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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 13/9/2009, 12:58 by: Lucky (Due di Picche)




gli stati generali del centro
Casini: «In Parlamento possibile
maggioranza contro la Lega»

Il leader Udc: «Basta diktat, il Carroccio la smetta
di agitare lo spauracchio delle elezioni anticipate»



CHIANCIANO TERME (Siena) - Chiarisce che lo scontro politico tra Fini e Bossi «non fa sognare i centristi, perché noi non vivremo mai sulle disgrazie altrui». Respinge al mittente l'invito di Dario Franceschini (Pd), rifiutando l'idea di una «santa alleanza» contro Silvio Berlusconi. Rilancia il progetto politico del Grande Centro: «Forse l'unico elemento in condizione di cambiare la politica italiana». E poi sferra l'affondo contro la Lega: «Instilla veleno ogni giorno: prima le ronde, poi le gabbie salariali e la questione degli immigrati. Basta ai loro diktat. Le elezioni anticipate? Facciamole!». Pier Ferdinando Casini conclude i lavori degli Stati Generali del Centro, a Chianciano Terme, e dopo la mossa di Francesco Rutelli (l'esponente del Pd non ha smentito la possibilità di un impegno comune) il leader Udc ci tiene a ringraziare Gianfranco Fini per il suo intervento che sabato ha strappato applausi convinti in platea. «Grazie al presidente della Camera - dice Casini - non per la sua lezione di Catechismo sul biotestamento, ma perché ha assicurato che difenderà i diritti dei parlamentari. Su questo non avevo dubbi, ma credo che il suo intervento sia stato significativo».

DECISIVI - Poi Casini rivendica il ruolo dell'Udc nell'attuale scenario politico: «Siamo decisivi e domani potremmo essere la forza di cambiamento del Paese. In questo momento potremmo avere tre stati d'animo: di compiacimento perché le Europee sono andate bene, le Amministrative meglio, e andiamo sereni verso le Regionali; di consapevolezza: noi eravamo sopravvissuti alle Politiche, oggi siamo decisivi e il corteggiamento a cui siamo sottoposti, basato su questioni non politiche, dimostra che tutti riconoscono che siamo decisivi e domani potremmo essere la forza di cambiamento del paese perché questa politica non piace agli italiani». Tuttavia secondo Casini c'è pure bisogno di «autocritica»: «Bisogna fare di più, il partito ha dato poco rispetto alle nostre possibilità. Noi non alimentiamo il gossip della politica, noi contestiamo la politica fatta di gossip».

BOSSI - Infine Casini lancia la sfida: «Se Bossi pensa di agitare lo spauracchio delle elezioni anticipate per ricattare la politica italiana a sottostare a lui, sappia che in questo Parlamento c'è una maggioranza ampia che a questi diktat non ci vuole stare». «Bossi - scandisce Casini - non spaventa nessuno. La Lega deve avere qualcuno che gli dice basta, è finito, e se non glielo dice Berlusconi una maggioranza in Parlamento si troverà. Se Bossi tira la corda sappia che in Parlamento ci si mette dieci minuti a trovare una maggioranza che faccia a meno dei diktat della Lega». «Non stiamo complottando con nessuno - aggiunge Casini - né stiamo evocando nessun uomo forte o nessun uomo nuovo, anche perché già ne abbiamo avuta esperienza e ci basta...». «Ieri Bossi ha detto: 'o si fa come dico io o si va alle elezioni anticipate' - sottolinea Casini - Io non so da dover arrivano queste voci di voto anticipato. Forse, per motivi diversi, Bossi e Berlusconi fanno circolare questa ipotesi. Ma noi siamo pronti. Noi siamo una forza dell'opposizione e vogliamo le elezioni».

FRANCESCHINI - Tra i primi a replicare a Casini c'è proprio Franceschini: «Stiamo assistendo al 32/mo tentativo di fare il grande centro - afferma il segretario del Pd - perché si mette la parola grande davanti ma poi ci si accorge che è piccolo, residuale». «Il bipolarismo è in Europa e in tutto il mondo - spiega Franceschini - noi non possiamo tornare indietro e non vorrei che un giorno scoprissimo che il bipolarismo è stato creato attorno a Berlusconi e contro di lui». Franceschini ribadisce, come già altre volte, che un conto è fare alleanze programmatiche, un conto è ripercorrere vecchi modelli, come quelli già visti, «che vanno da Mastella a Diliberto, da Dini a Pecoraro Scanio».



13 settembre 2009



Nuova polemica sul tricolore: i militanti lo coprono con uno striscione anti-moschea
Bossi: «Il federalismo non ci basta più»
Il Senatùr a Venezia: la Padania sarà uno stato libero. Calderoli: «Andare alle elezioni ora sarebbe una pazzia»


MILANO - «La Padania un giorno sarà uno stato libero, indipendente e sovrano». Non solo: «Non basterà il federalismo, vogliamo cambiamenti più radicali. Venezia e Milano, se avessero fatto l’accordo secoli fa non sarebbe arrivato neanche Napoleone». Nella giornata conclusiva della festa dei popoli padani, poco prima di riversare in Laguna l'ampolla con l'acqua del Po prelevata sul Monviso, Umberto Bossi torna ad alzare i toni e a rilanciare, di fatto, la tematica secessionista. Perchè «l'Italia è già federalista» e ora la gente della Padania non si accontenta più. «Non ci fermeremo - ha detto il Senatùr -, neppure il carcere ci spaventa. Ci fanno la guerra in tutti i modi ma alla fine pagheranno perchè i popoli vincono. I lombardi, i veneti quando furono uniti non furono mai sconfitti». Il giorno dopo avere buttato lì, durante un comizio a Ferrara, l'ipotesi di elezioni anticipate qualora non si completi il passaggio alla forma dello stato federalista, il capo della Lega gioca una volta di più la carta dell'identità. E annuncia per l'anno prossimo una catena umana sul Po, un atto che dovrebbe simboleggiare una barriera contro l'immigrazione e per ribadire che i popoli padani vogliono ottenere «i loro diritti di libertà».

GLI SCONTRI CON FINI E UDC - Protagonista negli ultimi due giorni di un acceso botta e risposta con Gianfranco Fini sul tema dei diritti agli immigrati, Bossi ha parlato ai suoi fedelissimi rispolverando la questione delle gabbie salariali, spiegando che la vita al Nord costa il 17% in più, ed esortando gli operai ad aderire al federalismo perché questo «è proprio per loro». Quasi nello stesso momento, da Chianciano, il leader dell'Udc lanciava un monito alla Lega: «Basta diktat, in Parlamento ci sono i numeri per una maggioranza senza la Lega».

«ELEZIONI? UNA PAZZIA» - Di elezioni anticipate non ha parlato. Lo aveva invece fatto prima dell'inizio del comizio il ministro per la Semplificazione, Roberto Calderoli, che aveva cercato di ridurre la portata delle parole pronunciate il giorno precedente dal capo leghista. «Il nostro vangelo - ha detto Calderoli - è il programma elettorale e noi intendiamo realizzarlo. È evidente che se qualcuno dovesse discostarsi da questo programma, si aprirebbe una questione politica, ma sarebbe pazzia, nel mezzo di una crisi, con le riforme che stiamo realizzando, andare ad elezioni».

«SEDIAMOCI A UN TAVOLO» - Calderoli era intervenuto anche sulle tensioni all'interno del Pdl: «Io di queste cose ne ho viste passare tante, credo che ci sia la necessità di sedersi a un tavolo dove parlare di questi argomenti politici, ricordando però che il programma elettorale c'è e in buona parte è già stato realizzato». Il ministro aveva poi detto che «prima della fine dell'anno ci saranno il decreto attuativo del federalismo fiscale, il codice delle autonomie, la busta paga improntata al costo della vita. Questi sono i temi che interessano la nostra gente e non dare il diritto di voto all'ultimo arrivato». Il «colonnello» leghista aveva poi liquidato con una battuta una domanda sulle vicende private di Silvio Berlusconi e il caso delle feste con ragazze nelle sue residenze: «Escort? Io conosco solo l'auto della Ford».

LA POLEMICA SUL TRICOLORE - Nella kermesse veneziana è stato ancora oggetto di polemica il tricolore che come ogni anno la signora Lucia Massarotto, che abita in Riva degli Schiavoni, ha esposto alla finestra proprio di fronte al palco da cui parlerà Bossi (che in passato le aveva suggerito di usare quella bandiera... al gabinetto). Un enorme striscione della Lega di Gallarate che recita «Mai alla moschea» è stato innalzato polemicamente davanti all'abitazione della Massarotto. Da parte dei leghisti applausi e grida di approvazione.


13 settembre 2009



A CENA E IN BARCA
«Quel weekend a Ponza
tra cena e barca a vela»

Un imprenditore racconta un week end a Ponza. L'ex premier: incrociato, mai conosciuto



L’ex ministro degli Esteri Massimo D’Alema a bordo della sua barca a vela Ikarus, con cui ad aprile ha vinto con il suo equipaggio la regata «Roma per tutti», da Civitavecchia a Lipari e ritorno, 526 miglia di mare (circa mille chilometri). Ikarus è una barca da corsa «per famiglia», con tanto di lavatrice e playstation (Olycom)
Una cena in un ristorante di Ponza e poi una traversata da Ventotene a Gaeta durante la quale si sono trovati sulla stessa barca. È questo l’incontro che ha spinto Gianpaolo Tarantini a lanciare avvertimenti a Massimo D’Alema che aveva detto di non averlo «mai conosciuto». «Farebbe bene a ricordarsi chi sono», era stata l’intimazione. Ma la tesi dell’ex ministro degli Esteri non cambia, «perché ci siamo incrociati, siamo stati presentati, ma certo questo non vuol dire che ci conosciamo». È una vicenda che ha contorni confusi, perché confusi e talvolta contraddittori sono i ricordi degli stessi protagonisti. Anche su quando è avvenuta. A sentire D’Alema bisogna tornare all’estate del 2007. Ma forse è il 2006, come invece sostiene Francesco Maldarizzi, l’imprenditore barese diventato il trait d’union fra i due.


Perché era lui il proprietario della barca che effettuò il trasferimento dall’isola alla terraferma. E perché la sera precedente era uno degli invitati al ristorante «Il Tramonto » «per l’evento organizzato dalle autorità locali in onore di quello che allora era un ministro, stava alla Farnesina», come dice adesso che gli viene chiesto di rammentare i dettagli. Lo stesso anno, 2006, viene confermato da Ivan Altieri, il proprietario del locale che di quella serata sembra avere ricordi nitidi: «Come potrei dimenticarla, visto che ad un altro tavolo sedeva l’attuale sindaco di Roma Gianni Alemanno? Loro nemmeno si salutarono, ma io pensai che se fosse arrivato Bruno Vespa avremmo potuto fare Porta a Porta » .

Il ristoratore sottolinea di non aver riconosciuto altri personaggi famosi. Si sa che allo stesso tavolo di D’Alema sedevano numerosi velisti, compreso Paolo Poletti, all’epoca capo di Stato Maggiore della Guardia di Finanza e attuale vicedirettore dell’Aisi, il servizio segreto interno. Anche Roberto De Santis, l’imprenditore amico di D’Alema che conosceva bene Tarantini, aveva scelto l’isola come meta per il fine settimana da trascorrere in barca. E anche lui sarebbe stato uno dei partecipanti alla serata. Sono buoni conoscenti D’Alema e Maldarizzi, che in Puglia possiede numerose concessionarie di auto e dal 2008 ha aperto attività anche in Toscana. «Ci telefonammo — racconta — e ci accordammo per vederci alla cena. In barca con me c’erano Gianpaolo Tarantini e sua moglie, mentre D’Alema era su Ikarus con sua moglie». Come mai invitò Tarantini? «Siamo amici e poiché io avevo preso la barca in affitto lui venne a Ponza con l’intenzione di acquistarla. Era mio ospite e dunque venne con me anche al ristorante». Il «Tramonto» è un locale in montagna, famoso per il panorama mozzafiato che guarda a Palmarola. «C’erano almeno venti persone — spiega Maldarizzi — forse addirittura trenta. Noi eravamo da un lato del tavolo, D’Alema a quello opposto. C’erano il sindaco, il vicesindaco, altre personalità. Io non riuscii a scambiare con D’Alema neanche una parola e dunque mi sento di escludere che possa avere parlato con Tarantini».

Anche su questo c’è contraddizione, Altieri fornisce una versione diversa: «Erano una ventina, ma escludo che ci fossero sindaco e vicesindaco. Non era sicuramente una cena ufficiale. Io fui chiamato da un mio amico che fa l’assicuratore per la prenotazione del tavolo e quando arrivarono capii che erano tutti appassionati di vela. Era una grande tavolata al termine di una giornata trascorsa in mare». Il giorno dopo c’è il nuovo incontro. «D’Alema doveva lasciare Ikarus al cugino che stava a Ventotene — ricorda Maldarizzi — e così mi chiese un passaggio fino a Gaeta dove io avrei dovuto restituire la mia barca. Gli proposi di stare insieme per fare il bagno o per il pranzo, ma lui rifiutò. Del resto chi conosce D’Alema sa bene che lui è un velista vero, vive il mare e preferisce non avere troppe persone intorno». L’appuntamento viene così fissato per la fine della giornata. «Salì a bordo con la famiglia e con gli uomini della scorta», afferma l’imprenditore. A questo punto il ricordo di Maldarizzi si fa vago, a tratti confuso: «In barca c’erano almeno dodici persone, sinceramente non ricordo se D’Alema e Tarantini possano essersi scambiati qualche parola. Ma se così è stato, di certo si è trattato di un contatto del tutto casuale. Massimo è fatto così, non dà mai troppa confidenza alle persone. La traversata sarà durata una quarantina di minuti, non ci sarebbe stato neanche il tempo di approfondire la conversazione. E poi c’erano tutti gli addetti alla sicurezza. Quando siamo arrivati in porto abbiamo avuto il tempo per un saluto e poi sono partiti».

L’obiettivo di Tarantini appare ormai evidente: accreditarsi come buon conoscente dei politici di destra e sinistra per dimostrare che anche nel suo rapporto con il presidente del Consiglio, per conto del quale ha ammesso di aver reclutato trenta ragazze «alcune anche a pagamento per incontri sessuali», non c’era nulla di illecito. E mettere sullo stesso piano situazioni che appaiono molto differenti. Il tentativo di patteggiare la pena e chiudere con il minimo danno l’inchiesta avviata dai magistrati di Bari non è riuscito perché la Procura si è opposta alla sua istanza. L’imprenditore accusato di corruzione, favoreggiamento della prostituzione, cessione di stupefacenti avrebbe così deciso di alzare la posta. Tanto che a qualche amico avrebbe già confidato: «Se mi arrestano sono pronto a trascinarmi dietro svariate persone».



13 settembre 2009



I ragazzi sono rimasti intrappolati nell'abitacolo del veicolo che ha preso fuoco
A tutta velocità contro un albero
Due ventenni muoiono carbonizzati

L'incidente è avvenuto a Milano, vicino all'ippodromo di San Siro. I corpi identificati solo dopo molte ore

MILANO - Due giovani, di 26 e 25 anni, sono morti la notte scorsa a Milano in un drammatico incidente stradale, finendo contro un platano a bordo della loro Audi TT coupè. È successo in via Diomede, in zona San Siro, a ridosso dell'ippodromo. I due occupanti dell'auto sono morti carbonizzati a seguito dell'incendio sviluppatosi nella vettura dopo lo schianto. Solo in mattinata gli agenti della polizia locale sono riusciti ad identificarli. La causa dell'incidente è da attribuirsi all'alta velocità.


13 settembre 2009



Si è ripreso dopo pochi minuti, poi i parenti lo hanno convinto a recarsi in ospedale
Peres, malore al comizio
Momenti di paura a Tel Aviv

Il presidente israeliano ha perso conoscenza nel corso di una cerimonia e si è accasciato sul palco


MILANO - Il presidente israeliano Shimon Peres, ha avuto un malore durante una cerimonia a Tel Aviv e si è accasciato sul palco. Dopo alcuni minuti di stordimento sarebbe però tornato cosciente. In un primo tempo si era diffusa la notizia, poi non confermata, di un suo ricovero d'urgenza in ospedale. Sembra invece che sia stato soccorso direttamente sul posto da alcuni medici arrivati in ambulanza.

IL MALORE - Peres ha avvertito il malore mentre si trovava al Centro Rabin di Tel Aviv. Dopo aver risposto ad alcune domande rivoltegli dal pubblico è svenuto e si è ripreso dopo qualche istante, ripresentandosi alla platea per rassicurare personalmente tutti i presenti. I suoi familiari lo hanno convinto a salire su un'automobile diretta all'ospedale Shiba di Tel Aviv dopo che più di una volta lo stesso Peres aveva detto di sentirsi tranquillo e di poter fare a meno del ricovero.

NOTTATA DI ESAMI - L'emittente televisiva Canale 10 aveva per prima reso noto che il presidente era in stato di coscienza e non c'erano timori per la sua vita. Nell'ospedale Shiba (Tel ha-Shomer) di Tel Aviv un'equipe di medici lo ha accolto e ha programmato per l'intera nottata approfonditi esami medici. Secondo l'emittente all'origine del suo svenimento potrebbe esserci una spossatezza per il recente accumularsi di impegni politici. Il suo portavoce, Ayelet Frisch, ha in ogni caso rassicurato dicendo che non si è trattato di un infarto e che non vi è alcun problema cardiaco ma «è stata solo una questione di stanchezza». Il medico personale del premio Nobel per la Pace ha aggiunto che «sta bene», ha avuto solo «un calo di pressione» e si è ripreso «in pochi secondi».



12 settembre 2009



LI carabinieri lo hanno trovato in un appartamento nel centro della città'
Reggio Calabria, arrestato il boss Barbaro
Era uno dei capi della 'ndrangheta a Platì. Latitante dal 2001 deve scontare 22 anni per omicidio e mafia


REGGIO CALABRIA - E’ finita questa sera la latitanza di Carmelo Barbaro, di Platì, ricercato dal 2001 per associazione di tipo mafioso, omicidio ed altri reati. Barbaro, che deve scontare oltre 22 anni di carcere, è stato tratto in arresto in un appartamento all’interno di uno stabile sul centralissimo piazzale della Libertà, a Reggio Calabria, dai carabinieri del comando provinciale reggino.

L'ORDINE DI CATTURA - Barbaro era inserito nell'elenco dei trenta latitanti più pericolosi d'Italia del programma speciale di ricerca della Polizia. Lo scorso ottobre erano state diramate anche le ricerche in campo internazionale, per arresto ai fini di estradizione.


12 settembre 2009



Tensioni tra pescatori e animalisti. La denuncia nel documentario di Richard O'Barry
Il mare rosso sangue di Taiji, film e realtà
Iniziata la caccia ai grandi mammiferi, già al debutto uccisi 100 delfini e una cinquantina di balene pilota


MILANO - Strade interrotte e transennate con tanto di filo spinato. Sbarramenti di polizia. Divieto assoluto di scattare fotografie. Insulti e minacce. Tutto pur di nascondere il «segreto» della baia di Taiji, la città costiera a sud di Osaka, protagonista del film di Louie Psihovos e Richard O'Barry, «The Cove», premiato all'edizione 2009 del Sundace Film Festival. La pellicola racconta della mattanza di balene e soprattutto delfini che avviene ogni anno in questo angolo di Giappone. Un film documentario che da alcuni giorni è tornato ad essere drammatica realtà.

IL PRIMO «BOTTINO» - La prima battuta di pesca della stagione, iniziata ufficialmente il primo di settembre, si è conclusa con un «bottino» di un centinaio di delfini dal naso a bottiglia e di una cinquantina di balene pilota. La prefettura di Wakayama, in cui si trova la città, ha dichiarato che dei cento delfini catturati, i 40 o 50 esemplari più belli saranno venduti agli acquari, mentre gli altri saranno nuovamente rilasciati in mare. La carne di balena, invece, sarà venduta ai mercati del pesce per essere consumata. La quota assegnata ai pescatori giapponesi dalla International Whaling Commission per quest'anno è di 240 pezzi, tra delfini e balene. Sulla liberazione dei delfini non destinati all'industria dello spettacolo, però, i gruppi animalisti e ambientalisti nutrono seri dubbi.


IMMAGINI RUBATE - L'avvio della stagione è stato contrassegnato dalle proteste e dagli scontri verbali tra i sostenitori della causa animalista e i pescatori della città, che a quanto riferiscono le cronache non hanno affatto gradito l'essere diventati protagonisti di un film. La pellicola era stata realizzata di nascosto, con telecamere radiocomandate mimetizzate tra gli alberi e registrazioni subacquee, dopo che invano i due registi avevano tentato di ottenere l'autorizzazione delle autorità ad effettuare le riprese alla luce del sole. Un diniego interpretato come la volontà di non far sapere come le cose stiano veramente. Le riprese effettuate in gran segreto avevano consentito ai due registi di raccogliere immagini agghiaccianti, come altre ne erano arrivate in passato - sempre catturate di straforo dagli animalisti -, e su tutte quella ormai tristemente famosa del mare completamente colorato di rosso dal sangue degli animali arpionati. Immagini, quelle del nuovo documentario, in grado di sconvolgere gli stessi giapponesi spesso ignari di cosa ci sia dietro i pezzi di pesce già ripulito, porzionato e confezionato che si ri trovano sugli scaffali dei supermercati, come ben si vede in una scena del documentario, accolto con grande interesse in tutto il mondo ma che con tutta probabilità avrà difficoltà a fare breccia in Giappone.

BUSINESS E TRADIZIONE - Il Paese asiatico ha sempre difeso la propria pesca tradizionale e non a caso è uno di quelli che non ha sottoscritto la moratoria internazionale contro la caccia alle balene. Caccia che le sue navi continuano regolarmente a praticare, con la scusante della cattura a scopi «scientifici». Quanto ai delfini, le autorità nipponiche e le associazioni dell'industria ittica hanno spesso fatto notare che il consumo di carne di delfino o di balena non può essere contestato dalle popolazioni occidentali, che consumano altri tipi di carne senza che questo appaia come un sacrilegio. Insomma, da una parte i delfini e dall'altra manzo e maiali. «E' esattamente la stessa cosa» dicono alcuni abitanti della zona di Taiji, nelle corrispondenze delle agenzie di stampa. Non solo: molti ricordano come la caccia ai mammiferi marini non sia soltanto un business, ma una tradizione culturale, tanto che ogni anno vengono organizzate cerimonie rituali per rendere omaggio agli spiriti dei delfini e delle balene morte.

DELFINI PER BALENE - Gli animalisti però non ci stanno e ricordano come i delfini finiscano «per sbaglio» nelle reti gettate per catturare le balene e come spesso, nei ristoranti, la carne di delfino sia spacciata come carne di balena, particolarmente ricercata e per questo più costosa. Non solo: denunciano livelli di inquinamento da mercurio particolarmente elevati per i mammiferi che vivono in queste acque e che si trasferiscono poi, di conseguenza, nei piatti degli ignari consumatori. Il massacro che si perpetua anno dopo anno, è insomma il messaggio, non è solo crudele, ma anche dannoso in primo luogo per l'uomo.

Alessandro Sala
12 settembre 2009


È successo ad avellino
Minorenni aggrediscono fidanzatini
«Volevamo soltanto divertirci»

Due sedicenni si accaniscono contro una coppia
Sono stati rintracciati dai carabinieri e denunciati


NAPOLI - Calci e pugni a due fidanzatini di 17 anni: è accaduto la scorsa notte ad Avellino. Anche gli aggressori sono minorenni, hanno sedici anni. E ai carabinieri che li hanno fermati hanno detto: «Lo abbiamo fatto per divertirci, per passare il tempo». È accaduto tutto poco prima delle ore 23, in via De Concilii, nel cuore della movida. I fidanzati si trovavano davanti a un pub quando sono stati avvicinati da un ragazzo che non conoscevano e che era visibilmente ubriaco. Ha iniziato ad insultarli e dopo essere stato allontanato dai due è ritornato, questa volta in compagnia di un altro ragazzo.

LA RICOSTRUZIONE - È stato allora che i due sedicenni hanno iniziato a picchiare i fidanzati e, quando sono andati via, lungo la strada, hanno continuato a dare schiaffi e pugni anche ad altri ragazzi che incontravano per caso. I carabinieri, allertati dalle vittime, li hanno rintracciati in piazza Aldo Moro, vicino alla fermata dell'autobus, pronti a tornarsene a Monteforte, loro comune di residenza. I sedicenni sono stati denunciati. Con i carabinieri si sono giustificati dicendo che «era solo un modo per divertirsi».


13 settembre 2009




La tesi è accreditata da un pentito della 'ndrangheta. Scattate foto a 500 metri sul fondo
Cosenza, il giallo della nave affondata
Le cosche l'hanno usata per i rifiuti tossici

Un sottomarino telecomandato ha scoperto un vecchio mercantile al largo di Cetraro. Forse è pieno di scorie


MILANO - Una grossa nave mercantile, adagiata sul fondale antistante Cetraro, centro del Tirreno cosentino, è stata scoperta oggi dal mezzo telecomandato sottomarino della nave che la Regione Calabria sta utilizzando per fare luce sulla vicenda che vede la zona di mare del Tirreno come possibile deposito di scorie tossiche o forse anche radioattive. La scoperta è avvenuta nel pomeriggio, quando finalmente il robot è riuscito ad effettuare delle fotografie abbastanza nitide. Si tratta di un mercantile lungo almeno 120 metri con un profondo squarcio sulla prua dal quale si intravedono anche dei fusti. Due contenitori sono visibili anche all'esterno della nave. Dai primi accertamenti risulta che la stiva è piena, ma non si sa di quale materiale.

NAVE NON IDENTIFICATA - La nave, di cui si ignora al momento la denominazione, è quasi completamente ricoperta di vecchie reti, evidentemente appartenenti a pescherecci che negli anni hanno incrociato nella zona e che le hanno perse, perchè si sono impigliate sul grosso ostacolo. L'epoca della costruzione della nave affondata, secondo quanto emerso dai primi rilievi, risalirebbe agli anni '60-'70. Il luogo del ritrovamento è a circa 20 miglia nautiche dalla costa, ad una profondità di circa 480 metri. Solo dopo diversi giorni di tentativi, la nave di ricerca ha potuto raggiungere il luogo esatto, a causa del mare mosso. Le ricerche sono state effettuate dalla motonave «Coopernaut Franca», chiamata dalla Regione Calabria su disposizione del procuratore di Paola, Bruno Giordano, nell'ambito di un'inchiesta sull'illecito smaltimento di rifiuti tossici.

LE RIVELAZIONI DEL PENTITO - Le foto scattate sono adesso al vaglio dei tecnici, che cercheranno di individuare di quale nave si tratti. Il sospetto è che sia la Cursky, segnalata da un pentito, Francesco Fonti, in una dichiarazione spontanea, e descritta come una nave che trasportava 120 fusti di materiale tossico. Secondo Fonti, la nave farebbe parte di un gruppo di tre imbarcazioni, fatte sparire grazie all'aiuto della cosca Muto di Cetraro.

«ALLARGARE LE INDAGINI» - «Il ritrovamento della nave al largo di Cetraro conferma quanto Legambiente ha denunciato sin dal 1994, quando presentammo l'esposto che dette il via alle indagini sui relitti sospetti - dice Nuccio Barillá di Legambiente Calabria -. Il Comitato per la veritá sulle navi dei veleni non ha mai smesso di cercare di fare chiarezza sulle responsabilitá dei trafficanti e sulle eventuali conseguenze sanitarie degli affondamenti. Speriamo che ora la veritá venga finalmente a galla». «Da diverse indagini sui traffici illeciti dei rifiuti, a partire da quelle condotte dal Capitano di Corvetta Natale De Grazia, morto misteriosamente proprio nel corso di una indagine sulle cosiddette navi a perdere - fa poi notare il vicepresidente di Legambiente Sebastiano Venneri - emergono numerosi elementi a testimonianza che gli affondamenti di vecchie navi colme di rifiuti tossici siano stati frequenti e diffusi in varie aree. Speriamo che le indagini si allarghino anche a tutte le vecchie inchieste irrisolte a La Spezia come in Calabria o in Sicilia o in Alto Adriatico».


12 settembre 2009


Tra '93 e '94 il piano di una strage allo stadio Olimpico: così il pentito Spatuzza ne parla ai pm toscani
Il messaggio sarebbe arrivato da Graviano, boss indicato come vicino a Dell'Utri in alcune inchieste
"Il super-attentato ha l'ok del compaesano"
Le carte di Firenze che turbano la politica





ROMA - Prima ha parlato dell'uccisione di Paolo Borsellino con i procuratori di Caltanissetta, poi ha continuato a parlare con i procuratori di Firenze sulle stragi mafiose in Continente del 1993. E Gaspare Spatuzza, boss del quartiere palermitano di Brancaccio soprannominato "U' tignusu" per le sue calvizie, ha cominciato dalla fine. Ha cominciato dal fallito attentato all'Olimpico, da quel massacro che nei piani di Cosa Nostra corleonese sarebbe dovuto avvenire una domenica pomeriggio allo stadio "per ammazzare almeno 100 carabinieri" del servizio d'ordine.

Per fortuna, quella volta qualcosa non funzionò nei circuiti elettrici del telecomando che avrebbe dovuto far saltare in aria un'auto - una Lancia Thema - con dentro 120 chili di esplosivo. Non ci fu strage. Ma rivela oggi il pentito Gaspare Spatuzza ai magistrati di Firenze: "Giuseppe Graviano mi disse che per quell'attentato avevamo la copertura politica del nostro compaesano".

Le indagini riaperte sui massacri di diciassette anni fa sono disseminate di indizi che stanno portando gli investigatori a riesaminare uno scenario già esplorato in passato, ipotesi che girano intorno agli ambienti imprenditoriali milanesi frequentati dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, boss di Palermo più volte citati - in inchieste e anche in sentenze - come vicini al senatore Marcello Dell'Utri. E' a Firenze che hanno dato a Gaspare Spatuzza lo status di pentito (è entrato nel programma di protezione su richiesta della procura toscana), è a Firenze che il mafioso di Brancaccio sta svelando tante cose su quella stagione di "instabilità" mafiose a cavallo fra il 1992 e il 1994.

Rapinatore e poi sicario - è uno dei killer di don Pino Puglisi, il parroco ucciso a Palermo nel settembre 1993 - capo del mandamento di Brancaccio, legatissimo ai Graviano, Gaspare Spatuzza dopo avere fornito una diversa ricostruzione della strage di via D'Amelio (autoaccusandosi e smentendo il pentito Vincenzo Scarantino che a sua volta si era autoaccusato dello stesso massacro), è stato ascoltato sulle bombe di Firenze e Roma e Milano, dieci morti e centosei feriti.

E poi anche sul fallito attentato all'Olimpico, quello che - se fosse avvenuto - sarebbe stato uno degli ultimi atti della strategia mafiosa nell'attacco contro lo Stato. La "comprensione" del fallito attentato dell'Olimpico potrebbe, a questo punto, diventare la chiave per entrare in tutti i misteri delle stragi.

Inizialmente le ricostruzioni poliziesche avevano fatto risalire il progetto dell'attentato nel periodo ottobre-novembre 1993, poi il pentito Salvatore Grigoli aveva indicato una data precisa (domenica 31 ottobre, la partita era Lazio-Udinese), poi ancora un altro pentito - Antonio Scarano - aveva spostato di qualche mese il giorno della strage: 6 febbraio 1994, ventiduesima giornata di campionato, all'Olimpico l'incontro Roma-Milan. Gaspare Spatuzza racconta adesso alcuni restroscena cominciando con quella frase sulla "copertura politica".

Dichiarazione che va ad aggiungersi a quelle precedenti scivolate nell'inchiesta sui "mandanti esterni" per le bombe in Continente, prima fra tutte quella di Nino Giuffrè, il capomandamento di Caccamo. Spiegava Giuffrè ai giudici di Firenze: "L'attentato dell'Olimpico doveva essere un messaggio mandato in alto loco... Sarà stato uno dei soliti colpi di testa di Leoluca Bagarella contro i carabinieri, magari perché gli avevano arrestato il cognato Totò Riina, o perché mirava ad altri discorsi, ad eventuali contatti che poi ci sono stati fra i carabinieri e parti di Cosa Nostra".

Ma Antonino Giuffrè, più che della seconda ipotesi era convinto della prima. E spiegava ancora che - in quel periodo - dentro Cosa Nostra era già stato impartito l'ordine "di appoggiare la nuova formazione politica che era Forza Italia", che Cosa Nostra non avrebbe mai più continuato con le stragi, che "se ci fosse stato l'attentato dello stadio Olimpico a Bagarella gli avrebbero senza dubbio staccato la testa: sarebbe morto".

Le indagini di Firenze si incrociano con quelle della procura di Caltanissetta su Capaci e su via D'Amelio, con quelle di Palermo sulla famosa "trattativa" fra i Corleonesi e apparati dello Stato e infine quelle di Milano sugli investimenti in Lombardia dei fratelli Graviano. Dallo sviluppo di tutte questi filoni fra qualche mese affiorerà probabilmente qualcosa di più concreto, di più chiaro. Al momento sono soltanto "spunti investigativi", sono tracce.

(13 settembre 2009)
 
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96 replies since 6/8/2009, 10:36   4895 views
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