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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 30/9/2009, 17:12 by: Lucky (Due di Picche)




La scossa di magnitudo 7.6 in fondo al mare, nell'isola di Sumatra
Edifici crollati, incendi, strade interrotte, raso al suolo un ospedale
Terremoto in Indonesia
"Migliaia sotto le macerie"

La Farnesina: "Per ora nessun italiano coinvolto nella tragedia"



GIACARTA - Un violento terremoto di magnitudo 7.6 scuote l'isola Sumatra in Indonesia. Crollati decine di edifici; distrutti alberghi e scuole; incendi e scoppi sono segnalati in buona parte dell'isola; "migliaia di persone sono intrappolate sotto le macerie", ha detto il ministero della Sanità. Raso al suolo un ospedale a Padang, capoluogo della provincia di Sumatra Occidentale, nell'area vicino all'epicentro del terremoto. Nelle città regna il panico. Le strade sono interrotte e allagate dalle condotte dell'acqua spaccate; le comunicazioni telefoniche impossibili e l'erogazione dell'energia elettrica sospesa. Le immagini televisive rimandano scene di devastazione. Un'emittente tv ha detto che il tetto dell'aeroporto di Padang è crollato. Le vittime accertate sarebbero 75 ha riferito il vice-presidente indonesiano, ma il bilancio è destinato tragicamente ad aumentare. L'agenzia della Protezione civile a Giacarta non è ancora in grado di comunicare con i locali per un bilancio preciso delle vittime.

Erano le 17.16 (le 12.16 in Italia), quando si è scatenato l'inferno. E un'ora dopo, una seconda scossa meno violenta ma ancora intensa ha fatto tremare ancora l'isola. Secondo le prime valutazioni, si è trattato di un sisma sottomarino, percepito sulla costa occidentale dell'isola di Sumatra, a circa 50 chilometri dalla costa di Padang, sulla stessa faglia del maremoto che nel 2004 provocò un gigantesco tsunami sotto il quale morirono 260.000 persone.

La città di Padang, 900.000 abitanti a 1.300 chilometri dalla capitale Giacarta, è stata investita da un'onda d'urto che ha sbriciolato gli edifici e fatto crollare i ponti. Il sisma ha risparmiato la capitale dove ci sono i più importanti siti petroliferi del Paese e il più antico terminal di gas liquido naturale, ma è stato avvertito a Singapore, 2.000 chilometri a ovest di Padang.

La Farnesina, in contatto con l'ambasciata italiana di Giacarta, ha fatto sapere che - al momento - non risultano cittadini italiani coinvolti nel violento terremoto.

(30 settembre 2009)


Abu Omar, chiesti 13 anni per Pollari
"Condannate anche 26 agenti Cia"

MILANO - Tredici anni di reclusione per l'ex direttore del Sismi Nicolò Pollari, definito "il regista di un sistema criminale": questa la condanna chiesta dal pubblico ministero Armando Spataro, al termine della sua lunga requisitoria del processo per il sequestro di Abu Omar. Il magistrato ha invocato anche 26 condanne per gli agenti della Cia coinvolti nel rapimento, con pene comprese tra i 13 anni e i 10 anni di reclusione.

Per l'ex capo del controspionaggio militare italiano, Marco Mancini, l'accusa ha chiesto 10 anni di reclusione. Richiesta di proscioglimento, invece, per tre funzionari minori del Sismi, Raffaele Di Troia, Di Gregorio e Giuseppe Ciorra.

Secondo la ricostruzione del sequestro fatta in aula da Spataro, il Sismi diretto da Pollari non solo offrì copertura alla Cia nel rapimento dell'ex imam, avvenuto a Milano, ma collaborò. Probabilmente senza dire nulla al governo. "Forse le autorità governative - afferma Spataro - non sono state avvertite di un accordo preso da Pollari. O almeno non c'è prova che lo abbia fatto". E questo dimostrerebbe, a suo giudizio, il "silenzio imbarazzato" con il quale i governi Prodi e Berlusconi hanno affrontato la vicenda: non hanno mai detto una parola in sede di Commissione europea, e nemmeno si sono presentati alle audizioni.


(30 settembre 2009)

Dopo le polemiche e l'annuncio dell'istruttoria del governo
la trasmissione di Raidue torna sulle feste di Palazzo Grazioli
Scandalo escort, Annozero insiste
Domani sera ospite la D'Addario

La replica del viceministro Romani: "Anche in questo caso, verificare se è servizio pubblico"

ROMA - Annozero non molla lo scandalo escort. Dopo le polemiche, gli attacchi del centrodestra e l'istruttoria sul programma di Michele Santoro annunciata dal viceministro Romani, domani sera sarà Patrizia D'Addario a raccontare la sua verità sulle feste di Palazzo Grazioli. Una presenza che secondo lo stesso Romani ribadisce la necessità di verificare se nella trasmissione "si faccia davvero servizio pubblico". E che provoca una prima defezione tra gli ospiti previsti: Flavia Perina, direttrice del Secolo d'Italia, vicina al presidente della Camera Gianfranco Fini, ha deciso di non partecipare più alla puntata.

Secondo quanto appreso da Repubblica.it la donna che per due volte fu nella residenza del premier, e che nella seconda occasione si fermò per la notte, interverrà in diretta. Non è stato ancora deciso se in collegamento video o in studio.

Romani: "E' servizio pubblico?". "La D'Addario in trasmissione domani ad Annozero? Non conosco il programma, comunque ci sarà il solito problema se un programma di questo tipo e con queste presenze è compatibile con il servizio pubblico Rai". Così si è espresso Paolo Romani, viceministro con delega alle Comunicazioni, al termine dell'audizione in commissione di Vigilanza.

Flavia Perina: "Non vado più". "Avevo dato la mia disponibilità di massima a partecipare alla puntata di domani di Annozero, che mi era stata presentata - dice Flavia Perina, direttore del Secolo d'Italia - come dedicata al "sistema Tarantini" e al rapporto tra il potere e le donne. Ma l'annuncio della presenza in studio della signora D'Addario mi ha costretto a declinare l'invito, con la convinzione che una trasmissione così congegnata rischi di risolversi nella ricerca di facili effetti scandalistici. Ho troppo rispetto per la politica, e per il tema della dignità della donna, per affidarla a un confronto di questo tipo".
(30 settembre 2009)


Ferrari-Alonso: è ufficiale
La casa di Maranello annuncia l'ingaggio del pilota spagnolo. Contratto di 3 anni a partire dal 2010. Farà coppia con Felipe Massa, Fisichella sarà la riserva. ''Un sogno che diventa realtà''. Ufficiale anche l'addio a Raikkonen a fine stagione





MARANELLO - E' ufficiale. Fernando Alonso è un nuovo pilota della Ferrari. Lo spagnolo ha firmato un contratto di tre anni a partire dalla prossima stagione. La formazione della Ferrari del prossimo Mondiale sarà dunque composta da Alonso, Felipe Massa e da Giancarlo Fisichella come pilota di riserva. Contestualmente all'annuncio dell'arrivo di Alonso, la Ferrari ha ufficializzato l'addio a Kimi Raikkonen. Il pilota finlandese, campione del mondo con la Rossa nel 2007, ''lascerà la squadra alla conclusione di questo campionato, al termine di una partnership fruttuosa e ricca di successi''.

IL SECONDO SPAGNOLO PER LA ROSSA - Alonso è il secondo pilota spagnolo che guiderà la Ferrari. Per rintracciare un altro pilota iberico nella storia di Maranello bisogna risalire al 1956 e 1957 quando Alfonso De Portago fu scelto per correre nella massima Formula, anche in coppia con Peter Collins e Jose Froilan Gonzales. Nato a Oviedo (Asturie) il 29 luglio 1981, Alonso debutta in Formula Uno nel 2001, al volante della Minardi, in occasione del Gran Premio d'Australia del 2001. L'anno successivo è collaudatore alla Renault e nel 2003 diventa pilota ufficiale della scuderia francese e realizza la prima pole position (Malesia) ottenendo la prima vittoria (Ungheria). Con la Renault Alonso diventa Campione del mondo nel 2005 e nel 2006.

UN SOGNO CHE SI REALIZZA - Guidare la Ferrari è per Alonso un sogno che si realizza: ''Guidare una monoposto del Cavallino Rampante - dice al sito ufficiale di Maranello - rappresenta un sogno per tutti quelli che fanno questo mestiere e io oggi ho la fortuna di poterlo realizzare. Di questo voglio ringraziare innanzitutto il Presidente Luca di Montezemolo, che ha fortemente voluto questo accordo triennale. Già durante l'estate avevamo raggiunto un'intesa a partire dal 2011 ma poi, negli ultimi giorni, il quadro della situazione è mutato e abbiamo deciso di anticipare l'arrivo a Maranello di un anno. Sono sicuro che, insieme a Felipe, sapremo dare delle grandi soddisfazioni alla Ferrari e ai suoi tifosi sparsi in tutto il mondo. Non vedo l'ora di mettermi al lavoro con la mia nuova squadra''.

IL BENVENUTO DI DOMENICALI - "Siamo molto lieti di accogliere nella nostra squadra un pilota vincente, che ha dimostrato il suo straordinario valore conquistando già due titoli iridati nella sua carriera - commenta Stefano Domenicali, direttore della gestione sportiva della Ferrari -. Fernando ha una personalità eccezionale e faremo di tutto per mettere a disposizione sua e di Felipe una vettura competitiva. Siamo certi questi due grandi piloti formeranno la miglior coppia possibile per una squadra come la nostra. Detto questo, vogliamo ringraziare Kimi per quanto ha fatto in questo periodo trascorso alla Ferrari''.

30 settembre 2009



Il presidente della Camera esprime dubbi sul dl anticrisi
che contiene anche lo scudo fiscale. "Pronto a tagliare i tempi"
Scudo fiscale, i dubbi di Fini
"Al voto domani, o 'ghigliottina"

Granata (Pdl) al governo: "Basta con il decisionismo ipocrita"
L'opposizione: "Decisione imperdonabile su un provvedimento vergognoso"




ROMA - "Oggettive anomalie procedurali". Gianfranco Fini non nasconde i dubbi sull'iter dello scudo fiscale, inserito nel dl anticrisi e sul quale oggi si vota la fiducia. E al tempo stesso sottolinea che per garantire la conversione in legge del provvedimento provvederà a porlo direttamente in votazione entro le 15 di domani (in vista della scadenza). Questo, continua la nota dell'inqulino di Montecitorio, "anche tenuto conto della necessità di assicurare un minimo di margine di tempo per l'esercizio da parte del capo dello Stato delle sue prerogative costituzionali".

In sostanza il presidente della Camera ha annunciato di voler ricorrere alla cosidetta "ghigliottina" (sarebbe la prima volta nella storia della Camera). Ovvero la decisione del voto finale di un provvedimento dopo il voto di fiducia anche senza attendere che sia completato l'iter. Alle opposizioni che hanno espresso la loro contrarietà a questa ipotesi, Fini ricordato che è "sua precisa responsabilità" assicurare il voto entro limiti di tempo tali da permettere un esame del testo al Capo dello Stato.

Una spiegazione che non convince la minoranza in piena lotta ostruzionistica. "Non si tratta di un'accortezza nei confronti di Napolitano ma è l'ennesima furbata per impedire all'opinione pubblica di prendere coscienza di ciò che questa maggioranza sta facendo di illiberale". "Sarebbe una decisione imperdonabile su un provvedimento vergognoso" ha affermato il capogruppo Pd, Antonello Soro. "Fini aggiungerebbe un'altra forzatura a un percorso parlamentare già zeppo di forzature" ha rincarato la dose Michele Vietti, vicecapogruppo Udc.

Ma a far capire che i dubbi di Fini sul metodo scelto dal governo sono forti, basta leggere le parole di un finiano di ferro come Fabio Granata. "Sono forti le perplessità soprattutto sugli inserimenti dell'ultim'ora nello scudo fiscale, quelli su frodi fiscali e falso in bilancio, ma la proposizione in forma di fiducia da parte del governo ha ovviamente stroncato questo dibattito che doveva esserci: non in Parlamento, ma prima, all'interno del Pdl, doveva precedere la dinamica di approvazione della norma - dice il parlamentare del Pdl - E' evidente che su certe problematiche si va avanti in maniera assolutamente decisionista, senza coinvolgere minimamente i gruppi parlamentari".

Le critiche dell'Avvenire. ''In tempo di crisi e di crollo delle entrate, sindacare sul 'profumo''' dei 5 miliardi di euro che, secondo le stime Cei, saranno portati in cassa dalla scudo fiscale, ''rischia di sembrare un discutibile esercizio retorico'', ma, allo stesso tempo, ''il messaggio veicolato dall'operazione-scudo rischia di avere effetti deleteri'' perche' comunque si tratta della ''terza sanatoria in dieci anni'', ''una soluzione premia-furbi'' che non puo' essere controbilanciata da ''proclami'' e ''grandi battaglie su fannulloni, burosauri, caste e baroni''. Lo scrive oggi 'Avvenire', il quotidiano della Cei, in un editoriale dedicato al provvedimento per il ritorno dei capitali all'estero che verra' approvato oggi.

(30 settembre 2009)


BUFERA IN CAMPIDOGLIO
La lettera del consigliere Bianconi
"Niente favori se non mi aiuti..."



Patrizio Bianconi«Chieda subito scusa». È una lettera di censura pesantissima quella inviata ieri dal sindaco Alemanno a Patrizio Bianconi, il consigliere pidiellino che - rispondendo alla richiesta di informazioni di un cittadino - ha sollecitato in cambio del suo "onorevole" interessamento la stipula di «un patto di sangue» elettorale, ovvero il sostegno per sé e un suo compagno di partito alle prossime comunali, pretendendo per di più di conoscere l´indirizzo di casa, la mail e il numero di telefono in modo da poterlo «schedare» e rintracciare «quando ci servirà il voto suo e della sua famiglia».

Parole definite «inqualificabili» dal primo cittadino, che ha anche sollecitato il presidente dell´Aula Giulio Cesare ad «adottare tutti i provvedimenti del caso, incluse - ove possibile - sanzioni severe» nonché di «mettere sotto osservazione l´attività di Bianconi perché comportamenti del genere non si devono ripetere e non saranno mai più tollerati».

Sa di cosa parla, il sindaco. Il signor Marcello Mancini, titolare di un centro di ortopedia in Prati, quando ha ricevuto la risposta «scioccante» del consigliere capitolino, ha subito inoltrato l´intero carteggio ad Alemanno e a tutti i capigruppo dell´assemblea comunale, presentando pure un esposto alla Procura della Repubblica. «Ho chiesto al magistrato di intervenire perché in un paese democratico è inaccettabile che un libero cittadino subisca pressioni di questo tipo», spiega. È davvero sconfortato, Mancini: «Il mio dubbio è: si tratta dell´errore di un singolo o anche gli altri giovani politici sono educati alla scuola del ricatto e dello scambio di favori?».

Un dilemma che l´inquilino del Campidoglio ha tentato a stretto giro di sciogliere. Prima ha parlato con i suoi per verificare l´autenticità della corrispondenza, quindi ha preso carta e penna e inviato la censura scritta a Bianconi. Che tuttavia l´offesissimo Mancini reputa «il minimo indispensabile: in verità mi sarei aspettato una presa di posizione più dura, bisognerebbe dare una sterzata seria e forte, stigmatizzare con atti concreti certi tipi di comportamenti. Ora mi auguro solo che la questione non si risolva in un niente». Come in realtà avrebbe voluto il Pdl. Che per tutto il giorno ha fatto finta di ignorare il caso di Mangiafuoco, come il "focoso" consigliere è stato soprannominato. Più volte interpellato, il capogruppo Dario Rossin ha risposto in modo evasivo di «saperne poco», di non aver «ancora letto le carte». Fino a sera. Quando, appreso della lettera di Alemanno, s´è finalmente sbilanciato: «Ho convocato Bianconi, lo incontrerò tra oggi e domani per capire qual è la sua versione. Lui sostiene che è stato uno scherzo, certo di cattivo gusto, ma non ho motivo di non credergli». Una linea di cautela adottata anche dal vice-coordinatore romano del Pdl, Luca Malcotti: «Secondo me fra i due ci sono stati dei pregressi. Sarà successo qualcosa che non conosciamo. Altrimenti non ha senso: i consiglieri comunali vivono di consenso, coltivarlo sul territorio, nel contatto con i cittadini, è il nostro modo di fare politica. Avrò modo di parlare con Bianconi perché intanto noi dobbiamo accertare cosa è realmente accaduto».

Ad attaccare a testa bassa è invece il Pd. «È un comportamento inaccettabile che danneggia l´intero consiglio comunale», tuona il capogruppo Marroni, «chiederemo subito al presidente dell´Aula di censurare Bianconi». Parla di «squallore e tristezza infinita» Valeriani, «vorrei incontrare il signor Mancini per dirgli che non siamo tutti così», mentre Masini fa sue le parole di Napolitano e Vittorio Foa: «Chi rappresenta le istituzioni sia esempio di moralità». (30 settembre 2009)


Conclusa l'inchiesta della Procura di Paola, in provincia di Cosenza, sulla Marlane
Il lavoro dei magistrati è durato anni. Il primo fascicolo nel '99, un altro nel 2006
Morti quaranta operai nella fabbrica tessile
La nube tossica dei coloranti covava il cancro




PAOLA - Ne sono morti quaranta di cancro. Altri sessanta hanno lo stesso male e sono ancora vivi. Erano tutti operai, colleghi, per anni fianco a fianco nell'azienda tessile Marlane, in provincia di Cosenza, a Praia a Mare. La Procura di Paola ha concluso le indagini, durate anni, e ha ipotizzato i reati di omicidio colposo dei dipendenti, la cui morte è stata attribuita alle condizioni di lavoro, e inquinamento ambientale.

Sono stati anni difficili per i parenti delle vittime, difficili per gli ex operai che dopo anni di lavoro in fabbrica combattono contro tumori che hanno colpito la vescica, o i polmoni, l'utero o la mammella. Le fasi delle indagini sono, per il momento, concluse, si attende ora la decisione di rinvio a giudizio di una decina di indagati.

Ci sono voluti anni e anni di indagini, prima lungo un doppio percorso, poi riportate in un unico fascicolo, per dimostrare la connessione tra i decessi e l'uso di alcune sostanze usate nella fabbrica di coloranti azoici, che contengono "ammine aromatiche", indicate da una ampia letteratura scientifica come responsabili delle insorgenze tumorali.

Tre procedimenti - il primo iscritto nel '99, il secondo nel 2006 (con sette indagati) e il terzo nel 2007 (con quattro indagati) - che il Procuratore Capo Bruno Giordano ha fatto confluire in un unico fascicolo. Più di mille operai hanno lavorato nell'azienda fondata negli anni '50 dal conte Rivetti. Si producevano tessuti di vario tipo, per lo più divise militari. Fino alla metà degli anni Sessanta, nella Marlane esistevano dei muri divisori tra i reparti.

Poi l'azienda passò dal Lanificio Maratea, nel 1969, all'Eni - Lanerossi. In quell'anno i muri che dividevano i reparti furono abbattuti e così la fabbrica diventò un unico ambiente di lavoro: la tessitura e l'orditura, trasferite dal lanificio del vicino comune di Maratea, vennero inserite tra la filatura e la tintoria, senza alcuna divisione fisica. E così i fumi saturi di sostanze chimiche di coloritura, provenienti dalla tintoria si espandevano ovunque. Una nube permanente e densa sugli operai.

A chi lavorava su certe macchine, alla fine della giornata veniva donata una busta di latte per disintossicarsi. Era l'unica contromisura proposta, che evidentemente non poteva bastare. I coloranti - quelli che generalmente vengono contenuti nei bidoni con il simbolo del teschio - venivano buttati a mano dagli operai in vasche aperte, dove ribollivano riempiendo di fumi l'ambiente e le narici dei lavoratori.

Senza aspiratori funzionanti. Gli operai tossivano e i loro fazzoletti diventavano neri. E poi c'era l'amianto. L'azienda dice di non averlo usato, ma chi ha lavorato nello stabilimento sa bene che i telai avevano freni con le pastiglie d'amianto, che si consumavano spesso e dalle quali usciva polvere respirata da tutti.

Nel corso del 1987 il gruppo tessile Lanerossi - già appartenente al gruppo ENI, di cui faceva parte la Marlane di Praia a Mare - venne ceduto alla Marzotto di Valdagno, che ne detiene ancora la proprietà. Negli anni '90 la svolta: arrivarono le vasche a chiusura, dove i coloranti potevano ribollire senza riempire l'aria di vapori. Ma per molti operai fu troppo tardi, dopo decenni di inalazioni tossiche. Nel 96 la tintoria è stata chiusa. Oggi l'azienda è vuota. Dismessa.

"Le indagini sono praticamente chiuse - ha dichiarato il Procuratore Capo di Paola, Bruno Giordano - recentemente abbiamo richiesto un ultimo sequestro preventivo che il gip ha emesso relativo all'area circostante lo stabilimento e credo che sia stato l'ultimo passo istruttorio da parte nostra.

Ora aspettiamo solo di chiudere formalmente le indagini". La Procura di Paola ha infatti sequestrato il terreno circostante l'azienda: sotto, tonnellate di rifiuti industriali. Sostanze che erano nocive ancora prima di diventar rifiuti e che per questo avrebbero dovuto seguire l'iter di smaltimento secondo legge. Ma evidentemente qualcuno ha preferito seppellirli lì. Per questo, all'indagine iniziale sulle morti bianche se ne è aggiunta una seconda: non si indaga solo sulle modalità del ciclo di produzione ma anche sull'interramento dei rifiuti. Così oggi la fabbrica, chiusa da cinque anni, non è sotto sequestro ma i terreni circostanti sì.

Secondo la Procura, gli operai deceduti potrebbero essere più di ottanta: non tutte le famiglie dei deceduti infatti hanno sporto denuncia. Per questo il dottor Giordano ha costituito un gruppo di lavoro per individuare tutte le eventuali parti offese. Per molti operai, tuttavia, sarà dificilissimo avere giustizia: tanti sono i casi caduti in prescrizione. Con la legge Cirielli, infatti, solo i decessi a partire dagli anni '90 possono rientrare nella vicenda giudiziaria in corso.

Le prime morti risalgono agli inizi degli anni '70. Tra i primi, nel '73, due trentenni che lavoravano con gli acidi. E così via. Qualcuno sostiene che i morti siano un centinaio, ma secondo l'azienda sarebbero "solo" una cinquantina. Dato, questo, che rivelerebbe un rischio pari a un caso su un totale di 1058 operai, nell'arco di 40 anni. Motivo per cui l'azienda non vuole riconoscere il nesso di causalità tra le morti e le sostanze lavorate in fabbrica per decenni.

Non è dello stesso avviso il prete del paese, che ha celebrato più di ottanta funerali di operai. E non lo sono neanche le vedove, gli orfani di padri morti dopo una vita trascorsa in fabbrica. E poi c'è la storia di un operaio ammalato di cancro, Luigi Pacchiano, che ha trovato il coraggio di far causa alla Marlene - e che ha denunciato di aver ricevuto minacce per la sua azione legale - ma a cui poi l'Inail ha riconosciuto la malattia professionale ed ha ottenuto dal tribunale di Paola un risarcimento di 220 mila euro.

Ma le questioni sulla Marlene non finiscono qui. Ci si interroga sui finanziamenti dall'Unione europea e dalla Regione, sulle storie di precariato e cassa integrazione, sui sindacati e sui partiti e persino, come si può leggere nei rapporti del Ministero della Sanità, sul mare non balneabile di fronte alla fabbrica, nonostante ci fosse un depuratore.

(30 settembre 2009)


Il tragico bilancio della violenza di stato dopo le manifestazioni per la democrazia
Un operatore umanitario: "Bloccate le vie di accesso, poi hanno riempito le strade di sangue"
Guinea, oltre 150 morti nella repressione
"Si sparava a vista, contro tutto e tutti"



DOPO il massacro, due giorni di lutto nazionale. Potrebbe apparire grottesco, ma la giunta militare al potere in Guinea propone l'improponibile e cerca di passare per vittima di una strage che lei stessa ha ordinato e che il mondo intero ha condannato con forza e sdegno.

Solo ora, due giorni dopo le manifestazioni di decine di migliaia di persone che invocavano il passaggio alla democrazia, si traccia un bilancio della carneficina. Il numero dei morti è ben superiore a quello ammesso, a fatica, dalla fonti ufficiali. Chi ha operato per le strade, chi ha soccorso feriti che agonizzavano sui marciapiedi, chi ha raccolto i corpi ormai senza vita che riempivano gli angoli delle strade attorno allo stadio di calcio "28 settembre", chi ha portato via di nascosto le ragazze aggredite, pestate e violentate dalle case in cui avevano trovato rifugio, racconta di una mattanza che li ha lasciati senza fiato.

Organizzazioni indipendenti, impegnate nella battaglia per i diritti umani, parlano di 157 vittime e di 1283 feriti. Tutti per colpi di arma da fuoco o per ferite da taglio, probabilmente inferte con coltelli e machete. Ci telefona un operatore di Medicins sans frontières, forse una della pochissime organizzazioni presente in ogni angolo dell'Africa e del pianeta. Con voce rotta dall'emozione per lo spettacolo a cui ha assistito ci conferma che la repressione è stata "violentissima". Per la sua incolumità e per garantire il lavoro di assistenza che lui e i suoi colleghi stanno svolgendo ancora in queste ore, evitiamo di riportare il suo nome. Sappiamo che è un italiano, che si occupa di logistica.

"Non sono un medico", ci spiega, "ma chiunque abbia assistito al massacro di lunedì scorso è in grado di capire chi e in che modo ha riempito le strade di Conakry con il sangue. L'aggressione è avvenuta all'interno dello stadio. Poco prima delle 10 e 30 del mattino si erano radunate migliaia di persone. Erano venute da ogni quartiere della città. Molte, addirittura, da fuori. Era stata indetta una manifestazione di protesta contro la giunta militare al potere. L'atmosfera era elettrica. I militari avevano bloccato ogni via di accesso con mezzi, uomini e barriere di ferro e cemento. La folla non si è fatta intimidire. Ha riempito lo stadio. Era previsto un comizio, ma non c'è stato il tempo. Centinaia di soildati e di poliziotti hanno fatto irruzione, hanno iniziato a colpire con mazze, bastoni e coltelli. Poi, davanti alla folla che cercava scampo fuori e dentro lo stadio è iniziata la sparatoria. Si sparava a vista, contro tutti e tutti. Ad altezza d'uomo. I corpi cadevano come birilli. La gente correva, cadeva, cercava di rialzarsi. Fuggivano, ma erano presi da più fuochi. Come greggi allo sbando, molti hanno cercato di rintanarsi nelle case che sorgono all'esterno dello stadio. C'è stata molta solidarietà. Gli abitanti aprivano i portoni e raccoglievano i feriti. Noi siamo usciti con due e poi cinque mezzi. Facevamo la spola tra lo stadio e gli ospedali. Nel giro di un'ora le corsie si sono riempite di 400 feriti. Sette sono arrivati già morti. Almeno quattro, ragazze giovanissime, presentavano i segni inequivocabili della violenza sessuale. Ragazze aggredite per strada o prese direttamente dentro le case dove avevano trovato rifugio".

La situazione è rimasta tesissima per tutto martedì. Solo stamane sono tornate a circolare alcune macchine civili e i negozi hanno ripreso lentamente la loro attività. Lo scenario rimane molto incerto. Il capo della giunta, il capitano Musa Dado Camara, il classico ufficiale che ha preso il potere con un colpo di Stato, si è presentato in tv e ha cercato di gettare acqua sul fuoco. Non si è assunto, ovviamente, la responsabilità di quanto è accaduto. Ha ammesso, candidamente: "Qualcuno ha esagerato. Hanno perso il controllo, io stesso non sono in grado di controllare tutti i soldati". Ma ha anche avvertito: "Nessuna manifestazione sarà tollerata. Ogni assembramento, di ogni natura, verrà considerato sovversivo. Ho dato ordine di intervenire con forza e durezza.". Poi ha sentenziato: "E'venuto il momento della riflessione e del dialogo. Invito tutti, dalle associazioni religiose, a quelle civili, ai leader dei partiti, a parlare di quanto è avvenuto". Ma l'appello è caduto nel vuoto. La gente ha visto e giudica. C'è poco da capire. La maggioranza del paese chiede giustizia, chiede che i responsabili della mattanza siano individuati e condannati. Francia e Belgio, le due grandi ex potenze coloniali che hanno continuato a sostenere la giunta con sforzi militari e forniture di armi, giocano la carta di sempre. Condannano con espressioni di dolore e di orrore e interrompono il flusso di materiale bellico che rimpingua le casse degli uni e degli altri. Fino al nuovo ordine. Il capo della giunta ha un solo obiettivo: garantire una giornata tranquilla per la festa dell'indipendenza che cade domani, 2 ottobre. In attesa delle elezioni di gennaio quando si candiderà a nuovo presidente della Guinea.

(30 settembre 2009)


Rispetto alle stime, riuscito a metà il maxicondono per la regolarizzazione dei clandestini
Le associazioni di assistenza agli immigrati: allungare i tempi ed estendere i criteri
La sanatoria delle badanti è un flop
266.000 domande, Maroni: "No proroghe"


«L'abbiamo spedita a metà mese. Ora non ci resta che aspettare e pregare». Irina è una giovane moldava. Fa la colf per una famiglia di professionisti romani. Oggi è un'invisibile, un'immigrata irregolare. Ma è stata fortunata: «I miei datori di lavoro hanno presentato domanda di sanatoria». Solo così Irina potrà salvarsi dai rigori del nuovo reato di clandestinità. Come lei, tante sono le immigrate che stanno cercando di emergere. Quante? Meno delle previsioni del Viminale, in verità.

Il maxicondono di colf e badanti straniere ha infatti partorito una minisanatoria. I numeri parlano chiaro: dal 1 al 30 settembre alle ore 9 (la procedura on line chiuderà oggi a mezzanotte) sono state 266.092 le domande di regolarizzazione trasmesse on-line.

I moduli richiesti riguardano soprattutto lavoratori ucraini (42mila), marocchini (38mila), moldavi (29mila) e cinesi (22mila). Le domande più numerose provengono dalla provincia di Milano con oltre 50mila moduli scaricati, seguita da Roma con oltre 37mila. A essere richieste sono soprattutto colf (161mila).

Nonostante la notevole accelerazione degli ultimi giorni, non sono state rispettate le stime originarie del ministero dell'Interno, che prevedeva tra le 500 e le 750mila domande. Perché? Innanzitutto, molti datori di lavoro hanno preferito rimanere nel sommerso, per convenienza (non dover presentare il 740) o paura. Non solo. Secondo alcune associazioni a frenare la regolarizzazione sarebbero stati anche i requisiti imposti: l'idoneità dell'alloggio del lavoratore, il limite di reddito (20mila euro) richiesto al datore di lavoro per le colf, il minimo di 20 ore settimanali dovute da contratto.

Per questo Asgi, Arci e Cgil hanno chiesto al governo di emanare un decreto-legge per estendere a tutti i lavoratori stranieri (e non solo colf e badanti) la facoltà di regolarizzare la propria posizione; di consentire la sanatoria anche degli immigrati che svolgono contestualmente più rapporti di lavoro a tempo parziale e infine di prorogare il termine per accedere alla regolarizzazione. Anche l'Adoc, la Uil e l'Associazione nazionale datori di lavoro domestico auspicano una proroga dei termini di regolarizzazione.

Ma il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, fa sapere che non ci sarà alcuna proroga: «Chi non ha usufruito della norma per la regolarizzazione ha deciso di continuare nel lavoro irregolare e sarà soggetto a sanzioni previste dalla legge». Il ministro contesta anche chi ha parlato di flop per la regolarizzazione: «Si sono fatte stime a casaccio, chi ha parlato di 500mila, 700mila, o un milione di domande, ma la norma è stata fatta per fare emergere il lavoro nero di colf e badanti e basarsi sulle stime fatte per dire che è stato un flop è sbagliato».

(30 settembre 2009)
 
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