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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 12/9/2009, 11:57 by: Lucky (Due di Picche)




lì si esercita il potere legislativo e il controllo sull'esecutivo»
Napolitano: «Insostituibile
il ruolo del Parlamento»


Il presidente della Repubblica: «Non c'è altro luogo in cui si incarni il principio della rappresentanza»


ROMA - Il ruolo delle Assemblee parlamentari «è insostituibile». Lo ha ribadito il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, durante l'incontro con una delegazione dei presidenti dei parlamenti dei Paesi del G8. «Pur nella diversità dei sistemi di governo, taluni presidenziali altri no - ha detto Napolitano - in tutti i nostri paesi si attribuisce un ruolo insostituibile alle Assemblee parlamentari. Permettetemi - ha aggiunto - di insistere sull'aggettivo insostituibile. È qualcosa in cui credo profondamente, avendo dedicato una parte molto grande della mia vita all'impegno nel Parlamento italiano e da ultimo nel parlamento europeo».

POTERE LEGISLATIVO - Secondo il Capo dello Stato non c'è «altro luogo in cui si incarni il principio fondamentale della rappresentanza come nelle assemblee elette dai cittadini, a suffragio universale per esercitare il potere legislativo e per svolgere funzioni di controllo nei confronti del potere esecutivo».

GOVERNO - Il presidente della Repubblica lancia quindi un monito al governo: «Chi governa, per libera scelta della maggioranza degli eletti dal popolo, deve poter assumere decisioni tempestive ed efficaci» sottolinea, «ma ciò non significa che si possa sfuggire a un corretto rapporto tra l'esecutivo e l'assemblea parlamentare, a un equilibrio che si fondi sul reciproco rispetto e su uno spirito di autentica cooperazione».


12 settembre 2009



Dietro le quinte
Il Cavaliere e il sondaggio su Fini
«Non andrebbe oltre il 4%»

Il capo del governo studia le contromosse

Berlusconi sa che non è finita e non finirà, che i media insisteranno sui festini e le donnine, che le vicende giudiziarie torneranno a lambirlo, che «i miei nemici» — come definisce l’indistinta coalizione di interessi a lui ostile — cercheranno di tenerlo sotto pressione.

Ma la variabile oggi è Fini. Perché se da una parte il Cavaliere è certo che il presidente della Camera continuerà a distinguersi - tenendo in fibrillazione governo, partito e maggioranza - dall’altra non riesce ancora a capire quale sia il vero obiettivo del «cofondatore» del Pdl. Era scontato che il premier lo accusasse di «tradimento», «ingratitudine» e «slealtà» dopo il suo discorso di Gubbio. Così com’era chiaro che l’ex leader di An avrebbe pubblicamente detto ciò che da tempo spiegava nei colloqui riservati: e cioè che «Berlusconi per difendersi si è consegnato nelle mani di Bossi», che «il Pdl è ridotto a una sorta di Forza Italia allargata », che «se spegnessero la luce nella stanza del governo e lì dentro ci fosse Tremonti non si sa cosa gli accadrebbe».

È vero che il tema sollevato da Fini sulla vita interna del nuovo partito è assai sentito, persino il capogruppo Cicchitto - subito dopo il congresso - sosteneva che «d’ora in poi la democrazia telefonica usata da Berlusconi in Forza Italia non potrà più bastare». Ma a Gubbio Fini si è spinto oltre, criticando la politica dell’esecutivo e - secondo il premier - «alimentando speculazioni» sul delicato tema delle inchieste di mafia. I tentativi di rattoppo non hanno nascosto lo sbrego, semmai l’hanno reso più evidente. In più Bossi è tornato ad attaccare in modo veemente il presidente della Camera, con il quale - dopo il varo del decreto sicurezza - aveva tentato di stringere un accordo, se è vero che era andato a trovarlo di persona a Montecitorio: «Gianfranco, tienimi fuori dalle tue beghe con Silvio. Io non c’entro nulla e non voglio finirci in mezzo». Non è andata così.

E comunque resta senza risposta l’interrogativo del Cavaliere: dove vuole arrivare Fini? Finora sono state valutate due ipotesi. La prima è quella che il premier definisce «la sindrome da Elefantino», riferimento alla lista presentata da Fini alle Europee del ’99, e con la quale l’allora capo di An provò a conquistare la leadership del centro- destra. Quell’operazione fallì. E fallirebbe anche stavolta, a detta di Berlusconi, che ha commissionato subito un sondaggio per rilevare l’appeal elettorale dell’alleato: «Se si presentasse con una sua lista e con le sue idee, non andrebbe oltre il 4%». Ma prospettive di terzo polo non ce ne sono, anche Montezemolo ha voluto mettere a tacere i boatos. Inoltre Fini non intende «ballare da solo», sebbene si senta solo nel Pdl. Tanto che la mattina dell’attacco di Feltri sul Giornale notò che nemmeno Gianni Letta l’aveva chiamato per solidarizzare.

C’è allora l’altra ipotesi: quella cioè che Fini immagini un precipitare degli eventi per fattori al momento non noti. La sentenza della Consulta sul «lodo Alfano» è vissuta nel Palazzo come una sorta di sentenza sulla legislatura. Però non basta a spiegare tutto. Eppoi «io non me ne andrò mai, mai», ripete il Cavaliere, conscio che la sua immagine internazionale è irrimediabilmente rovinata, ma forte del consenso nel Paese. Anche i dirigenti del Pd l’hanno constatato nel primo rilevamento riservato che hanno ricevuto da Ipsos dopo la pausa estiva. Nonostante le polemiche e gli scandali, da luglio a settembre Berlusconi ha perso solo un punto nell’indice di fiducia (50,7%), restando davanti a tutti gli altri leader, anche loro tutti in calo. Di più: il Pdl, in trend positivo da luglio, è arrivato al 38,2%. E la forbice nelle intenzioni di voto per coalizioni è aumentato di un punto e mezzo, con il centrodestra oggi al 49,4% e il centrosinistra al 37,9%.

«E allora: cosa devo chiarire con Fini?», s’infuria il Cavaliere. Forse il premier dovrebbe valutare una terza ipotesi, esaminata da alcuni dirigenti del Pdl. È un altro scenario, non quello del «Fini contro Berlusconi », ma quello del «Fini dopo Berlusconi», magari logorato dagli attacchi. Ecco la sfida. Ecco la scommessa

Francesco Verderami
12 settembre 2009


Parla l'uomo chiave nell'inchiesta sulle tangenti nella sanità pugliese
«Sbaglia chi dice di non conoscermi»
E ai giudici dice: «Temo per la mia vita»

L'imprenditre Tarantini e le prese di distanze di D'Alema e Emiliano: «Se i pm lo chiedono, fornirò indicazioni»
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MILANO - «Sbagliano quanti oggi dicono di non conoscermi o di non ricordarsi di me. Farebbero bene a ricordarsi chi sono». Così l'imprenditore barese Gianpaolo Tarantini ha risposto in Procura alle domande dei giornalisti che gli facevano notare che in molti, soprattutto uomini politici, affermano di non conoscerlo dopo aver saputo dei suoi guai giudiziari. Ma in serata D'Alema conferma: «Non ho mai avuto rapporti con Tarantini. Se lui sostiene il contrario dica come, quando e dove».


GLI ESPONENTI DEL PD - «Emiliano e D'Alema - ha detto Tarantini incalzato dai giornalisti - hanno detto di non conoscermi: se ce lo chiederanno gli inquirenti forniremo tutte le indicazioni utili». Si riferisce alla cena in un ristorante di Bari, a cui eravate presenti Lei, Massimo D'Alema e il sindaco Michele Emiliano? «Sì, ma non dico nulla perché su quella cena sono in corso indagini da parte della Procura della Repubblica». L'ex presidente dei Ds, dal canto suo, aveva affermato nei giorni scorsi di non conoscere Tarantini e di non avere mai avuto rapporti con lui, mostrandosi infastidito per il fatto che alla presenza ad una cena elettorale a cui aveva preso parte lo stesso imprenditore («ne faccio centinaia, quella sera ne ho fatte due o tre») sia stata data grande enfasi dai media.

«TEMO PER LA MIA VITA» - Ma non è tutto. In un esposto depositato nelle mani del procuratore della Repubblica di Bari, Antonio Laudati, Tarantini dice ora di temere per la sua vita. Si sente come un collaboratore di giustizia che, dopo aver rivelato ai magistrati i nomi dei responsabili di alcuni omicidi, vede le proprie confessioni pubblicate dai giornali. L'imprenditore confessa che, se qualcuno dovesse minacciarlo, non esiterà a chiedere alle forze di polizia e alla magistratura di essere tutelato, proprio come si fa con i pentiti» di mafia. L'esposto è stato consegnato dopo la pubblicazione dei verbali del suo interrogatorio.

IL PATTEGGIAMENTO NEGATO - Nel frattempo lo stesso Laudati ha rilevato che «dal verbale si capisce chiaramente che Tarantini ha fatto delle dichiarazioni ed ha chiesto il patteggiamento e che il patteggiamento non è stato accordato». Tuttavia, ha precisato, la richiesta di patteggiamento «c'è nel verbale che avete pubblicato voi. Non mi risulta che ci sia stato alcun patteggiamento, quindi - ha aggiunto il capo della procura barese - evidentemente quel verbale è una parte di un processo più ampio, quindi ora fatemi lavorare». Laudati ha spiegato che la questione relativa al patteggiamento è stata affrontata dal suo predecessore, Emilio Marzano, e che la scelta è da lui condivisa.

EMILIANO - «Ove Tarantini non chiarisca immediatamente che non mi ha mai conosciuto, che io non gli ho mai chiesto alcunché e che non sono mai andato a casa sua, lo querelerò senza indugio, perché ciò che ha dichiarato può far pensare che io non abbia detto la verità», ha replicato il sindaco di Bari, Michele Emiliano. «Me lo sono trovato una sera in un ristorante e mentre mi diceva il suo nome ho capito che era l'organizzatore della cena», ha detto il sindaco. Replica Tarantini: «Sorvolo sui toni minacciosi e offensivi di Emiliano, ma mi rallegra sapere che siamo d'accordo sull'unica cosa che io ho sempre dichiarato: cioè che abbiamo cenato insieme».




11 settembre 2009


Brunetta: «registi parassiti»
E il cinema si ribella

Maselli: «Repressione». Montaldo: «Non sa cos’è la cultura»


MILANO — Cinema nel mirino: senza giri di parole, il ministro della Pubblica amministrazione e dell’Innovazione Renato Brunetta ieri — nel suo intervento alla scuola di formazione del Pdl a Gubbio — si è sentito di «consigliare» il collega Sandro Bondi, responsabile dei Beni culturali, presente in sala. Premessa: «Esiste in Italia un culturame parassitario vissuto di risorse pubbliche che sputa sentenze contro il proprio Paese ed è quello che si vede in questi giorni alla Mostra del Cinema di Venezia».

Il consiglio: «Bene fai Sandro a chiudere quel rubinetto del Fus». Il ministro ha proseguito parlando di «registi che hanno ricevuto 30/40 milioni di euro di finanziamenti incassando in tutta la loro vita 3-4 mila euro. Questi stessi autori nobili, con l'aria sofferente, ti spiegano che questa Italia fa schifo...Solo che loro non hanno mai lavorato per avere un'Italia migliore». Applausi a scena aperta dalla platea «amica».

Che hanno portato ad un’altra stoccata, contro «i parassiti dei teatri lirici: i finti cantanti, scenografi che non si sono mai confrontati con il mercato, tanto Pantalone pagava. A lavorare...». E infine: «Questo è un pezzo di Italia molto rappresentata, molto 'placida' e questa Italia è leggermente schifosa». Dove la scelta dell’aggettivo pare tutt'altro che casuale dopo che Michele Placido, a Venezia con il suo film sul ’68, Il grande sogno, si è reso protagonista di una polemica che dalla casa di produzione Medusa si era estesa a Berlusconi.

Dalla stessa sede, poco prima, anche il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini aveva commentato: «Sono rimasta sorpresa nel sentire dagli attori della Mostra degli elogi sul ’68. Quella cultura dell’ugualitarismo e del sei politico ha danneggiato una generazione. Forse Placido non le ha vissute e non le conosce».

Ma, come prevedibile, le reazioni sono state tutte per Brunetta. Citto Maselli, al Lido con Ombre rosse, ha replicato: «Non è un caso che Brunetta usi la parola 'culturame' che è stata la bandiera di Mario Scelba negli anni delle peggiori repressioni nei confronti delle culture e della vita democratica del nostro Paese. Il tono, l'arroganza e il semplicismo di Brunetta parlano da soli».

Sempre da Venezia, Giuliano Montaldo, ex presidente di Rai Cinema, ha tuonato: «Ma di che stiamo parlando. Non è passata proprio al lido una 'nuova' attrice che si chiama Noemi? Non sanno cosa significhi la parola cultura».

Molte anche le reazioni politiche. Emilia De Biasi, deputata del Pd della commissione Cultura di Montecitorio: «Brunetta si commenta da solo. Sconcerta la volgarità e la gratuità delle sue affermazioni contro il mondo della cultura». L’ex ministro dei Beni Culturali Giovanna Melandri ha parlato di «furia iconoclasta e distruttiva con cui Brunetta, Bondi e company stanno mortificando il mondo della cultura italiana». Giuseppe Giulietti di Art.21 ha ribattuto: «Bondi non ha bisogno dei suggerimenti di Brunetta, ci ha pensato già lui». Ha condiviso «lo spirito» delle parole del ministro Gabriella Carlucci (Pdl), secondo cui «i soldi pubblici devono essere concessi a chi li merita».

Curioso che, solo qualche ora prima rispetto all’uscita di Brunetta, uno dei volti simbolo della protesta contro i tagli al Fus, Sergio Castellitto, fosse tornato sulla questione. Era anche lui alla Mostra per il film di Vincenzo Terraciano Tris di donne & abiti nuziali, peraltro realizzato con il contributo del Mibac, ed aveva dichiarato: «Dall’Excelsior di Roma a quello di Venezia, voglio ricordare che il problema dei tagli al Fus c’è ancora anche se, all’italiana, d’estate finisce un po’ tutto sotto l’ombrellone ». Lo deve aver pensato anche Brunetta.


12 settembre 2009


Al centro delle indagini anche le dichiarazioni di Ciancimino jr. Nella Dna pareri troppo diversi per una trama unica
Milano, Palermo e le stragi
Ma le novità vengono dai pm di Firenze

I magistrati toscani e le rivelazioni di Spatuzza

ROMA — Quando gli è stato chiesto di commentare le ultime affermazioni di Silvio Berlusconi sui magistrati che «pagati dal pubblico complottano contro di noi», tornando a indagare sulle stragi mafiose del ’92 e ’93, il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso ha risposto col suo sorriso pacato: «Penso che non siano mal spesi i soldi dei cittadini quando si cerca di trovare la verità». Parlava alla video-chat del Corriere.it , il superprocuratore, che ha aggiunto: «Non si può pensare che tutto sia immutabile perché c’è stata una sentenza definitiva o una prima archiviazione, in passato».

Piero Grasso non è mai stato additato come «toga schierata», o pubblico ministero «politicizzato»; anzi, quando guidava la Procura di Palermo ha ricevuto accuse di segno opposto. Oggi, però, si schiera a difesa delle indagini riaperte: «Il vezzo di gridare al complotto è un modo per cercare di far comprendere che è soltanto una strumentalizzazione politica, cosa che escludo totalmente». Il superprocuratore conosce i nuovi elementi emersi dalle inchieste tuttora in corso, sa che cosa c’è da accertare e in quali direzioni. A cominciare dall’indagine dei magistrati di Firenze, competenti per le stragi del 1993 sul continente, che hanno interrogato a lungo il neopentito di mafia Gaspare Spatuzza, «uomo d’onore» vicinissimo ai fratelli «stragisti» Filippo e Giuseppe Graviano. E’ da lì emergono le principali novità.

Spatuzza ha parlato anche delle stragi palermitane del ’92 — in particolare quella di via D’Amelio, dove furono uccisi Paolo Borsellino e gli agenti di scorta — coi pubblici ministeri di Caltanissetta, oltre che dei legami e degli affari del clan Graviano di cui si occupa la Procura di Milano (i due capimafia furono arrestati in quella città, nel 1994). Infine coi magistrati di Palermo, per alcuni omicidi e altri attività delle cosche. Immaginare che ci siano «teoremi» comuni tra questi uffici giudiziari (Berlusconi ha citato, nello specifico, Palermo e Milano) o accordi di qualche tipo per raggiungere un obiettivo comune, sembra davvero un azzardo. Non fosse altro perché i magistrati dei diversi uffici hanno mostrato in passato di lavorare con metodi diversi, e perché nelle riunioni di coordinamento svoltesi alla Direzione nazionale antimafia hanno espresso pareri e considerazioni differenti e a volte molto distanti tra loro.

Quanto alle dichiarazioni di Spatuzza, non sono tanto i due uffici citati dal premier, quanto quelli di Firenze e Caltanissetta a cercare riscontri. Non a caso è stata la Procura toscana a chiedere il programma di protezione per il collaboratore di giustizia, che evidentemente ha offerto apprezzabili «elementi di novità» sulle bombe del ’93 e sulle strategie mafiose di quella stagione. I magistrati di Caltanissetta si sono accodati, ma sottolineando — per esempio — che sui cosiddetti «mandanti esterni» a Cosa Nostra nelle stragi siciliane l’ex braccio destro dei Graviano avrebbe fatto dichiarazioni «troppo generiche e non in grado di fornire utili sviluppi alle indagini».

Un motivo in più per dubitare del presunto disegno comune alle varie Procure. I pm di Caltanissetta considerano invece credibili le nuove verità del neopentito sulla strage di via D’Amelio, che portano a conclusioni diverse da quelle raggiunte nei processi sul coinvolgimento dei mandanti mafiosi. Logico, dunque, che abbiano riaperto l’inchiesta e s’interroghino sul perché altri pentiti dissero cose diverse e portarono a conclusioni che oggi appaiono sbagliate.

Sono vicende distinte ma evidentemente collegate con quelle sulle «trattative» tra Stato e mafia nel periodo delle stragi, di cui parla Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo Vito. Lui è un imputato- testimone che ha parlato e parla soprattutto con le Procure di Palermo e Caltanissetta. La prossima settimana i giudici della Corte d’appello palermitana decideranno se ascoltarlo o meno nel processo contro il senatore del Popolo della libertà Marcello Dell’Utri, già condannato a nove anni di carcere, in primo grado, per concorso in associazione mafiosa. Al contrario dei loro colleghi siciliani, gli inquirenti di Firenze e Milano non hanno mai ritenuto di interrogare Massimo Ciancimino, forse anche per valutazioni diverse sulla sua attendibilità e utilità; un altro particolare che fa ritenere poco credibile l’idea di un’unica trama dietro le diverse indagini che agitano nuovamente i rapporti tra politica e magistratura.

Giovanni Bianconi
12 settembre 2009


Atletica z
Semenya, la carriera è già al capolinea
La vincitrice degli 800 mondiali conserverà l’oro, ma non potrà più gareggiare vista la sua natura di ermafrodito


MILANO —Caster Mokgadi Semenya, sudafricana di Polokwane, 18 anni compiuti il 7 gennaio, campionessa mondiale degli 800 metri a Berlino (1'55'45), potrebbe aver già chiuso la sua carriera internazionale. La Federatletica mondiale (Iaaf) non ha confermato, né smentito quanto pubblicato da due giornali australiani, «Sydney Daily Telegraph» e «Australian», ma appare ormai evidente che la Semenya è un ermafrodito, in base ai test che avrebbero (hanno) rilevato un livello di testosterone tre volte più elevato della media e l'assenza delle gonadi (utero e ovaie).

Ha detto il portavoce della Iaaf, Nick Davies: «Ci sarà un consiglio il 21 novembre e quella sarà la sede per prendere una decisione definitiva». Ma secondo il «Daily Telegraph», la Iaaf «avrebbe consigliato la Semenya a sottoporsi subito ad un intervento chirurgico, perché la situazione provoca gravi rischi per la salute». L'orientamento è quello di non togliere la medaglia d'oro alla vincitrice degli 800, perché non si tratta di un caso di doping e perché il dolo non è dell'atleta, semmai dei dirigenti federali che l'hanno fatta gareggiare, pur avendo più di un sospetto, come si era capito anche nella finale della 4x100 ai Giochi africani juniores a Mauritius, quando la Semenya aveva disputato una frazione alla Bolt, in rapporto con quanto fatto dalle avversarie. «Discrezione» ha raccomandato il presidente del Cio, Jacques Rogge; «cautela e attenzione nell'analizzare i risultati dei test», ha suggerito il responsabile medico della Iaaf, lo svedese Arne Ljungqvist. Resta il fatto che il Consiglio della Iaaf imporrà un fermo alla Semenya (che oggi avrebbe dovuto correre una campestre e che invece rinuncia, perché non sta bene): stop alle gare internazionali, perché la situazione dell'atleta, con una produzione tripla di testosterone, verrebbe considerato l'equivalente di un caso di doping, sebbene naturale e dunque in assenza di dolo da parte dell'atleta.

Ma la Federatletica sudafricana non ci sta e ha usato toni durissimi, a cominciare dal ministro dello sport, Makhenkesi Stofile: «Se la Iaaf dovesse escludere la Semenya, scoppierebbe la terza guerra mondiale. Siamo pronti a rivolgerci ai più alti livelli per contestare una decisione del genere, totalmente ingiusta. Abbiamo appreso con disgusto le notizie diffuse dai media. Di certo non possiamo aspettare fine novembre, per capire le intenzioni della Iaaf». Il presidente sudafricano, Jacob Zuma, ha criticato in maniera pesante la violazione della privacy: «Tutto questo è contro i diritti di una persona; non è stato rispettato il rapporto fra medico e paziente. Perché sono già stati pubblicati gli esami?» Molti sudafricani accusano la Iaaf di razzismo e la mobilitazione è quella di un Paese intero.

Il problema però è esclusivamente tecnico e non coinvolge Caster Semenya come persona. Verso di lei la solidarietà è totale, ma si tratta di capire se ha i requisiti per partecipare alle gare femminili oppure se il suo status le offre vantaggi tali da falsare il regolare svolgimento delle competizioni.

Di certo la Federatletica sudafricana avrebbe dovuto valutare meglio la situazione fin dalle origini, invece di esporre una ragazza di 18 anni ad una centrifuga mediatica, che non accenna a spegnersi a quasi un mese dalla finale di Berlino (19 agosto). Quello della Semenya è l’ottavo caso di sesso sospetto da parte di atleti che dal 2005 hanno partecipato a Olimpiade o Mondiali: quattro atlete sono state invitate a ritirarsi; tre sono state autorizzate a continuare con l’atletica, dopo un supplemento di accertamenti. E fra queste dovrebbe essere anche Pamela Jelimo, dominatrice degli 800 nel 2008, con l'oro olimpico: si starebbe sottoponendo a cure mediche per abbassare il livello di testosterone. E anche così si spiegherebbe il 2009 in ombra.


12 settembre 2009
 
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