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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 6/10/2009, 19:11 by: Lucky (Due di Picche)




Ghedini: "La legge è uguale per tutti, non la sua applicazione"
La Consulta non ammette l'intervento della procura di Milano
Lodo Alfano, seduta sospesa

aggiornata la camera di consiglio




ROMA - "La legge è uguale per tutti, ma non necessariamente lo è la sua applicazione", "Il premier non è 'primus inter pares' come vuole la tradizione liberale, ma 'primus super pares'". Le nuove definizioni giuridiche di Niccolò Ghedini e Gaetano Pecorella, rappresentanti legali del governo davanti alla Corte Costituzionale dove oggi è iniziato il dibattimento sulla legge che vieta i processi alle maggiori cariche dello Stato. I giudici costituzionali dopo aver sentito le parti si sono chiusi in camera di consiglio e, dopo due ore di lavoro, hanno rinviato a domani. Dunque per oggi non ci sarà l'attesa decisione.

La Consulta si è riunita al completo, con tutti e 15 i giudici. L'udienza si è aperta con un minuto di silenzio per i morti dell'alluvione a Messina. Il presidente della Corte, Francesco Amirante, ha subito passato la parola al giudice relatore, Franco Gallo, per riassumere i motivi dei tre ricorsi contro la legge che sospende i processi contro le quattro più alte cariche dello stato.

Nel frattempo televisione e fotografi sono stati fatti uscire dalla sala. Dopo una sospensione di 45 minuti, i giudici hanno deciso di non ammettere l'intervento della Procura di Milano, che non sarebbe titolata a intervenire in giudizio come parte. "Vedo negativamente l'inammissibilità", ha dichiarato l'avvocato dei pm milanesi, Alessandro Pace, "apre spiragli alla non accettazione dei ricorsi contro il lodo Alfano".

L'AUDIO DELLA SEDUTA SU RADIO RADICALE

L'arringa dei difensori. Ai banchi della difesa gli avvocati - e parlamentari - Niccolò Ghedini e Gaetano Pecorella, insieme a Piero Longo. Prima dell'udienza si sono dichiarati tutti fiduciosi nel fatto che la sentenza "sarà di dirittto e non politica".

Ed ecco, il centro della difesa del Lodo Alfano: "La legge è uguale per tutti, ma non necessariamente lo è la sua applicazione, come del resto la Corte ha già ribadito" è la motivazione con cui l'avvocato Ghedini ha aperto la sua arringa. L'avvocato ha citato come esempio "le norme sui reati ministeriali, dove la legge ordinaria distingue il comune cittadino dal ministro". E ha tirato in ballo anche le norme particolari riservate a chi ha commesso reati rivestendo incarichi nella pubblica amministrazione o nelle Forze armate.

Ghedini ha difeso poi l'adozione del lodo con legge ordinaria, rigettando la differenziazione per reato. "Questa legge" ha concluso "va letta secondo il principio di legittimo impedimento". Allo stesso principio si è appellato anche Piero Longo: "Non è possibile rivestire la duplice veste di alta carica dello Stato e di imputato per esercitare appieno il proprio diritto di difesa e senza il sacrificio di una delle due".

L'intervento di Gaetano Pecorella ha fatto leva invece sulla differenziazione tra parlamentari e presidente del Consiglio: "Con le modifiche apportate alla legge elettorale non può essere considerato uguale agli altri parlamentari. Non è un primus inter pares ma un primus super pares". Pecorella ha fatto notare come siano cambiate le prerogative del premier rispetto al passato: "Rimangono certamente salde le prerogative del presidente della Repubblica, ma il presidente del Consiglio è l'unico che riceve la sua legittimazione dalla volontà popolare".

L'avvocatura di Stato. Alle accuse di aver tentato di influenzare la Corte, l'avvocato dello Stato Glauco Nori ha risposto: "C'è stato un equivoco, una lettura fantasiosa della nostra posizione". La memoria presentata da Nori a nome della Presidenza del Consiglio parlava di "danni irreparabili alle funzioni del governo e per il premier, costretto a doversi difendere in processo, tanto da evocare il pericolo di dimissioni. Ma lui ha precisato: "Per danni si intendono quelli che deriverebbero se si trascurassero gli impegni di governo. L'Avvocatura ha semplicemente difeso la norma, prodotto legislativo del Parlamento, che lo Stato ha il dovere di tutelare"

Dopo gli interventi dei difensori l'udienza si è chiusa. La Corte ha all'ordine del giorno l'esame di altre cinque cause, poi si riunirà in camera di consiglio. Probabile, quindi, che la decisione non arriverà prima di domani.

I ricorsi. Contro il lodo Alfano sono stati presentati tre ricorsi: due dai giudici di Milano, nell'ambito dei processi in cui il premier Silvio Berlusconi è imputato per corruzione in atti giudiziari dell'avvocato inglese David Mills (che nel frattempo è stato condannato in primo grado a 4 anni e 6 mesi) e per irregolarità nella compravendita dei diritti televisivi Mediaset. Il terzo è del gip di Roma chiamato a decidere se rinviare o meno a giudizio Berlusconi, indagato per istigazione alla corruzione di alcuni senatori eletti all'estero durante la scorsa legislatura.

Le possibilità. E' molto ampio lo spettro delle possibili sentenze della Consulta. Plausibile il riferimento all'articolo 138 della Costituzione: il lodo, in quanto legge ordinaria dello stato, potrebbe essere giudicato incostituzionale perché va a legiferare su una materia (le prerogative di figure istituzionali) che richiederebbe una norma di rango costituzionale. In questo caso sarebbe praticamente impossibili ripresentare un "lodo bis", dato che una tale sentenza ne metterebbe in discussione proprio la natura di legge ordinaria.

Ma la Corte potrebbe chiamare in causa la violazione di altri articoli della Costituzione. Si va dai più generici, come l'articolo 3 (principio di uguaglianza), ad altri più specifici: il 111, sulla ragionevole durata del processo, l'obbligatorietà dell'azione penale sancita dal 112, e ancora gli articoli che regolano le immunità per i parlamentari, il presidente della Repubblica e i ministri. E ancora: la Consulta potrebbe invece rilevare nel lodo Alfano una irragionevole disparità di trattamento tra il presidente del consiglio e i ministri.

Nel caso in cui la Corte, invece, giudichi inammissibili o infondati i ricorsi presentati, il lodo resterebbe così com'è. Ma l'Italia dei Valori ha già preparato il referendum abrogativo.

(6 ottobre 2009


A Colleferro i lavoratori bloccano le uscite: "Hanno detto che chiuderanno tra 9 mesi"
"Rapiti" un vice-presidente, il direttore personale di Milano e quello della comunicazione
Roma, operai Alstom
"sequestrano" 3 manager

I sindacalisti: "Non è un rapimento, ma vogliamo risposte. Siamo disperati"



ROMA - Da mezzogiorno, tre manager della Alstom di Colleferro, in provincia di Roma, sono "sequestrati" dagli operai che protestano contro la crisi dell'azienda."Non permettiamo a nessuno di uscire: li abbiamo chiusi in direzione, bloccando l'ingresso", spiega Paolo Caviglia, della rappresentanza sindacale Cgil. Niente violenze ma la tensione in fabbrica è alta anche perché gli operai non intendono mollare prima di aver avuto assicurazioni sul loro futuro.

"Vogliono chiudere tra 9 mesi". La Alstom è un'azienda francese che si occupa di costruzioni ferroviarie: 76.000 impiegati in 70 Paesi nel mondo. Un vero colosso nel mercato internazionale. Da tempo però la Alstom lamenta una forte contrazione delle commesse. Stamane il francese Bruno Juillemet, vice-presidente delle risorse umane; Francesca Cortella, direttore personale di Milano e Riccardo Pierobon dell'ufficio comunicazione di Milano, hanno informato gli operai che lo stabilimento ha poca vita: "Ci hanno chiesto di trasferirci perché tra 9 mesi vogliono chiudere. E noi operai - prosegue Caviglia - abbiamo reagito. Abbiamo fermato l'attività e abbiamo organizzato un presidio davanti alla direzione vietando a tutti, compreso ai tre manager, di uscire dalla fabbrica".

"E' stato un semplice sit-in". "Sequestrare" è un verbo che i delegati sindacali non vogliono sentire: "Ci siamo soltanto seduti a terra pacificamente impedendo il passaggio. Siamo 150 cassaintegrati disperati". Ma un altro sindacalista, Artemio Fanella, Rsu per la Filcem Cgil, ammetto: "Forse abbiamo forzato la mano, ma l'abbiamo fatto per essere ascoltati". Nessuno vuole parlare di "sequestro", neppure Riccardo Pierobonuno dei manager bloccati in fabbrica: "Ho scoperto di essere sequestrato dagli sms che mi mandavano gli amici dopo aver letto la notizia online. Paura assolutamente mai".

I primi "sequestri " in Francia. La "caccia al manager" era iniziata l'inverno scorso in Francia. Prima l'amministratore delegato della Sony France, poi il direttore della filiale della 3M e quattro manager della Caterpillar di Grenoble. Infine Francois-Henri Pinault, principale azionista del colosso del lusso PPR (Gucci, Yves Saint Laurent, Balenciaga) bloccato a bordo di un taxi a Parigi da una cinquantina di operai della Fnac e di Conforama preoccupati per il piano di ristrutturazione. Capitò anche ad un funzionario della Fiat, volato a Bruxelles per gestire la riduzione di 24 posti di lavoro.

Federmanager: "Fatto grave". Sacconi: "Non parlate di rapimento". Federmanager condanna il "sequestro" dei tre dirigenti: "E' un fatto molto grave che non può e non deve essere sottovalutato", dice Giorgio Ambrogioni, presidente dell'organizzazione che rappresenta i dirigenti aziendali. Ma il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi getta acqua sul fuoco: "Non c'ènessun rapimento di manager. E' solo un tentativo di drammatizzazione mediatica. La circolazione da e per la fabbrica è libera", spiega il ministro.

Sei stabilimenti in Italia. A Colleferro lavorano 150 tra operai e tecnici, ma la Alstom ha stabilimenti anche a Sesto San Giovanni; Savigliano in provincia di Cuneo; Bari; Bologna e Verona. In tutto 2.500 dipendenti. Il mese scorso, quando l'amministratore delegato delle Ferrovie Mauro Moretti ha annnunciato un investimento da due miliardi per rimodernare l'azienda con l'acquisto di almeno 150 locomotive, sembrava che la situazione nelle fabbriche italiane del gruppo industriale riprendesse fiato, ma la speranza nella nuova commessa non è bastata per invertire il trend negativo che la società denuncia da mesi. E oggi l'annuncio della chiusura la prossima estate.

(6 ottobre 2009)



L'Isaf fa il bilancio dell'attacco nella regione orientale del Paese
Proteste pacifiste alla Casa Bianca. Il Pentagono: "Aumentiamo le truppe"
Afghanistan, scontri Isaf-taliban
"Sabato uccisi 100 integralisti"


KABUL - Più di cento taliban sono rimasti uccisi sabato scorso nei violenti combattimenti tra forze afghane e internazionali nella provincia del Nuristan, nell'Afghanistan orientale. Vittime degli scontri anche otto militari statunitensi.

L'annuncio dell'Isaf, la forza a guida Nato, coincide con un'accelerazione del dibattito sulla strategia che gli Usa dovranno perseguire nei prossimi mesi in Afghanistan. Ad otto anni dall'inizio della guerra, "i taliban stanno vincendo", ripete il ministro della Difesa Robert Gates sostenendo la tesi dei militari che chiedono un massiccio aumento delle truppe.

Il presidente americano Barack Obama deve prendere al più presto quella che forse sarà la decisione più difficile e più gravida di conseguenze nella sua carriera alla Casa Bianca: accettare o respingere la richiesta del comandante sul terreno, il generale Stanley McChrystal, di un massiccio aumento delle truppe: dai 20.000 ai 40.000 soldati in più. Obama tergiversa, da un mese rinvia la sua risposta. È sinceramente combattuto, tra i fautori dell'escalation e quelli che al contrario vogliono tornare ad un intervento molto più mirato, chirurgico, di puro anti-terrorismo.

E mentre il dibattito politico si infiamma, alcune centiania di pacifisti manifestano di fronte alla Casa Bianca indossando le divise arancioni ed i cappucci in testa dei detenuti di Guantanamo. Sfilano issando foto di bambini uccisi e trasportano finte bare. Storpiando lo slogan di Obama, gridano. "Yes we can: U.S. out of Afghanistan".

Tra i manifetsanti fermati dalla polizia anche Cindy Sheehan, la mamma di un soldato caduto in Iraq diventata la leader dei pacifisti famosa in tutto il mondo per la sua protesta contro Bush.

(6 ottobre 2009)



Il più stretto collaboratore di Michele Santoro
ha ricevuto una lettera anonima al suo indirizzo privato
Annozero, a Ruotolo minacce di morte
il giornalista pedinato e sorvegliato

"Continuerò con la schiena dritta, queste cose non mi fermano"
Solidarietà da Schifani, Pd, Idv, e dal sindacato dei giornalisti



Sandro Ruotolo
ROMA - Minacce di morte a Sandro Ruotolo, la Digos sta indagando. Il più stretto collaboratore di Michele Santoro per Annozero ha ricevuto una lettera anonima al suo domicilio privato. Ci sarebbero indicazioni così precise e dettagliate da rendere pressoché certo che Ruotolo sia stato pedinato e tenuto d'occhio da parte di sconosciuti che così hanno mostrato di aver acquisito più elementi di "pressione" nei suoi confronti. Indagini sono in corso da parte della Digos di Roma, cui Ruotolo si è rivolto recandosi presso gli uffici di polizia e consegnando la missiva.

Nella lettera c'è scritto inoltre che il giornalista è il secondo obiettivo di una lista, che però non comprenderebbe - a quanto sinora si sa - altre persone legate ad Annozero. "Mi fido degli investigatori, quello che dicono loro mi va bene, sono dei professionisti", l'unico commento di Ruotolo alla richiesta di informazioni. "Non posso dire di più per ovvie ragioni di riserbo legate alle indagini. L'unica cosa che posso sicuramente affermare è che continuerò a fare il giornalista con la schiena dritta, queste cose non mi fermano".

Da rilevare che né l'indirizzo dell'abitazione, né il numero di telefono di Sandro Ruotolo compaiono negli elenchi telefonici sul web, un motivo in più per ritenere che il giornalista sia stato effettivamente seguito e sorvegliato fino ad ottenere i suoi recapiti.

Molti hanno espresso la loro solidarietà a Ruotolo, ad iniziare dal presidente del Senato Renato Schifani. Messaggi di solidarietà e vicinanza anche da parte di molti esponenti del Pd, da Paolo Gentiloni, responsabile Comunicazione del partito, ad Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato che parla di "un segnale gravissimo del clima pessimo in cui stiamo vivendo nel nostro Paese".

Ruotolo negli ultimi giorni è stato impegnato a Palermo per un'inchiesta sulla mafia, che dovrebbe andare in onda nella prossima puntata di Annozero. "Il giornalismo d'inchiesta libero e indipendente dà molto fastidio - commenta il senatore del Pd Giuseppe Lumia, componente della Commissione parlamentare antimafia - perché porta all'attenzione dell'opinione pubblica la 'questione mafiosa', mettendo in luce le collusioni con la politica e l'economia". "Su questa vicenda - conclude il senatore del Pd - bisogna andare fino in fondo e tenere alta l'attenzione".

Solidarietà e vicinanza al giornalista vengono espressi anche da Massimo Donadi e Felice Belisario, capigruppo Idv alla Camera e al Senato e dal portavoce di Articolo21 Giuseppe Giulietti, che descrive Ruotolo come "uno dei cronisti più seriamente impegnati sul fronte della lotta contro ogni forma di attività illegale e criminale. Ed è questa la ragione per cui viene preso di mira".

Anche l'Associazione Stampa Romana esprime solidarietà a Ruotolo: "Mi auguro che forze dell'ordine, magistratura e governo facciano la loro parte nel proteggere un giornalista stimato e conosciuto proprio per la sua capacità di scavare nella parte oscura della nostra società - afferma Paolo Butturini, segretario dell'Asr - Da parte nostra siamo al fianco del collega e chiediamo alla Fnsi di attivare tutte le iniziative possibili per tutelarlo".

(6 ottobre 2009)



Nella Calabria dei rifiuti tossici statistiche allarmanti per il cancro
Tra i 30 ed i 34 anni il 2.90% contro la media nazionale dello 0.74%
Quei misteriosi tumori di Paola
dove i giovani si ammalano di più



PAOLA - Su 12.590 pazienti, a Paola, la percentuale di giovani ammalati di tumore è quattro volte superiore alla media nazionale. Il picco di malattie si è registrato negli ultimi dieci anni "ma questi - spiega il dottor Cosimo De Matteis, che ha coordinato l'indagine come responsabile nazionale del sindacato medici italiani - sono i primi dati che abbiamo". Paola è una cittadina tirrenica che si trova a metà strada tra Cetraro, dove è stata ritrovata la nave Cunsky, ed Amantea, dove si è spiaggiata l'ormai tristemente famosa JollyRosso. Entrambe con il loro carico di fusti tossici. Non si sa ancora con certezza dove siano stati interrati i rifiuti - la Procura di Paola sta indagando su questo - ma di certo proprio a partire dall'arrivo di quelle navi sono aumentati i tumori nella popolazione giovane.

Proprio nel 1990, il 14 dicembre, la Jolly Rosso arrivò sulla spiaggia nei pressi di Amantea, dove rimase abbandonata a se stessa per ben sei mesi, fino al giungo del '91. E si ipotizza che quelli fossero anche gli anni dell'affondamento della Cunsky. Ma perché solo ora la prima indagine? De Matteis, stanco di veder morire i suoi pazienti, ha incrociato le cartelle di otto medici di base che contano 241 ammalati di tumore. L'operazione può sembrare semplice, ma è una ricerca che nel contesto locale calabrese diventa difficile. E che in altri paesi della costa probabilmente non avverrà mai: non sono molti i medici propensi a osare tanto. Per questo "chiedo - dice De Matteis - che sia la Regione a fare uno studio sistematico su tutta la fascia tirrenica".

"Fino a qualche anno fa avevo pazienti ultracentenari, oggi neanche uno" - dice il dottor De Matteis - Le ricerche sono state fatte a Paola ma ora ci si augura che anche i medici degli altri paesi costieri incrocino i dati per vedere se il fenomeno riguarda tutta la zona o no".

Veniamo ai dati. La statistica realizzata da De Matteis dimostra che nella fascia tra i 30 ed i 34 anni, i giovani si ammalano di tumore con una media del 2.90% contro la media nazionale dello 0.74% per gli uomini e dello 0.86% per le donne. Dai 35 ai 39 anni la media è del 2.07 contro quella nazionale dell'1.24 per gli uomini e dell'1.78 per le donne. Nella fascia dai 40 ai 44 anni la media a Paola è del 4.15% contro il 2.11 per i maschi e il 3.33 per le donne. Ma anche se guardiamo la fascia dei 60 - 64 anni il tasso del 15,77% è superiore all'11.43 dei maschi e all'11.69 delle donne. Dopo i 65 anni la media scende.
"Chiedo il disastro ambientale - dice la senatrice Antonella Bruno Ganeri, che è stata due volte sindaco di Paola, dal '93 al 2001, e che è stata colpita personalmente dalla perdita di due figli giovanissimi, morti entrambi per tumore. "Chiedo che il governo centrale si muova. Lo deve a chi non c'è più perché vittima del lavoro, come nel caso della Marlane, e dell'ambiente, come sta accadendo a Paola. Ci sono stati casi di ragazzini morti a dodici anni. Questa è una terra avvelenata da sostanze radioattive buttate qui come se la Calabria fosse la pattumiera d'Italia".

"Io ormai ho paura nell'aprire le analisi dei miei pazienti - dice De Matteis - ora tutti vogliono fare i test tumorali. Se mi arriva una ragazza con un nodulo deve aspettare mesi per una mammografia o un'ecografia. Come si fa a fare prevenzione in queste condizioni? Noi vogliamo il potenziamento del numero e della qualità degli strumenti diagnostici e anche più personale. Se c'è solo un radiologo come si fa a fare prevenzione?".

Ma perché i rifiuti tossici sono stati buttati proprio in Calabria? "Attribuisco questo lento declino del territorio - dice la senatrice Bruno Ganeri - a due fattori: la depressione culturale in cui sta sprofondando il Paese e la malapolitica. La Seconda Repubblica non è mai decollata. In Calabria la politica ha abdicato ai propri compiti, è diventata clientela e mercato. La città di Paola è stata colpita. Cosa dobbiamo auspicare? Un esodo in massa per lasciare la nostra terra nelle grinfie della mafia e della mal politica? Spero che finalmente oggi si arrivi al punto di sapere la verità e che queste cose non vengano più insabbiate. Oggi abbiamo un Procuratore della Repubblica, Bruno Giordano ed un assessore regionale all'ambiente, Silvio Greco, che hanno fatto scudo contro il sistema dei faccendieri e della mala politica. Chiedo che lo Stato li sostenga".

L'assessore al turismo del Comune di Paola, Franco Perrotta, ha fatto sapere di non condividere i dati medici della ricerca realizzata a Paola, cifre e grafici che sono stati proiettati pubblicamente nello stesso Comune. Secondo l'assessore, non esisterebbe un allarme tumori. Dei nove medici di base, otto hanno partecipato alla ricerca. "Solo uno non è riuscito a lavorare con noi - spiega De Matteis, dall'ospedale dove è ricoverato per malori cardiaci seguiti alle forti proteste dopo la pubblicazione del nostro articolo - non perché fosse in disaccordo ma perché ancora troppo addolorato dalla morte del suo giovane figlio, per tumore".

 
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