Rai è sacro e se nello spot di un film si ravvisa un critica ad una parte politica ci vuole un immediato contraddittorio e dunque deve essere seguito dal messaggio di un film di segno opposto.

"Una delle motivazioni che mi ha colpito di più è quella in cui si dice che lo spot veicola un "inequivocabile messaggio politico di critica al governo" perché proietta alcune scritte con i dati che riguardano il paese alternate ad immagini di Berlusconi", prosegue Procacci "ma quei dati sono statistiche ufficiali, che sò "l'Italia è al 67mo posto nelle pari opportunità"".

A preoccupare la Rai sembra essere questo dato mostrato nel film: "L'80% degli italiani utilizza la tv come principale fonte di informazione". Dice la lettera di censura dello spot: "Attraverso il collegamento tra la titolarità del capo del governo rispetto alla principale società radiotelevisiva privata", non solo viene riproposta la questione del conflitto di interessi, ma, guarda caso, si potrebbe pensare che "attraverso la tv il governo potrebbe orientare subliminalmente le convinzioni dei cittadini influenzandole a proprio favore ed assicurandosene il consenso". "Mi pare chiaro che in Rai Videocracy è visto come un attacco a Berlusconi. In realtà è il racconto di come il nostro paese sia cambiato in questi ultimi trent'anni e del ruolo delle tv commerciali nel cambiamento. Quello che Nanni Moretti definisce "la creazione di un sistema di disvalori"".

Le riprese del film, se pure Villa Certosa si vede, è stato completato prima dei casi "Noemi o D'Addario" e non c'è un collegamento con l'attualità. Ma per assurdo, sottolinea Procacci, il collegamento lo trova la Rai. Nella lettera di rifiuto si scrive che dato il proprietario delle reti e alcuni dei programmi "caratterizzati da immagini di donne prive di abiti e dal contenuto latamente voyeuristico delle medesime si determina un inequivocabile richiamo alle problematiche attualmente all'ordine del giorno riguardo alle attitudini morali dello stesso e al suo rapporto con il sesso femminile formulando illazioni sul fatto che tali caratteristiche personali sarebbero emerse già in passato nel corso dell'attività di imprenditore televisivo".

"Siamo in uno di quei casi in cui si è più realisti del re - dice Procacci - Ci sono stati film assai più duri nei confronti di Berlusconi come "Viva Zapatero" o a "Il caimano", che però hanno avuto i loro spot sulle reti Rai. E il governo era dello stesso segno di oggi. Penso che se questo film è ritenuto così esplosivo vuol dire che davvero l'Italia è cambiata".

(27 agosto 2009)
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 29/8/2009, 09:47




il segretario di Stato vaticano: «L'assenza del premier? Non chiedete a me»
Festa della Perdonanza: salta la prevista cena tra Berlusconi e il cardinal Bertone
Il presidente del Consiglio delega Gianni Letta per rappresentare il governo alle celebrazioni dell'Aquila


MILANO - Un cambio di programma dell'ultimo minuto. La sala stampa vaticana ha comunicato che è stata allullata la cena della Perdonanza annunciata per venerdì sera all'Aquila, alla quale avrebbero dovuto partecipare, fra gli altri, il segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, e il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Alla domanda sui motivi dell'assenza del premier all'Aquila, il card. Bertone ha risposto: «A me lo chiedete?». Berlusconi ha delegato quale rappresentante del governo alle celebrazioni il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta «per evitare strumentalizzazioni». Letta e Bertone si sono intrattenuti per qualche momento in una tenda vicino al palco dove il cardinale alle 18 ha celebrato la Messa davanti alla basilica di Collemaggio, molto danneggiata nel terremoto di aprile.

LA NOTA - «Al termine della celebrazione - ha aggiunto il portavoce vaticano - l'arcivescovo aveva pensato, in un primo momento, di organizzare una cena quale segno di ringraziamento al segretario di Stato, ai vescovi e alle autorità per la loro presenza e per la loro opera a favore delle vittime del terremoto. In un secondo tempo si è preferito cancellare la cena e devolverne il costo a beneficio dei terremotati».

TENSIONI - Occorre segnalare che, dopo che negli scorsi giorni la polemica politica era stata animata dalle tensioni tra la Lega e gli ambiti ecclesiastici, la decisione di annullare l'incontro tra Berlusconi e Bertone arriva nel giorno dell'esplosione delle polemiche tra la Cei e il direttore del Giornale, Vittorio Feltri, (il cui editore è Paolo Berlusconi, fratello del presidente del Consiglio) a seguito di un duro attacco al direttore di Avvenire (quotidiano della Conferenza episcopale italiana) Dino Boffo.

VERTICE A PALAZZO GRAZIOLI - Prima che Letta si recasse all'Aquila e dopo l'annuncio dell'annullamento dell'incontro tra Berlusconi e Bertone, a Palazzo Grazioli, residenza romana di Berlusconi, si è tenuto un incontro di due ore tra il sottosegretario e il presidente del Consiglio, presente anche l'altro il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti.

OSSERVATORE ROMANO - In un editoriale sull'Osservatore Romano a firma di Lucetta Scaraffia, il giornale del Vaticano risponde al teologo Vito Mancuso che su Repubblica contestava l'opportunità dell'incontro dell'Aquila tra il cardinale Bertone e Berlusconi, poi annullato. «Anche nella Chiesa di oggi la penitenza è una cosa seria, tanto da non dover venire confusa con polemiche contingenti come quelle a cui sono usi i giornali». Invece «c'è chi vorrebbe una Chiesa sempre pronta alle pubbliche condanne, invece che alla cura individuale delle coscienze. La Chiesa, che pure vive nel mondo, pensa soprattutto alla carità e alla salute delle anime», conclude la docente di storia contemporanea alla Sapienza di Roma.



28 agosto 2009


Stampa e media seguono le vicende italiane
Berlusconi riempie le prime pagine
dei giornali stranieri

Al centro dell'attenzione lo scontro con i media e la crisi tra il premier e i vertici ecclesiastici

ROMA - La stampa internazionale torna a occuparsi in modo capillare delle vicende italiane e in particolare del premier Berlusconi, impegnato - osservano la maggior parte dei titoli - in un duro scontro con la stampa mentre i suoi rapporti con la chiesa "raggiungono un nuovo punto critico" (ma della Chiesa, ammonisce il Times, Berlusconi ha ancora bisogno, come tutti i governanti italiani e forse anche di più). La Bbc titola: "Berlusconi porta in giudizio dei media" e sottolinea come la scelta del premier italiano riguardi testate di tutta Europa. «Anche se il caso non è senza precedenti», nota l’emittente, «l’ampiezza e l’ambizione della risposta di Berlusconi sono rare». Sul tema dello scontro con i media insiste anche il Guardian: «Berlusconi dichiara guerra ai media europei dopo i servizi sugli scandali sessuali». Il quotidiano accenna anche al duro attacco del Giornale, quotidiano di proprietà del fratello del premier, contro il direttore di Avvenire e osserva come «Il Vaticano ha annunciato con uno scarno comunicato l’annullamento di un incontro tra Berlusconi e un suo alto rappresentante» (il Cardinal Bertone). Alla vicenda dedica l’apertura della prima pagina anche il Financial Times: «Berlusconi fa causa dopo le accuse di scandalo»: «duramente colpito dalla pubblicazione di notizie sui suoi rapporti con prostitute e minorenni, il premier italiano, ha cercato ieri di mettere il silenziatore ai suoi critici dando incarico ai suoi legali di far causa ad almeno tre media in Italia, Francia, Spagna».

SCONTRO CON LA CHIESA - La crisi dei rapporti tra il premier e la chiesa cattolica è invece al centro dei titoli scelti da altri giornali. Il Times parla di una "spaccatura tra Berlusconi e il Vaticano dopo un attacco al direttore di giornale cattolico" mentre il tabloid Mail scrive: "Berlusconi porta in giudizio i media dopo le accuse mentre i suoi rapporti con la chiesa cattolica giungono a un nuovo minimo". Il Times, oltre alla cronaca, affronta la questione in un commento che sottolinea come "Silvio Berlusconi non può ignorare facilmente l’influenza di Papa Benedetto XVI". Nel caso di Berlusconi, nota il quotidiano, "In Italia ogni governo ha bisogno di corteggiare la chiesa... E l’approvazione dei cattolici è ancora più acuta per Berlusconi" visti i numerosi "scandali relativi alla sua vita privata, scandali che sono continuati ad emergere nonostate che il premier controlli i media".

IN GERMANIA E IN FRANCIA - In Germania Die Welt titola "Berlusconi furioso per le imbarazzanti domande sul sesso" mentre la Bild sottolinea che "Il premier italiano chiede risarcimenti per un milione di euro". In Francia l'Express scrive che "Silvio Berlusconi fa causa a media in Italia e all’estero". Europre 1 evidenzia che "Berlusconi fa causa a LeNouvel Observateur " mentre con understatement lo stesso settimanale nel mirino titola sobriamente: "Berlusconi fa causa ad alcuni giornali europei per diffamazione". France info dal canto suo sceglie un taglio leggermente diverso e più diretto: "Vita privata: Silvio Berlusconi attacca la stampa". Liberation si concentra sull’offensiva del premier contro il quotidiano Repubblica: "Silvio Berlusconi cita in giudizio La Repubblica".

IN SPAGNA - In Spagna Abc riferisce che "Berlusconi denuncia media italiani, spagnoli e francesi per diffamazione" mentre El Pais scrive: "Belusconi lancia un’offensiva contro la stampa e la Chiesa" il premier, nota il quotidiano, "torna dalle vacanze alla grande attaccando frontalmente la stampa e la chiesa, i due poteri che osano disturbare i suoi deliri di impunità".


29 agosto 2009


STATI UNITI
Il controllo del web a Obama
Bozza di legge: in caso di emergenza nazionale il presidente può sconnettere i computer privati


WASHINGTON - In caso di emergenza nazionale il presidente degli Stati Uniti potrebbe avere il potere di controllare internet, sconnettendo i computer privati dalla rete. È quanto prevede un progetto di legge non ancora discusso al Senato che però già sta allarmando le aziende che operano nel web e gruppi a difesa dei diritti civili. Nelle 55 pagine del testo redatto da Jay Rockefeller, senatore democratico della West Virginia, anticipato dal sito Cnet, si legge che l'inquilino della Casa Bianca, dopo aver dichiarato «lo stato d'emergenza nazionale sul fronte della cybersicurezza», è autorizzato a «prendere il controllo temporaneo» dei computer «non governativi».

La legge prevede anche l'introduzione di una certificazione di «professionisti sulla cybersicurezza» e la richiesta che i sistemi informatici del settore privato debbano essere gestiti da personale che abbiano ottenuto questa licenza. La proposta punta a risolvere un problema che da tempo preoccupa gli stati Uniti, ovvero quale debba essere la strategia del governo di fronte a un attacco informatico.

Già nel maggio scorso, lo stesso Obama aveva riconosciuto che gli Stati Uniti «non sono preparati come dovrebbero» ad affrontare minacce che possono venire dalla rete, così pericolose per la sicurezza nazionale. All'epoca annunciò la creazione di un coordinatore per la cybersicurezza da inserire nello staff presidenziale. Ma a tre mesi di distanza quel posto è ancora vacante. Per questa ragione c'è chi oggi contesta il governo, chiedendosi perchè un'amministrazione cosi manchevole sul tema della sicurezza informatica dovrebbe essere tanto credibile da indicare ai privati cosa fare in caso di emergenza.





i risultati dell'autopsia
Il coroner: «Jackson, è stato omicidio»
Il medico legale: il re del pop ucciso da un'intossicazione acuta di anestetico e un sedativo


NEW YORK - È ufficiale. Michael Jackson è stato ammazzato e la sua morte non è dunque da intendersi come accidentale. A confermare le voci che circolano ormai da giorni sul web è stato lo stesso medico legale di Los Angeles, che ha diretto l'esame tossicologico per determinare le cause dell’improvvisa morte del King of Pop, stroncato da un arresto cardiaco nella sua villa di Los Angeles, lo scorso 25 giugno, a soli 50 anni. «È stato stabilito che il decesso è avvenuto a causa di una acuta intossicazione da Propofol e Lorazepam», ha spiegato il coroner in un comunicato ufficiale. «La morte verrà trattata pertanto come un omicidio». «Un omicidio» realizzato con forti dosi di anestetico. Il verdetto del coroner di Los Angeles sulla morte di Michael Jackson è quasi una sentenza di condanna immediata per il medico che nei momenti fatali era accanto al cantante. «Acuta intossicazione da Propofol e Lorazepam», dice il medico legale incaricato dai magistrati. Il primo di questi medicinali è un anestetico, il secondo è un sedativo. L'esame dell'autopsia ha rivelato anche la presenza di altre molecole nel cadavere di Jackson: Midazolam, Diazepam, Lidocaina e efedrina.

OMICIDIO - Il j’accuse del coroner – la prima dichiarazione ufficiale delle autorità californiane che la morte del cantante verrà trattata come un omicidio - dovrebbe portare in breve tempo all’arresto di Conrad Murray, il cardiologo di Las Vegas che gli avrebbe somministrato l’ormai famigerato «cocktail letale». La lista di farmaci, alcuni incompatibili tra loro, rinvenuti dal medico legale nel cadavere del cantante contraddice ogni elementare buon senso ippocratico. Jackson – sempre secondo il rapporto reso noto ieri - aveva in corpo un miscuglio micidiale di sedativi, antidolorifici e stimolanti. Dal Midazolam (un narcotico simile al Propofol, usato per calmare i pazienti senza però addormentarli durante le colonscopie) al Diazepam, la versione generica del Valium e dall’analgesico Lidocaina all’efedrina, un forte eccitante.

RAPPORTO - Il coroner ha precisato che il rapporto completo dell'autopsia di Jackson «rimarrà ancora nelle mani della polizia di Los Angeles e del procuratore generale della contea» anche se a questo punto tutte le indagini passano alla procura che presto potrebbe spiccare i primi mandati di arresto. L’ipotesi di un processo, che si preannuncia già come l’ennesimo circo mediatico mondiale, sembra ormai una certezza per il dottor Murray. Interrogato più volte dalla polizia, il cardiologo ha ammesso di aver iniettato l’anestetico Propofol al suo celebre paziente verso le 10 e 40 di mattina dello scorso 25 giugno, dopo aver trascorso un’intera notte nel vano tentativo di farlo addormentare, somministrandogli ben quattro iniezioni di Lorazepam e Midazolam, due potenti sedativi. «Alla fine sono stato costretto a cedere alle sue insistenti richieste», ha testimoniato il medico, ammettendo però di avergli iniettato lo stesso anestetico «tutte le notti, per ben sei settimane». Ma il Propofol può essere usato soltanto in ospedale e dagli anestesisti che, in virtù della sua potenza, sono costretti a monitorare in continuazione la reazione del paziente al farmaco. È chiaro, insomma, che usarlo come sonnifero è, non solo illegale, ma in questo caso anche un atto criminoso.

COMPLEANNO - Proprio oggi Jackson avrebbe compiuto 51 anni e in tutti gli Usa si moltiplicano gli eventi per ricordarlo. Al Nethermead Meadow di Prospect Park, a Brooklyn, ci sarà una grande festa in suo onore, organizzata dal regista nero Spike Lee dove sono attese fino a 40 mila persone. In occasione della kermesse il presidente del quartiere Marty Markowitz proclamerà il 29 agosto Michael Jackson Day.





i CORPI DELLE VITTIME ERANO STATE TUTTE GETTATE NEI CANALI
Ragazza rapita, si allarga l'inchiesta:
si indaga su 10 omicidi di prostitute

Tutte assassinate nell’area di Pittsburg, non lontano da dove viveva Garrido, il sequestratore di Jayceen Dugard


WASHINGTON – Phil Garrido, il rapitore di Jayceen Dugard, potrebbe essere legato ad una serie di omicidi. Per ora è solo un sospetto e gli uomini dello Sceriffo si sono recati di nuovo nella casa-prigione per cercare eventuali elementi di prova. Tra il 1998 e il ’99, una decina di donne – in gran parte prostitute - sono state assassinate nell’area di Pittsburg, località non lontano da Antioc, la cittadina californiana dove Garrido viveva.

CADAVERI NEI CANALI - Un killer, rimasto senza nome, le aveva strangolate e ne aveva poi gettato i cadaveri lungo dei canali. Le vittime erano delle “lucciole”, con l’eccezione di Lisa Norrell, una quindicenne scomparsa al ritorno da una festa ad Antioc. Un caso sul quale avevano indagato anche gli studenti della Facoltà di giornalismo dell’università di Berkeley. All’epoca la polizia aveva interrogato Garrido, che lavorava nella zona, ma lo aveva rilasciato perché non era emerso nulla di compromettente. Ma adesso, alla luce anche della scoperta – tardiva – del sequestro di Jayceen gli investigatori vogliono rivedere il file.


GLI ERRORI DELLA POLIZIA - Il “mostro” si è rivelato un criminale abile riuscendo a tenere in ostaggio per 18 anni la ragazza e, in seguito, anche le sue due figlie. Una lunga prigionia resa possibile anche dall’incompetenza degli investigatori della Contea. C’erano state segnalazioni sulla presenza di due minori nella casa, l’uomo aveva precedenti penali per stupro, il suo nome compariva nel registro dei predatori sessuali, ma gli agenti non sono stati capaci di scoprire il nascondiglio che aveva creato nel cortile. Lo Sceriffo, contrito, ha ammesso l’errore ed ha riconosciuto che nel 2006 i suoi collaboratori avrebbero potuto salvare gli ostaggi se fossero stati “più curiosi, attenti” e professionali. Infatti, invece di condurre una perquisizione - possibile anche senza mandato visto che Garrido era in libertà vigilata -, si erano limitati a parlare con Phil sulla porta di ingresso. Un comportamento che è stato definito da molti esperti “non scusabile”.

29 agosto 2009


Quattro gli arrestati, tutti tra i 18 e i 24 anni
«Calciatrice uccisa perché gay»
Processo-choc in Sudafrica
Eudy Simelane era capitano della nazionale femminile



Non solo tra le «Banyana Banyana», le ragazze della nazionale di calcio, ci era arrivata. Alla fine, inseguendo palloni a centrocampo e facendo ripartire l’azione, si era anche guadagnata la fascia di capitano della squadra femminile sudafricana. Il sogno però si è spezzato, su un campo che non era rettangolare.

Il corpo di Eudy Simelane, 31 anni, lesbica, è stato trovato seminudo in un parco di KwaThema, la sua cittadina natale alle porte di Johannesburg. Violentata e uccisa nell’aprile dell’anno scorso con 25 coltellate al volto, al seno, alle gambe.
Uno «stupro correttivo » finito in omicidio, secondo le organizzazioni sudafricane per i diritti di gay e lesbiche. Vale a dire, una violenza deliberatamente inflitta per cambiare l’orientamento sessuale della vittima. Quattro gli arrestati, tutti tra i 18 e i 24 anni. Per tre di loro il processo si è aperto lo scorso mercoledì a Delmas, nella provincia settentrionale del Mpumalanga.

Eudy era stata una delle prime donne di KwaThema a vivere apertamente la sua omosessualità ed era impegnata in prima linea per i diritti dei gay. «Perché hanno fatto questo gesto orribile? Per quello che lei era?» ripete la madre Mally ai media africani: «Era solo una donna dolce, che non ha mai fatto del male a nessuno». Alla nazionale Eudy era arrivata giocando nelle «Springs Home Sweepers», la squadra del suo paese, che ricambiava con l’affetto la notorietà regalata dalle convocazioni della concittadina.
Adesso però la corte di Delmas deve giudicare Themba Mvubu, Khumbulani Magagula e Johannes Mahlangu, i tre ragazzi di quella stessa comunità accusati di aver stuprato, ucciso e derubato Eudy. Si dichiarano innocenti mentre Thato Mphiti, il quarto uomo della presunta gang, ha confessato ed è già stato condannato a 32 anni in un processo separato. Nessun reato di stupro, però. Con la precisazione del giudice che «l’orientamento sessuale della vittima non ha rilevanza nel caso».

«È un modo per non ammettere che le donne lesbiche in Sudafrica vanno incontro a stupri e omicidi» denuncia sul quotidiano Telegraph Phumi Mtetwa, la direttrice della ong di Johannesburg Lesbian and gay equality project . «La violenza sulle donne omosessuali per renderle 'normali' è semprepiùfrequente»conferma al Corriere Stephanie Ross, funzionario dell’agenzia internazionale Action Aid e curatrice del report 2009 «Crimini d’odio: la crescita dello 'stupro correttivo' in Sudafrica». «Solo a Johannesburg almeno 10 lesbiche subiscono ogni settimana aggressioni di questo tipo e il numero reale è probabilmente molto più alto », aggiunge. Un paradosso in un Paese dove dal 2006 la Costituzione consente anche il matrimonio tra gay: «Alla fine gli 'stupri correttivi' aumentano proprio perché le donne si sentono incoraggiate dalle legge a vivere apertamente la loro omosessualità ma si scontrano con una violenza reale radicata e impunita. Pochi casi arrivano a processo e raramente i colpevoli sono catturati e condannati». Anche per questo oltre 250 attivisti sono accorsi mercoledì al processo per Eudy. A chiedere con i loro striscioni «giustizia per lei e per tutte le donne».







La società italiana ha incassato 30 multe a luglio e altrettante sono in arrivo
L’Enac e la sanzione contro Alitalia:
a rischio la licenza per i bagagli

L’agosto nero a Fiumicino: voli e consegna valigie, ritardi fino al 56% per la compagnia

ROMA — Stop al caos negli aeroporti. L’Enac, l’autorità che vigila sul trasporto aereo, guidata da Vito Riggio, si avvia a aprire un procedimento di revoca della licenza per i bagagli nei confronti di Alitalia e di revoca totale verso uno degli operatori minori di handling (servizi di terra) di Fiumicino: Flightcare che avrebbe 5 mila bagagli in giacenza. Le compagnie avranno 1-2 mesi per ripristinare il servizio. Nella prima settimana di agosto, a Fiumicino, solo il 46,5% delle valigie imbarcate da Alitalia è stato riconsegnato nei tempi, contro uno standard richiesto del 90%. Anche ieri i ritardi dei voli hanno toccato il massimo di 60 minuti. Alitalia ha già subito dall’Enac 30 multe a luglio, da 2 mila euro. E altre 30 ne avrà a agosto, per totali 120 mila euro. Oggi un’ispezione dell’Enac riguarderà il principale scalo romano.

Certo, ormai l’estate sta finendo ed è probabile che nei prossimi mesi le cose andranno a posto da sole. Già, perché i servizi non sempre sono tarati sul picco del traffico estivo. Per capire cosa sia successo, abbiamo provato a seguire l’iter di un normale bagaglio da stiva a Fiumicino. La valigia, posizionata sul nastro dall’hostess della compagnia, con l’etichetta di riconoscimento, finisce in un sistema che si chiama Bhs (baggage handling system) a cura del gestore (Adr). Il problema, a sentire le compagnie, è che questo sistema a Roma non è a riconoscimento automatico. Cioè tutte le valigie, quando arrivano nell’unica stanza di compensazione, verrebbero smistate manualmente verso la loro destinazione, con notevole perdita di tempo. Adr si difende dicendo che il sistema è a posto, semmai gli manca il back up in caso di guasti.

Il potenziamento è previsto nel 2012. Una volta indirizzato, il bagaglio viene caricato su un carrello. Alitalia lo fa tramite i propri dipendenti dell’ex Az Airport o di Eas, la compagnia di handling di AirOne, che adesso è nel gruppo Alitalia. Il carrello arriva sottobordo e viene scaricato nella stiva, sempre a cura del vettore. In queste fasi, dunque, come anche in quella dello sbarco/imbarco dei passeggeri con scaletta e autobus, la responsabilità è di Alitalia. A sentire il personale che ci lavora, in parte stagionale, il problema è di mancanza di risorse o scarsa qualificazione. Dice una fonte che preferisce l’anonimato: «A caricare le valigie sui nastri mediamente ci sono tre persone, a turno, per sei ore. Mentre sono 6-7 quelle che caricano i bagagli sui carrelli. Quanto al servizio lost and found (smarrimento bagagli), la media è di tre: pochissime, perché qui fanno servizio molti sindacalisti assenti per i distacchi».

Il lavoro non viene svolto solo per Alitalia ma anche per altre compagnie che la Eas, quando era di AirOne, aveva preso in appalto. «Il fatto è — spiega la fonte — che gli operai di Eas hanno tuttora un contratto diverso da quello di Alitalia: sono pagati meglio, almeno di 200 euro, e sono flessibili. La gente di Alitalia invece è abituata a svolgere solo il proprio lavoro. E non c’è nemmeno da stupirsi, visto che prendono al massimo 800 euro». La paga negli ultimi anni è scesa molto a causa del subentro di piccoli concorrenti, Flightcare e Avia Partner, che gareggiando al ribasso hanno peggiorato la qualità dei servizi e i contratti di lavoro. Tra i problemi emersi in Alitalia, secondo i sindacati, c’è la riduzione dell’orario: la nuova compagnia guidata da Rocco Sabelli, nel rinnovare i contratti, avrebbe compresso gli orari da sei a 4-5 ore ma ogni giorno chiederebbe al personale di allungare i turni o di saltare un giorno di riposo.

Una richiesta spesso non accolta (tanti hanno un secondo lavoro), con la conseguenza che alcuni turni, specie nelle ore di punta, rimarrebbero sguarniti. Per rimediare al caos bagagli, Alitalia ha appena adottato il Brs (Baggage riconciliation system) su 60 voli (240 entro novembre) che riduce i tempi del ritrovamento di una bagaglio in stiva o di una valigia cosiddetta «disguidata ». La compagnia rivendica miglioramenti sulla regolarità dei voli (99,79% a agosto) e sulla puntualità in arrivo su tutta la rete (75,72% a agosto), mentre ritiene che il dato della puntualità in partenza (43,8%) da Fiumicino, vada corretto in un 52,8%, depurato dai 60 voli charter. Dall’aeroporto di Torino confermano che la situazione dei ritardi di Alitalia è migliorata da quando un aereo è stato dedicato allo scalo. Da Venezia il presidente di Save, Enrico Marchi, nel precisare che la società di gestione non si occupa di handling , riconosce che «con Alitalia non ci sono particolari problemi». Dalla Sea, il gestore degli scali milanesi, si fa notare, forse con un po’ d’ironia, visto che Alitalia ha scelto Roma come hub , che la puntualità ormai supera l’80%. «Mi auguro che Alitalia migliori anche a Roma e che Adr assuma le proprie responsabilità, visto che è anche coordinatore dello scalo» è l’auspicio di un minaccioso Vito Riggio.



Ventiquattro anni, insieme a 13 connazionali percorreva una pista battuta
Feriti 4 compagni. I genitori di Sulbiate, Brianza, in viaggio verso la capitale africana
Namibia, ribalta la jeep nel deserto


ROMA - Correvano nel deserto della Namibia su tre jeep. Un dosso improvviso ha fatto ribaltare un'auto. E' morto così Matteo Brambilla, 24 anni di Sulbiate, piccolo comune in Brianza. I quattro amici che erano con lui sul fuoristrada sono rimasti feriti ma in maniera leggera e già oggi rientreranno in Italia.

Nel paese africano resta la salma del giovane composta in un ospedale della capitale in attesa che i genitori raggiungano Windhoek per sbrigare le formalità burocratiche utili per rimpatriare il feretro.

Erano partiti da diversi aeroporti italiani assistiti da un tour operator specializzato in viaggi avventurosi. In quattordici si erano ritrovati in Namibia per un tour che si sarebbe concluso lunedì prossimo. Un paio di giorni fa, seduti su tre fuoristrada, hanno affrontato il deserto lungo una pista battuta ma qualcosa è andato storto. Una duna improvvisa ha capovolto la jeep fuori strada: Matteo è morto sul colpo. Gli altri compagni d'avventura sono stati accompagnati in un posto di primo soccorso e quindi trasferiti nella capitale, assistiti dal consolato italiano a Pretoria, competente anche in Namibia.

(28 agosto 2009)


La decisione di far saltare l'incontro all'Aquila tra il cardinale Tarcisio Bertone
e il premier sarebbe stata presa ieri mattina direttamente dal Segretario di Stato
"Non possumus". E dalla Curia
arriva lo schiaffo a Berlusconi

L'assalto al direttore di Avvenire per la Cei è un attacco a tutto il vertice della Chiesa italiana



CITTÀ DEL VATICANO - Lo "schiaffo" al premier Berlusconi arriva direttamente dal Palazzo Apostolico, in Vaticano, subito dopo la lettura della prima pagina del Giornale. Secondo le voci filtrate riservatamente dai monsignori della Curia papale, la decisione di far saltare l'incontro all'Aquila tra il cardinale Tarcisio Bertone e il premier Silvio Berlusconi sarebbe stata presa ieri mattina direttamente dal Segretario di Stato. Ma secondo altre fonti, la telefonata a Palazzo Chigi con cui Oltretevere si annunciava il non possumus pontificio sarebbe stata fatta nel corso della nottata, sull'onda delle prime anticipazioni arrivate in Vaticano relative agli articoli del quotidiano di casa Berlusconi.

Tempi a parte, l'attacco sferrato dal foglio diretto da Vittorio Feltri al collega direttore di Avvenire Dino Boffo viene subito giudicato dagli uomini di papa Ratzinger come uno "sfregio" fatto a tutta la gerarchia ecclesiale al di qua e al di là del Tevere. Uno "sgarbo" messo a segno dal direttore del giornale berlusconiano nel maldestro tentativo - commentano in Segreteria di Stato - di creare una sorta di spaccatura tra la Santa Sede e i vertici della Conferenza episcopale italiana, vale a dire gli editori di riferimento del quotidiano cattolico Avvenire, "colpevole" di aver sollevato dubbi ed interrogativi sulle vicende private del premier. "Uno sfregio ed uno sgarbo" che il primo a non mandare giù è proprio il più stretto collaboratore di papa Ratzinger, il cardinale segretario di Stato Bertone, in procinto di partire alla volta dell'Aquila dove, oltre a presiedere la Perdonanza celestiniana, in serata si sarebbe dovuto incontrare a cena proprio con Berlusconi. Una circostanza che - si apprende in Vaticano - il Segretario di Stato della Santa Sede non aveva gradito molto, ma che alla fine aveva deciso di accettare a malincuore "solo per una forma di rispetto verso le istituzioni italiane". E certamente anche per questo, lo stesso cardinale Bertone ieri aveva concesso una esclusiva intervista al quotidiano della Santa Sede, l'Osservatore Romano, dal titolo "Il progetto di Chiesa e di società di Benedetto XVI", dedicata alle novità del pontificato ratzingeriano e, soprattutto, al significato della sua partecipazione alle celebrazioni della Perdonanza celestiana, invitando, tra l'altro, uomini di Chiesa, rappresentanti delle istituzioni e mass media ad "un più profondo senso di responsabilità" nell'esercizio delle loro funzioni.

Consigli ed esortazioni - agli occhi di Bertone e dei suoi collaboratori - completamente vanificate dall'attacco di Feltri al direttore di Avvenire. Da qui la decisione - presa dal cardinale "senza indugi e con estrema decisione", giurano nel Palazzo Apostolico - di disdire l'incontro all'Aquila con Berlusconi con una "ferma" telefonata a Palazzo Chigi al sottosegretario Gianni Letta, che avrebbe tentato di convincere il porporato a fare marcia indietro, ma senza successo.

I primi ad accogliere con "un sospiro di sollievo" lo notizia sono stati gli uomini di Angelo Bagnasco, il cardinale presidente della Cei che, oltre ad essere proprietaria di Avvenire, nei giorni scorsi non ha risparmiato critiche all'operato di Berlusconi sia col segretario generale, il vescovo Mariano Crociata che con lo stesso Bagnasco. Alla Cei - si apprende in ambienti vicini ai vertici episcopali - hanno visto negli articoli del Giornale "un tentativo di colpire non solo Boffo, ma tutto il vertice della Chiesa italiana". Ed un incontro tra Bertone e Berlusconi, proprio nel giorno del grande attacco al direttore del quotidiano cattolico, sarebbe stato visto come una sorta di delegittimazione della stessa gerarchia ecclesiale italiana da parte del Vaticano. Non è stato così. Ed ora alla Cei - anche se nessuno lo dice apertamente - fanno capire che "tanta acqua dovrà passare sotto i ponti" se il premier vorrà riannodare i rapporti con i capi dell'episcopato italiano: specialmente se la direzione del quotidiano berlusconiano continuerà ad essere in mano a Vittorio Feltri.

(29 agosto 2009)


"Manifestazione a settembre". Bersani: atto sconsiderato
Il segretario Pd: "Un'indegna strategia di intimidazione"
Causa a Repubblica, raffica di proteste
Franceschini: il premier ci denunci tutti

L'Udc: "Chi guida il Paese non può essere allergico alle critiche"




ROMA - Lo slogan c'è già: "Denunciaci tutti", stampato sulle magliette alla Festa del Pd di Genova, preludio della manifestazione in difesa della libertà di stampa che ci sarà a settembre. La citazione in giudizio di Silvio Berlusconi contro Repubblica per le 10 domande provoca una mobilitazione che va dai partiti d'opposizione (Pd, Idv e Udc) fino alla società civile. Mentre le 10 domande poste al premier da Giuseppe D'Avanzo e definite da Berlusconi "diffamatorie", vengono replicate infinite volte sul web, dai blog a Facebook.

Ieri sono state numerosissime le reazioni alla decisione del premier e del suo avvocato Niccolò Ghedini di fare causa al nostro giornale, chiedendo un risarcimento per un milione di euro perché, sta scritto nell'atto di citazione, "il danno arrecato al Dottor Berlusconi è enorme". Tutto il Pd si è mosso testimoniando solidarietà al direttore Ezio Mauro. Il segretario Dario Franceschini lancia la parola d'ordine: "Il premier non denunci solo Repubblica. Ci denunci tutti". Quella di Berlusconi, per il segretario Pd, "è un'indegna strategia di intimidazione nei confronti di un singolo giornale, dell'opposizione e di chiunque difenda i principi di un paese libero. Settembre dovrà essere il mese di una grande mobilitazione, al di là dei colori politici, per la difesa della libertà di stampa e del diritto all'informazione". Pierluigi Bersani è durissimo: "Alle dieci domande si risponde. È un fatto inedito e dieci volte sconsiderato. È meglio che Berlusconi rifletta e che si dia una calmata, perché di questo passo deve portare in tribunale mezzo mondo". E Ignazio Marino afferma che "la libertà di stampa va difesa come fa Repubblica".

Di tutt'altro tenore le reazioni del centrodestra che, invece, attacca il quotidiano e il suo direttore. "Avvelena i pozzi della vita civile", dice Osvaldo Napoli, vice presidente dei deputati Pdl. Per Giorgio Lainati, membro della commissione di Vigilanza, "il tradizionale conformismo del mondo dell'informazione fa scattare una solidarietà di parte a chi attacca, negando di fatto a chi è attaccato il diritto di difendersi". Fabrizio Cicchitto, capogruppo a Montecitorio del Pdl, chiede al Pd di "prendere le distanze da Repubblica".

Anche l'Udc si schiera contro il premier: "Chi guida il Paese - spiega il segretario Lorenzo Cesa - non può essere allergico alle critiche, anche alle più dure". Anna Finocchiaro, presidente dei senatori Pd, mette insieme la causa a Repubblica e le critiche al Tg3 per dire che "siamo di fronte ad un attacco concentrico da parte del premier nei confronti della stampa che esprime e dà voce alle posizioni critiche nei confronti del suo operato". E Piero Fassino incalza: "Rispettare la libertà di stampa e la funzione critica dell'informazione è un dovere di chiunque ricopre incarichi politici e istituzionali". Così Paolo Gentiloni che ritiene "urgente una risposta di chi crede nell'articolo 21 della Costituzione. Perché Berlusconi ha superato un nuovo limite". Mentre Vincenzo Vita parla chiaramente di "un'ansia di regime mediatico che ha preso il sopravvento".

Al porto antico di Genova, Festa del Pd, si parla della denuncia del premier a Repubblica. Francesco Rutelli, presidente del Copasir, dal palco nota come "Berlusconi doveva rispondere alle 10 domande". "Un fatto grave", definisce Enrico Letta l'attacco a Repubblica. E Antonio Di Pietro, sceglie Twitter, diffusissimo social network, per lanciare nella rete il suo breve messaggio: "Pravda Berlusconi denuncia Repubblica per le 10 domande. Gli pongo allora l'undicesima: "Ma quando, lei, si toglierà di torno?"".

(29 agosto 2009)


Tesa la riunione tra Letta e il premier "Guarda Silvio che così non duriamo"
Il sottosegretario alla presidenza trascina il premier in Vaticano per un incontro notturno
La giornata nera del Cavaliere
rincorsa per ricucire con la Chiesa

Ma al Vaticano non basta la dissociazione da Feltri. Timori per una crisi





ROMA - Per un presidente del Consiglio che si vanta a ogni piè sospinto di avere con la Santa Sede "i migliori rapporti di sempre", la giornata di ieri è stata da incubo. Per Silvio Berlusconi ma soprattutto per Gianni Letta, che da settimane stava lavorando di fino per ricucire gli strappi con Oltretevere prodotti dalle uscite dei ministri della Lega. Sapeva Berlusconi cosa si stava cucinando al Giornale contro il direttore dell'Avvenire? Sapeva, ma forse non tutto e sicuramente non aveva previsto l'uscita dello "scoop" del quotidiano di famiglia nello stesso giorno del suo sudatissimo incontro con il segretario di Stato. Era infatti da prima del G8 dell'Aquila che palazzo Chigi aveva chiesto un incontro al numero due del Vaticano. Finora senza successo, anzi una prima volta Bertone si era negato per ragioni di "opportunità". Senza contare il rifiuto di papa Ratzinger di incontrare Berlusconi a Viterbo il prossimo 6 settembre, in occasione dell'esposizione della "machina" di Santa Rosa.

A voler ricostruire lo svolgersi dell'operazione dietro le quinte, appare comunque chiaro che già da tempo Dino Boffo era finito nel mirino del Cavaliere, che meditava vendetta per le critiche ricevute questa estate sulla sua "condotta morale". "Un attacco gratuito e a freddo, ha dato credito a tutte le menzogne che scrivono su di me", aveva confidato con rabbia Berlusconi nei giorni scorsi.

Boffo era finito nella lista nera dei nemici da colpire, nonostante le rassicurazioni private fornite anche di recente al premier dai vertici della Cei sulla non ostilità pregiudiziale della Chiesa italiana rispetto al suo governo. L'operazione contro Boffo dunque doveva scattare, Berlusconi l'aveva avallata politicamente, ma il premier ha sottovalutato l'imprevedibilità di Vittorio Feltri: obiettivo giusto, tempi e modi sbagliati. E così la bomba è scoppiata in casa dell'attentatore.

Raccontano che le colombe di palazzo Chigi, Gianni Letta e Paolo Bonaiuti, informati solo a tarda sera di quanto stava per accadere, abbiano fatto il diavolo a quattro per tentare di bloccare la prima pagina del Giornale. Inutilmente. Compresa la gravità della situazione, giovedì sera Letta ha convinto Berlusconi, appena atterrato a Ciampino da Arcore, a filare dritto in Vaticano per un incontro notturno e segreto con il cardinale Bertone. Un faccia a faccia per tentare di spiegare di essere stati entrambi "assolutamente all'oscuro" dell'attacco di Feltri e per cercare di attutire le inevitabili conseguenze, provando a salvare la cena all'Aquila. Un'opera di diplomazia che si ripetuta ieri al telefono, ma inutilmente. Anche perché i vescovi non si accontentavano del comunicato con cui il Cavaliere prendeva le distanze dal Giornale, ma pretendevano la testa del direttore Feltri.

Il secondo atto del dramma è andato in scena invece a palazzo Grazioli, tra Gianni Letta e Berlusconi. Un incontro di due ore a tratti molto teso, con il braccio destro del Cavaliere arrivato a un passo dalle dimissioni. Un disagio condiviso dal portavoce Paolo Bonaiuti, che da mesi sta cucendo rapporti stretti e cordiali con i direttori dei media cattolici. "Guarda Silvio che un governo che fa la guerra alla Chiesa non dura molto", ha spiegato con tono fermo "l'eminenza azzurrina" al premier. Indispettito per aver visto finire in fumo un paziente lavoro di tessitura, Letta ha preteso da Berlusconi una smentita di Feltri. Quella che ha partorito Berlusconi, con il consiglio di Niccolò Ghedini, è stata invece una dissociazione a metà, di cui il Cavaliere ha approfittato per ribadire in toto le sue ragioni: "Ho reagito con determinazione a quello che in questi mesi è stato fatto contro di me usando fantasiosi gossip che riguardavano la mia vita privata presentata in modo artefatto e inveritiero".

Per salvare il salvabile, con l'ala cattolica del Pdl sempre più in fermento, Berlusconi adesso pensa a come trovare una via d'uscita, mentre nel governo si agitano gli spettri di una crisi improvvisa, di un "complotto" per far fuori Berlusconi, come titolava ieri Libero in prima pagina dando voce al leghista Calderoli. Tra le mosse del premier c'è, al primo punto, il tentativo di accordo con l'Udc per le prossime regionali. Il problema è che Pier Ferdinando Casini non vuole sentire parlare di un'intesa nazionale con il Pdl. "Vuol dire che parlerò con Caltagirone", ha scrollato le spalle Berlusconi.

(29 agosto 2009)
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 30/8/2009, 10:34




Il direttore si difende: un documento-montatura
Boffo (Avvenire) rivela di aver ricevuto una telefonata dal ministro Maroni. La vicenda di Terni

TERNI — Il giorno dopo Dino Boffo si difende a tutto campo. E, in un lungo articolo pubblicato oggi sull’ Avvenire , parte dal cuore del problema, dai documenti che sono stati pubblicati dal Giornale . Prende lo spunto da un passaggio preciso, quello in cui si dice che «era soggetto già attenzionato dalla polizia di Stato per le sue frequentazioni». Parole che, secondo quanto lascia intendere il quotidiano che fa capo alla famiglia Berlusconi, sarebbero contenute in un’informativa scritta dalla polizia quando ancora si era nella fase delle indagini preliminari. Frasi che hanno provocato anche le proteste della comunità gay e di diversi politici che hanno parlato di «pericolo schedatura per gli omosessuali». Secondo Boffo— tra i più critici nella ultime settimane sulla condotta morale del presidente del consiglio — si tratterebbe di un errore, di un falso, di una trappola congegnata ad arte per attaccarlo.

Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ha telefonato al direttore dell’ Avvenire per esprimergli la sua solidarietà. Ed ha escluso che quella frase fosse contenuta in un’informativa di polizia e che le forze dell’ordine lo abbiano mai «attenzionato» per le sue frequentazioni. Anzi gli ha assicurato che, dopo una rapida verifica, su di lui non sarebbe emerso nulla. Cosa potrebbe essere successo?

Se non in un’informativa di polizia la frase, e forse non solo quella, potrebbe essere contenuta invece in una lettera arrivata alla Fondazione Toniolo, ente culturale di grande importanza per la Chiesa e per la Cei, la Conferenza episcopale italiana, e che ha tanta influenza anche nella scelta del direttore dell’ Avvenire . Una lettera anonima nella quale si diceva che Boffo aveva frequentazioni omosessuali e che, come tutte le lettere anonime, la fondazione ha deciso di cestinare ed ignorare. È possibile che proprio a questo si riferisse monsignor Giuseppe Betori, ex segretario della Cei ed oggi arcivescovo di Firenze, quando a proposito degli attacchi del Giornale ha parlato di «spazzatura». Su questo insiste Boffo, sostenendo che l’intera vicenda sarebbe in realtà una montatura, che tante sarebbero le incongruenze tecniche e di sostanza. E che il tutto potrebbe essere partito da chi con lui aveva qualche vecchio conto da saldare, magari per dissapori nati sul piano professionale.

Anche la condanna per molestie, secondo quanto Boffo ha ripetuto anche in passato e sostiene ancora adesso, potrebbe essere diversa da come è stata presentata. Verso la fine del 2000 il direttore dell’ Avvenire avrebbe scelto come suo collaboratore un ragazzo che era ospite della Comunità incontro, il centro di recupero per ex tossicodipendenti fondato da don Pierino Gelmini vicino ad Amelia, in Umbria. Era un modo per aiutare una persona in difficoltà a ricostruirsi una nuova vita. Ma sarebbe stato proprio quel ragazzo a fare quelle telefonate insistenti alla signora di Terni che poi ha querelato per molestie il direttore dell’ Avvenire . Boffo avrebbe deciso di proteggere il ragazzo preferendo chiudere la vicenda nel più breve tempo possibile. E sarebbe stato questo a spingerlo a patteggiare davanti al giudice per l’udienza preliminare di Terni e pagare l’ammenda di 516 euro. «La condanna — si legge nei documenti pubblicati dal Giornale — è stata originata da più comportamenti posti in essere in Terni dall’ottobre 2001 al gennaio 2002, mese quest’ultimo nel quale, a seguito di intercettazioni telefoniche disposte dall’autorità giudiziaria, si è costatato il reato ». Le telefonate insistenti, quindi, sarebbero partite dal cellulare di Boffo ma non sarebbe stato lui l’autore delle minacce, bensì il suo collaboratore, poi morto per overdose. Almeno secondo la versione dei fatti che lo stesso direttore dell’ Avvenire aveva dato già in passato, quando le prime voci cominciarono a circolare. Sempre nella comunità di don Gelmini, come ex tossicodipendente da recuperare, sarebbe passato anche il marito della signora oggetto della telefonate moleste, cioè l’uomo con il quale — secondo il Giornale — Boffo «aveva una relazione omosessuale». Ma su queste voci nella Comunità Incontro non si trovano conferme.



30 agosto 2009


scrutinati il 35 per cento dei voti
Afghanistan, si allarga vantaggio di Karzai
Elezioni, lo sfidante Abdullah Abdullah avrebbe il 31,4% delle preferenze contro il 42,3 del presidente uscente

KABUL_ Si allarga il vantaggio di Hamid Karzai sullo sfidante Abdullah Abdullah, a 9 giorni dalle elezioni presidenziali. La Commissione Elettorale afgana ha annunciato ieri che con circa il 35 per cento dei voti scrutinati l’attuale presidente guiderebbe la gara con il 46,3 per cento delle preferenze contro il 31,4 per cento dell’avversario. Il dato precedente, su 17 per cento degli scrutini, dava Karzai in testa con il 42,3 per cento.

I DATI- Il nuovo risultato conferma dunque il trend. Ma resta inferiore al 50 per cento più uno dei voti, risultato richiesto dalla costituzione per non tornare ad un secondo ballottaggio. «Siamo ancora comunque lontani dai dati finali. Che dovrebbero giungere entro il 17 settembre», ha dichiarato in serata all’emittente Tolo TV il presidente della Commissione, Daud Najafi. Il protrarsi delle incertezze politiche, le accuse reciproche di broglio da parte dei candidati, anche molti di quelli minori, oltre la violenza diffusa, lancia una grave ipoteca sull’intero processo. Ieri Abdullah Abdullah è tornato a lanciare accuse di fuoco contro Karzai. «Il voto è stato derubato, deturpato, sviato. Il futuro democratico del Paese è in pericolo a causa di brogli e minacce», ci ha dichiarato in un’intervista durata una ventina di minuti dopo un lungo incontro con circa 350 leader degli anziani e capi tribù venuti appositamente a portargli il loro pieno sostegno dalle provincie per lo più pashtun di Patika, Paktia, Lowegar, Khost e Gardez.

LA GUERRA- Tra la folla anche un buon numero di leader tribali tagiki della valle del Pansheer, la zona un centinaio di chilometri a nord della capitale che nel passato fu serbatoio di sostegno all’Alleanza del Nord di cui faceva parte Abdullah Abdullah nella guerra contro i talebani. «Contro le ingiustizie di Karzai siamo pronti a tornare sulle montagne con le nostre armi», hanno gridato alcuni tra gli applausi. Ma Abdullah Abdullah tende tutt’ora a gettare acqua sul fuoco: «Sin a questo momento il Paese si è dimostrato maturo. Nessuno è passato dalle minacce agli atti. Riconteremo i voti e faremo verifiche nella legalità», sostiene. Il suo progetto è comunque quello di evitare alcuna coalizione con Karzai. «Non intendo affatto entrare nel suo governo. So che ne stanno parlando con gli americani. Ma io non ci sto», dichiara.

NUOVE ELEZIONI- Si rende conto che il processo verso un secondo ballottaggio resta carico di incognite. «Ma sono convinto che grazie all’aiuto della comunità internazionale dispiegata militarmente sul territorio potremo avere un secondo turno più tranquillo e corretto». Eppure chiede anche alle forze Usa-Isaf, agli osservatori dell’Onu (Unema) e alle delegazioni occidentali di «essere molto più onesti nelle operazioni di scrutinio». Il suo ufficio elettorale sta rendendo noto una lunga serie di video, presi dalle provincie sud-orientali, in cui appare chiaramente il broglio. Si vedono diversi poliziotti e scrutatori che falsificano le schede. E non mancano le critiche anche agli italiani nella regione occidentale con comando ad Herat. «So che nella zona italiana il Prt, Unema e i militari italiani si sono detti soddisfatti subito dopo il voto del 20. Ebbene io dico loro che facciano molta più attenzione. Siamo a conoscenza di brogli tra le urne nella zona italiana, specie a Farah e nel Badghis. Io non avrei gridato vittoria tanto in fretta».


30 agosto 2009


I MEDICI «CONDIZIONI GRAVI MA STABILI, PERò HA BUONE POSSIBILITà DI GUARIRE»
Ricoverato giovane con influenza A: grave
Il ragazzo si trova in «coma indotto» al San Gerardo dei Tintori di Monza, dove è stato trasferito da Parma


MILANO - Mentre si discute l'evoluzione del virus, ecco che in Italia spunta il primo caso «grave». Si tratta di F. F. un ragazzo di 24 anni, ricoverato all'Ospedale San Gerardo dei Tintori di Monza, nel reparto di terapia intensiva che si trova in «coma indotto». Lo riferisce il ministero della Sanità. Il giovane ha contratto un'infezione da virus AH1N1, che ha passato a un suo familiare.

IN OSPEDALE- Il paziente è stato ricoverato il 22 agosto all'ospedale di Parma, con diagnosi polmonite. La situazione però non è migliorata. Anzi. Così il 25 è stato deciso il trasferimento a Monza, in terapia intensiva, specializzato nel trattamento della sindrome da distress respiratorio. F.F, è in condizioni "gravissime, ma stabili". Lo dicono i medici della struttura sanitaria nella quale è ricoverato in terapia intensiva. Il giovane, secondo loro, ha comunque "buone possibilità di guarire". «E’ sedato, intubato e collegato a una macchina cuore-polmone in dialisi continua (ultrafiltrazione)», ha detto Giuseppe Foti, responsabile del reparto di Terapia intensiva generale. Il paziente è affetto da una Sindrome da distress respiratorio dell’adulto (Ards), una insufficienza respiratoria associata anche a una renale. Inizialmente soffriva anche di insufficienza cardiocircolatoria, ma ne è uscito. Un dato che ha stabilizzato le sue condizioni. La ventilazione artificiale è necessaria per aumentare la quantità di ossigeno e la pressione nei polmoni e contrastare l’epatizzazione.

IL CONTAGIO - Il ragazzo malato avrebbe contratto il virus AH1N1 durante le vacanze sulla Riviera romagnola. Il ventiquattrenne, residente a Parma, si sarebbe presentato il 18 agosto prima alla Guardia Medica poi al Pronto Soccorso della città emiliana con una grave sindrome influenzale ma, a parere dei medici del Maggiore di Parma, senza i sintomi dell' influenza A. Per questo il test non era stato eseguito. «Non c'era alcuna indicazione perchè venisse eseguito il test sul ragazzo - ha spiegato Sergio Venturi, direttore generale dell'Azienda ospedaliero-universitaria di Parma - In quelle condizioni qualsiasi malato che si presenta in Pronto Soccorso, valutato dal punto di vista clinico e strumentale, non si sottopone al test. Questo era previsto nella fase iniziale della pandemia, in maggio, in cui ci si prefiggeva di evitare l' espandersi dell'epidemia. Da due mesi l'indicazione è invece quella della mitigazione». «Il giovane aveva la febbre da due giorni ma non aveva sintomatologie specifiche - ha aggiunto Carlo Ferrari, direttore della struttura di Malattie Infettive ed Epatologia dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma - In più l'esame radiografico era negativo. In questi casi non c'è nessuna indicazione di eseguire il test, a meno che il medico che lo vede ritenga che ci sia un quadro già compromesso con delle complicazioni». Il test sul giovane è stato realizzato al suo arrivo all' ospedale di Monza il 25, ed il responso finale della positività è stato reso noto ieri sera dai laboratori dell'ospedale Sacco di Milano. Colpito dal virus AH1N1 anche il padre del giovane; in questo caso l'esito del test è arrivato dai laboratori dell'Università di Parma giovedì scorso.

COMPLICAZIONI - L'evoluzione in Sindrome da Distress respiratorio dell'adulto è una delle rare complicazioni di numerose infezioni virali, compresa l'infezione da virus AH1N1. I casi confermati di influenza AH1N1 in Italia sono attualmente circa 1900, di cui circa il 10% secondari. La letalità della nuova influenza AH1N1, sulla base dei dati del Centro Europeo Controllo Malattie ( ECDC) di Stoccolma, nei paesi dell'Unione Europea e dell'area EFTA è attualmente dello 0,21%. A livello globale, secondo i dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, la letalità è attualmente dello 0,98%.



Elezioni - Il Paese alla vigilia di una rivoluzione politica
Il Giappone alle urne: il partito democratico assapora il suo trionfo
Finisce mezzo secolo di dominio liberale

YOKOSUKA (Giappone) — Oggi si vota. E per vederci chiaro, sul banchetto all’ingresso del comitato elettorale di Shinjiro Koizumi, sono a disposizione dei simpatizzanti alcune paia di occhiali. Da presbite. Perché il Partito liberaldemocratico, Ldp, è un partito ormai per vecchi. Lo sanno anche i giovani, qual è Shinjiro — figlio dell’ex premier Junichiro Koizumi — che va alla conquista del seggio di famiglia, a Yokosuka, sud di Tokyo. Venerdì all’ora di pranzo ha tenuto uno degli ultimi comizi, in un centro per pensionati nella vicina Kurihama. Al maestro di tè Tokuichiro Hashimoto il ragazzo, classe 1981, piace: «Ce la farà», peccato che ad ascoltarlo fossero solo anziani. È anche per la conclamata involuzione geriatrica dell’Ldp che il Partito democratico (Dpj) è quasi certo di festeggiare stasera la vittoria e domani governare. «Solo in Cina, Nord Corea e da noi ha sempre comandato lo stesso partito», sorride Tetsundo Iwakuni, deputato uscente del Dpj: e dopo 54 anni di potere liberaldemocratico quasi ininterrotto «si cambia», obamianamente.

Non che Iwakuni sia un giovanotto. Almeno non si ripresenta. Circa il 40% dei candidati liberaldemocratici è figlio, nipote e/o pronipote di deputati. Tra i democratici la percentuale è la metà. Il nepotismo dell’Ldp ha contribuito a esasperare un elettorato già provato dalla crisi, ora che la disoccupazione ha raggiunto il massimo dalla guerra, 5,7% in luglio. E poi c’è la burocrazia, che il Dpj (ottimista) promette di sfoltire: «I giapponesi danno la patente ai politici — scherza col Corriere Iwakuni — ma poi si fanno governare dai burocrati, che guidano senza patente. Basta».

No al nepotismo, no alla burocrazia, no al solito partito. Gli slogan dei democratici sono semplici, anche se diluiti in un «Manifesto» in 55 paragrafi che si prefigge di «far sì che la politica lavori per la vita della gente». Il leader del Dpj, Yukio Hatoyama, sembra aver convinto. Piacciono le proposte di abbassare le tasse, di assicurare un sussidio mensile di 270 dollari per ogni bambino e aiuti ai contadini, azzerare i pedaggi autostradali, il tutto tagliando gli sprechi. L’Ldp del premier uscente Taro Aso grida invano che è un piano insostenibile, 179 miliardi di dollari a pieno regime. Grande visione o astuta demagogia che sia, il messaggio di Hatoyama funziona: stando ai sondaggi, dovrebbe consegnare al Dpj la maggioranza assoluta, forse la maggioranza qualificata, cioè i due terzi dei 480 seggi della Camera Bassa che darebbero al governo il controllo su ogni provvedimento.

L’agenda di Hatoyama sembra abbastanza generica da non scontentare nessuno. In politica estera mette al primo punto la «costruzione di una stretta e paritaria alleanza Giappone-Usa» ma prevede «la revisione dell’accordo» sulle forze militari americane nell’arcipelago, 47 mila uomini. Qualche iniziativa è un pegno da pagare: come la rinuncia alla missione navale d’appoggio alle operazioni Usa in Afghanistan, promessa ai socialdemocratici, alleati piccoli ma preziosi al Senato. «Con gli Usa — dice ancora Iwakuni — siamo d’accordo sul 70% delle questioni. Il vocabolario dell’Ldp non prevedeva il 'no', riguardo a Washington. Ma conosco gli americani e so che qualche 'no' fa bene all’amicizia. Con Obama ci intenderemo».

Una delle basi statunitensi è proprio a Yokosuka, lunedì comitati di cittadini hanno protestato contro la portaerei nucleare Nimitz . Tuttavia non è su quello che si decide la partita. Tutt’altro: «Pesa la crisi. Ce ne danno la colpa, ma noi non c’entriamo», si lamenta con il Corriere un boss dell’Ldp, Takashi Sasagawa, all’ottava elezione a Gunma. I democratici, invece, hanno altre paure: che la folla di deputati nuovi e giovani non sia abbastanza coesa, che non sappia resistere ai ricatti e alle lusinghe dei burocrati e dei potentati economici, che affiorino le anime del Dpj, ibrido costituito da fuoriusciti liberaldemocratici, ex socialisti, cani sciolti.

Lo stesso Hatoyama, che pure ha co-fondato il Dpj, è un ex dell’Ldp. Il Partito democratico non è immunizzato contro le scissioni. Ma, nella domenica della vittoria annunciata, sono timori veniali. Scaramanzia. Le paure vere verranno governando.


Marco Del Corona
30 agosto 2009
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 31/8/2009, 10:32




Un disoccupato in una frazione di Reggio Emilia: «Una mattanza»
Uccide moglie e figlio e cerca il suicidio
L'uomo è in coma dopo aver preso farmaci e alcol. In fin di vita un altro figlio di 4 anni e la padrona di casa

REGGIO EMILIA - Strage famigliare la scorsa notte a Sabbione, frazione di Reggio Emilia. Davide Duò, ex operaio ceramista disoccupato di 47 anni di origini torinesi, ha ucciso nel sonno la moglie Sandra Pattio (45) e il figlio Thomas (19), ha ridotto in fin di vita l'altro figlio Marco di 4 anni ed Elisabetta Detti, padrona di casa 79enne che da tempo li ospita, amica della madre di sua moglie. Dopo di che ha tentato il suicidio ingurgitando alcol e farmaci in quantità. Quindi intorno alle 4,15 ha chiamato il 112, ma prima dell'arrivo dei carabinieri è uscito di casa e probabilmente a seguito di una caduta ha battuto la testa. È stato trovato in coma e ricoverato all'ospedale di Reggio Emilia.

«MATTANZA» - La strage è stata compiuta, secondo i primi accertamenti, utilizzando una mazzetta da muratore e un coltello per disossare i prosciutti. Secondo gli investigatori si è trattato di «una vera e propria mattanza». Le prime ipotesi propendono per un disagio di natura psicologica forse legato alla mancanza di lavoro. Duò da tempo soffriva di depressione ed è definito «un tipo ombroso» da chi lo conosce. I suoi parenti, che vivono nella vicina Scandiano, lo sentivano pochissimo e da tempo non lo vedevano.


31 agosto 2009



I dati preliminari dell'Istat
Inflazione: risale in agosto, +0,2%
Da un anno per la prima volta in crescita. Eurostat: nei sedici Paesi dell'euro ancora negativa, -0,2%


ROMA - Dopo un anno in Italia risale l'inflazione. Secondo i dati preliminari dell'Istat, in agosto di è registrato un aumento dei prezzi dello 0,4% rispetto al mese precedente, portando l'inflazione tendenziale su agosto 2008 a +0,2%. L'inflazione acquisita per il 2009, ovvero quella che si avrebbe se si continuasse a registrare lo stello livello rilevato ad agosto, è pari al +0,9%.

ZONA EURO - Dati diversi nei sedici Paesi che hanno adottato l'euro come moneta unica. Secondo l'Eurostat, infatti, ad agosto l'inflazione è stata pari a -0,2%, il livello più basso dalla nascita dell'euro. In luglio l'indice dei prezzi al consumo nell'Eurozona era stato pari a -0,7%.

CONSUMATORI - Le associazione dei consumatori Adusbef e Federconsumatori in un comunicato congiunto invitano il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, di passare «dalle parole ai fatti, mettendo le mani al portafoglio». Secondo i due rispettivi presidenti, Elio Lannutti e Rosario Trefiletti, «alla luce dei dati Istat sui consumi di giugno, del pessimo andamento economico, delle disastrose previsioni sul Pil, a cui si aggiungono le pesantissime ricadute per l'aumento di cassa integrazione e licenziamenti (che produrranno minori entrate di 580 euro annui a famiglia, ed addirittura di circa 980 euro annui per le famiglie a reddito fisso), è indispensabile intervenire con una manovra concreta a sostegno delle famiglie».


31 agosto 2009



Tragedia in THAILANDIA
Muore annegato durante reality
Il concorrente Saad Khan stava attraversando un laghetto con un peso di 7 kg sulle spalle: lascia 4 figli


MILANO - Doveva essere una banalissima prova di resistenza fisica, di quelle che impazzano in tv. Si è trasformata invece in una tragedia per Saad Khan, un 32enne pachistano, sposato e padre di quattro figli, morto annegato durante le riprese di un reality in Thailandia. L'uomo stava attraversando un laghetto a nuoto con un peso di 7 chili sulle spalle quando è scomparso sotto le acque: la troupe ha cercato di salvarlo senza riuscirci e il suo corpo è stato recuperato dai sommozzatori.

LA SFIDA La «sfida subacquea» era stata proposta da una ospite dello show, la modella pakistana Amina Sheikh. La notizia della morte del concorrente, confermata da fonti della Unilever (sponsor del programma), era stata inizialmente riportata dall'e-magazine pakistano Aarpix.com, che l'aveva appresa dalla famiglia della vittima, e poi era finita su una serie di blog e su Twitter.

PRODUZIONE SOSPESA - Le autorità thailandesi - il reality show veniva prodotto a Bangkok - hanno aperto un'inchiesta e disposto l'autopsia sul corpo della vittima. «È stato un tragico incidente - ha detto Tim Johns, portavoce locale del gruppo Unilever -. Siamo sotto choc per quanto è successo e il nostro pensiero va alla famiglia. Al momento stiamo seguendo tutti gli accertamenti e contiamo di andare fino in fondo alla cosa». La Unilever si è anche offerta di provvedere finanziariamente alla vedova e ai quattro figli della vittima, precisando tuttavia di non accettare alcuna responsabilità legale per la morte di Khan. Intanto, la produzione del programma è stata sospesa.


31 agosto 2009



Usò il pc dalle 9.36 alle 12.20. Chiara fu uccisa tra le 11 e le 11.30
Una nuova superperizia smonta
l’accusa ad Alberto

Garlasco, Stasi era al computer nell’ora del delitto


MILANO — Periti dell’accusa, della difesa, della parte civile e del giudice. Per una volta sono tutti d’accordo: Alberto Stasi dice la verità quando sostiene che la mattina del 13 agosto 2007 ha lavorato alla sua tesi di laurea. I nuovi accertamenti ordinati dal giudice dell’udienza preliminare Stefano Vitelli hanno scovato dettagli mai emersi in due anni di indagini che ora finiranno nelle superperizie da consegnare al gup entro la fine del mese. Il biondino di Garlasco, rivelano quei dettagli, ha acceso il computer alle 9.36, ha guardato filmini e immagini pornografiche dopodiché ha salvato più volte file di Word (presumibilmente parti della tesi) fra le 10.20 e le 12.20.

Particolari che fanno a pugni con la ricostruzione del delitto proposta finora in aula dal pubblico ministero Rosa Muscio. Che smontano l'impalcatura sulla quale la procura di Vigevano ha costruito l’inchiesta. Perché la dottoressa Muscio ha sposato e sostenuto, davanti al giudice, la tesi del suo medico legale e cioè che Chiara Poggi, la fidanzata di Alberto uccisa a colpi in testa con un’arma mai trovata, è morta «tra le 10.30 e le 12, con maggior centratura tra le 11 e le 11.30». Di più. Il pubblico ministero si è spinto a definire «assolutamente oggettivi» i dati della sua perizia medico- legale bocciando la consulenza del consulente nominato da Alberto Stasi (l’unico indagato di quest’inchiesta) che invece, paradossalmente, ha sempre anticipato l’orario della morte fra le 9 e le dieci.

La domanda è: com’è stato possibile non rilevare dati così importanti per le indagini in due anni di perizie e controperizie? La risposta è nel sospetto che, prima gli avvocati di Stasi e poi lo stesso giudice Vitelli, hanno avanzato durante le udienze. E cioè il timore che i carabinieri, controllando il computer di Alberto prima di consegnarlo alla procura, avessero involontariamente alterato i dati custoditi nella sua memoria. E adesso i nuovi esami informatici lo confermano: otto consulenti tecnici dicono tutti assieme che sì, aprendo file, filmati, fotografie sul computer di Alberto, i carabinieri hanno cancellato senza volerlo le tracce dei salvataggi di Word fra le 10.20 e le 12.20.

Per arrivare a questa conclusione sono stati simulati prima la scrittura di qualche pagina di tesi e poi le operazioni eseguite dai carabinieri. Risultato: il sistema operativo ha cancellato i file di salvataggio, proprio come accadde ad agosto del 2007. Per ritrovarli è stato necessario esplorare un’area del computer mai visionata finora e per entrare in quell’area si è dovuto seguire una procedura tutt’altro che standard, voluta da tutti i periti informatici. Ma sapere come ci si è arrivati ad Alberto importa poco. Lui parte dalla fine, dall’esito. E sa benissimo che questo è un punto a suo favore, che il pubblico ministero adesso sarà in difficoltà.

Come rivedere il teorema accusatorio che ipotizza il delitto in una fascia oraria per la quale a questo punto esiste un alibi? Per la verità anche per la difesa non mancherà qualche imbarazzo. Pure agli avvocati di Alberto toccherà tornare davanti al giudice a rimangiarsi le ipotesi fin qui sostenute sull’ora della morte «fra le 9 e le 10». Lo scenario più probabile, a questo punto, è che ciascuna delle parti provi a plasmare la propria tesi sui nuovi risultati tecnici. Chi non ha mai cambiato di una virgola la versione della prima ora è Franca Bermani, la madre di una delle vicine di casa di Chiara Poggi. La signora Bermani disse di aver visto davanti a casa Poggi una bicicletta nera da donna alle 9.10 di quel 13 agosto, stessa ora in cui Chiara ha disattivato l’antifurto di casa. Il giudice Vitelli ha voluto che fosse risentita e lei è stata di nuovo categorica: la bici c’era ed era nera. Non quella che le è stata mostrata in fotografia, cioè la bicicletta bordeaux di Alberto sul cui pedale è stato trovato il dna di Chiara (sangue, secondo l’accusa). Così in questi giorni in procura si prova a ragionare secondo un nuovo schema: il delitto può essere stato commesso prima delle 9.36 o dopo le 12.20?


31 agosto 2009
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 31/8/2009, 19:05




SCONTRO SULLA NOTA ANONIMA: «SEMBRA UN AVVERTIMENTO MAFIOSO»
Mogavero: «Boffo potrebbe dimettersi»
Il vescovo di Mazara: «Se lo fa non è per ammissione di colpa, ma per il bene della Chiesa e del giornale»

MILANO - Dino Boffo potrebbe valutare la possibilità di dimettersi da direttore del quotidiano Avvenire, «non certo per ammissione di colpa, ma per il bene della Chiesa e del giornale». È monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo e presidente del consiglio Cei per gli Affari giuridici, il primo prelato a parlare esplicitamente di dimissioni, dopo l'attacco del Giornale di Vittorio Feltri: «Se ritiene che tutta la vicenda, pur essendo priva di fondamento, possa nuocere alla causa del giornale o agli uomini di Chiesa, Boffo potrebbe anche decidere di dimettersi. In effetti in Italia chi si dimette è sempre ritenuto colpevole, ma non sempre è così. Se Boffo accettasse anche di passare per un disgraziato pur di non nuocere alla causa del giornale, farebbe la cosa giusta. Poi nelle sedi opportune si accerteranno debitamente i fatti».

SECONDO EDITORIALE - Un invito che il direttore non sembra aver intenzione di accogliere. Martedì mattina su Avvenire Dino Boffo pubblicherà un secondo intervento (dopo quello di domenica), per spiegare cosa c’è dietro la lettera anonima spedita almeno tre mesi fa e inviata a circa 300 persone, tra vescovi, una vasta rappresentanza della Curia e alcuni direttori di giornali. Il quotidiano della Cei dedicherà ben tre pagine alla vicenda, nella rubrica «Il direttore risponde», in cui compariranno anche lettere di solidarietà arrivate in redazione. Domenica era stato il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, ha espresso la sua vicinanza al direttore di Avvenire. «Boffo è molto provato e umanamente a pezzi, come anche tutta la sua famiglia - dice una fonte a lui vicina -, ma non ha intenzione di arrendersi». Tuttavia circola insistente la voce di possibili dimissioni nell’arco di qualche mese, tanto più che una frangia dell’episcopato italiano - quella legata all’ala martiniana e progressista - non è in totale accordo con le posizioni di Boffo.

«AVVERTIMENTO MAFIOSO» - A proposito della lettera anonima inviata a tutti i vescovi, monsignor Mogavero conferma: «L’ho ricevuta anche io, poco prima di Pasqua. È un momento di grande imbarbarimento, questa storia si contorna sempre più di tinte sgradevoli. Ho subito pensato che fosse un’operazione pilotata da qualcuno, diretta a noi vescovi, un’operazione squallida, quasi un avvertimento mafioso. A me è arrivata una fotocopia, ma c’era tanto di carta intestata, e il pezzo riconduceva al casellario giudiziario. Le ipotesi dunque sono due: o qualcuno ha messo mano a documenti riservati - e questo è estremamente grave - o qualcuno ha diffuso la notizia falsa per far scoppiare una bomba ad orologeria. È un’operazione squallida, che non ha nessuna credibilità. Lo scopo? Forse delegittimare i vescovi, o Avvenire, o Boffo? Oppure spaccare ulteriormente il mondo cattolico? Ma né l’uno né l’altro scopo è stato raggiunto e le posizioni espresse in passato da Avvenire sulle principali vicende politiche italiane rimangono valide».

LA NOTA ANONIMA - Dunque resta un mistero l'origine del mini dossier che accusa Boffo e che è stato reso pubblico da Feltri. L'informativa, una nota anonima, è stata praticamente inviata a tutti i vescovi d’Italia per posta. Secondo una ricostruzione dell'agenzia Apcom potrebbe essere partita da ambienti dell’università Cattolica di Milano e recapitata in prima battuta alla diocesi ambrosiana e all’Istituto Giuseppe Toniolo presieduto dal cardinal Dionigi Tettamanzi. L'invio del foglio anonimo risalirebbe al momento in cui si stava discutendo la riconferma della nomina di Boffo a segretario dello stesso Istituto Toniolo. Nessun commento dalla diocesi milanese e da Tettamanzi. In ambienti ecclesiali si dice che, mentre la sentenza è vera, «l’informativa aggiuntiva potrebbe essere una bomba a orologeria per regolare questioni personali o politiche». Secondo monsignor Mogavero in ogni caso la vicenda «pesa» nelle relazioni tra Chiesa e governo perché «indubbiamente in situazioni come questa c'è uno spirito di corpo che si ricompatta anche se precedentemente vi poteva essere una situazione sfilacciata». «Se il premier Silvio Berlusconi - continua il vescovo di Mazara - cerca un riavvicinamento con la Chiesa deve semplicemente cambiare stile di vita, deve semplicemente fare il politico e non il manager o l'uomo di spettacolo». Poi, prosegue Mogavero, «il giudizio sulla sua politica lo daranno il Parlamento e la storia ma se cerca la vicinanza con il mondo ecclesiastico deve assumere un rigoroso stile di vita. Non ci interessa la sua vita privata, ci interessa che non ne faccia motivo di spettacolo».

«I SERVIZI NON C'ENTRANO» - Entrando nel merito della vicenda Boffo, il presidente del Copasir Francesco Rutelli ha escluso un coinvolgimento dei Servizi, assicurando la «massima attenzione contro eventuali deviazioni». «A proposito degli articoli di stampa che ipotizzano la formazione di documentazione illecita nell'ambito delle polemiche in corso, il presidente del Comitato parlamentare per la Sicurezza della Repubblica Francesco Rutelli - si legge in un comunicato- ha reso noto che il comitato non ha ricevuto finora alcuna segnalazione su coinvolgimenti diretti o indiretti di persone legate ai servizi di informazione. Il Copasir dedicherà il massimo di attenzione ad ogni notizia a questo proposito e vigilerà perché non si registrino deviazioni, in qualunque direzione, dai compiti istituzionali in un momento molto delicato per la vita democratica».

IL FASCICOLO A TERNI - Informativa a parte, negli archivi del tribunale di Terni è conservato il fascicolo processuale che riguarda il direttore di Avvenire e che lo costrinse a pagare un'ammenda di 516 euro. Sulla vicenda lunedì mattina il procuratore Fausto Cardella, che all'epoca dei fatti non guidava ancora l'ufficio, non ha voluto fare commenti. Si è limitato a confermare che nessuna iniziativa è stata presa dalla Procura in seguito alla pubblicazione della notizie riguardanti Boffo. Da parte sua il gip di Terni Pierluigi Panariello ha spiegato che nel fascicolo riguardante il procedimento per molestie a carico di Dino Boffo «non c'è assolutamente alcuna nota che riguardi le sue inclinazioni sessuali». Il giudice si sta occupando della vicenda essendo stato chiamato a decidere in merito alle richieste di accesso agli atti presentate da diversi giornalisti. Non si trovano invece più a Terni il pubblico ministero che coordinò l'inchiesta e il gip che firmò il decreto penale di condanna nei confronti di Boffo per molestie.

CESA E ROTONDI - A sostegno del giornalista scende ancora in campo il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa: «L'attacco a un giornale libero come Avvenire che per tutti noi cattolici è un punto di riferimento è vergognoso ed è un segno del degrado della politica dei nostri tempi» spiega il leader centrista a margine del sit-in di protesta davanti all'Ambasciata libica di via Nomentana a Roma contro la visita del premier Berlusconi a Tripoli. Cesa si augura che venga fatta luce «sul dossier che è girato tra le redazioni e lo si faccia in Parlamento nella commissione competente che è il Copasir». Per il ministro per l'Attuazione del programma di governo, Gianfranco Rotondi, «questo è uno dei casi in cui serve solo la preghiera per tutti i protagonisti di questo doloroso capitolo della vita nazionale». «Il livello di imbarbarimento nel rapporto tra politica e informazione è tale che necessita di un momento di riflessione e di responsabilità» sostiene Piero Fassino. All'esponente del Pd replica il presidente dei deputati del Pdl Fabrizio Cicchitto: «Quello che afferma Fassino sull'imbarbarimento dello scontro politico-giornalistico è condivisibile se riguarda ciò che è successo in Italia da alcuni mesi a questa parte e se si rivolge a trecentosessanta gradi a tutti i mezzi di comunicazione di massa, giornali e trasmissioni televisive, che si sono esibiti su questo terreno». Infine, l'Italia dei Valori ha presentato un esposto alla autorità giudiziaria sulla vicenda. «È sbagliato prendersela con Feltri, in quanto ha dato la notizia di un atto giudiziario esistente - afferma Antonio Di Pietro -. È necessario invece prendersela con il mandante e l'esecutore dell'attività di dossieraggio. Qualcuno si è messo a fare veline, dossier, per conto di qualche "eccellenza": vorrei sapere chi è l'eccellenza, chi lo ha ordinato e chi lo ha eseguito».




31 agosto 2009



l'imbarcazione è a cinque miglia dalle coste di tripoli. Di Pietro: governo fascista
Immigrati respinti, Ue chiede spiegazioni
Sul gommone 75 persone, anche donne e bimbi. Maroni: «Avanti con i respingimenti, nei Cie nessuna emergenza»


MILANO- Mentre l'Unione Europea chiede informazioni «ai paesi interessati Italia e Malta» sul respingimento del gommone con a bordo 75 persone, l'imbarcazione è in balia delle onde. A 5 miglia dalla Libia non riesce a raggiungere le coste.

L'UNIONE EUROPEA- È stata inviata, quindi, una richiesta ben precisa «per poter valutare la situazione». Lo ha riferito oggi a Bruxelles un portavoce dell’Esecutivo comunitario, Dennis Abbott che ha aggiunto: « La Commissione sottolinea che qualunque essere umano ha diritto di sottoporre una domanda che gli riconosca lo statuto di rifugiato o la protezione internazionale». Inoltre ha ricordato una lettera del commissario alla Giustizia, libertà e sicurezza, Jacques Barrot nella quale ha scritto: «Il principio di non-refoulement (non respingimento, ndr), così come è interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, significa essenzialmente che gli Stati devono astenersi dal respingere una persona (direttamente o indirettamente) laddove potrebbe correre un rischio reale di essere sottoposta a tortura o a pene o trattamenti inumani o degradanti».

MARONI: «PRASSI NORMALE» - Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, definisce la richiesta della Commissione europea di informazioni sull’ultimo respingimento di immigrati al largo delle coste libiche come «una prassi assolutamente normale che è avvenuta in passato». Si tratta ha aggiunto di una richiesta di informazioni - ha detto uscendo dalla sede della Lega di via Bellerio - a cui noi abbiamo sempre risposto, continueremo a farlo e che non ha portato ad alcuna presa particolare della Commissione. Siamo assolutamente tranquilli». Maroni ha poi negato che in futuro siano previste regolarizzazioni anche per altri lavoratori: «Quello del lavoro domestico è un settore verso il quale è necessaria molta attenzione ed è per questo che parte la procedura per l'emersione e la regolarizzazione di chi lavora. Non è però al vaglio del governo la possibilità di dare il via a una procedura simile per altre tipologie di lavoro». Dunque il ministro ha assicurato che proseguiranno i respingimenti degli immigrati, invitando i media a diffondere notizie con prudenza: «In Libia c'è la sede dell'Alto Commissariato e l'ultimo respingimento è stato fatto in acque internazionali. Non so chi ha diffuso notizie secondo le quali gli immigrati erano del Corno d'Africa. Per il barcone di qualche settimana fa con 75 clandestini, la stampa aveva scritto che si trattava di curdi e iracheni, quindi di profughi. E invece è emerso che erano tutti egiziani e in Egitto sono già stati rispediti». Maroni ha quindi precisato che il respingimento dei clandestini verso la Libia «fa parte di un protocollo sottoscritto quando ministro dell'Interno era Giuliano Amato».

IL GOMMONE- Intanto pare non sia ancora arrivato a destinazione, il gommone carico di rifugiati somali. Si trova a circa 5 miglia dalle coste della Libia che non riesce a raggiungere a cause delle cattive condizioni del mare. L'imbarcazione era stata intercettata dalla Guardia di Finanza a circa 24 miglia a sud di capo passero non avrebbe ancora raggiunto l'approdo libico a causa delle cattive condizioni del mare.

COINVOLTI I COMUNI - A Milano il ministro dell'Interno Maroni e il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella hanno firmato un protocollo con l'Anci, l'associazione dei Comuni. Maroni ha accolto la proposta del sindaco di Torino e presidente Anci, Sergio Chiamparino, di coinvolgere i Comuni nel rinnovo dei permessi di soggiorno «Accolgo l'invito - ha detto Maroni - e credo che un protocollo affinché i permessi di soggiorno possano essere rinnovati anche dai Comuni possa essere stipulato in breve tempo. Credo si possa fare per il rinnovo, in quanto è una procedura più snella e non è necessario l'intervento degli uffici della Questura».

«CIE, NESSUNA EMERGENZA» - Per quanto riguarda la situazione nei Centri di identificazione ed espulsione, dove negli ultimi mesi ci sono stati diversi episodi di protesta da parte degli stranieri, Maroni non esiste alcuna emergenza: «Vedo che c'è molta attenzione da parte della stampa per alcuni episodi che si sono verificati. Non c'è alcuna emergenza, sono episodi accaduti altre volte».

DI PIETRO: «GOVERNO FASCISTA» - Sulla questione è intervenuto anche il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro: «A me pare che un po' di umanità ci debba essere e che questo governo sia reintroducendo invece il fascismo, il nazismo la xenofobia di una volta...». «Noi dell'Idv siamo convinti che non possiamo accogliere tutti gli immigrati del mondo nel nostro Paese - ha aggiunto l'ex pm - e che il problema riguarda tutta la società occidentale, l'Europa che devono trovare una linea comunque, ma tutto questo non è una buona ragione per buttare a mare come scarafaggi le persone che stanno in mezzo al mare e in pericolo di vita e soprattutto quelle persone che vengono da noi per motivi di asilo politico o grave malattia».




31 agosto 2009



La replica: nessuno darà peso alle sue azioni teppistiche
Gheddafi: «Via Israele dall'Africa»
Gerusalemme: «È solo un bulletto»

Il leader libico attacca lo Stato Ebraico davanti all'Unione Africana: colpa sua i conflitti nel nostro continente

Usa, in tribunale per fermare visita di Gheddafi (31 agosto 2009)
Il leader libico Muammar Gheddafi (Eidon)
MILANO - Israele è dietro a tutti in conflitti in Africa: per questo «tutte le sue ambasciate nel continente vanno chiuse». Con queste parole il leader libico Muammar Gheddafi si è scagliato contro lo Stato ebraico durante l'apertura del vertice dell'Unione Africana a Tripoli. Israele - ha accusato il colonnello - «alimenta le crisi in Darfur, Sud Sudan, Ciad, per sfruttare le ricchezze di quelle aree, per questo chiediamo alle ambasciate israeliane di lasciare l'Africa». Solo l'Unione Africana, secondo Gheddafi, ha il compito, «diritto-dovere», di tenere le questioni legate ai conflitti in Africa sempre all'ordine del giorno «per aiutare gli africani a trovare soluzioni pacifiche ai conflitti in corso» .

«E' SOLO UN BULLETTO» - La replica di Gerusalemme non si è fatta attendere. «Quel circo equestre itinerante che è Gheddafi è divenuto da tempo uno show tragicomico che imbarazza chi lo ospita e la nazione libica che ne paga il conto» ha detto il portavoce del ministero degli Esteri israeliano, Yigal Palmor, ha commentato la richiesta di chiusura di tutte le ambasciate di Israele in Africa avanzata dal leader libico in apertura del vertice dell'Unione africana in corso a Tripoli. Interpellato dall'Ansa, Palmor ha così proseguito: «Mi chiedo se vi sia ancora qualcuno al mondo che prende seriamente ciò che dice quest'uomo. Noi comunque siamo certi che nessuno stato darà peso alle azioni teppistiche di questo bulletto». Israele ha dieci ambasciate in Africa e nei prossimi giorni il ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, comincerà un viaggio in diversi stati africani - il primo di un capo della diplomazia israeliana dopo molti anni - con l'intento di rafforzare le relazioni con questo continente.


31 agosto 2009



Il passaggio di proprietà formalizzato per 4 miliardi di dollari
Topolino si compra l'Uomo Ragno
La Walt Disney acquisisce Marvel, casa editrice che pubblica anche i Fantastici Quattro e L'incredibile Hulk

MILANO - La Walt Disney ha annunciato oggi di aver raggiunto un accordo per acquistare la Marvel Entertainment per 4 miliardi di dollari in titoli e azioni. Una volta finalizzata la transazione, la Disney diventerà titolare di serie di grandissimo successo come «I fantastici quattro», «Spider Man», «X-men» e l'«Incredibile Hulk». Dopo l'annuncio le azioni della Marvel volano in borsa di oltre il 25% a circa 49 dollari.

OPPORTUNITA' DI CRESCITA - «Aggiungere la Marvel al portafoglio di marchi già unico della Disney - ha detto l'amministratore delegato Bob Iger - garantisce significative opportunità di crescita nel lungo termine oltre che la generazione di valore». In base agli accordi presi, gli azionisti di Marvel riceveranno 30 dollari in contanti più 0,745 azioni Disney per ogni titolo detenuto. Ike Perlmutter, attuale amministratore delegato di Marvel, rimarrà alla guida delle attività Marvel e lavorerà a stretto contatto con la dirigenza di Disney per integrare al meglio i rispettivi business. In un'intervista alla Cnbc, Iger ha precisato che l'acquisto di Marvel non significa necessariamente l'inizio di una nuova fase di acquisti da parte della Disney.

UN MARCHIO STORICO - La Marvel era nata nel 1939 quando l'editore newyorkese Franc Torpey decise di pubblicare la rivista Motion Picture Funnies Weekly in cui comparivano tra l'altro le avventure dell'uomo di Atlantide, il supereroe principe Namor aka Sub Mariner. La rivista non ebbe molti riscontri ma l'idea della rivista a fumetti piacque molto a un altro editore, Martin Goodman, della Western Fiction Publishing, che decise di rilevare la soceità di Torpey dando poi vita alla Timely Comics. Che negli anni a seguire iniziò a pubblicare le avventure di altri supereroi, da Capitan America ai già citati Fantastici Quattro, Spiderman, Hulk e X-Men, e che arrivò ad acquisire l'attuale denominazione nel 1961.






31 agosto 2009



«in ospedale non mi hanno curato. le autorità non si sono occupati del mio caso»
«I talebani mi hanno mutilato»
Il racconto di Lal Mohamed a cui hanno tagliato naso e orecchie mentre si recava ai seggi elettorali

KABUL - Ci vuole coraggio. Per uscire di casa e andare a votare. Per raccontare e denunciare quello che è successo. Semplicemente per riuscire a sopravvivere in Afghanistan. Tra bombe e minacce. Tra soldati e talebani. Lal Mohamed è un uomo coraggioso. Uno dei tanti eroi che vivono nel paese. Il 20 agosto ha sfidato i talebani. Ha lasciato il suo villaggio, nella provincia di Uruzgan, per andare in uno dei seggi elettorali. Non c'era minaccia a convincerlo di non uscire di casa. I Mujaheddin l'hanno fermato e, dopo averlo picchiato a sangue, gli hanno tagliato naso e orecchie. Lo hanno lasciato così, sul ciglio della strada, come esempio per tutti gli afgani che volevano esercitare il loro diritto di voto. E che sperano nella democrazia e nel futuro.

LA DENUNCIA- C'è chi dice che nel paese ci sono sicuramente altri casi simili. Ma per adesso Mohamed è tra i pochi che ha deciso di raccontare e ha scelto il quotidiano inglese Independent. È a casa di un amico. Mutilato e umiliato, l'uomo di 40 anni, ha spiegato, tra le lacrime, che la mattina delle elezioni doveva camminare almeno un'ora e mezza per arrivare al suo seggio. Dopo solo mezz'ora è stato fermato da tre uomini armati che hanno trovato il certificato elettorale. «Hanno cominciato a picchiarmi così forte che sono caduto a terra. Poi un uomo si è seduto a cavalcioni su di me e ha tirato fuori un coltello». Mohamed, poi non si ricorda nulla, tranne che è rimasto sulla strada per molto tempo. Fino a quando «un uomo mi ha portato a Kabul su un asino. Pensavo di morire». All'ospedale, «nessuno mi ha assistito, mi hanno rimandato a casa dicendo che erano pieni e di tornare dopo un paio di giorni». Solo che «ero una maschera di sangue». Ha dovuto farsi «prestare dei soldi per comprare le medicine. Adesso mi hanno promesso un intervento, però c'è il problema del debito». Intanto neanche la polizia «è intervenuta»

LE ELEZIONI- «Ecco cosa succede quando ci si mette contro i talebani. Gli stranieri dicono: "Esci a votare". Poi però non ti aiutano», a parlare questa volta è l'amico di Mohamed. Si è preso cura di lui, lo protegge e lo sta curando. I talebani erano stati chiari: «Non andate a votare e ve ne pentirete». Nel sud l'affluenza è stata bassissima, «troppa paura delle conseguenze». Ma c'è chi come Mohamed non pensava di «fare qualcosa di sbagliato». Per questo si è fatto coraggio. Ed è partito per votare.



31 agosto 2009



Le vittime, impegnate a "combattere le fiamme", erano a bordo di un veicolo uscito di strada
L'aria calda e secca di questi giorni non concederà tregue almeno fino a domani
California, morti due pompieri
Gli incendi minacciano L.A


LOS ANGELES - Gli incendi che da mercoledì stanno martoriando la California, hanno fatto le prime vittime: due pompieri sono morti nella Contea di Los Angeles, mentre erano impegnati a "combattere le fiamme", che da ieri, a causa di un forte vento, sono fuori controllo. L'aria calda e secca alimenta le fiamme. cattive notizie dai meteorologi: le condizioni rimarranno invariate fino a martedì. Intanto è stata creata una task force che avrà il compito di salvaguardare i tralicci e le strutture di comunicazione collocate sul monte Wilson.

L'incendio, che sta devastando la Foresta nazionale di Angeles, a nord di una zona densamente popolata e a una trentina di chilometri da Los Angeles, è ancora considerato "fuori controllo". Le fiamme minacciano ormai il centro di trasmissioni del monte Wilson, che garantisce la diffusione delle principali reti televisive della città, di due terzi delle radio e le comunicazioni di molte forze dell'ordine, locali e federali.

Circa 2 mila e 500 vigili del fuoco si stanno battendo contro le fiamme, mentre elicotteri e aerei riversano acqua dall'alto sulle fiamme: il fumo, assai denso, è visibile a chilometri di distanza sul cielo di Los Angeles e nelle valli di San Fernando e San Bernardino, a nord della megalopoli. E proprio nell'intento di far fronte ai violenti incendi due pompieri hanno perso la vita. Secondo Mike Bryant, potavoce dei vigli del fuoco, il veicolo su cui si trovavano è uscito di strada per ragioni ancora non chiare, a sud della città di Acton.

Le fiamme hanno già distrutto più di 17 mila ettari di vegetazione e i vigili del fuoco temono che il bilancio possa aggravarsi nelle prossime ore. Ieri sera, 18 abitazioni sono state distrutte, la maggior parte nella foresta di Angeles. Al momento, oltre 4 mila abitazioni sono state evacuate, mentre l'incendio continua a minacciare altre 10 mila case e 2 mila e 500 edifici. Il governatore della California, Arnold Schwarzenegger, che ieri si è recato nell'area, ha chiesto a tutti i cittadini di ascoltare gli appelli delle autorità locali e di liberare le proprie abitazioni, se necessario.
(31 agosto 2009)


E' successo a Mingora, nel nord- ovest del paese. Le vittime
giovani poliziotti. Scatta il coprifuoco per timore di nuovi attacchi
Pakistan, terrore senza fine

Kamikaze uccide 14 reclute

MINGORA - Ancora sangue in Pakistan. Almeno 14 reclute di polizia sono rimaste uccise in seguito a un attentato suicida avvenuto oggi nella Swat Valley, nel nord-ovest del Pakistan. Si tratta di uno dei maggiori attacchi, da quando l'esercito ha detto di aver riconquistato il controllo dell'area scacciando i talebani.

Le immagini della tv hanno mostrato gli agenti intenti a raccogliere i resti di corpi mutilati fuori dalla centrale nella città principale della Valley, Mingora. L'attentato è avvenuto - secondo un agente - mentre le nuove reclute erano impegnate nell'addestramento vicino alla caserma, il giorno dopo che l'esercito ha distrutto uno dei principali campi di addestramento di kamikaze.

Il ministro dell'informazione della provincia, Mian Iftikhar Hussain, aveva dichiarato in precedenza che 12 agenti di una nuova unità di polizia erano rimasti uccisi durante l'addestramento vicino alla stazione dopo che un attentatore suicida si è fatto esplodere. Inizialmente un funzionario pachistano aveva riferito di una forte esplosione e di uno scontro a fuoco nel quale erano morte tre reclute. Adesso una fonte medica, Ikram Khan, ha affermato che almeno 14 corpi senza vita di poliziotti sono stati trasportati all'ospedale locale.

E' stato dichiarato il coprifuoco a Mingora, ha aggiunto un responsabile locale della polizia, spiegando che l'esercito e la polizia pattugliano la città e che i negozi sono stati chiusi per il timore di nuovi attentati.

A fine aprile l'esercito pachistano ha lanciato una pesante offensiva in tre distretti nord-occidentali, Swat, Bas Dir e Buner, per contrastare l'avanzata dei talebani a un centinaio di chilometri dalla capitale Islamabad. I combattimenti hanno obbligato 1,9 milioni di civili a lasciare le loro abitazioni, scatenando una crisi umanitaria. Attualmente, secondo i dati del governo, 1,6 milioni di sfollati sono rientrati a casa.
L'esercito afferma di avere ucciso da allora più di 1.930 ribelli e perso negli scontri 170 uomini, un bilancio impossibile da verificare tramite fonti indipendenti.

Il primo ministro pachistano Yousuf Raza Gilania il mese scorso ha annunciato che l'esercito ha "eliminato" i ribelli nella regione. Ma gli attacchi proseguono a swat e nei distretti vicini, facendo pensare che i talebani si siano semplicemente rifugiati nelle zone montuose circostanti.

(30 agosto 2009)


Le Figaro riferisce del mancato incontro con il cardinal Bertone
"Nessuna indulgenza per Silvio Berlusconi, disaccordo crescente"

Il Cavaliere "esasperato"
e il pasdaran Vittorio Feltri



PARIGI - "Nessuna indulgenza per Silvio Berlusconi". Le Figaro racconta oggi del mancato appuntamento con il cardinal Bertone, titolando sul "disaccordo crescente con la Chiesa". "L'incidente rivela il clima di nervosismo che aleggia a Palazzo Chigi", scrive il quotidiano conservatore, che osserva quanto il Cavaliere sia "esasperato" dagli attacchi della stampa, compresa quella cattolica. Nella corrispondenza da Roma, Le Figaro parla anche delle accuse lanciate a Dino Boffo dalle colonne del Giornale.

Lo stile del quotidiano diretto da Vittorio Feltri viene associato a quello dei "pasdaran del regime iraniano". "E' lo stesso giornale - è scritto nell'articolo di oggi - che aveva dato della 'snob' a Carla Sarkozy perché non si era piegata al programma ufficiale del G8", costringendo poi Berlusconi a scusarsi con la première dame. "E intanto i rapporti con il mondo dell'informazione sono ai minimi storici" conclude il giornale francese riportando la notizia della citazione contro Repubblica e la volontà del premier di attaccare molti giornali stranieri.

I "rapporti tesi" tra Chiesa e Berlusconi sono sulla prima pagina del quotidiano La Croix. Il conflitto - secondo il più grande giornale cattolico francese - potrebbe essere "insanabile", "a causa della vita dissoluta del premier e dell'alleanza con il partito xenofobo Lega Nord".

Molti siti francesi continuano a riportare la controffensiva di Berlusconi, e i suoi problemi con il Vaticano. Negli ultimi giorni, le notizie dall'Italia hanno dato luogo anche ad approfondimenti nelle tv e nella radio. France Info ha trasmesso alcune analisi sulla situazione dei media nel nostro paese e un commento di Serge Raffy, autore del pezzo del Nouvel Observateur citato dagli avvocati del premier. "E' un onore essere attaccato da Berlusconi - ha detto il giornalista - ed è un invito ad andare avanti nel nostro lavoro di inchiesta". Sul sito del Nouvel Observateur, oltre alla notizia della possibile denuncia contro il settimanale francese, campeggia anche un altro articolo: "Berlusconi in Libia nonostante Lockerbie".
(31 agosto 2009)


LA POEMICA
Dove è finita l'informazione


Esploso in questi mesi come una battaglia di verità, davanti alle contraddizioni e alle bugie del premier, lo scandalo Berlusconi diventa oggi un problema di libertà, come sottolineano tutti i grandi quotidiani europei, evidenziando ancor più il conformismo silente dei giornali italiani. Prima la denuncia giudiziaria delle 10 domande di "Repubblica", un caso unico al mondo: un leader che cita in giudizio le domande che gli vengono rivolte, per farle bloccare e cancellare, visto che non può rispondere. Poi l'intimidazione alla stampa europea, perché non si occupi dello scandalo. Quindi il tentativo di impedire la citazione in Italia degli articoli dei giornali stranieri, in modo che il nostro Paese resti all'oscuro di tutto. Ecco cosa sta avvenendo nei confronti della libertà di informazione nel nostro Paese.

A tutto ciò, si aggiunge lo scandalo permanente, ma ogni giorno più grave, della poltiglia giornalistica che la Rai serve ai suoi telespettatori, per fare il paio con Mediaset, l'azienda televisiva di proprietà del premier. È uno scandalo che tutti conoscono e che troppi accettano come una malattia cronica e inguaribile della nostra democrazia. E invece l'escalation illiberale di questi giorni conferma che la battaglia di libertà si gioca soprattutto qui. La falsificazione dei fatti, la mortificante soppressione delle notizie ridotte a pasticcio incomprensibile, rendono impossibile il formarsi di una pubblica opinione informata e consapevole, dunque autonoma. Anzi, il degrado dei telegiornali fa il paio con il pestaggio mediatico dei giornali berlusconiani. Molto semplicemente, il congresso del pd, invece di contemplare il proprio ombelico, dovrebbe cominciare da viale Mazzini, sollevando questa battaglia di libertà come questione centrale, oggi, della democrazia italiana.

In quest'ultima stagione del berlusconismo abbiamo contemplato l'apice del conflitto d'interessi, l'anomalia più grave (a questo punto la mostruosità) della politica italiana. Si è vista l'occupazione della Rai e specialmente dei vertici dei telegiornali, cioè ruoli pubblici trasformati in postazioni partigiane; e nello stesso tempo la blindatura militare dei media di proprietà diretta o indiretta del capo del governo.
Berlusconi voleva un'anestesia della società italiana, in modo da poter comunicare ai cittadini esclusivamente le sue verità, i successi, le vittorie, le sue spettacolari "scese in campo" contro i problemi nazionali. L'immondizia a Napoli, il terremoto in Abruzzo, la continua minimizzazione della recessione. Una e una sola voce doveva essere udita, e gli strumenti a disposizione hanno fatto sì che fosse praticamente l'unica a essere diffusa e ascoltata.

Ma evidentemente tutto questo non bastava. Non bastava una maggioranza parlamentare praticamente inscalfibile. Non bastava al capo del governo neppure il consenso continuamente sbandierato a suon di sondaggi. Nel momento in cui la libertà di informazione ha investito lo stile di vita di Berlusconi, e soprattutto il caotico intreccio di rozzi comportamenti privati in luoghi pubblici o semi-istituzionali, il capo della destra ha deciso che occorreva usare non uno bensì due strumenti: il silenziatore, per confondere e zittire l'opinione pubblica, e il bastone, per impedire l'esercizio di un'informazione libera.

Negli ultimi mesi chiunque non sia particolarmente addentro alla politica ha potuto capire ben poco, in base al "sistema" dei telegiornali allineati, dello scandalo che si stava addensando sul premier. Un'informazione spezzettata, rimontata in modo incomprensibile, privata scientemente delle notizie essenziali, ha occultato gli elementi centrali della vicenda della prostituzione di regime. Allorché alla lunga lo scandalo ha bucato la cortina del silenzio, è scattata la seconda fase, quella dell'intimidazione. L'aggressione contro il direttore di Avvenire, Dino Boffo, risulta a questo punto esemplare: il giornale di famiglia, riportato rapidamente a una funzione di assalto, fa partire il suo siluro; nello stesso tempo l'informazione televisiva, con una farragine di servizi senza capo né coda, rende sostanzialmente incomprensibile il caso.

Come in una specie di teoria di Clausewitz rivisitata e volgare, il killeraggio giornalistico, cioè una forma di guerra totale, priva di qualsiasi inibizione, si rivela un proseguimento della politica con altri mezzi. In grado anche di fronteggiare le ripercussioni diplomatiche con la segreteria di Stato vaticana e con la Cei. La strategia rischia di essere efficace, peccato che configuri un drammatico problema di sistema. Ossia una ferita gravissima a uno dei fondamenti della democrazia reale (non dell'astratta democrazia liberale descritta dai nostri flebili maestri quotidiani). Purtroppo non si sa nemmeno a quali riserve di democrazia ci si possa appellare. Ci sono ancoraggi, istituzioni, risorse di etica e di libertà a cui fare riferimento? Oppure il peggio è già avvenuto, e i principi essenziali della nostra democrazia sono già stati frantumati?

Basta una scorsa alla più accreditata informazione straniera per rendersi conto del penoso provincialismo con cui questo problema viene trattato qui in Italia, della speciosità delle argomentazioni, del servilismo della destra (un esponente della maggioranza ha dichiarato ai tg che la rinuncia di Berlusconi a partecipare alla Perdonanza, dopo l'attacco del Giornale a Boffo, "disgustoso" per il presidente della Cei Angelo Bagnasco, era un atto "di straordinario valore cristiano"). Oltretutto, risulta insopportabile l'idea che nel nostro futuro, cioè nella nostra politica, nella nostra cultura, nella nostra idea di un paese, ci sia un blocco costituito dall'informazione di potere, un consenso organizzato mediaticamente nella società, e al di fuori di questo perimetro pochi e rischiosi luoghi di dissenso. Questa non è una democrazia. È un regime che non vuole più nemmeno esibire una tolleranza di facciata. Quando tutti se ne renderanno conto sarà sempre troppo tardi.

(31 agosto 2009) Tutti gli articoli di politica


L'INTERVISTA. Parla Geoff Andrews, storico e fondatore del sito Open democracy
"Dal premier italiano un comportamento assai insolito, perlomeno in una democrazia"
Le denunce di Berlusconi?
"Reazioni di un leader in difficoltà"



LONDRA - "Sono le reazioni di un leader in ansia, che si sente sempre più isolato e in difficoltà". Geoff Andrews, docente di storia italiana, autore di un libro sul nostro paese e commentatore del sito Open Democracy, commenta così la decisione di Silvio Berlusconi di denunciare "Repubblica" e altri giornali per diffamazione.

Una parte della denuncia definisce diffamatorie le dieci domande presentate mesi fa dal nostro giornale al primo ministro: può una domanda essere considerata diffamante?
"E' certamente assai insolito, perlomeno in una democrazia. Tanto più che quelle domanda sono state pubblicate per la prima volta all'inizio dell'estate e il premier italiano ha risposto con un lungo silenzio, ovvero ha scelto di non rispondere. Fare causa contro le domande sembra un tentativo di intimidire non solo "Repubblica" ma qualunque giornale dal porgli domande scomode, che è poi il compito della stampa in un paese democratico".

L'altro aspetto della denuncia riguarda commenti e argomentazioni fatti da un giornale francese, citati in un articolo di "Repubblica". Come interpreta questo?
"Si vede chiaramente il contrasto tra l'informazione in Italia, su cui Berlusconi esercita un vasto e quasi assoluto controllo, e quella all'estero, su cui ovviamente non può porre divieti o restrizioni. Ed ecco allora il ricorso alla giustizia per impedire che i giornali stranieri possano essere citati in Italia. E' un fatto grave, ma è anche la prova che Berlusconi si rende conto della pericolosità, per lui, della stampa e dell'opinione pubblica internazionale".

"Incredibile. Con poche eccezioni, non se ne parla o se ne parla per minimizzare e difendere il premier.
Sarebbe come se la Bbc e le tivù private britanniche non avessero raccontato lo scandalo dei rimborsi spese dei deputati che ha fatto tremare nei mesi scorsi il parlamento di Westminster. Cosa che non dovrebbe accadere in una democrazia".
Ma se accade, come sta accadendo in Italia, che conseguenze potrebbero esserci?
"Io credo che presto o tardi gli alleati di Berlusconi, o almeno alcuni di essi all'interno della coalizione di centro-destra, cominceranno a chiedersi se è legittimo e augurabile per il paese che sia consentita una situazione del genere. E prima o poi potrebbero esserci reazioni anche da parte degli alleati dell'Italia, dei suoi partner nell'Unione Europea, nella Nato, nel G8. Quando una democrazia zoppica, rallenta e preoccupa tutto l'impianto a cui è collegata, come del resto vari leader stranieri e perfino la Chiesa cattolica iniziano cautamente a segnalare".

Allora Berlusconi potrebbe subire dei contraccolpi con questa azione legale?
"Io penso che si tratti di una mossa politica, un colpo di coda che lascia trapelare segnali di crescente ansietà nel premier, sempre più toccato dalle critiche internazionali e con una sensazione di crescente isolamento anche in Italia, dove appare a molti dei suoi stessi alleati come una figura problematica".

(31 agosto 2009)
 
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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 1/9/2009, 09:51




ITALIA-LIBIA, IL CASO
«Siamo italiani, no al fumo verde»
Prove cancellate per le Frecce

La risposta alle richieste dei libici per l'esibizione a Tripoli




TRIPOLI — «Shut down the engine, you have a delay». Per ben due volte il comandante delle Frecce Tricolori, Massimo Tammaro, che stava rullando sulla pista dell'aeroporto militare di Maitiga ha ricevuto dalla torre di controllo l'ordine di spegnere i motori degli Aermacchi. Con la terza comunicazione è giunto anche l'ordine di rientrare perché l'esercitazione era cancellata. Quella di ieri, sul cielo di Tripoli, doveva essere la prova generale della manifestazione acrobatica che la nostra pattuglia — che tutto il mondo ci invidia per la sua abilità — avrebbe dovuto fare per i festeggiamenti odierni in occasione dei 40 anni della rivoluzione verde che portò al potere il colonnello Muhammar Gheddafi. E il colore verde potrebbe essere all'origine della cancellazione. Da tempo, infatti, le autorità libiche chiedono che le Frecce scarichino scie di fumo verde durante le acrobazie previste per i festeggiamenti in onore dei 40 anni di potere del Raìs. Ma la risposta è sempre stata la stessa: un cortese ma fermo no. Anche ieri, durante il consueto briefing che precede un'esercitazione, Tammaro si è sentito fare la medesima richiesta. E anche ieri ha risposto: «Noi siamo italiani e abbiamo una disposizione ferrea. I fumi che possiamo scaricare sono bianchi o tricolori, come la nostra bellissima bandiera».

Insomma, tutto lascia intendere che potrebbe essere questo diniego all'origine della decisione libica di sospendere i voli acrobatici. Anche se ufficialmente nessuno vi fa riferimento, nemmeno gli italiani. Lo stesso Tammaro, in una improvvisata conferenza stampa nella nave albergo che ospita gli uomini della pattuglia, spiega che la ragione è «tecnica» dopo essersi consultato con lo stato maggiore dell'aeronautica militare italiana, l'ambasciatore Francesco Tupiano e il ministro della Difesa Ignazio La Russa. «In una zona della città, di fronte al mare, — dice l'ufficiale — è ancora in corso il vertice dei capi di Stato africani e quindi per motivi di sicurezza ci è stato comunicato che tutti i voli erano stati sospesi». Tutti i nostri, militari e politici, ne prendono atto. Ragioni di opportunità invitano ad accettare per buono quanto hanno sostenuto i libici perché è del tutto plausibile la loro tesi visto che sul lungomare, sotto una tensostruttura, la stessa che domenica ha ospitato la cena tra Gheddafi e Silvio Berlusconi, si svolge il vertice dei leader dell'Unione africana.

Dal punto di vista diplomatico si vogliono evitare incidenti perché si sa quanto siano imprevedibili i dirigenti libici e quanto talvolta paiono capricciose se non addirittura eccessive le loro richieste. Ecco perché si fa finta di credere a questa versione e ci si dimentica che ieri mattina, proprio sulla stessa porzione di cielo prospiciente la zona del summit panafricano hanno volteggiato per una buona mezzora tre aerei leggeri di fabbricazione francese. I rapporti di buon vicinato e la possibilità di fare buoni affari consigliano quindi di essere prudenti. Ecco perché, a meno di impreviste novità, il programma messo a punto per lo show delle nostre Frecce resta inalterato e si compone di sette «figure», alcune come il giro della morte «a triangolone» ripetuto due volte. I nove Aermacchi concluderanno con un passaggio spettacolare che mette i brividi per la sua bellezza. In formazione «Alona con carrello estratto» scaricheranno una fumata tricolore sulle note del «Vincerò» cantate da Luciano Pavarotti.


01 settembre 2009


La scelta Boffo ricorda anche i numerosi attestati di solidarietà ricevuti
In tre pagine la linea di difesa
Mossa del direttore di «Avvenire»

Nel mirino il documento anonimo spedito ai prelati


MILANO — Tre pagine per difendersi e contrattaccare. Sono quelle che il direttore di Avvenire Dino Boffo fa trovare oggi in edicola ai suoi lettori. Basta questo dettaglio numerico, in fondo, per riassumere il concetto centrale che quelle tre pagine rappresentano anche a prescindere dal loro stesso contenuto: qualunque sia stata l'origine delle «carte» pubblicate venerdì scorso sul conto di Boffo dal Giornale della famiglia Berlusconi il risultato è che ora del «caso Berlusconi» non si parla più. Si parla di Boffo, appunto. Ed è Boffo oggi a rispondere. Lo fa nelle pagine della posta dei lettori, nella rubrica «Il direttore risponde»: la stessa da cui, poco più di un mese fa, lasciò partire il primo attacco a Berlusconi sui doveri di dirittura morale di un premier.

Ora di nuovo esordisce replicando a quello che già l'altro ieri aveva definito, rivolgendosi al direttore del Giornale Vittorio Feltri, come il «foglio corsaro della famiglia del presidente del Consiglio, che ti paga credo lautamente». Poi Boffo prosegue dando conto della «solidarietà» espressagli da più parti attraverso un gran numero di lettere. Infine ribadisce il punto che ormai da giorni dovrebbe essere divenuto chiaro. E cioè che un conto in questa storia è la vicenda giudiziaria, la famosa multa per «molestie» patteggiata nel 2004 e per la quale lui stesso rinnova ora la propria spiegazione: l'autore delle molestie sarebbe stato un ragazzo che di Boffo usava il cellulare. Un conto invece è l'anonimo spedito già tre mesi fa a tutti vescovi d'Italia, scritto con uno stile sputato da servizi segreti ma pubblicato dal Giornale come «allegato agli atti giudiziari», e che sarebbe non solo — per dirla con Boffo — una «patacca» in punto di diritto ma soprattutto un «cumulo di menzogne» nel merito. Antonio Di Pietro, a questo proposito, ha annunciato ieri di aver presentato un esposto a nome dell'Italia dei Valori dicendo che «non bisogna prendersela con Feltri ma con il mandante e l'esecutore del dossieraggio: vorrei sapere chi è l'Eccellenza che lo ha ordinato e chi lo ha eseguito».

«Una perla cattiva tira l'altra», avvertiva Boffo già l'altro ieri. E qualcuno, già da qualche giorno, è andato a rileggersi l'intervista rilasciata dal direttore di Avvenire a Famiglia Cristiana nel dicembre scorso. Quando a chi gli chiedeva «cosa c'è nel suo futuro» Boffo rispondeva parlando della sua casa a Oné di Fonte, vicino a Treviso: «Lì spero di ritirarmi un giorno a scrivere qualcosa. Ho tenuto un diario e un'agenda del mio lavoro e del miei incontri. Di materiale ne ho tanto».


01 settembre 2009


La svolta: per i periti informatici Stasi lavorava alla tesi all'ora dell'omicidio di chiara
Alberto e la perizia sul pc:
«Ho sempre detto la verità»

Lo stupore della famiglia Poggi: perché a queste conclusioni si arriva solamente adesso?

MILANO — «Adesso finalmente capiranno che ho sempre detto la verità». Alberto Stasi gongola mentre il suo avvocato-amico Giulio Colli gli dice che i periti informatici confermano la sua versione: il 13 agosto del 2007, quando la sua fidanzata Chiara Poggi fu uccisa nella villetta di Garlasco, Alberto stava usando il suo computer portatile: dalle 9.36 alle 12.20. Quanto basta perché salti agli occhi di chiunque che così le cose non tornano più per l’accusa.

La procura di Vigevano, diretta dal procuratore Alfonso Lauro, ha sostenuto in questi due anni che l’ora più probabile del delitto è fra le 11. e le 11.30. E invece no. Il computer di Stasi dice che a quell’ora lui era davanti ai file di word della tesi di laurea, come ha sempre sostenuto. Ora: siccome il giudice dell’udienza preliminare Stefano Vitelli non ha preso per buona né la fascia oraria dell’accusa né quella dei consulenti di Alberto (per i quali l’ora della morte è fra le 9 e le 10), ha deciso di affidare a un perito di fiducia una nuova analisi sull’orario dell’omicidio. Quindi molto, per il gup, dipenderà da quello che dirà il professore al quale ha affidato l’incarico.

I giochi sono ormai fatti, invece, per il pubblico ministero Rosa Muscio. Che davanti a un risultato tecnico così in contraddizione con la sua tesi dovrà cercare di rivedere radicalmente l’impianto d’accusa per ciò che riguarda l’ora della morte. «Tutto mi sarei aspettata tranne un dato del genere....» ha commentato amaramente lei con chi ha cercato di parlarle del caso-Garlasco. Qualsiasi cosa «tranne uno stravolgimento sui dati del computer». Adesso sembra che in procura si stia ristudiando daccapo la ricostruzione del delitto per capire se è possibile posticipare a dopo le 12.20 o, più probabile, anticipare a prima delle 9.36, l’ora del delitto.

L’avvocato della famiglia Poggi, Gian Luigi Tizzoni, frena: «Per noi il risultato non è ancora definitivo e comunque il quadro indiziario era e rimane grave. Non mi risulta che sia stata depositata finora alcuna perizia. Aspetteremo che i consulenti completino i lavori e poi vedremo. Comunque resta il fatto che si tratta di un computer portatile che per definizione può essere usato ovunque». Sorpresi ma cauti anche i genitori di Chiara. La madre, Rita Poggi, superato lo stupore iniziale si è chiesta perché: «Com’è stato possibile non arrivare a questi risultati prima di adesso?» ha domandato. Poi una riflessione. «Chiara apriva sempre le persiane del bagno quando si alzava. In effetti mi sembrava strano che quella mattina non l’avesse fatto fino alle 11-11.30».

Se la superperizia sul computer segna un punto a favore di Alberto, quella sulle suole delle scarpe Lacoste color bronzo che indossava il giorno in cui entrò in casa Poggi e scoprì il cadavere, non sono dalla sua parte. Questo emergerebbe da un’altra delle perizia ordinate dal gup. Il giudice stavolta aveva chiesto ai suoi consulenti di sciogliere il dubbio avanzato dalla difesa di Alberto. E cioè che le scarpe del biondino di Garlasco non erano sporche di sangue malgrado lui avesse camminato sulla scena del delitto, perché avevano suole «idrorepellenti». Ora indiscrezioni sulla nuova perizia sembrano smentire quella tesi: nessuna idrorepellenza. Non mostrano esultanza i difensori di Alberto, i fratelli Giulio e Giuseppe Colli e il professor Angelo Giarda. E nessun commento: «Un po’ per scaramanzia un po’ perché niente è ancora nero su bianco» dice Giulio.



01 settembre 2009


La ripresa del programma rischia di slittare a ottobre
La redazione: "Ritardi sui contratti, problemi su Travaglio"
Santoro-Rai ai ferri corti
Annozero, avvio in forse



ROMA - Braccio di ferro tra Michele Santoro e la Rai per la ripresa di Annozero, che rischia di slittare a ottobre. "Non ci rinnovano i contratti. E siamo a venti giorni dalla partenza del programma. E' snervante, stiamo lavorando, ma senza certezze", rivela uno dei venti collaboratori della redazione che preferisce l'anonimato. Un boicottaggio? "Sembra che Berlusconi non voglia vedere sullo schermo la faccia di Marco Travaglio". Una cosa è certa: venerdì scorso Mauro Masi, direttore generale della Rai, si è incontrato con Michele Santoro alla presenza del nuovo direttore di RaiDue, Massimo Liofredi. Ma dall'incontro, franco se non ruvido, non è venuta fuori la soluzione del problema. Infatti oggi è previsto un nuovo round.

"Non c'è un "caso Travaglio". I ritardi sui contratti di Annozero? Nessun problema. Io sono direttore da un mese, in agosto è tutto difficile, ma ne ho già parlato con Santoro", spiega Liofredi, direttore di RaiDue da fine luglio, precisando come sui collaboratori di Santoro (vedi Travaglio) lui non ha giurisdizione: "Michele Santoro è un direttore, dipende dal direttore generale Mauro Masi. RaiDue ospita soltanto il suo programma".

E' possibile che un nuovo editto si abbatta su Annozero? "In tutte le vicissitudini giudiziarie con la Rai, Santoro ha sempre vinto. Non credo possano bloccare il suo programma", dichiara Giorgio Van Straten, consigliere Rai di area Pd, ricordando come "già nella passata edizione di Annozero quello di Travaglio era l'unico testo che doveva essere letto preventivamente dal direttore di rete, Antonio Marano. E, anche se ci sono state delle polemiche sugli interventi di Travaglio, alla fine l'unica sospensione di Mauro Masi ha colpito il vignettista Vauro".

Intanto, Massimo Liofredi cambia pezzi importanti di RaiDue, attingendo dalla sua esperienza di capostruttura di Domenica in. Dal 21 settembre, dopo il Tg2 il pomeriggio della rete si aprirà con una fascia affidata a Monica Setta. "Un approfondimento sui temi della attualità politica ed economica. Con vari collegamenti esterni. 50 minuti in assoluta par condicio" garantisce la Setta. Poi, Italia sul 2 nuova formula: alla conduzione ci sarà Lorena Bianchetti, in coppia con Milo Infante, tra le vibrate le proteste della disarcionata conduttrice Francesca Senette.

(1 settembre 2009)
 
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96 replies since 6/8/2009, 10:36   4895 views
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