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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 16/9/2009, 16:19 by: Lucky (Due di Picche)




Il presidente uscente eletto con il 54,6% dei voti contro il 27,8% di Abdullah
Per la proclamazione dovrà attendere la fine dell'inchiesta sulle irregolarità elettorali
Afghanistan, Karzai è presidente
Brogli, polemica con gli osservatori

Gli inviati Ue: 1,5 milioni di schede non valide. Il leader afgano: "Irresponsabili"



KABUL - Hamid Karzai è stato riconfermato alla guida dell'Afghanistan. Lo ha annunciato la Commissione elettorale afgana, che ha attribuito al presidente uscente il 54,6% dei voti espressi nelle presidenziali del 20 agosto scorso. Il suo avversario Abdullah Abdullah ha invece ottenuto il 27,8 per cento, mentre l'affluenza alle urne è stata del 38,7 per cento.

I brogli - La proclamazione di Karzai come vincitore al primo turno tuttavia non avverrà prima della fine delle inchieste sui brogli elettorali denunciati da commissari inviati dall'Unione Europea, che oggi hanno denunciato la presenza di 1,5 milioni di voti fraudolenti. Karzai ha risposto condannando come "parziale, irresponsabile e in violazione della costituzione" la denuncia di brogli massicci alle elezioni presidenziali dello scorso agosto. "Riteniamo - si legge in un comunicato della presidenza afgana - che il solo modo che abbiamo di legittimare il risultato dell'attuale processo elettorale sia quello di consentire che le istituzioni legittime completino il processo e di evitare di interferire nelle questioni che competono loro".

Nato - La Nato intanto ha auspicato - tramite il suo portavoce James Appathurai- che i risultati in Afghanistan siano "i più credibili possibili", lanciando un appello a tutti gli attori politici afgani "a dimostrare responsabilità" in questa fase di mancanza di chiarezza.

(16 settembre 2009)


In un istituto del Colorado il preside chiede ai genitori di non permettere ai figli di indossare i "jelly"
Oggetti di moda tra i giovanissimi, vengono utilizzati per lanciarsi segnali sull'attività sessuale
Usa, vietati braccialetti di gomma
"E' un gioco erotico tra studenti"





Quando, tra gli adolescenti, nasce una moda, questa si diffonde velocemente come un'innocua pandemia e non c'è modo di fermarla. Lo sanno bene i presidi delle scuole e i genitori di tutti i paesi occidentali. "No alle gonne troppo corte", "no all'ombelico di fuori", "No ai pantaloni a vita bassa". Tanti divieti, ma senza successo. In questi giorni, una scuola media del Colorado (Usa) sta tentando una crociata contro la diffusione di braccialetti colorati che indicherebbero l'attività sessuale degli alunni.

Il preside della Angevine Middle School a Lafayette, vicino a Boulder, Mike Medina, ha chiesto ai genitori di non permettere ai loro figli di indossare un tipo di braccialetto colorato ("jelly") all'interno delle mura scolastiche, preoccupato che il colore dei braccialetti indichi una specifica connotazione sessuale degli studenti.

Il preside ha inviato un messaggio e-mail ai genitori giovedì 10 settembre per metterli in guardia sul significato che hanno i colori dei braccialetti di gomma, che dovrebbero indicare il livello di attività sessuale dello studente, la sua esperienza nel campo o la propria disponibilità a spingersi in un rapporto sessuale più o meno impegnativo.

L'intervento è scattato quando alcuni membri del personale dell'istituto hanno "intercettato" conversazioni tra gli studenti sui braccialetti, rivelatorie del loro vero significato. Il preside ha così deciso di incontrare alcuni studenti e ha concluso che i braccialetti stavano diventando una fonte di distrazione per gli studenti, tanto da giustificare il divieto.

"E' emerso che molti ragazzi e soprattutto ragazze, lo indossano come oggetto di moda," ha dichiarato Gamblin. "Per alcuni i braccialetti non hanno alcuna connotazione. Ma altri studenti avevano scoperto tramite il web un gioco erotico chiamato snap, in cui il colore del braccialetto denota la volontà di impegnarsi in una particolare attività sessuale. Quando un ragazzo rimuove il braccialetto dal braccio di una ragazza, significa che un certo tipo di rapporto (dal semplice bacio al rapporto sessuale completo) ha avuto luogo".

(15 settembre 2009)


Brunetta usa il sito del ministero
per replicare alle accuse dell'Espresso
Aprendo la home non appaiono i contenuti della Pubblica amministrazione, ma una polemica privata
quella del ministro contro il settimanale che contestava i reali risultati della 'lotta ai fannulloni'



Il ministro Renato Brunetta utilizza il sito ufficiale del ministero per replicare all'inchiesta dell'Espresso sugli effettivi risultati della sua riforma contro i fannulloni nel pubblico impiego. Gli utenti che si collegano con il sito Governo italiano, ministero per la pubblica amministrazione e l'innovazione, non arrivano a quello che cercano, ma si trovano davanti una pagina intitolata 'Il bluff dell'Espresso' e il pdf di un documento che contiene la replica del ministro, annunciata "punto per punto", all'inchiesta del settimanale. Solo in fondo alla pagina, scritto in caratteri ridotti, si trova il collegamento che porta ai contenuti effettivi del sito ministeriale.

Sul web ne è nata una protesta perché diversi utenti contestano al ministro l'uso del mezzo pubblico, pagato con le tasse dei contribuenti, per fini del tutto personali e privati. L'inchiesta dell'Espresso riportava una serie di statistiche secondo le quali i risultati della lotta all'assenteismo nel pubblico impiego non sono quelli sbandierati dal ministro e che anzi il fenomeno non è calato.

(16 settembre 2009


La lettera degli ex An che chiedono a Berlusconi un patto di consultazione
Fini: la risposta a chi pensava che io fossi isolato nel mio stesso partito
"Il governo farà i conti pure con i miei"
Gianfranco vara la corrente di Montecitorio







ROMA - C'erano una volta tre correnti in An: gli uomini di La Russa e Gasparri, quelli di Alemanno e i fedeli di Matteoli. Una vecchia mappatura interna da riscrivere dopo il colpo inferto ai colonnelli dalla lettera di Italo Bocchino a favore di Fini. È la nascita della "corrente di Montecitorio", a guida finiana, con cui il Cavaliere dovrà iniziare a fare i conti. Soprattutto se la Consulta boccerà il lodo Alfano e il premier, come ha anticipato Feltri, proverà a farlo riapprovare di gran carriera.

L'iniziativa della lettera, prima dell'happy ending unitario, ha mostrato impietosamente qual è la realtà dei rapporti di forza interni all'area ex An: solo una piccola minoranza aveva dato retta ai berluscones e non aveva firmato il documento. Il calcolo è semplice. Tra i 71 deputati nominati da via della Scrofa - escludendo lo stesso Fini, l'indipendente Nirenstein e i 9 impegnati al governo - Bocchino era riuscito a raccogliere a metà pomeriggio, dopo la sconfessione di La Russa, Matteoli, Gasparri e Alemanno, 50 firme. Ergo, ai "berluscones" restava il controllo di 20 deputati su 70, meno del 30 per cento del partito. E 12 erano le firme di deputati di Forza Italia, persone come Benedetto Della Vedova, che si erano aggiunti, salvo poi ritirare la firma su richiesta di Fini "per non dare l'impressione che si andava a pescare nell'orto di Berlusconi".

Tra i finiani si trovavano nomi di sicura osservanza come la direttrice del Secolo, Flavia Perina, Carmelo Briguglio, Fabio Granata, Giulia Bongiorno, legale di Fini. E poi Silvano Moffa, ex presidente della provincia di Roma, il siciliano Pippo Scalia e il bolognese Enzo Raisi, l'ex capo della segreteria di Fini, Donato Lamorte e Antonio Mazzocchi. Proprio il decano Lamorte si può permettere qualche stilla di veleno contro i berluscones: "Condivido quello che Fini ha detto a Gubbio e perciò ho firmato questa lettera. Se poi c'è qualche collega che all'interno ha qualche padrone, non vorrei stare nei suoi panni".

Contro la lettera pro Fini si erano schierati tra gli altri Barbara Saltamartini, Carmelo Porcu, Francesco Aracri, Mario Landolfi (l'unico alla fine ad aver mantenuto la sua posizione nonostante la marcia indietro dei colonnelli), Viviana Beccalossi, Roberto Menia, Paola Frassinetti e Massimo Corsaro. A sorpresa anche uno degli uomini più vicini al presidente della Camera come Marco Martinelli aveva manifestato la sua freddezza rispetto alla lettera di Bocchino, per evitare "una gara a chi è più amico politico di Fini".

La sostanza tuttavia è che Fini - che ieri ha lasciato fare a Bocchino, per non dare l'impressione di entrare direttamente nella mischia - ha mostrato di avere ancora presa sui suoi ex compagni di partito. "Qualcuno - si è confidato il presidente della Camera con chi è andato a congratularsi a fine giornata - aveva fatto credere che fossi isolato nel mio stesso partito. E questo è il risultato".

Insomma, se Berlusconi ha provato a fare "shopping" nelle file dei finiani, il tentativo è stato respinto dalla conta interna sulla lettera. Così Italo Bocchino, su un divano di Montecitorio, spiega in serata lo stop and go dei La Russa e degli Alemanno: "All'inizio hanno scelto una linea attendista perché pensavano che la mia lettera, anziché favorire la distensione tra Fini e Berlusconi, potesse danneggiare il dialogo. Poi hanno dato via libera ai loro amici più stretti quando hanno ritenuto che la peggiore unanimità sulla lettera fosse comunque migliore di una divisione interna tra maggioranza e minoranza". Dove a essere in "minoranza", è il sottinteso, sarebbero stati proprio i quattro ex capicorrente.

Resta comunque ancora il macigno nei rapporti tra Fini e Berlusconi, nonostante anche ieri Gianni Letta abbia chiamato il presidente della Camera e Niccolò Ghedini lo sia andato a trovare al primo piano di Montecitorio. Tanto che ieri sera, durante Porta a Porta, il Cavaliere ha rimarcato la differente concezione di partito che lo allontana dal leader di An. Dagli uomini di Berlusconi sale inoltre un'irritazione sempre più forte nei confronti di Fini, a cui hanno dato voce ieri Sandro Bondi e Denis Verdini. Spia della rabbia che anche ieri Berlusconi ha manifestato in privato nei confronti del leader di An: "Proprio nel giorno della consegna delle prime case ai terremotati, quando cogliamo i successi della nostra azione di governo, siamo ancora a questo vecchio teatrino".

(16 settembre 2009)


Depositate le memorie dai legali della procura di Milano e del premier
Il 6 ottobre l'udienza: dalle prime indiscrezioni prevarrebbe il no alla legge
"Lodo Alfano privilegio illegittimo"
alla Consulta parte la guerra legale





ROMA - "Privilegio illegittimo" per una legge "criptopersonale". Il lodo Alfano "incostituzionale" come il suo recente antenato, il lodo Schifani. La Consulta lo bocciò, era il 20 gennaio 2004, e adesso non può che mettere l'identico timbro sul suo figlioccio che lo riproduce in fotocopia. La procura di Milano e il suo avvocato, il presidente dei costituzionali italiani Alessandro Pace, versus il duo Niccolò Ghedini-Pietro Longo che sostengono le ragioni del Cavaliere. Guerra legale a colpi di memorie fresche di deposito nel palazzo che fronteggia il Quirinale e dove solo dalla prossima settimana si riprenderà a lavorare in un clima sospettoso e blindato.

Meno 21 giorni all'appuntamento giudiziario più importante dell'anno, l'udienza pubblica del 6 ottobre alla Consulta sul lodo Alfano, lo scudo che consente di sospendere i processi per le quattro più alte cariche dello Stato, ma che finora ha congelato "solo" tre processi di Berlusconi, Mills e diritti tv a Milano, compravendita dei senatori a Roma. Legge bocciata ad horas da oltre cento costituzionalisti che la etichettarono come incostituzionale e che altri 36 difesero. Giuristi progressisti contro conservatori.

Meno 21 giorni e lo scontro si svolgerà nell'aula delle udienze, tutta oro e stucchi, della Consulta. Poi sarà camera di consiglio super segreta. Il presidente Francesco Amirante vorrebbe una pronuncia rapida per via di un viaggio che due giorni dopo lo porterà a Lisbona, ma tutto dipenderà dalla discussione e dagli schieramenti. Le prime indiscrezioni danno un primo possibile esito: su 15, otto per la bocciatura, cinque contrari, due incerti. Da questi dipenderà il destino della legge che, se cassata, metterà in seria crisi il governo.

"Incostituzionale". Non ha dubbi il professor Pace. Lo argomenta in due lunghe memorie (44 e 36 pagine) che fanno da contraltare a quelle più smilze di Ghedini-Longo (sette più sette). Se i due sostengono che il lodo "non è un'immunità", anzi garantisce "il diritto alla difesa" di Berlusconi e soprattutto ha tenuto in buon conto la bocciatura della Consulta della vecchia legge, Pace la pensa all'opposto. Cita a mo' d'esempio la famosa sentenza della Suprema Corte Usa del '97 in cui, quando Clinton si difendeva dalle accuse di sexual harassment di Paula Jones e chiedeva una sospensione del processo per i suoi impegni di presidente, si beccò un secco niet perché quei reati non attenevano alla sua funzione pubblica.

E poi il governo "si è mosso illegalmente come aveva fatto cinque anni prima", mettendo nel cestino la sentenza della Consulta che, bocciando la Schifani, aveva provocato la ripresa del processo Sme. Il vulnus più grave è proprio la mancata costituzionalità della legge che, per Pace, la Corte "implicitamente" aveva già sanzionato quando parlava della violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione, uguaglianza e diritto alla difesa che "in quanto norme parametro si pongono a un livello gerarchico superiore". Qui restano i punti critici, la parità di trattamento tra il premier e un cittadino comune violata, pur per reati comuni, l'automatismo di un lodo senza alcun filtro, l'irrazionalità di un premier che gode di un "privilegio" che i ministri non hanno (e neppure il presidente della Consulta e i governatori regionali), un processo che si allunga a dismisura contro la "ragionevole durata".

Il Guardasigilli Alfano, con una mano, vuole contenerlo in sei anni, ma con l'altra, per Berlusconi, viola la regola che lui stesso ha posto. Paradosso di una legge "criptopersonale".

(16 settembre 2009)


Nuovo sondaggio Ipr Marketing per Repubblica.it
Si affievolisce il gradimento del premier: ad ottobre 2008 era il 62%
Le liti interne minano il governo
In calo la fiducia in Berlusconi





ROMA - Cala ancora. Somma al meno 4 registrato a luglio, un altro meno due. Che lo porta al 47%. Ben lontano da quel 62% che aveva fatto segnare, mesi fa, il picco del suo gradimento. E' questa la fotografia che ci consegna il sondaggio fiducia realizzato da Ipr marketing per Repubblica.it. Una serie di quesiti che passano dal gradimento del premier a quello dell'esecutivo e dei suoi singoli componenti.

GUARDA LE TABELLE

Quello che balza agli occhi è che, dando per fisiologico un calo del gradimento dopo l'entusiasmo iniziale, il governo paga le troppe frizioni interne. E Berlusconi il non saperle gestire. In pratica quella poca coesione che costò carissima al governo Prodi e di cui, anche se in maniera meno marcata, anche l'esecutivo in carica sembra colpito. E' palese, infatti, che una delle caratteristiche dell'iniziale boom di fiducia del governo Berlusconi fu proprio quella sensazione di compattezza granitica data dall'esecutivo. Poi, con il passare dei mesi le cose sono cambiate.

A partire dalle tensioni con il Pdl del Sud, dalla crisi continua tra Fini e Berlusconi, dai contrasti tra Lega e una parte del Pdl (in particolare la componente di aennina), dalla grana delle candidature in alcune regioni del nord che il Carroccio rivendica. Tutte cose che hanno danneggiato l'immagine di un blocco granitico e che hanno fatto scivolare la fiducia nell'esecutivo dal 54% dell'ottobre 2008 al 44% di oggi. Un calo, ad onore del vero, che dall'inizio dell'anno si è fermato, oscillando tra il 46% e il 44%. Stazionaria la percentuale di chi dice non avere poco o nessuna fiducia nell'esecutivo (52%).

A questo si sommano le vicende personali del premier, a partire dalla vicenda delle escort. Non a caso la fiducia in Berlusconi scende di due punti percentuali: dal 49% di luglio al 47% odierno. 50% la percentuale di chi non ha fiducia nel Cavaliere (ad ottobre 2008 era il 36%).

Ministri. Sacconi, Brunetta, Alfano, Tremonti e Maroni. Sono questi gli uomini più graditi dell'esecutivo. Ministri che hanno dato vita a riforme, alcune contestate, e che presidiano saldamente le prime 5 posizioni. Davanti a tutti ci sono Maroni e Sacconi (61%), che staccando di una lunghezza Alfano, Tremonti e Brunetta. Sopra il 50% (ma sotto il 60) si piazzano Bossi, Carfagna e Scajola (55%). Perde posizioni, invece, Maria Stella Gelmini, protagonista di una contestatissima riforma della scuola. Per lei gradimenti in calo dal 42 al 40%.

Partiti. Su questo fronte pochi i cambiamenti. Rispetto a luglio il Pdl resta in testa con il 46%, seguito dall'Idv di Di Pietro che cresce (dal 41 al 43%) e dall'Udc di Casini (dal 34 al 36%). Calano il Pd (dal 33 al 32%) e la Lega (dal 32 al 31%).

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