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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 4/10/2009, 18:36 by: Lucky (Due di Picche)




Comunicato dei giornalisti contro Minzolini che in un editoriale
ha attaccato la manifestazione sulla libertà di stampa dell'Fnsi
Rai, il cdr del Tg1 contro il direttore
"Non siamo un tg di parte ma di tutti"

"Ai telespettatori che protestano l'impegno perché siano recuperati rispetto ed equilibrio"
Il testo verrà letto nell'edizione delle 20 di stasera. Richiesto ai vertici un incontro urgente




ROMA - Il comitato di redazione del Tg1 in rivolta contro il suo direttore Augusto Minzolini. A far alzare al voce al cdr sono stati i servizi andati in onda ieri in relazione alla manifestazione sulla libertà di stampa promossa dalla Fnsi e l'editoriale dello stesso direttore che affermava di non capire il senso di quella protesta: "Denunciare che la libertà di stampa è in pericolo è un assurdo", affermava Minzolini. Il cdr ha così deciso di chiedere ai vertici Rai "una convocazione urgente per esprimere le nostre preoccupazioni".

In un comunicato di cui è stata ottenuta l'autorizzazione dell'azienda per la lettura nel tg delle 20 di oggi, si legge: "Il Tg1 non è mai stato schierato, nella sua storia, contro alcuna manifestazione. Ieri il direttore lo ha allineato contro la manifestazione del sindacato unitario dei giornalisti per la libertà d'informazione, cui ha aderito una moltitudine di cittadini".

"Il Tg1 - continua il comunicato - ha per sua tradizione un ruolo istituzionale, non è un tg di parte. E' il Tg di tutti i cittadini, anche di quelli che hanno manifestato per chiedere il rispetto dell'articolo 21 della Costituzione. E cui sbrigativamente è stato detto di aver fatto una cosa 'incomprensibile'. Il Tg1 va in tutte le case". "E' servizio pubblico - afferma ancora il cdr - e rispetta ogni opinione e sensibilità per non mettere in gioco il suo patrimonio di credibilità. Ai telespettatori che in queste ore fanno giungere le loro proteste l'impegno del comitato di redazione perché siano recuperati rispetto ed equilibrio". Il comunicato si chiude con la richiesta ai vertici di viale Mazzini di un incontro urgente.
(4 ottobre 2009) Tutti gli articoli di politica


Intervento del presidente del Financial Stability Board a Istanbul
"La recessione sta rallentando e in alcune aree si è fermata"
Draghi, finanza: "Dopo la crisi
necessarie nuove regole"

La polemica sui Tremonti bond: "Le banche devono avere
un capitale adeguato. Ma poi ognuno decide in base ai propri parametri"




ISTANBUL - "La Banca d'Italia fa supervisione e le banche devono avere un capitale adeguato". Così il governatore Mario Draghi ha risposto in conferenza stampa a chi chiedeva se per gli istituti di credito sia meglio rivolgersi al mercato o utilizzare i Tremonti bond per reperire i capitali necessari. Draghi ha inoltre ribadito che si intravede l'uscita dalla crisi mondiale: "La recessione sta rallentando e in alcune aree si è fermata. Ci sono dei piccoli segnali di ripresa, ma sarà una ripresa molto lenta e fragile, con un livello di disoccupazione in crescita ovunque". E a chi paventa un eccesso di regolamentazione per le banche, ha ribattuto seccamente che "è prematuro preoccuparsene" e che comunque "i buchi della regolamentazione saranno chiusi".

Il numero uno di via Nazionale ha comunque anche ricordato come più volte in passato Palazzo Koch abbia esortato le banche a utilizzare i Tremonti bond. Più in generale, Draghi ha osservato che "il compito del supervisore è verificare che la base di capitale soddisfi tutti i requisiti". "Poi - ha concluso - si tratta di scelte delle banche che decidono anche in base ai loro parametri".

Quanto al futuro, ha detto il governatore della Banca d'Italia, "bisogna dissipare l'idea che dopo la crisi tutto continuerà a funzionare come prima. Il mondo è cambiato e le nuove regole sono un punto cruciale".
"Alle banche - ha tagliato corto il numero uno di Palazzo Koch nel corso di una conferenza stampa tenuta in qualità di presidente del Financial Stability Board - dico chè prematuro preoccuparsi per un eccesso di regolamentazione. Daremo tempo al sistema per adattarsi ma non c'è dubbio che il sistema che vogliamo ha meno leva, più capitale ed è più immune dai perversi incentivi che hanno portato alla crisi. I buchi della regolamentazione saranno chiusi".
(4 ottobre 2009)


L'uomo, 57 anni, aveva adescato due coppie di sorelline tra i 5 e i 12 anni
Era in macchina con le bimbe piangenti e i pantaloni abbassati
Trovato in auto con quattro bambine
Arrestato un pedofilo nel Bresciano


CARPENEDOLO (BRESCIA) - Un uomo di 57 anni è stato arrestato a Carpenedolo dopo essere stato trovato seminudo in un'auto con a bordo quattro bambine di età compresa tra i cinque e i 12 anni. A notare l'auto, con a bordo l'uomo e le piccole, è stata una pattuglia della polizia stradale di Montichiari (Brescia).

Le bambine, due coppie di sorelle di origine marocchina, cugine tra loro, quando sono state soccorse dagli agenti erano in lacrime. L'uomo, un agricoltore, è un vicino di casa di due di loro e che le avrebbe adescate in un parco giochi nei pressi di un centro commerciale dicendo loro che le avrebbe portate a casa.

Agenti in servizio di perlustrazione hanno notato l'auto ferma in una stradina laterale della provinciale 343, nascosta dagli arbusti. Insospettiti dalla posizione del veicolo si sono avvicinati. All'interno c'erano l'uomo nudo dalla cintola in giù e le bambine. Al momento dell'arresto il cinquantasettenne ha provato a opporre resistenza scatenando una colluttazione ma in breve tempo è stato immobilizzato e ammanettato. E' accusato di sequestro di minorenni, atti osceni in luogo pubblico, atti sessuali con minorenni. Nella sua abitazione sono state trovate 200 videocassette, alcune di contenuto pedopornografico.

Le bambine sono state affidate a personale sanitario fino al momento in cui i genitori non si sono presentati in ospedale.

(4 ottobre 2009)



L'azienda di Berlusconi dovrà pagare 750 milioni di euro per il danno patrimoniale
da "perdita di chance" di un giudizio imparziale. La replica: "Ingiusto, faremo appello"
Cir: maxi risarcimento da Fininvest
De Benedetti: sentenza fa giustizia

L'ingegnere: "Stabiliti in modo inequivocabile gli illeciti che mi hanno impedito
di realizzare il progetto industriale che avrebbe creato il primo gruppo editoriale italiano"



ROMA - Fininvest è stata condannata dal tribunale di Milano a risarcire Cir del danno patrimoniale da "perdita di chance" di un giudizio imparziale, (in merito al Lodo Mondadori) quantificato in circa 750 milioni (749.955.611,93, per l'esattezza). Ma Fininvest non ci sta: "Sentenza ingiusta, faremo appello".

La Cir. Nella nota della Cir si legge che "è stata depositata oggi la sentenza del tribunale di Milano nella causa civile promossa da Cir, assistita dagli avvocati professor Vincenzo Roppo ed Elisabetta Rubini, contro Fininvest per il risarcimento del danno causato dalla corruzione giudiziaria nella vicenda del lodo Mondadori. La sentenza che ha carattere esecutivo decide che Cir ha diritto al risarcimento da parte di Fininvest del danno patrimoniale da 'perdita da chance' di un giudizio imparziale, quantificato in euro 749.955.611,93; Cir ha diritto al risarcimento da parte di Fininvest anche dei danni non patrimoniali sopportati in relazione alla medesima vicenda. La liquidazione di tali danni è riservata ad altro giudizio".

La sentenza di oggi nasce da quella penale del 2007 nella quale Cesare Previti (legale della Fininvest) e altri vennero condannati per "corruzione in atti giudiziari". In sostanza, allora venne riconosciuto un comportamento fraudolento di persone legate a Finivest contro la Cir. Oggi il gruppo di Berlusconi è chiamato a risarcire i danni causati da quei comportamenti.

"In questo modo - si legge ancora nella nota della Cir - dopo la definitiva condanna penale per corruzione intervenuta nel 2007, anche il giudice civile porta luce su una vicenda che ha inflitto un enorme danno a carico di Cir, ferendo al contempo fondamentali valori di corretto funzionamento del mercato e delle istituzioni. Cir esprime soddisfazione per una sentenza che rende giustizia alla società e ai suoi azionisti".

De Benedetti. La sentenza del Tribunale di Milano "non mi compensa per non aver potuto realizzare il progetto industriale che avrebbe creato il primo gruppo editoriale italiano - scrive l'ingegner Carlo De Benedetti - ma stabilisce in modo inequivocabile i comportamenti illeciti che l'hanno impedito". Per il presidente onorario di Cir "dopo quasi vent'anni dalla condotta fraudolenta messa in atto per sottrarre al nostro gruppo la legittima proprietà della Mondadori - aggiunge De Benedetti - finalmente la magistratura, dopo la sentenza che ha confermato definitivamente in sede penale l'avvenuta corruzione di un giudice, ci rende giustizia anche sul piano civile".

La replica. Ma la Fininvest non ci sta e annuncia che "ricorrerà immediatamente in appello, assolutamente certa che la totale fondatezza delle sue tesi non potrà non essere riconosciuta". Per il presidente della Fininvest, Marina Berlusconi, "si tratta di un verdetto incredibile e sconcertante". "La Fininvest - commenta Marina Berlusconi - ha sempre operato nella massima correttezza e ha dimostrato in modo limpido e inconfutabile la validità delle proprie ragioni. Non posso non rilevare che questa sentenza cade in momento politico molto particolare. Non posso non rilevare che dà ragione ad un Gruppo editoriale la cui linea di durissimo attacco al presidente del Consiglio, per non dire altro, è sotto gli occhi di tutti. Sbaglia però chi canta vittoria troppo presto. Sappiamo di essere nel giusto e siamo certi che alla fine questo non potrà non esserci riconosciuto".

La vicenda processuale. Cesare Previti, nel 2007, venne condannato (a titolo definitivo) a un anno e mezzo di reclusione al termine del secondo processo d'appello celebrato a Milano nell'ambito del caso lodo-Mondadori. La Terza corte d'appello di Milano aveva accolto tutte le richieste di condanna avanzate dal sostituto pg Pietro De Petris anche per gli altri imputati. La pena più alta era stata per il giudice Vittorio Metta, condannato a 2 anni e 9 mesi di reclusione in continuazione con i 6 anni riportati per Imi-Sir. L'avvocato Attilio Pacifico aveva invece subito la stessa condanna di Cesare Previti, mentre l'avvocato Giovanni Acampora era stato condannato a 1 anno e 6 mesi. L'assoluzione dei quattro imputati dal parte della Corte d'appello di Milano era stata annullata dalla Cassazione che aveva disposto un nuovo processo.

In particolare il giudice Metta, secondo l'accusa, sarebbe stato corrotto dagli altri imputati per annullare, attraverso una sentenza di cui fu relatore, il lodo arbitrale che assegnava a Carlo De Benedetti il controllo azionario della Mondadori, a favore di Silvio Berlusconi. Non a caso, all'inizio del processo l'ex presidente del Consiglio figurava tra gli imputati, ma nel 2001 la Cassazione stabilì nei suoi confronti la prescrizione dei reati contestati.

(3 ottobre 2009)

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Lodo Mondadori, le tappe
della vicenda giudiziaria


ROMA - Ecco le tappe principali della vicenda giudiziaria per il Lodo Mondadori che oggi ha visto il Tribunale civile di Milano emettere una provvedimento di condanna contro la Fininvest che dovrà versare a Cir circa 750 milioni a titolo di risarcimento per danno patrimoniale.

4 ottobre 2001. Davanti ai giudici della quarta sezione del tribunale di Milano comincia il processo per il Lodo Mondadori. Imputati sono Cesare Previti, Attilio Pacifico, Vittorio Metta e Giovanni Acampora. A giugno, i giudici della quinta sezione della Corte d'Appello di Milano hanno ritenuto che nei confronti di Silvio Berlusconi è ipotizzabile il reato di corruzione semplice e, grazie alla concessione delle attenuanti generiche, questo reato è stato dichiarato prescritto.

28 gennaio 2002. Il processo Imi-Sir, cominciato nel 2000, è riunito con quello sul Lodo Mondadori.

29 aprile 2003. La Corte di Appello di Milano condanna a 13 anni Vittorio Metta, 11 anni Cesare Previti e Attilio Pacifico, 8 anni e 6 mesi Renato Squillante, 6 anni Felice Rovelli, 5 anni e 6 mesi Giovanni Acampora, 4 anni e 6 mesi Primarosa Battistella. Assolto Filippo Verde.

7 gennaio 2005. Comincia a Milano, davanti alla seconda Corte d'appello, presieduta da Roberto Pallini, il processo di secondo grado per i casi Imi-Sir e Lodo Mondadori.

23 maggio 2005. I giudici confermano la condanna di Cesare Previti per la sola vicenda Imi-Sir, assolvendolo per quella Lodo Mondadori. Previti e Attilio Pacifico hanno avuto una riduzione della condanna da undici a sette anni. Riduzioni delle pene per gli altri imputati: Vittorio Metta da 13 a 6 anni, Renato Squillante da 8 anni e 6 mesi a 5 anni, Felice Rovelli da 6 a 3 anni, Primarosa Battistella da 4 anni e 6 mesi a 2 anni.
Per la vicenda Lodo Mondadori l'avvocato Giovanni Acampora, Metta, Pacifico e Previti sono stati assolti "perché il fatto non sussiste".

4 maggio 2006. Per la vicenda Imi/Sir, la Corte di Cassazione riduce a 6 anni la condanna per Previti e Pacifico, conferma la condanna a 6 anni per Metta, riduce la pena per Acampora a 3 anni e 8 mesi, annulla senza rinvio la condanna per Squillante e Battistella e considera prescritta l'accusa per Felice Rovelli. Per il lodo Mondadori, la Cassazione accoglie il ricorso della Procura Generale di Milano e della parte civile Cir, contro le assoluzioni del maggio 2005.

18 dicembre 2006. Davanti alla terza sezione della Corte d'appello di Milano, comincia il nuovo processo d'appello per il lodo Mondadori.

23 febbraio 2007. I giudici condannano Previti, Acampora e Pacifico ad un anno e 6 mesi, Metta a due anni e otto mesi. Le condanne vanno aggiunte in continuazione con quelle del processo Imi-Sir, ormai diventate definitive.

3 ottobre 2009. La I sezione del Tribunale di Milano dà ragione ha dichiarato che la Cir ha diritto al risarcimento di 750 milioni da parte di Fininvest per il danno patrimoniale da 'perdita di chance' subito nella vicenda per la 'battaglia di Segrate'. Il provvedimento civile è arrivato alla luce dalla definitiva condanna penale per corruzione del 2007.

(3 ottobre 2009) Tutti gli articoli di politica


Crolla il muro
della finzione

di CURZIO MALTESE

C'ERA un solo Paese, fino a ieri, dove si potesse definire una "farsa" una manifestazione per la libertà di stampa in Italia. Indovinate un po', il nostro. Nel resto d'Europa e dell'universo democratico, l'anomalia italiana è ormai evidente a tutti. Bene, da oggi diventa più difficile per il potere negarla. La folla di cittadini che ha riempito all'inverosimile Piazza del Popolo e dintorni ha avuto l'effetto di far crollare un muro di finzione.

Ha portato un pezzo di realtà sulla scena pubblica, restituito un senso alle parole rubate dal marketing politico, come popolo e libertà, segnalato l'esistenza e la resistenza di un'Italia aperta al mondo, allegra e pronta a scendere in piazza per i propri diritti. Ed è un segnale del paradosso orwelliano in cui ci tocca vivere che proprio questa Italia si presenti in piazza al grido: "Siamo tutti farabutti".

È crollata in un pomeriggio una finzione costruita da mesi e anni di propaganda. Quella per cui la questione della libertà d'informazione in Italia è soltanto una lotta di élites nemiche, di qui Berlusconi e i suoi media, di là Repubblica e un pugno di giornalisti di tv e carta stampata, spalleggiati dalla fantomatica Spectre internazionale del giornalismo di sinistra. Se così fosse, aggiungiamo, avremmo già perso da un pezzo, visto i rapporti di forza.

Ma la questione è altra ed è quella che vede benissimo l'opinione pubblica internazionale. Da un lato c'è una concezione classica delle libertà democratiche, per cui il governo e l'informazione fanno ciascuno il proprio mestiere. Dall'altro, il fronte berlusconiano, dove è affermata ormai a chiare lettere una concezione di democrazia mutilata in cui i media debbono astenersi dal criticare il potere politico, perfino dal porre domande non previste dal protocollo. Altrimenti rischiano ritorsioni economiche, politiche, giudiziarie.

Sullo sfondo di un irrisolto e monumentale conflitto d'interessi, il progetto di Berlusconi è di costringere l'intero campo dell'informazione a due sole possibilità. Una metà militante a favore del padrone, cioè servile. E l'altra metà comunque deferente.

Nei quindici anni di carriera politica, Berlusconi non era mai giunto tanto vicino a raggiungere questo obiettivo come al principio del suo terzo mandato. Una televisione e una stampa prone ai voleri del governo, in molti casi liete di fare da semplici megafoni, hanno scortato il premier fra infinite passerelle nella luna di miele con l'elettorato. Poi qualcosa si è rotto. Le voci non servili o non deferenti rimangono poche, ma suonano forte e soprattutto sono sostenute da un crescente sostegno popolare.

Perfino il pubblico televisivo, il "popolo" di Berlusconi, ha cominciato a ribellarsi a una rassegnata deriva. Per il re delle antenne, abituato a riferire dell'azione di governo prima (o solo) in tv piuttosto che in Parlamento, far segnare record negativi di ascolti, quando il "nemico" Santoro polverizza un primato dopo l'altro, è davvero un brutto segno di declino. La risposta di massa in piazza all'appello del sindacato giornalisti è un altro pessimo segnale. Pessimo, s'intende, per l'egemone. Magnifico per chi continua a pensare all'Italia come a una grande democrazia occidentale.

Non sappiamo se l'opinione pubblica è davvero e ancora "una forza superiore a quella dei governi", come scriveva Saint Simon agli albori della democrazia. Nell'Italia di oggi è in ogni caso una forza superiore a quella di un'opposizione politica divisa, confusa e a giudicare dagli ultimi voti parlamentari anche distratta. Il potere ne è consapevole e infatti gli attacchi agli organi d'informazione in questi mesi hanno raggiunto toni mai toccati dalla polemica politica.

Per finire con una nota grottesca, parliamo del Tg1, ormai scaduto a bollettino governativo. Ieri sera il direttore Augusto Minzolini è intervenuto con un editoriale nel quale, dopo aver esordito definendo una manifestazione di cittadini in favore della libertà di stampa "incomprensibile per me" (nel suo caso, si capisce), ha ripetuto parola per parola gli slogan appena usati nel pastone politico dagli esponenti del Pdl.

Minzolini, che è quello senza occhiali - per distinguerlo da Capezzone - non è l'ennesimo portavoce del premier, ma un dipendente del servizio pubblico, pagato coi soldi del canone versato anche dai manifestanti. Anzi, forse più da loro che da altri. Dovrebbe tenerne conto e dare qualche notizia in più, invece di propinarci per la seconda volta il Berlusconi-pensiero mascherato da editoriale.

(4 ottobre 2009)


Non era una folla
ma era un popolo

di EUGENIO SCALFARI

QUESTO articolo è dedicato al tema del testamento biologico, che tornerà tra breve di stretta attualità e sul quale è da tempo in corso un ampio dibattito che coinvolge diverse concezioni del bene comune.
Sento tuttavia la necessità prima d'affrontare quel tema, di esprimere il mio pensiero sulla manifestazione che si è svolta ieri pomeriggio in Piazza del Popolo a Roma in nome della libertà d'informazione. Ne torno in questo momento e ne sono dunque mentre scrivo ancora caldi i sentimenti e le emozioni che essa ha suscitato.

Sul senso politico e soprattutto costituzionale di quell'imponente raduno di persone, di associazioni, di sindacati e di forze politiche, ha scritto ieri Ezio Mauro. La gente è andata in piazza per difendere la prima delle libertà, preliminare rispetto a tutte le altre, struttura portante della democrazia. Questo sentimento accomuna i cittadini al di là e al di sopra di tutte le differenze di parte e ieri infatti si è andati in piazza in nome della Costituzione repubblicana.
Non era una folla, era un popolo che gremiva fino all'inverosimile non solo la piazza ma l'adiacente piazzale Flaminio, le balconate e le terrazze del Pincio, la via di Ripetta, la via del Corso fino a piazza Augusto, la via del Babuino. Addensati come non mi era capitato mai di vedere in situazioni consimili.
Dico che non era una folla ma un popolo perché non erano lì per ascoltare e osannare un leader, un capo carismatico alle cui parole e al cui fascino avrebbero agganciato le loro pulsioni, i loro sogni, le loro attese.

Erano lì in nome di convinzioni maturate da tempo, d'una visione propria e condivisa del bene comune, del rifiuto della demagogia. Erano lì per solidarizzare con due giornali attaccati dal potere politico e con le poche trasmissioni televisive che non sono al guinzaglio del potere. Ed erano lì per testimoniare l'essenza democratica delle donne e degli uomini di buona volontà, di chi ricorda il passato e vuole costruire il futuro.

Tra le tante strette di mano e di abbracci dati e ricevuti, l'incoraggiamento che tutti ci hanno rivolto è stato di resistere, continuare, non mollare. M'è venuto in mente che "non mollare" fu il motto adottato sotto il fascismo da Ernesto Rossi e dai promotori di "Giustizia e Libertà". Le battaglie civili che si combattono oggi sono molto diverse da quelle di allora, ma il senso è il medesimo: in un'epoca appiattita e priva di ideali, occorre risvegliare un paese cloroformizzato, disinformato, indifferente e ricondurlo all'impegno civile.

Questo intendeva dirci il popolo di quella piazza. Non erano loro ad ascoltare noi, ma noi a sentirceli vicini e far nostre le loro indicazioni: resistete, continuate, non mollate. E noi, per il fatto stesso di fare correttamente il nostro mestiere, resisteremo, continueremo, non molleremo.

* * *

Il testamento biologico non è ancora calendarizzato nei lavori della Camera dei Deputati ma lo sarà tra breve. Il Senato l'ha già approvato in una versione che piace al centrodestra ed è invece ritenuta fondamentalista dal centrosinistra. I due opposti schieramenti non sono comunque compatti. Da molte parti si vorrebbe un rinvio di decantazione ma è improbabile che si ottenga poiché per il "premier" è preziosa merce di scambio con la Chiesa per riacquistare una credibilità, anzi una legittimità politica da parte della gerarchia ecclesiastica.

Le posizioni in campo si possono ridurre alle seguenti:
1. Un testamento redatto e firmato dall'interessato subito dopo l'approvazione della legge e periodicamente aggiornato, nel quale l'interessato disponga a piacimento del suo corpo quando si trovi in uno stadio terminale a causa d'una malattia giudicata dal medico incurabile. L'interessato designa anche l'esecutore testamentario chiamato a far valere la sua volontà in caso di sua incoscienza e quindi impossibilità di esprimersi. Il documento così redatto deve essere depositato presso un notaio. Dalle disposizioni del testatore è comunque esclusa per legge la somministrazione di nutrimento che non fa quindi parte della terapia.

2. Il ministro della Sanità propone in alternativa il ritiro della legge e lo stralcio per quanto riguarda la somministrazione dei nutrimenti. Lo stralcio dovrebbe stabilire secondo il ministro che il nutrimento deve essere in ogni caso somministrato fino a quando la morte non avvenga.

3. La legge di cui al punto 1 dovrebbe essere emendata e includere anche la somministrazione nella disponibilità del testatore.

4. Non si faccia nessuna legge lasciando all'interessato di decidere direttamente in accordo con i suoi familiari e con il suo medico di fiducia. Ma saranno comunque necessarie garanzie per i medici che eseguono la volontà del malato di interrompere terapia e nutrimento. In questo contesto si potranno anche inserire norme contro l'eutanasia e contro l'accanimento terapeutico.

Queste sono le quattro posizioni che si confronteranno alla Camera e al Senato se, come sembra probabile, la legge sarà modificata e quindi rinviata a Palazzo Madama per una seconda lettura.

La posizione numero 1 è appoggiata dalla maggior parte del centrodestra cui in questa occasione si aggiungeranno i voti dell'Udc. Quella numero 2 ne costituisce una variante. Quella numero 3 raccoglie la maggioranza del centrosinistra e probabilmente anche dei "liberali" di centrodestra. La numero 4 ne rappresenta una variante che tende a limitare al massimo l'intervento della politica in una questione eminentemente privata.

* * *

Decisioni su temi di questa complessità, che riguardano la concezione della vita e le modalità operative che implicano inevitabilmente l'intervento dei medici, non possono essere adottate senza un contributo determinante dell'opinione pubblica, non foss'altro per la ragione che resta possibile il ricorso ad un referendum abrogativo da parte di chi non fosse soddisfatto della normativa decisa nelle aule parlamentari.

Il pubblico dibattito è dunque oltremodo necessario, soprattutto per informare i cittadini della sostanza della questione e delle sue implicazioni rispetto ad una complessiva visione del bene comune. Si confrontano in un dibattito di questa natura posizioni diversamente ispirate ed anche specifiche deontologie, la prima delle quali si può definire "ippocratica" e riguarda l'intera classe medica, deontologicamente vincolata al cosiddetto giuramento di Ippocrate che pone la medicina al servizio della preservazione della vita. Può un medico contravvenire a quel giuramento per dare esecuzione alla volontà di un malato?

La questione non è di poco conto ed infatti è ampiamente utilizzata da quanti si oppongono alla tesi dell'interruzione delle terapie nel caso di malattie incurabili giunte allo stadio terminale.

La constatazione dell'incurabilità e dello stadio terminale è di pertinenza dell'équipe medica che segue l'ammalato in questione. I medici dunque non vengono espropriati del loro ruolo essenziale, anzi esso ne risulta ulteriormente rafforzato come è giusto che sia.
Il giuramento di Ippocrate può dunque essere razionalmente superato sulla base di tre considerazioni.

La prima riguarda il progresso delle tecnologie curative che hanno fortemente modificato il momento della morte, non più identificato nella cessazione del battito cardiaco ma nella morte cerebrale. Questa nuova concezione del momento della morte, sulla quale si basa la tecnica degli espianti e trapianti di organi ancora vivi, conferisce alla tesi ippocratica una flessibilità ed una relatività prima sconosciuta, che fanno appello alla coscienza responsabile del medico e al rapporto tra il giuramento di Ippocrate e il caso specifico di quel malato.

La seconda considerazione riguarda l'accanimento terapeutico il cui divieto è ormai universalmente accettato.

La terza riguarda la cura del dolore, anch'essa accettata da tutti, comprese le varie chiese cristiane.
Ma accanto e al di sopra della tesi ippocratica che ha natura essenzialmente deontologica, si staglia la concezione religiosa che assegna non già alla libera volontà individuale ma soltanto a Dio la potestà sulla vita e sulla morte delle sue creature. Qui sta il nocciolo dell'intera questione. Come si supera l'obiezione del "pro vita"? E le obiezioni di coscienza che da questa tesi derivano?

* * *

Va detto innanzitutto che l'obiezione "pro vita" motivata da un'autonoma decisione individuale e/o dal richiamo religioso alla potestà non discutibile del Creatore, ha pieno diritto di essere sostenuta nello spazio pubblico dove tutte le opinioni hanno diritto di esprimersi cimentandosi con opposti modi di pensare e di comportarsi. Del resto il testamento non è obbligatorio, si muore anche senza di esso. Parlo qui del testamento civile, in assenza del quale l'eredità viene assegnata "ope legis" secondo le normative del codice.

In caso di testamento biologico però, l'assenza di esso crea non pochi problemi che tuttavia vengono superati dall'esistenza d'un parente di strettissimo grado di parentela: coniuge, figlio, genitore. Oltre questa cerchia non si può andare. Su questa base del resto la Corte di Cassazione decise il caso Englaro riconoscendo al padre il potere decisionale in rappresentanza della figlia Eluana. Infine, in mancanza di parenti di strettissimo grado, il magistrato può nominare un curatore a tutela del malato incurabile e terminale.

Ma torniamo all'obiezione religiosa e dal canto nostra obiettiamo: la tesi "pro vita" ha pieno diritto d'essere pubblicamente e fortemente sostenuta ma essa non può essere imposta a chi non la condivide; lo Stato democratico non può far propria la tesi "pro vita" (intesa nel senso di impedire le libere decisioni individuali che comprendano la cessazione delle terapie e della nutrizione) senza con ciò trasformarsi in uno Stato etico, portatore di concezioni etiche e religiose, che rappresenterebbero una deformazione non solo autoritaria ma totalitaria in aperto contrasto con lo spirito e con la lettera della Costituzione repubblicana.

Queste del resto furono le motivazioni che portarono alla legislazione sul divorzio, sull'aborto, sulla procreazione medicalmente assistita: istituti che non impongono nulla a nessuno limitandosi a riconoscere diritti, anzi facoltà per chi voglia avvalersene e soltanto per lui.

Neppure la Chiesa, comunque, è monolitica su temi di questa delicatezza e complessità. Recentemente il cardinal Martini si è espresso con molta chiarezza sul significato profondo del "pro vita" cattolico e dal suo punto di vista va sostenuto e affermato mettendolo tuttavia in rapporto con la dignità della persona. Due valori che vanno entrambi rispettati e dei quali, in certe circostanze, il secondo può addirittura prevalere sul primo come del resto attesta la considerazione in cui il martirologio è ricordato e venerato dalla Chiesa. La dignità del martire è connessa alla testimonianza della sua fede e per essa una persona sana si immola anziché abiurare. La persona ammalata chiede di affrettare una ormai inevitabile morte per rispetto verso l'opera del Creatore. Non è in tutte e due i casi un problema di dignità?

Il testamento biologico rientra tra quei grandi temi morali e culturali che possono rafforzare la tempra democratica d'un paese. Avvilirlo in uno scambio lobbistico sarebbe quanto di peggio possa accadere. È purtroppo vero che al peggio ci stiamo abituando, ma questo è appunto il pericolo che sta correndo la democrazia ed anche la religione. Il popolo di Dio dovrebbe preoccuparsene quanto noi e più ancora di noi.


(4 ottobre 2009)

Frasi e citazioni, a piazza del Popolo la protesta portata da casa
Tanti contro Berlusconi, ma la parola più ricorrente è "libertà"
Foto, cartelli, collage e pennarelli
in piazza lo slogan è autoprodotto

di ALESSANDRA VITALI



ROMA - La libertà di stampa se la sono portata da casa. Hanno stampato volantini, magliette, cartelli. Striscioni, biglietti, adesivi. Chi non ha stampato ha scritto a mano. Con la penna, col pennarello, col pennello. O ha incollato: foto, fotocopie, pagine di giornali. La partecipazione alla manifestazione in difesa della libertà di informazione si traduce anche in gara creativa. Ognuno vuole dire la sua, dirla come se la sente. Un manifesto, una t-shirt, uno striscione, una rima, una foto. Tutto rigorosamente autoprodotto. La protesta è di carta e di stoffa. Nasce da quella voglia di "c'ero anch'io" che ti fa mettere la parola e la firma oltre alla faccia.

Ci sono quelli che ce l'hanno con la politica che in piazza non ce li porta e scrivono "D'Alema, ora chiedici scusa e vattene". C'è chi gioca facile e scrive "Papi, mi presti la escort?". Ci sono "farabutti" e "farabutte" d'ogni genere e età. Le signore e i bambini. Gli anziani e gli adolescenti. Le fotocopie, i collage, i pennarelli. Le parole che scendono oblique sul foglio, magari scritte sul pullman, o ieri sera sul letto ma chisseneimporta, quel che importa è dirle.

Berlusconi è il più gettonato. "L'informazione ci rende liberi, Papi ci rende schiavi". "Voglio, posso, comando... La buonanima era un santo, in confronto a Silvio". E sono cartelli scritti con il pennarello. Poi ci sono i collage, copertine e titoli di giornali affiancati a liberi pensieri. Un cartello giallo con incollata la copertina dell'Espresso che titola "Sua libertà di stampa" e sotto la scritta "No al padrone unico dell'informazione". O le magliette con gli slogan stampati: "Se la risposta è Berlusconi, la domanda è sbagliata".

Le domande, quelle dieci alle quali il premier non ha mai risposto, spuntano a ogni angolo. Sotto forma di volantino, fotocopiate da Repubblica e incollate su un cartello, qualcuno le ha anche stampate su una t-shirt. Ma la parola che più ricorre in piazza del Popolo è "libertà". Con Calamandrei: "La libertà è come l'aria, ci si accorge di quanto sia importante quando viene a mancare". Contro i giornalisti che la piazza giudica "di regime": "Libertà di informazione. Ippopotami, elefanti, cerbiatti, cani, gatti, fenicotteri, procioni, orsi, coccodrilli e lamantini. Non è Piero Angela. Questo è il Tg1 di Minzolini. No al lavaggio del cervello".

Ci sono dei ragazzi arrivati in gruppo da Reggio Emilia. Tutti con lo stesso cartello giallo appeso al collo e scritto in rosso e in nero: "La pace si nutre di un'informazione libera". Una signora mostra dei fogli vezzosamente color rosa con scritto "Ora stampiamo un bel casino". Poi c'è il "gruppo della mitra", tre-quattro ragazzi e ragazze con in testa un copricapo di cartone ispirato a quello del Papa, e la scritta: "Stanno vivendo un sogno, si sveglieranno in un incubo".

E ancora, sui telegiornali: "C'è un'Italia che non è raccontata, che non trova spazio nei sommari dei tg, che annaspa nell'oblìo del tubo catodico. Questa Italia deve essere rivelata. No all'informazione al guinzaglio". Tiene invece al guinzaglio un anziano bassotto l'uomo che, arrampicato sulla base dell'obelisco di piazza del Popolo solleva con un braccio - senza stancarsi mai - un foglio con scritto "AAA democrazia confusa cerca informatori con postura eretta".

E se una ragazza giovanissima porta in giro per la piazza un grande foglio di cartone rosso, con su scritto "Non essere ascoltati non è una ragione per tacere", trova spazio anche la protesta di una signora inglese, che con aplomb, e una scritta rossa e blu osserva: "Berlusconi liked Italy so much he bought the country", "A Berlusconi l'Italia piace così tanto che se l'è comprata".

(3 ottobre 2009) Tutti gli articoli di politica


Pesanti, combattimenti vicino al confine con il Pakistan
Per l'Isaf si tratta delle perdite più gravi nell'ultimo anno
Afghanistan, scontri con i taliban
Uccisi otto soldati americani

Catturati dai ribelli una quindicina di poliziotti afgani

KABUL - Otto soldati statunitensi sono stati uccisi nel corso di combattimenti con i taliban nella provincia orientale afgana del Nuristan al confine con il Pakistan.

Lo ha reso noto il comando del contingente Nato-Isaf sottolineando che si è trattato dell'attacco più sanguinoso nell'ultimo anno. Teatro dell'assalto il distretto di Kamdesh dove la guerriglia ha colpito due avamposti uccidendo anche due soldati afgani. Il conflitto si è verificato sabato sera e il governatore Jamaludin Badar ha dichiarato che è durato sette ore.

L'esercito statunitense e l'Isaf hanno fatto sapere di aver "respinto l'attacco e inflitto gravi perdite al nemico". Un portavoce dei talebani, Zabiullah Mujahid, ha rivendicato quest'ultimo attacco e ha inoltre annunciato che trentacinque poliziotti afgani sono stati presi prigionieri.

Dopo una prima smentita, il capo della polizia del Nuristan, Mohammad Qasim Jangulbagh ha ammesso che quindici poliziotti mancano all'appello e che sono prigionieri dei taliban. Jangulbagh ha spiegato che tra loro ci sono il capo della polizia locale e il suo vice. Forze afgane sono state inviate a rinforzo, ma ogni comunicazione nel distretto in questione è problematica e al momento si ignorano le sorti degli ostaggi.
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(4 ottobre 2009) Tutti gli articoli di esteri
 
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