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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 21/9/2009, 12:36 by: Lucky (Due di Picche)




Nel discorso per la fine del Ramadan la guida suprema della Repubblica islamica
si scaglia anche contro l'amministrazione Obama accusandola di "iranofobia"
Khamenei: "Israele cancro sionista"
duro attacco ai media occidentali


L'ayatollah Khamenei
TEHERAN - Nuovo duro attacco della guida suprema iraniana contro Israele, definito il "cancro sionista". Le pesanti parole dell'ayatollah Ali Khamenei arrivano nello stesso giorno in cui viene annunciato che martedì a New York si terrà un vertice tra il presidente Usa Barack Obama, il premier israeliano Benyamin Netanyahu e il presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas) per un rilancio del processo di pace in Medio Oriente.

Forti proteste si sono levate in Occidente, ma anche in Russia, dopo che venerdì il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, che la prossima settimana sarà anch'egli a New York per intervenire all'assemblea annuale dell'Onu, era tornato a mettere in discussione l'Olocausto e aveva affermato che Israele è "alla fine" dei suoi giorni. Ma Khamenei, parlando davanti a migliaia di persone nella festa per la fine del mese di digiuno del Ramadan, ha detto che "la nazione iraniana è oggi orgogliosa di resistere alla potenza arrogante più insolente e barbara del mondo", cioè Israele, sebbene abbia negato ogni intenzione di Teheran di cercare di eliminare lo Stato ebraico.

La guida suprema ha detto che le manifestazioni a sostegno dei palestinesi e contro Israele svoltesi venerdì, come ogni anno, in occasione della Giornata di Qods (Gerusalemme), sono state "un chiaro grido dei musulmani contro il distruttivo cancro sionista", nonostante "i complotti delle potenze arroganti" per cercare di fare fallire queste iniziative.Complotti in cui, secondo la Guida, hanno avuto un ruolo centrale i mass media occidentali.

In occasione della Giornata di Qods decine di migliaia di oppositori sono tornati a manifestare per la prima volta dopo un mese e mezzo nelle strade di Teheran. Il comandante della polizia della capitale, Azizollah Rajabzadeh, ha reso noto oggi che 35 persone sono state arrestate negli scontri tra dimostranti e forze di sicurezza.

Nel suo discorso Khamenei ha attaccato anche gli Stati Uniti dicendo che l'amministrazione americana del presidente Obama, come quella del suo predecessore George W. Bush, segue una "politica iranofoba" e che a questo si devono le accuse rivolte dagli Usa a Teheran di volersi dotare di armi nucleari. "La Repubblica islamica - ha detto Khamenei - basandosi sull'ideologia islamica, vieta la produzione di armi nucleari e il loro uso ed è rimasta ferma in questa convinzione. Anche le autorità americane lo sanno, ma ripetono le loro accuse spinti dalla loro politica iranofoba".

(20 settembre 2009)


Proseguono le indagini. Ma non è più sicuro neppure l'elemento del kamikaze
E' anche possibile che l'auto fosse parcheggiata al lato della strada
Kabul, nessuna certezza sulla strage
Forse la bomba azionata a distanza

Il generale Camporini: "Sembra appurato lo scambio di arma da fuoco"



ROMA - Kamikaze o autobomba fatta esplodere a distanza? E ancora, il mezzo carico di esplosivo si è inserito tra i due "Lince" italiani o era parcheggiato al lato della strada? A quattro giorni dal tragico attentato di Kabul non ci sono certezze sulle modalità dell'attentato e anche le poche cose che, nelle prime ore, sembravano sicure, non lo sono più. "L'unico dato certo - sintetizza efficacemente il colonnello Aldo Zizzo, comandante del contingente italiano a Kabul - è che una macchina si è fatta esplodere al passaggio del nostro mezzo". E che i sei militari italiani, come ha stabilito l'autopsia fatta oggi, sono morti per "trauma da esplosione". Il resto è un mistero.

Che a farsi saltare in aria fosse stato un kamikaze sembrava uno dei pochi fatti acclarati: anche resti del corpo, si era appreso ieri da fonti afghane, sarebbero stati recuperati. Ma il generale Vincenzo Camporini, capo di Stato maggiore della Difesa, invita alla cautela su questo punto.

Intervenendo a "In 1/2 ora", su RaiTre, mostra una foto di quel che è restato dell'autobomba: solo un mucchio di ferraglia (e si può immaginare cosa sia rimasto dell'eventuale attentatore suicida). "Bisogna ancora accertare - dice - che tipo di mezzo fosse, quanto esplosivo portasse, le caratteristiche del meccanismo di esplosione. Sono tutte cose che occorre appurare e da questi resti non è cosa facile".

Basti pensare, aggiunge il generale, che le stime sulla quantità di esplosivo "variano in modo molto significativo, dai 140 ai 300 chili": verosimilmente "si è trattato di una bomba fatta in casa, utilizzando fertilizzanti, nitrato di ammonio". L'obiettivo è ora stabilire se ci fosse "qualche componente di tipo militare" perchè in questo caso si potrebbe risalire alla "catena logistica" e dunque alla provenienza.

Ma "quello che dobbiamo ancora capire - prosegue Camporini - è se il mezzo che ha causato questa tragedia è stato fatto esplodere a distanza, oppure se si è mosso, si è inserito tra i due Vtlm che stavano marciando, ha speronato il primo, esplodendo e scagliandolo a 35-40 metri di distanza". Su questo punto il colonnello Zizzo afferma: "non sembra che l'autobomba si sia frapposta tra i nostri due mezzi, ma si trovava sulla destra ed ha investito soltanto il primo Lince".

Dunque, un aspetto che sembrava chiarito (il kamikaze in azione) viene rimesso in discussione, mentre su una delle questioni più controverse (la sparatoria dopo l'esplosione), Camporini osserva: "abbiamo ancora delle ricostruzioni per certi versi non coincidenti", anche perchè in casi simili "i testimoni oculari hanno dei ricordi che non sempre coincidono con la realtà, ma "questo scambio di colpi d'arma da fuoco ormai sembra appurato".

E' quello, del resto, che si legge anche in una delle informative arrivate alla procura di Roma che indaga sulla strage. Nel rapporto, al vaglio dei pm Pietro Saviotti e Giancarlo Amato, si parla di un conflitto a fuoco, della durata di "circa un minuto", nel quale sono stati coinvolti i quattro militari a bordo del secondo mezzo subito dopo l'esplosione dell'autobomba. Versione riportata ieri anche dalla moglie di uno dei paracadutisti in questione: "ci hanno sparato, abbiamo risposto". Tutti e quattro i superstiti, dalla notte scorsa ricoverati al Celio, saranno interrogati nei prossimi giorni.

In contrasto con questa versione dei fatti il racconto di Mahmud, 34 anni, proprietario di un negozietto sulla strada della strage. Lui è un testimone oculare (quelli che secondo Camporini potrebbero anche sbagliare) e sostiene che i militari italiani hanno solo sparato in aria per allontanare la gente.

Racconta: "La vita scorreva come tutti i giorni poi d'un tratto lo scoppio, i vetri e i mattoni che venivano giù, la gente che gridava. Non ce l'ho fatta ad uscire subito, c'era tanto fumo, ma, nonostante l'attentato, tanta gente si era radunata attorno ai veicoli militari. E' stato allora che le forze dell'Isaf hanno sparato ma per costringere la gente ad andarsene".

Le indagini vengono condotte sul posto da una task force di carabinieri del Ros e il colonnello Zizzo, comandante di Italfor, non si sbilancia. La sua è una semplice constatazione: "Se ci fosse stato uno scontro a fuoco dopo l'esplosione dell'autobomba si tratterebbe di un 'attacco complesso' in pieno centro di Kabul e sarebbe la prima volta che succede".

Dall'autopsia, svolta oggi nell'istituto di medicina legale della Sapienza, non sarebbero arrivate novità di rilievo: l'esame esterno delle salme ha evidenziato una morte per "trauma da esplosione". I medici legali hanno anche prelevato alcuni frammenti metallici dai cadaveri che saranno sottoposti ad accertamenti.

(20 settembre 2009)


L'INTERVISTA. Il presidente americano: "L'obiettivo primario è smantellare e distruggere al Qaeda"
Ma aggiunge: ""Non credo all'occupazione a tempo indeterminato di altri Paesi"
Obama in tv: "Presto per mandare rinforzi
in Afghanistan non resteremo all'infinito"




Signor Presidente, lei ha fatto parecchi discorsi in proposito ma dai sondaggi emerge che gli americani nutrono ancora un grande scetticismo sui suoi piani di riforma sanitaria. Non avrà promesso qualcosa di troppo?
"No, non credo proprio di aver promesso troppo. Dobbiamo partire dal presupposto che tutti ormai riconoscono che questo è un problema. Abbiamo appena ricevuto un'analisi dalla quale risulta che i premi assicurativi per le famiglie negli ultimi dieci anni sono aumentati del 130 per cento. Ciò che ho detto agli americani è che possiamo far sì che la popolazione che non ha una copertura assicurativa possa procurarsi una insurance pool (una polizza formata da varie compagnie assicurative e concepita per condividere le potenziali perdite legate a polizze a rischio, ndt), così da avere un miglior potere contrattuale. Quello che sto cercando di fare è in particolare far capire che se non agiamo subito molti americani staranno presto molto peggio e col tempo il budget federale non potrà più sostenere le spese".

Mi permetta di chiederle una cosa: sembra che la più viva preoccupazione dell'opinione pubblica è che questo suo piano comporterà un aumento delle tasse per la classe media americana. Durante la sua campagna elettorale, invece, lei aveva promesso che questo non sarebbe successo, che non ci sarebbero stati aumenti per chi ha un reddito annuo inferiore ai 250.000 dollari. È ancora in grado, oggi, di promettere la stessa cosa?
"Sì, sono ancora in grado di mantenere la promessa, perché circa i due terzi di quello che ci servirebbe per la nostra proposta dovrebbero essere ricavati dai soldi che già sono allocati per il sistema dell'assistenza sanitaria: solo che sono spesi male. Dovremo sicuramente trovare altre fonti per coprire le spese del rimanente terzo, più o meno, del nostro piano per l'assistenza sanitaria. Io ho proposto un lungo elenco di approcci diversi, che non avranno alcun impatto sugli americani della classe media. Non saranno costretti a pagare di tasca loro. Le compagnie di assicurazione e le società farmaceutiche dovranno contribuire versando qualcosa, in parte perché oggi ricevono sussidi ingenti dai cittadini".

Signor Presidente, sette ex direttori della Cia le hanno inviato una lettera per chiederle di abrogare la decisione dell'Attorney General di riaprire le indagini penali sugli interrogatori condotti dalla Cia all'indomani degli attentati dell'11 settembre. Che cosa pensa di fare in proposito?
"Premetto di avere la massima considerazione della Cia. Ho detto e ripetuto che voglio guardare aventi e non indietro quando si parla ai problemi della precedente Amministrazione o degli interrogatori. L'Attorney General deve valutare che cosa è accaduto. Per come vedo la situazione, a questo punto non si tratta di un'indagine penale, ma semplicemente di condurre un'inchiesta per capire che cosa è successo".

Affrontiamo il tema dell'Afghanistan. Continuiamo a sentir ripetere che il generale McChrystal sta per chiederle di inviare ancora altre migliaia di soldati americani. Sta prendendo in considerazione una decisione del genere?
"Non ho preso in considerazione la cosa perché finora non mi è stato chiesto. Vorrei però ricordare agli americani come siamo arrivati a questo punto. Quando io sono stato eletto l'Afghanistan stava andando alla deriva, perché in tutta sincerità non ci eravamo affatto concentrati su quel Paese. Io ho disposto un'immediata revisione della situazione e un'analisi esaustiva. Ho inviato 21.000 soldati per garantire che le elezioni si svolgessero in modo sicuro. Il mio compito, tuttavia, è assicurarmi che la nostra strategia resti focalizzata sul nostro obiettivo primario, che è quello di smantellare, sconfiggere e distruggere al Qaeda e i suo alleati che hanno ucciso gli americani e stanno tuttora complottando di ucciderli".

E se il generale McChrystal le chiedesse tutti quei rinforzi, avrebbe difficoltà o no nell'accontentarlo?
"La mia priorità è una: che cosa dobbiamo fare per proteggere il popolo americano e il suolo americano? L'Afghanistan e il Pakistan sono elementi critici di questo processo, ma l'unico motivo per il quale invierei un giovane o una giovane in uniforme in una qualsiasi parte del mondo è perché lo reputo necessario e indispensabile ai fini della nostra sicurezza. Quello che non voglio che accada è ritrovarci a dover continuamente inviare altri soldati, investire altri soldi e altri risorse senza aver prima controllato e verificato come funziona il tutto. Non mi pongo scadenze per la presenza americana in Afghanistan ma non sono uno che crede nell'occupazione a tempo indeterminato di altri paesi".

Signor presidente, lei ha annunciato un cambiamento importantissimo nella strategia americana: ha dichiarato che non procederemo con la realizzazione dello scudo missilistico difensivo da posizionare vicino ai confini russi. Non avrebbe dovuto cercare di ottenere qualcosa di specifico in cambio di questa sua decisione?
"Tenga presente che quando George Bush annunciò il suo proposito di realizzare uno scudo antimissile nella Repubblica Ceca e in Polonia, io all'epoca dissi che un sistema missilistico difensivo ci occorreva, è vero, ma prima di tutto era necessario essere certi che fosse efficiente, che il rapporto costi-benefici fosse conveniente, che le tecnologie adottate fossero attuabili, che quella, insomma, fosse la migliore strategia possibile. Ebbene, niente di ciò è stato dimostrato. Quindi appena mi sono insediato alla carica di presidente ho chiesto alla stessa persona da me appena assunta - Bob Gates, mio segretario alla Difesa nonché Capo di Stato Maggiore - di dirmi se alla luce di quello che sapeva al momento, delle tecnologie di cui eravamo in possesso e di quello che sapevamo della minaccia iraniana che è sempre stata la nostra prima preoccupazione - non la Russia, quindi - se il sistema così come era stato progettato era il migliore possibile. Le persone alle quali l'ho chiesto mi hanno risposto: alla luce di quello che sappiamo adesso c'è un sistema migliore. Pertanto non eliminiamo una difesa missilista adesso, ma predisponiamo un sistema più accurato, più efficiente dal punto di vista dei costi, e che risponda adeguatamente alle minacce reali che avvertiamo provenire dall'Iran. Il mio compito non consisteva affatto nel negoziare con i russi. Non sono i russi a dover decidere quale deve essere il nostro atteggiamento nei confronti della nostra difesa. Noi abbiamo deciso per il meglio su come proteggere il popolo americano, i nostri soldati in Europa e i nostri alleati".
copyright Cbs
Traduzione di Anna Bissanti

(21 settembre 2009)


E' stato fermato un addetto alle pulizie, ma restano molti dubbi
Si scava negli affari della manager libanese nel mondo arabo

Misterioso delitto a Central Park
miliardaria uccisa nell'hotel dei vip



NEW YORK - Se sei una miliardaria e ti trovano nuda, in cucina, un coltellaccio infilato nella gola e intorno al collo una corda per saltare, al decimo piano di uno dei condomini più famosi di New York, l'Essex House - nessun segno di effrazione, l'appartamento praticamente in ordine - sarà difficile pensare a una rapina finita male. Se poi fermano il capo delle pulizie, che è un ragazzone nero del Bronx, così imbranato da usare la scheda magnetica del complesso e farsi riprendere dalle tv a circuito chiuso, beh, il misterioso delitto a Manhattan potrebbe anche chiudersi qui. E invece questa storia che sembra uscita da una New York d'altri tempi è ancora un giallo in piena regola: per la gioia del New York Post che ieri poteva titolare Million Dollar Murder a lettere cubitali come si usava una volta.

Se, il ragazzo, Derrick Praileau, 29 anni, sposato, due figli, s'è già impappinato con la polizia, avrebbe ammesso di essere nel "condo", come si chiamano gli appartamenti dei grandi edifici qui a New York, ma avrebbe negato il delitto. Un uccellino ha spifferato che il ragazzo sarebbe stato ripreso dalle telecamere in evidente stato di ubriachezza, e che avrebbe tentato di entrare in un altro appartamento prima di infilarsi con la chiave delle pulizie in quello della miliardaria, alle sei del mattino.

Ma è il nome della donna ad attirare l'attenzione degli investigatori: Andree Bejjani, che si faceva chiamare anche Sara, 44 anni, era una manager libanese presente in numerosi consigli d'amministrazione, da quello della Royal Investments di Dubai, una società di compravendite immobiliari che opererebbe solo in Medio Oriente, alla prestigiosa Carlton Advisory Service, specializzata in consulenza e intermediazione finanziaria.

Sara aveva preso in agosto quell'appartamento al decimo piano dell'Essex House, il verde sterminato di Central Park che si affaccia dal finestrone e sotto le carrozze a cavallo che accompagnano nel parco le coppiette giapponesi. La miliardaria libanese era spesso in città per affari: l'ultima volta che è stata vista viva erano le 8.45 di venerdì sera. Il ragazzone invece lavorava da dieci anni per l'Essex: un suo vicino di casa, Sean Johnson, assicura, ci mancherebbe, che era un buon padre di famiglia.

La donna è stata trovata in una pozza di sangue da una cameriera, alle 2 e mezzo del pomeriggio di sabato. La presenza della corda potrebbe lasciare pensare a un gioco erotico: non si sa ancora se la miliardaria sia stata violentata. Per la polizia parla Paul J. Browne ma serve a poco: "Non abbiamo ancora una tesi precisa".

Anche la proprietà dell'Essex, come tante qui a New York, riporta al Medio Oriente: dal 2005 lo storico albergo costruito nel 1931 nel grattacielo Art Deco è passato sotto le insegne di Jumeirah, una multinazionale con sede proprio a Dubai, che nella ristrutturazione dell'albergo ha investito 90 milioni di dollari. La struttura è divisa in due: da una parte i lussuosissimi appartamenti da 7mila dollari in su, dall'altra l'hotel con suites da 1500 dollari a notte. E' qui che sbarcano tutti i vip, da Angelina Jolie a Taylor Swift, la diva country pop riparata qui l'altra sera dopo l'assalto subito da Kanye West agli Mtv Awards. Una sicurezza, la privacy all'Essex. "Stanno facendo un lavoro eccezionale per non farci pesare nulla", dice un cliente all'ingresso.

La vita continua. Il bar è aperto, il ristorante è aperto. Ma stasera non c'è il dj che al South Gate dell'Hotel va avanti fino al mattino tra superdrink e disco "unz unz". Quello è solo al venerdì: come la notte del delitto.

(21 settembre 2009)


Casse comunali in rosso, 100mila posti di lavoro cancellati.
La città che si appresta ad accogliere i leader mondiali è stremata dalla crisi
Crisi, il crac di New York
Declina la Grande Mela

Il sindaco Bloomberg pronto ad essere rieletto per la terza volta



NEW YORK - E' la settimana in cui New York diventa a tutti gli effetti la capitale del mondo. Il vertice Onu raduna qui i potenti della terra. Vedremo i cieli solcati da elicotteri 24 ore su 24, colonne di limousine nere scortate dai servizi segreti, il tutto esaurito negli alberghi e ristoranti di lusso. L'hotel Pierre in questi giorni può permettersi di dire no ai petro-dollari del colonnello Gheddafi, pur di non scontentare la propria clientela esclusiva. Ma l'immagine che i Vip avranno di New York da domani, è del tutto fasulla. La città è stremata da due anni di crisi: quarantamila licenziamenti nelle banche, centomila in tutto il settore privato. Le vendite di case nei quartieri popolari sono giù perfino del 50%. Settantamila appartamenti aspettano l'ufficiale giudiziario per il pignoramento: i loro proprietari hanno smesso da mesi di rimborsare le rate dei mutui. E' questa la vera New York.

È la città angosciata che il 3 novembre si appresta a rieleggere per la terza volta il sindaco miliardario, Michael Bloomberg, sperando che dal suo fiuto per gli affari venga un miracolo. Il tutto esaurito negli hotel a cinque stelle durante l'assemblea Onu è una breve
parentesi, in un anno drammatico anche per il turismo, che dopo la finanza è la seconda fonte di reddito a Manhattan. Non basta l'euro a 1,47 dollari
per raddrizzare la situazione. Meno 35% è la caduta di fatturato che ha sconvolto negli ultimi dodici
mesi gli hotel della Grande Mela. Costringendo gli albergatori a sconti un tempo inauditi, per atti
rare i turisti.

Il disastro ha travolto luoghi che appartengono alla leg
genda di questa città. Chiude per bancarotta la Tavern on the Green, celebre ristorante immerso nel Central Park, che all'apice del successo arrivava a servire
650.000 clienti all'anno. In bancarotta il Café des Artistes vicino al Lincoln Center, famoso per gli affreschi murali del 1917, frequentato da grandi musicisti come Lorin Maazel. Fallita la Rainbow Room,
magnifico bar-ristorante con una delle viste più belle in cima al Rockefeller Center. Frequentata negli anni d'oro da Frank Sinatra e Bob Dylan, rilevata dalla famiglia Cipriani, la Rainbow Room con la sua scomparsa dà un segnale sinistro: era nata nel 1934, cioè nel bel mezzo della Grande Depressione, c'è voluta la recessione del 2008 per darle il colpo di grazia.

In ogni angolo della città affiorano i segni dello stress economico e sociale. Le finanze municipali dipendono in modo prevalente dalle tasse sugli immobili. Oltre al
crollo del mercato per le abitazioni, un'altra zona fatta a pezzi dalla crisi è l'edilizia commerciale: il 12% degli uffici sono desolatamente vuoti. A corto di entrate,
l'amministrazione comunale deve ricorrere a soluzioni estreme. Una di queste è visibile ogni mercoledì mattina alle 9, al numero 570 della Kent Avenue. E' l'asta settimanale in cui la città vende camion dei pompieri e ambulanze usate, per raccogliere un po' di
fondi. "Cash only", solo in contanti, avvisa il banditore d'asta. Per 300 dollari ci si porta a casa un fur
gone del pronto soccorso."Una nuova specie di club
esclusivi sta fiorendo in città - rivela il New York Times - ma è il tipo di club di cui nessuno vorrebbe
mai diventare membro. Si chiamano job-club. Il vero nome dovrebbe essere jobless-club, i circoli dei senza lavoro". Il più grosso ha un nome altisonante: New York City Job Seekers and Career Strategy. Ha 800 membri, per ritrovarsi una volta alla settimana devono
occupare un grande bar, il 65 Café nel cuore di Midtown Manhattan. Presidente di turno è un pilota
d'aereo 45enne, Hal Gassman: uno dei 1.400 licenziati nell'ultimo giro di "alleggerimenti" della United Airlines. Insieme a lui si ritrovano Valerie Lucas, 47 anni, che lavorava nella grande distribuzione. Pamela Pia, 53 anni, ex redattrice del Reader's Digest (fallito).
Norman Eagle, sessantenne venditore di software.

Come si vede, la realtà della crisi va ben oltre i confini di Wall Street e del sistema bancario. Certo, l'epicentro è proprio lì vicino a Ground Zero. Il trauma fatale per questa città è stato l'effetto-domino che ha travolto a turno Bear Stearns, Lehman Brothers, Aig, Merrill Lynch, Wachovia, Washington Mutual. Questi colossi finanziari avevano il loro quartiere generale oppure importanti uffici operativi qui a Manhattan. Che siano falliti come Lehman, o smembrati e venduti a prezzi di saldo ad altre istituzioni, questi big hanno lasciato per strada 40.000 dipendenti.

Il fatto che da marzo la Borsa abbia recuperato un po' delle sue perdite, e che i banchieri tornino a intascare ricchi bonus, non deve ingannare: l'emorragia di occupati nel settore creditizio è stata immane, ci vorranno anni per riassorbire il trauma, e forse Wall Street non tornerà mai ai livelli di impiego pre-crisi.
In questo senso la botta del 2007-2008 è stata perfino più dura dell'11 settembre, nel bilancio economico e occupazionale. E poi c'è tutto l'indotto. Per ogni bancario che ha perso il posto, "soffrono" il suo barista, il parrucchiere, la donna delle pulizie, il giornalaio, l'asilo-nido dei figli. E' così che sono spariti gli altri 60.000 posti nell'economia di New York. Tanti anche per una metropoli di 8,2 milioni di abitanti. Che con la sua area metropolitana ha un Pil di 1.000 miliardi di dollari. Se fosse una città-Stato, indipendente come Singapore, questa sarebbe la
12esima economia mondiale. Perciò la grande crisi che attraversa New York è un problema nazionale. Non può permettersi di godere delle disavventure della sto
rica rivale neppure Washington, la capitale della politica. E infatti l'Amministrazione Obama segue
con i nervi a fior di pelle le convulsioni della politica locale. Il governo federale ha aiutato il municipio
di New York a tamponare una falla di 11 miliardi di dollari ad aprile: un finanziamento-ponte, un soccorso d'emergenza per poter continuare a pagare gli stipendi agli insegnanti e ai poliziotti. Non basterà neppure ad arrivare a fine anno. Obama è esasperato dal governatore, il democratico David Paterson: palesemente inadeguato per far fronte a una sfida così ardua. Il presidente è arrivato al punto da scendere in campo personalmente per dissuadere Paterson dal ripresentarsi alle elezioni.

Un gesto inusuale, tanto più che Paterson è uno dei due soli governatori neri di tutti gli Stati Usa. Al
la fine per la loro salvezza i newyorchesi tornano a puntare sul sindaco, come hanno fatto al
tre volte nella loro storia. E così Michael Bloomberg, l'ottavo uomo più ricco d'America con un patrimonio personale di 16 miliardi, si appresta a vincere con ogni probabilità le elezioni del 3 novembre. E' un paradosso: la città ultra-democratica continua a eleggere un sindaco indipendente-repubblicano. Lo fa turandosi il naso, dopo lo strappo istituzionale di Bloomberg che ha stravolto le regole per potersi candidare a un terzo mandato. Ma è proprio il suo talento negli affari - il gruppo Bloomberg fornisce al mondo intero servizi d'informazione finanziaria - a fare la differenza. Per i newyorchesi Bloomberg è la reincarnazione dell'uomo della provvidenza, una figura ricorrente nelle vicissitudini di questa città. Lo ricorda chi ha vissuto la sua ultima grande crisi, quella degli anni Settanta. "Allora - racconta Kathryn Wylde che dirige l'ong Partnership for New York - fuggirono da
Manhattan la metà delle grandi corporation che figuravano nella classifica Fortune 500. Solo ad Harlem sparì il 40% della popolazione. C'erano 15.000 appartamenti abbandonati, in preda a incendi ricorrenti". Era l'epoca in cui comprare un seggio operativo alla Borsa (New York Stock Exchange)costava meno di una licenza di taxi.

In quel caso l'uomo del destino fu un banchiere di Lazard Frères, Felix Rohatyn, che risanò le finanze municipali. Poi seguito da un altro risanamento spettacolare, l'operazione-sicurezza che fece scendere ai minimi storici la criminalità, grazie alla "tolleranza zero" di Rudolph Giuliani. Cioè il sindaco che passò la staffetta a Bloomberg proprio mentre New York subìva la sua tragedia più grave, l'attacco alle Torri gemelle. "Oggi - dice lo storico della città John Steel Gordon - tutti sono convinti che New York avrà bisogno di molti anni per riprendersi, ammesso che sia possibile risollevarsi da questa caduta. Solo il tempo dirà se New York può rinascere dopo questo disastro economico. Ma guardando alla sua storia io dico: non scommettete mai contro questa città".

(21 settembre 2009)


Morti Kabul, la folla a Berlusconi
"Ritirateli, quanti morti ancora?"


ROMA - Hanno aspettato e applaudito compostamente le bare che uscivano dalla basilica di San Paolo poi, quando è uscito il premier Silvio Berlusconi dalla folla che ha atteso il termine della funzione fuori dalla basilica qualcun ha urlato: "adesso ritirateli!". Alla frase sono seguiti numerosi applausi. Un'altra voce si è levata per dire: "quanti morti ancora?". Al passaggio delle bare in molti hanno chiesto di applaudire più forte "per far sentire la propria vicinanza e solidarietà ai familiari dei sei caduti".

Umberto Bossi, entrando alla cerimonia, aveva detto molto commosso: "Li abbiamo mandati noi in Afghanistan e sono tornati morti"

(21 settembre 2009)


La testimonianza della sorella medico di Giovanna R.: "Non aveva altre patologie"
L'epidemiologo: "Serve un approfondimento di indagine"
Nuova influenza, la donna di Messina
morta esclusivamente a causa del virus

La procura aprirà un'inchiesta. Disposta anche l'autopsia

ROMA - Giovanna R. potrebbe essere la prima persona morta in Italia esclusivamente a causa della nuova influenza, dal momento che non soffriva di altre patologie. "Dai primi dati non possiamo escludere che la donna deceduta ieri a Messina sia morta a causa del virus dell'influenza A", ma per avere una risposta definitiva "serve un approfondimento di indagine", ha dichiarato infatti oggi l'epidemiologo dell'Istituto superiore di Sanità Giovanni Rezza.

Secondo Rezza, infatti, "ci sono casi, per fortuna pochi, in cui il virus si trasforma in una polmonite virale acuta" molto insidiosa. "Il caso di Messina - conclude - potrebbe essere uno di questi ma è ancora presto per trarre conclusioni definitive".

"Mia sorella - ha detto la sorella di Giovanna R., che è un medico - non era fumatrice, non aveva broncopolmoniti pregresse, non aveva nessuna patologia sistemica che potesse giustificare una sua non risposta ai farmaci e a tutto quello che i medici con grande professionalità hanno fatto".

"Precedentemente a mia sorella - ha aggiunto la donna- avevano avuto banali sintomi influenzali, trattati con paracetamolo e tachipirina, i suoi figli e i miei figli, che stavano con me in vacanza. L'ultima a contrarre l'influenza è stata Giovanna, e purtroppo è stata la più sfortunata".

La Procura aprirà un fascicolo sulla morte di Giovanna R. Sarà disposta anche l'autopsia.




(20 settembre 2009)


corpi della madre, 66 anni, e del giovane, 26, trovati in una strada di campagna a Pietrasanta
All'origine forse motivi di salute: lei era depressa, lui affetto da una forma di epilessia
Omicidio-suicidio in Versilia
donna spara al figlio e si uccide




PIETRASANTA (Lucca) - Omicidio-suicidio in Versilia. Una donna di 66 anni ha ucciso il figlio di 26 sparandogli con una pistola, poi, con la stessa arma, si è tolta la vita. I cadaveri sono stati trovati da un passante in una strada di campagna a Pietrasanta, in provincia di Lucca.

I carabinieri stanno cercando di ricostruire cosa abbia spinto la madre, Albina Lombardi, a uccidere il figlio, Emanuele Cinacchi. L'ipotesi più plausibile è che dietro la tragedia ci siano le condizioni di salute della donna, che soffriva di depressione, e del giovane, affetto da una forma di epilessia. La signora Lombardi era ex impiegata ora in pensione, come il marito. Il figlio era disoccupato. La salute di madre e figlio, si limitano a dire i carabinieri, potrebbe essere una "concausa" di quanto avvenuto.

Il corpo del giovane è stato trovato nell'auto, una Fiat Panda, con cui i due avevano raggiunto la strada di campagna; il cadavere della madre era fuori dalla vettura, a pochi metri di distanza. In base alla prima ricostruzione dei carabinieri, che trova conferma dai primi rilievi del medico legale, la donna ha ucciso il figlio con due colpi di pistola, uno alla testa e l'altro al cuore, poi ha rivolto l'arma contro se stessa, sparandosi al petto.

La loro scomparsa da casa era stata denunciata ai carabinieri dal marito della donna, Giovanni Cinacchi, 63 anni, poche ore prima del ritrovamento dei cadaveri. La famiglia, originaria di Marina di Massa (Massa Carrara), da poco più di un anno viveva a Pietrasanta. Al loro arrivo, i carabinieri hanno subito intuito che poteva trattarsi di un omicidio-suicidio: la pistola era a pochi metri dai cadaveri. Per tutto il pomeriggio, i militari hanno ascoltato il signor Cinacchi, per cercare di risalire ai motivi dell'omicidio-suicidio.

Da quanto emerso, la moglie da tempo aveva problemi legati alla depressione; già una volta avrebbe tentato il suicidio. Ancora da chiarire anche dove la donna abbia preso la pistola; i militari stanno cercando di appurare se l'arma fosse stata denunciata da qualche componente della famiglia.

Quello di oggi è il secondo omicidio-suicidio in pochi mesi a Pietrasanta. A luglio, il fondatore della Gig giocattoli, Gianfranco Aldo Horvat, 67 anni, sparò due colpi di pistola alla moglie, Anna Grazia Satta, 64 anni, e poi si uccise. La coppia viveva a Firenze ma passava i fine settimana in un appartamento nel centro della località versiliese.

(20 settembre 2009)


Il corpo trovato vicino all'incrocio dove di solito cercava di guadagnare qualche soldo
Era conosciuto nella zona. Ferito alla nuca, gli inquirenti seguono la pista dell'omicidio
Lavavetri senegalese ucciso a Roma
Viveva in una tenda nel parco della Caffarella




ROMA - E' caccia agli assassini di un lavavetri senegalese trovato morto stamani a Roma nel parco della Caffarella, all'incrocio tra via Appia Pignatelli e via dell'Almone, dove l'uomo di solito cercava di raggranellare qualche soldo. Il medico legale, che sta procedendo con l'autopsia, ha determinato l'ora della morte tra mezzanotte e le tre della notte scorsa e rilevato tumefazioni al volto e una ferita alla nuca provocata da un corpo contundente di cui però non è stata trovata traccia.

Delle indagini si stanno occupando i carabinieri del nucleo investigativo di via Inselci che stanno già raccogliendo le testimonianze dei frequentatori abituali del parco. L'uomo non ha ancora un'identità perché non aveva documenti. La vittima viveva in una tenda all'interno del parco da molto tempo. Nessuna segnalazione era mai giunta alle forze dell'ordine dai molti che lo conoscevano perché stazionava sempre allo stesso incrocio.

"E' un fatto orribile" commentano Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, del Gruppo Everyone. "Ma ancora più inquietante - dicono gli attivisti per i diritti umani - è la censura attuata dai media italiani di fronte all'episodio, che è stato divulgato senza alcun rilievo, come se si trattasse di un evento senza importanza. Se al posto di un nero senegalese vi fossero stati una donna o un ragazzo italiani, i giornali ospiterebbero la notizia nelle prime pagine e da ogni parte si solleverebbe un allarme violenza nella Capitale".

Il parco della Caffarella è stato teatro di un clamoroso episodio di violenza e di una altrettanto clamorosa caccia ai responsabili. Nel febbraio scorso, nel giorno di san Valentino, venne stuprata una ragazzina di 14 anni e venne aggredito il suo fidanzato. Furono accusati due romeni, poi risultati estranei e scarcerati dopo l'arresto dei due veri aggressori, anche loro romeni.
(20 settembre 2009)


Colpito da infarto a Senigallia, aveva 56 anni. I suoi esperimenti
sull'"isolamento temprale" hanno dato risultati interessanti per la scienza
E' morto Montalbini, "esploratore del tempo"
Visse un anno isolato in una grotta
Nel 1987 trascorse 5 mesi sotto terra con altre 14 persone, nel 1992 il tentativo
che lo rese famoso: 365 giorni nelle viscere del monte Nerone senza contatti con l'esterno



ROMA - E' morto d'infarto, a 56 anni, in un bar di Senigallia, in provincia di Ancona. Maurizio Montalbini, speleologo ed "esploratore del tempo", come lo chiamavano i suoi collaboratori, era conosciuto in Italia e nel mondo per i suoi esperimenti di "cronobiologia in isolamento temporale". Nel 1987 aveva trascorso, insieme ad altri 14 volontari, oltre cinque mesi in una grotta di Frasassi, in provincia di Fabriano. Un esperimento propedeutico a quelli che avrebbero dovuto seguire negli anni successivi gli astronauti della NASA che dovevano essere impegnati in lunghe spedizioni planetarie.

Nel 1992, Montalbini scese in una grotta di Monte Nerone e, all'interno di una vera e propria "Arca", in isolamento totale con il mondo esterno (l'unica comunicazione avveniva attraverso una tastiera di un computer) trascorse oltre un anno in solitudine. L'esperimento produsse risultati scientifici e sociali di notevole entità. La prima "scoperta" fu che il corpo umano rispondeva a dei parametri "circadiani" per quanto riguarda il ritmo biologico. Le sue giornate si erano allungate fino a 36 ore e i numerosi esperimenti farmacologici effettuati durante questa esperienza dimostrarono che esisteva un meccanismo di assimilazione delle medicine necessarie diverso per ogni singolo essere umano. In pratica, le medicine fanno più effetto se somministrate in orari e in tempi commisurati al proprio ritmo biologico, non influenzato da fattori esterni come l'alternarsi reale del giorno e della notte, le consuetudini sociali, l'interazione con gli altri esseri umani.

Successivamente, anche la moglie di Maurizio Montalbini, Antonella, si sottopose ad un analogo esperimento, durato circa 7 mesi, che dimostrò le ulteriori differenze determinate dall'isolamento totale con il mondo esterno tra persone di sesso diverso.

Pochi anni fa, Montalbini stava per dare il via ad un maxi-esperimento sull'isolamento crono-temporale che l'avrebbe portato a trascorrere almeno tre anni in una condizione di totale assenza di relazioni sociali con gli esseri umani e in totale assenza di riferimenti biologici e temporali. L'esperimento non ebbe seguito per mancanza di fondi necessari a mantenere un'equipe per tutto questo tempo.

I suoi studi sono stati recepiti dall'Ente Spaziale Americano e sono oggi oggetto di studio anche per i progetti futuri di esplorazione di pianeti come Marte e per il ritorno sulla Luna degli esseri umani. Ma un forte contributo alla scienza, Maurizio Montalbini l'ha dato proprio nel campo della farmacologia applicata ai ritmi circadiani della biologia umana. Proprio grazie ai suoi "percorsi di isolamento temporale", è stato possibile individuare con maggior precisione quell'orologio biologico personale che ha permesso di adeguare la somministrazione di cure a persone con malattie estremamente gravi, ai momenti più favorevoli per l'assimilazione. Sulla base delle esperienze di Montalbini, ad esempio, fu comprovato che ad un gruppo di malati di cancro non recettivi all'intervento farmacologico "tradizionale", la somministrazione delle cure secondo i loro ritmi biologici aveva portato ad una sostanziale regressione del male.

(20 settembre 2009)


Il 25 giugno qualcuno sparò durante una partita tra amici
Gabriele Marrazzo, 35 anni, fu ucciso e altre otto persone ferite
Spari sul campo di calcetto a Crotone
è morto il bambino che rimase ferito




CATANZARO - E' rimasto in coma quasi tre mesi,
lottando tra la vita e la morte. Oggi il suo cuore si è fermato. E' morto Domenico, il ragazzo di undici anni ferito alla testa nell'agguato in un campo di calcetto di Crotone nel quale, il 25 giugno scorso, fu ucciso Gabriele Marrazzo, di 35 anni. Secondo gli investigatori, l'obiettivo dell'agguato era proprio Marrazzo, ma i killer spararono all'impazzata moltissimi colpi che oltre a uccidere il trentacinquenne ferirono altre otto persone, tra le quali Domenico.

Il ragazzo stava giocando a calcetto con il padre e alcuni amici quando numerose fucilate furono sparate attraverso la rete di recinzione del campo. I pallettoni raggiunsero nove persone. Marrazzo morì subito dopo l'agguato, raggiunto alla testa e allo zigomo. Domenico fu centrato da cinque proiettili alla testa. Solo per un caso gli altri rimasero feriti solo di striscio o colpiti in parti non vitali.

Il ragazzino, apparso subito il più grave, fu trasferito dall'ospedale di Crotone al Pugliese di Catanzaro, dove fu sottoposto a un delicato intervento chirurgico. In questi mesi è stato sempre in coma e le speranze di salvezza sin dall'inizio era apparse ridotte al lumicino, tanto che alcuni familiari, già dopo il ricovero a Crotone, si erano lasciati andare a un "non c'è niente da fare".

Grande commozione nell'ospedale di Catanzaro quando si è diffusa la notizia della morte del ragazzo. In serata sono arrivati i parenti, che si sono stretti nel loro dolore.

Sull'agguato gli investigatori proseguono senza sosta le indagini. Il 14 luglio scorso il perito balistico Paolo Romanini, nominato consulente dalla Dda di Catanzaro, lo stesso che ha lavorato per il caso dell'omicidio di Marta Russo, ha compiuto un sopralluogo sul campo di calcetto. Il perito ha preso in esame in particolare la traiettoria dei proiettili. L'ipotesi, che l'esame dovrà confermare o meno, è quella che il sicario abbia voluto colpire più persone, circostanza che potrebbe far scattare l'accusa di strage.

Fin dall'inizio, le indagini si sono concentrate sul passato di Marrazzo. In Italia era incensurato, anche se nel 1996, prima di emigrare in Germania, era stato arrestato a Crotone perché trovato in possesso di un caricatore per pistola e di alcuni proiettili. Era stato arrestato anche durante il suo soggiorno tedesco e aveva scontato una condanna per il furto di un'auto. La polizia ha cercato soprattutto di stabilire se avesse avuto contatti con esponenti della criminalità o contrasti con qualcuno che avesse deciso di vendicarsi.

(20 settembre 2009)


Allagamenti in Campania. Nella zona di Sarno evacuate alcune famiglie
Allarme della Protezione Civile in Sardegna. Preoccupazioni per la Gallura
Maltempo, nubifragio a Napoli
In Sardegna rischio idrogeologico





ROMA - Il maltempo continua a non dar tregua al Sud Italia. Disagi a Napoli e Salerno dove i temporali di questa notte hanno provocato allagamenti e difficoltà nei collegamenti. Intanto in Sardegna la Protezione Civile lancia l'allarme idrogeologico per l'area della Gallura.

Guarda le previsioni per oggi

Campania - Difficoltà sia a Napoli che a Salerno. Il nubifragio che ha investito questa notte Napoli e la sua provincia ha provocato diversi interventi dei vigili del fuoco per infiltrazioni d'acqua e scantinati allagati. In particolare, nella zona flegrea, nel territorio del comune di Bacoli sono stati sei gli interventi ad automobilisti rimasti bloccati dall'acqua che scorreva nelle strade, in via Fusaro, via Cuma e ad Arco Felice. A Salerno la pioggia torrenziale che è cominciata a cadere dalle 22 ha allagato i sottopassi della città capoluogo e venti automobilisti in panne sono stati tratti in salvo dai vigili del fuoco. Black out si sono registrati in molte zone di Salerno e in località Brignano dove si è formata una colata di acqua e fango.
Nell'agro nocerino sarnese, in località Cicalesi, per un probabile esondamento del Solofrana, sei famiglie sono state evacuate. Alberi caduti e cartelloni divelti hanno richiesto altri trenta interventi dei vigili del fuoco.

Sardegna - La Protezione Civile ha diffuso un allarme maltempo per oggi in Sardegna per oggi. Particolari preoccupazioni per Gallura e Logudoro, dove è stato lanciato l'allarme per rischio idrogeologico. Dalla protezione civile il consiglio ai cittadini di queste due zone di restare nelle proprie abitazioni, evitando di soggiornare nei piani interrati, e di limitare gli spostamenti in auto alle sole urgenze.

(21 settembre 2009)


Al momento della sparatoria i due si trovavano con un gruppo di amici
Secondo la Polizia i giovani non erano vicini ad ambienti criminali
Agguato a Reggio Calabria
Morto un giovane incensurato



REGGIO CALABRIA - Un giovane, Antonio Morano, di 20 anni, è stato ucciso e un altro, Salvatore Celini, di 19, è rimasto gravemente ferito in una sparatoria avvenuta nella tarda serata di ieri a Rosarno. I due erano incensurati. Sulla dinamica del fatto di sangue, sono in corso accertamenti da parte degli agenti del Commissariato di polizia di Gioia Tauro.

Morano, raggiunto da diversi colpi di pistola alla testa, è morto all'istante mentre Celini ha riportato una ferita alla regione mandibolare. Il giovane, nel corso della notte, è stato trasferito nel Policlinico universitario di Catanzaro. Morano era incensurato, così come Celini, e, secondo quanto ha riferito la polizia, non era considerato vicino ad ambienti criminali. Nel momento della sparatoria, i due stavano conversando con altri giovani in una via della periferia di Rosarno. Secondo quanto è emerso dalle prime indagini, per uccidere Morano e ferire Celini sarebbe stata usata una pistola automatica, ma sono in corso accertamenti sui bossoli trovati sul posto per verificare il tipo e la quanità delle armi usate.

(21 settembre 2009)


Balotelli, cori razzisti
partita da sospendere





CAGLIARI - L'ira di Josè Mourinho, alla terza espulsione in Italia. La vergogna degli ululati contro Eto'o e Balotelli. Quel Principe di Diego Milito, che continua a segnare e a mascherare i problemi dell'Inter. Neanche a Cagliari i campioni d'Italia passano in silenzio, o un punta di piedi. Lo fanno con gran fragore, com'è costume.

Giocano male, malissimo, vanno sotto, rischiano il naufragio, poi li salva Milito con due perline colorate. Ma Mourinho è nervoso, se la prende con l'arbitro (giustamente) per una mancata ammonizione ad Astori (sarebbe stata la seconda, quindi il difensore doveva essere espulso), ma sbaglia tempi e modi della protesta, che è plateale e non "da Inter". In fondo sei l'allenatore della squadra che vince lo scudetto da tre anni, sei l'elite dell'elite del campionato italiano, ed è piuttosto curioso, o non da grande squadra, infuriarsi in quel modo e protestare per un mancato cartellino giallo, quando in fondo stai vincendo 2-1 sul campo di una provinciale.

Eppure Mourinho è così, e ormai lo conoscono tutti. Eccessivo, dirompente, polemico, sempre a cercare fantasmi da combattere, e a trovarli con enorme facilità. Anche perché cercare nemici aiuta a non pensare ai propri problemi, o a nasconderli sotto il tappeto. A Cagliari il nemico individuato è stato l'arbitro Orsato, in verità molto distratto e per niente in controllo della situazione. Però il problema maggiore, per l'Inter del Sant'Elia, è stata l'Inter stessa.

Sotto ritmo e slabbrata, senza nerbo, protagonista di un primo tempo orrendo, si è salvata grazie a un paio di lampi nel giro di cinque minuti di Milito nella ripresa ma poi ha ancora rischiato il pareggio. Sarà per quello che Mourinho era nervoso, chissà. Di sicuro il tecnico non ha voluto rinunciare alla passerella uscendo dal campo, perché l'arbitro gli ha indicato la via degli spogliatoi (attraversando il terreno di gioco) ma lui ha preferito il giro largo, costeggiando di proposito la curva dei tifosi cagliaritani e quasi chiamando a sé gli insulti, oltre che le telecamere. Pienamente in linea col personaggio anche il dopo-partita, con nessuno dello staff tecnico che rilascia dichiarazioni in sala stampa (pare per polemica con la decisione dell'arbitro) e l'analisi della partita affidata a Marco Branca, che di calcio qualcosina ne sa perché è stato un grande attaccante ma ora è soprattutto il responsabile del mercato nerazzurro.

Ma a Cagliari si sono anche ascoltati, di nuovo, quegli schifosi ululati all'indirizzo di Eto'o e Balotelli. Ululati che sono il simbolo più evidente, almeno rimanendo negli stadi, di un degrado culturale che attanaglia l'Italia, degrado di idee, vuoto pneumatico. Alcuni liquidano ancora la questione con un'alzata di spalle, e parlano di ragazzate o di episodi cui "non bisognerebbe dare troppo peso" per non favorire l'emulazione. Tutto il contrario, invece, perché è solo condannando certi episodi, e con durezza, che si può contrastare l'inciviltà: tra l'altro ci sono anche precise direttive della Fifa e dell'Uefa in merito. Quando in una partita di calcio si ascoltano cori razzisti l'arbitro, dopo aver fatto richiamare il pubblico almeno una volta, dovrebbe sospendere la partita. A Cagliari gli annunci sono stati un paio, ma gli ululati sono andati avanti. Viva l'Italia, il paese degli impuniti.

21 settembre 2009

 
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