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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 4/9/2009, 16:25 by: Lucky (Due di Picche)




Il segretario dell'Alleanza Rasmussen: «Forse vittime civili, avvieremo subito un'inchiesta»
Afghanistan, bombe Nato su autocisterna in mano ai talebani: decine di morti
Versioni diverse sulla vicenda: per la Nato 56 vittime tutti talebani, per la polizia 90 i morti, molti i civili


KABUL - È di decine di morti (56 secondo la Nato, 90 secondo fonti della polizia locale, 150 per i talebani) il bilancio del bombardamento aereo della Nato su un gruppo di talebani e di civili che si era impossessato di due autocisterne nel nord dell'Afghanistan: è quanto hanno confermato fonti locali, spiegando che sarebbero moltissime le persone coinvolte, tra vittime e feriti.

LA VICENDA - La scorsa notte i talebani si erano impadroniti di due autocisterne sull’autostrada di Angorbagh, nella zona di Kunduz, ha spiegato Baryalai Basharyar Parwani, il capo della polizia locale. «L’autocarro è finito sul letto di un fiume, c’erano civili con i talebani e sono stati bombardati, più di 60 persone sono state uccise o ferite», ha assicurato il capo della polizia. Successivamente però le autorità locali hanno corretto la loro versione iniziale che parlava di soli civili colpiti, spiegando che le vittime sono in gran parte talebani. Il governatore della provincia afgana di Kunduz, Mohammad Omar, ha spiegato che il raid aereo è avvenuto mentre il carburante veniva distribuito tra la popolazione.


LA VERSIONE DELLA NATO - «Si è trattato di un bombardamento aereo della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf)», ha dichiarato uno dei suoi portavoce. Successivamente fonti dell'esercito tedesco hanno spiegato che ci sono state 56 vittime: tutti guerriglieri talebani. Non sarebbe stato ucciso nessun civile e la versione iniziale della polizia locale sarebbe stata errata. L'Alleanza Atlantica si è poi però nuovamente corretta spiegando che molti civili coinvolti sono stati ricoverati negli ospedali della regione afghana di Kunduz.

RASMUSSEN - Un'inchiesta approfondita è stata promessa proprio dal segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen. «Il popolo afghano dev'essere consapevole che noi manteniamo con chiarezza l'impegno di proteggerlo, e che indagheremo immediatamente e pienamente su questa vicenda. Non è sicuro cosa sia accaduto. C'è stato un attacco aereo dell'Isaf contro i talebani, un certo numero dei quali sono rimasti uccisi. Esiste però la possibilità che siano morti anche civili».

KARZAI - Ma il bombardamento Nato ha provocato l'ira del presidente afghano Hamid Karzai: «Colpire i civili, in qualsiasi modo, è inaccettabile» ha sottolineato il capo dello Stato afghano.

ONU - Peter Galbraith, inviato speciale dell'Onu in Afghanistan, ha riferito che anche le Nazioni Unite manderanno sul posto dell'incidente un proprio gruppo investigativo e che «le famiglie di chi ha perso la vita ricevano tutto l'aiuto di cui hanno bisogno».

INCHIESTA - Una portavoce del comando Isaf a Kabul, il capitano di corvetta Christine Sidenstricker, ha confermato il raid aereo, puntualizzando però che sul sito dell'attacco «c'erano solo insorti», e che l'incursione era «mirata» contro di loro. «Ecco chi riteniamo sia stato ucciso», ha aggiunto, spiegando che i piloti e i loro comandanti hanno agito «sulla base delle informazioni disponibili sul campo». La portavoce ha aggiunto che è comunque già in corso un'inchiesta approfondita sulla vicenda. L'accaduto rischia di esasperare ancora di più i già difficilissimi rapporti tra le forze occidentali e la popolazione afghana, per non dire quelli con il governo del Paese centro-asiatico, che ha più volte denunciato gli eccessi perpetrati dagli alleati nella lotta ai talebani, imponendo a suo tempo anche modifiche alle regole d'ingaggio, peraltro adottate solo dalla Nato e non dalla coalizione multinazionale controllata dagli Usa, che continua nel frattempo a condurre una propria campagna anti-guerriglia "parallela" a quella della stessa Isaf. Si tratta altresì dell'ennesima riprova di quanto la situazione sul terreno in Afghanistan stia peggiorando sempre di più, di fronte alla rinnovata offensiva dei ribelli ultra-islamici, che finora non è stato possibile stroncare.


04 settembre 2009



Il Cavaliere ai giornalisti: "Abbeveratevi alla disinformazione di cui siete protagonisti"
Di Pietro: "La velina è come l'olio di ricino usato nel fascismo"
Berlusconi contro l'informazione
"Realtà mistificata, povera Italia"


ROMA - Un commento sulle dimissioni del direttore dell'Avvenire Dino Boffo? "Credo che possiate leggere sui giornali di oggi tutto il contrario della realtà". Silvio Berlusconi, al termine di una visita al Centro operativo interforze di Centocelle a Roma, si avvicina ai giornalisti e torna ad attaccare la stampa: "Abbeveratevi alla disinformazione di cui usati per elogiare Gianni Letta siete protagonisti. Povera Italia con un sistema informativo come questo". Di tutt'altro genere i toni usati per elogiare Gianni Letta, uno dei più stretti consiglieri del Cavaliere: "Quando ci sono cose da sapere io non ho bisogno di Internet perchè ho Letta che è un Internet umano".

Non cambia copione, il Cavaliere. Ripete gli attacchi ai media e getta benzina sulle polemiche sulla libertà d'informazione. Di Pietro attacca: "La 'velina' non è altro che l'olio di ricino usato nel ventennio. L'Italia dei valori insiste nel chiedere al Copasir di aprire una istruttoria per verificare il dossier, perché, con l'andata in porto delle dimissioni di Boffo, domani ce ne sarà un altro e un altro ancora, fino a dittatura completa".

Per il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone, invece la "violenza inaudita", di cui aveva parlato Boffo nel rassegnare le dimissioni, è quella usata da Repubblica contro il direttore del Giornale Vittorio Feltri.

Intanto proprio ieri Umberto Bossi ha incontrato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana. E oggi la Padania definisce la Lega come "il partito del dialogo". "Una risposta - spiega il quotidiano - alle polemiche strumentali montate ad arte di questi mesi. Una prova di eccellenti rapporti che caratterizzano il movimento leghista e la Chiesa cattolica. Ma non solo: l'incontro di ieri sera in Vaticano non è stato un semplice scambio di cortesie tra protagonisti del nostro Paese. E' stato molto di più".
(4 settembre 2009)


Sui media esteri le dimissioni del direttore di Avvenire e il conflitto con la Cei
Le Monde: "Le scappatelle imbarazzano la Chiesa". Feltri al Nyt: "Mi fate domande ingiuriose"
El Pais: "Berlusconi pericolo pubblico"
Wsj: "Crepa tra Vaticano e premier"



LONDRA - Per il quotidiano spagnolo El Pais è "un pericolo pubblico". Il New York Times scrive che, per attaccare chi lo critica, sta "ignorando il proprio paese, messo duramente alle corde dalla crisi finanziaria". Il Wall Street Journal parla di "tensioni sempre più profonde" con il Vaticano. E le dimissioni del direttore dell'Avvenire occupano ampio spazio sulle principali testate della stampa internazionale, in particolare nei paesi cattolici o in regioni, come a New York e Boston negli Stati Uniti, dove la presenza cattolica è particolarmente forte.

In Spagna, per esempio, El Pais, uno dei giornali contro cui il premier ha minacciato azione legale (per la pubblicazione delle foto dei party con donne in topless nelle sua villa in Sardegna), dedica un articolo agli ultimi sviluppi del caso, intitolato "Berlusconi costringe alle dimissioni il direttore del giornale dei vescovi italiani", facendo la sua "prima vittima", e in un editoriale parte, ricostruendo i punti essenziali della vicenda, il giornale afferma senza mezzi termini: "Quest'uomo, è, come ha detto sua moglie Veronica, 'ridicolo', però è anche un pericolo pubblico".

La medesima tesi, cioè che Dino Boffo, dimettendosi dall'Avvenire per le polemiche scatenate dalle accuse di omosessualità contenute in un articolo del Giornale di Vittorio Feltri, di proprietà del fratello di Berlusconi, sia diventato "una vittima" del primo ministro, ossia che l'operazione abbia come mandante ultimo il presidente del Consiglio, è condivisa da altri organi di stampa stranieri, come il New York Times, che mette oggi in prima pagina le dimissioni di Boffo con un titolo a quattro colonne: "Giornale cattolico perde un round nelle guerre del sesso in Italia". L'autorevole quotidiano newyorchese sottolinea che il Giornale, "considerato il portavoce della coalizione di centro destra", ha pubblicato un "audace" editoriale che ha preso in giro l'accento "mitteleuropeo" di papa Benedetto XVI, "che è tedesco", e ha esortato la Chiesa cattolica a confrontare la sua "ipocrisia" sulla sessualità di preti dalla "debole carne" così come la sua storia di "sodomia e pedofilia con chierichetti", per poi passare agli attacchi personali contro Boffo.

Il messaggio degli attacchi al direttore dell'Avvenire, prosegue l'articolo, "è chiaro: che un giornale cattolico dovrebbe stare attento a non criticare la vita personale del primo ministro". La corrispondente Rachel Donadio sente anche il parere di Feltri, che afferma di avere pubblicato le notizie sui problemi giudiziari di Boffo "per interessare l'opinione pubblica e per vendere copie", dichiarando di non avere discusso la cosa con Berlusconi: "E' una domanda che trovo irrilevante se non ingiuriosa", dice il direttore del Giornale. Conclude il quotidiano di New York: "Critici e alleati di Berlusconi dicono che egli sta avventurandosi in acque pericolose con la Chiesa e fomentando un ambiente in cui tutte le critiche sono viste come atti di slealtà".

Il titolo del Wall Street Journal è "un direttore dà le dimissioni dopo un conflitto con Berlusconi", e l'articolo afferma che Boffo, "influente direttore di un quotidiano cattolico che aveva criticato la vita privata del primo ministro" italiano, è diventato "vittima di una guerra di giornali che ha aperto una crepa tra il Vaticano e il premier". Le dimissioni, prevede il quotidiano finanziario americano, "aumenteranno probabilmente le tensioni tra il Vaticano e Berlusconi". Parole analoghe usa il quotidiano spagnolo La Vanguardia: "Costretto a dimettersi dopo aver criticato lo stile di vita di Berlusconi, il direttore del giornale dei vescovi è vittima di una campagna di discredito". La notizia ha fatto il giro del mondo: ne parlano l'Irish Examiner in Irlanda, il Toronto Star in Canada, il Clarin in Argentina, il Guardian in Gran Bretagna, la Suddeutsche Zeitung e altri giornali in Germania. Altri due quotidiani britannici, il Telegraph e l'Independent, rivolgono invece l'attenzione alla proiezione del documentario "Videocracy" alla Mostra del Cinema di Venezia: il Telegraph riporta le accuse a Berlusconi di "censura" della pellicola, l'Independent la descrive come un ritratto "del volto comico ma sinistro dell'Italia" berlusconiana. Sempre l'Independent, in un secondo articolo, riferisce le dimissioni di Boffo, affermando che sono la prova che a questo punto "sono stati tolti i guantoni" nel confronto tra il Vaticano e il primo ministro italiano.

Sulla vicenda, lo spagnolo Periodico de Catalunya interviene con un'intervista a Concita De Gregorio, direttrice dell'Unità, che dice: "Boffo è il primo della lista". L'intervistatore le chiede se ha paura, e lei replica: "No, non ho paura. Ma Berlusconi ha scelto Feltri per dirigere il giornale della sua famiglia per attaccare tutta la stampa indipendente".

Il francese Le Monde pubblica oggi un pezzo dal titolo "Le scappatelle di Berlusconi imbarazzano la Chiesa e il Vaticano". Le dimissioni di Boffo vengono considerate una "prima vittoria del clan di Berlusconi nel conflitto in corso", scrive il quotidiano francese che ha intervistato anche il vaticanista di Repubblica Marco Politi. "Una parte della Chiesa non nasconde più il suo imbarazzo", continua il giornale che nota come la "moralità" del Cavaliere non sia l'unico punto di scontro. Anche la politica del governo sull'immigrazione, con la creazione del reato di clandestinità, ha provocato l'ira delle gerarchie ecclesiastiche.

(4 settembre 2009)


Bari, gli intercettati parlano di esponenti nazionali
Verifiche contabili
"Fondi a politici del centrosinistra"
Sanità e appalti, l'inchiesta s'allarga

In arrivo la commissione parlamentare d'inchiesta sul sistema sanitario



BARI - Imprenditori e politici parlavano liberamente al telefono, facendo anche i nomi di personaggi nazionali ai quali sarebbe arrivato il denaro, frutto di un "patto criminale". Intanto, le microspie dei carabinieri registravano fedelmente le conversazioni.

Si sposta così ad un livello superiore l'indagine della procura antimafia di Bari sull'intreccio fra imprenditoria e sanità regionale, nella quale sono già state indagate 16 persone e per la quale il 7 e 8 settembre prossimi sarà a Bari la commissione parlamentare d'inchiesta sul sistema sanitario.
L'attenzione dei carabinieri del Nucleo investigativo, coordinati dal pm Desirée Digeronimo è ora puntata su cinque partiti di centrosinistra, i cui referenti avrebbero dovuto ricambiare il denaro ricevuto con generosi appalti. Già nel luglio scorso erano stati acquisiti bilanci e documentazione bancaria di Pd, Prc, Socialisti autonomisti dell'ex assessore regionale alla sanità Alberto Tedesco (ora senatore Pd e principale indagato), di Sinistra e Libertà (del governatore Vendola) e della Lista Emiliano, facente capo al sindaco di Bari.

Ora, incrociando le prime verifiche sulla documentazione con le intercettazioni delle telefonate fra Tedesco e alcuni imprenditori, sembrerebbe prendere corpo l'ipotesi che cifre a più zeri sarebbero state versate a politici regionali e nazionali. Microspie, piazzate per otto mesi nella stanza dell'ex assessore alla sanità, avrebbero poi registrato altri accordi, proposti da manager disponibili a finanziare i partiti di centrosinistra in cambio di "forniture e servizi" da svolgere in regime di monopolio.

Si tratta a questo punto di comprendere quale direzione abbia preso il flusso di denaro e da dove provenisse. L'ipotesi è che i soldi, prelevati da fondi neri delle società e occultati sotto false voci in bilancio, sarebbero stati dati ai politici locali e, in un successivo momento, sarebbero transitati nelle disponibilità dei referenti nazionali. Ma quello che salta all'occhio nelle diverse indagini sull'assessorato regionale alla sanità, affidate a più pm della stessa procura, è che la gestione dell'attività sarebbe stata spartita fra Alberto Tedesco e dirigenti e funzionari apparentemente fedeli all'imprenditore barese Gianpaolo Tarantini, lo stesso che avrebbe gestito un giro di escort portate anche a Palazzo Grazioli.

La "società" fra Tarantini e Tedesco si sarebbe poi infranta sulla reciproca concorrenza nella fornitura di protesi sanitarie in tutta la regione. E non sarebbe un caso che, come emerge dalle indagini, le nomine dei direttori generali della Asl venivano fatte su indicazione dello stesso ex assessore seguendo logiche di ritorno elettorale. Egualmente, gli appalti sarebbero stati affidati a chi era in grado di garantire un numero congruo di voti.

Ne parleranno martedì in Prefettura a Bari, dinanzi ai senatori della commissione, i pm titolari delle due più grosse inchieste: Desirée Digeronimo e Lorenzo Nicastro. Quest'ultimo, affiancato nell'indagine dal collega Roberto Rossi, indagando sulle anomalie nelle procedure di accreditamento delle strutture sanitarie di riabilitazione in Puglia, ha scoperto un nuovo triangolo sesso, affari e politica, nel quale sarebbe coinvolto Tarantini e un altro ex assessore della prima Giunta Vendola. Il politico avrebbe promesso a donne posti di lavoro e consulenze alla Regione o a Unioncamere Puglia, in cambio di prestazioni sessuali. Tra le sue accompagnatrici, anche una escort "offerta" da Tarantini, per ottenere appalti.

(4 settembre 2009)


IL COMMENTO
Il delitto è compiuto


DINO BOFFO, direttore dell'Avvenire, si è dimesso e non tiene conto discutere del sicario. È stato pagato per fare il suo sporco lavoro, se l'è sbrigata in fretta. Ora se ne vanta e si stropiccia le mani, lo sciagurato. Appare oggi più rilevante ricordare come è stato compiuto il delitto; chi lo ha commissionato e perché; quali sono le conseguenze per noi tutti: per noi che viviamo in questa democrazia; per voi che leggete i giornali; per noi che li facciamo.

Dino Boffo è stato ucciso sulla pubblica piazza con una menzogna che non ha nulla a che fare - né di diritto né di rovescio - con il giornalismo, ma con una tecnica sovietica di disinformazione che altera il giornalismo in calunnia. Il mondo anglosassone ha un'espressione per definire quel che è accaduto al direttore dell'Avvenire, character assassination, assassinio mediatico. Il potere che ci governa ha messo in mano a chi dirige il Giornale del capo del governo - una sorta di autoalimentazione dell'alambicco venefico a uso politico - un foglio anonimo, redatto nel retrobottega di qualche burocrazia della sicurezza da un infedele servitore dello Stato. C'era scritto di Boffo come di "un noto omosessuale attenzionato dalla Polizia di Stato". L'assassino presenta quella diceria poliziesca come un fatto, addirittura come un documento giudiziario.

È un imbroglio, è un inganno. Non c'è alcuna "nota informativa". È soltanto una ciancia utile al rito di degradazione. L'assassino la usa come un bastone chiodato e, nel silenzio degli osservatori, spacca la testa all'errante. L'errore di Boffo? Ha criticato, con i toni prudentissimi che gli sono propri e propri della Chiesa, lo stile di vita di Silvio Berlusconi. Ha lasciato che comparissero sulle pagine del quotidiano della Conferenza episcopale l'amarezza delle parrocchie e dei parroci, il disagio dei credenti e del mondo cattolico più popolare dinanzi all'esempio di vita di Quello-Che-Comanda-Tutto.

Ora che c'è un morto, viene il freddo alle ossa pensare che anche una prudente critica, una sorvegliata disapprovazione può valere, nell'infelice Paese di Berlusconi, il prezzo più alto: la distruzione morale e professionale. Ma soltanto le prefiche e gli ipocriti se ne possono meravigliare. Da mesi, il presidente del Consiglio ha rinunciato ad affermare la legittimità del suo governo per mostrare, senza alcuna finzione ideologica, come la natura più nascosta del suo potere sia la violenza pura. Con l'assassinio di Dino Boffo, prima vittima della "campagna d'autunno" pianificata con lucidità da Berlusconi (ha lavorato a questo programma in agosto dimenticando la promessa di andare all'Aquila a controllare i cantieri della ricostruzione), questa tecnica di dominio politico si libera di ogni impaccio, di ogni decenza o scrupolo democratico.

Berlusconi decide di muovere contro i suoi avversari, autentici e presunti, tutte intere le articolazioni del multiforme potere che si è assicurato con un maestoso conflitto d'interesse. Stila una lista di nemici. Vuole demolirli. Licenzia quelli tra i suoi che gli appaiono pirla, fessi, cacaminuzzoli. Vuole sicari pronti a sporcarsi le mani. È il padrone di quell'industria di notizie di carta e di immagini. Muove come vuole. È anche il presidente del Consiglio e governa le burocrazie della sicurezza (già abbiamo visto in un'altra stagione i suoi servizi segreti pianificare la demolizione dei "nemici in toga").

Il potere che ci governa chiede e raccoglie nelle sue mani le informazioni - vere, false, mezze vere, mezze false, sudicie, fresche o ammuffite - che possano tornare utili per il programma di vendetta e punizione che ha preparato. Quelle informazioni, opportunamente manipolate, sono rilanciate dai giornali del premier nel silenzio dei telegiornali del servizio pubblico che controlla, nell'acquiescenza di gruppi editoriali docili o intimiditi. È questo il palcoscenico che ha visto il sacrificio di Dino Boffo ordinato da Quello-Che-Comanda-Tutto.

È la scena dove ora salmodiano il coro soi-disant neutrale, le anime fioche e prudenti in cerca di un alibi per la loro arrendevolezza, gli ipocriti in malafede che, riscoprendo fuori tempo e oltre ogni logica la teoria degli "opposti estremismi" mediatici, accomunano senza pudore le domande di Repubblica alle calunnie del Giornale; un'inchiesta giornalistica a un rito di degradazione sovietico; la vita privata di un libero cittadino alla vita di un capo di governo che liberamente ha deciso di rendere pubblica la sua; la ricerca della verità all'uso deliberato della menzogna.

È questa la scena che dentro le istituzioni e nel Paese dovrebbe preoccupare chiunque. Per punirlo delle sue opinioni, un uomo è stato disseccato, nella sua stessa identità, da una mano micidiale che ha raccolto contro di lui il potere della politica, dello Stato, dell'informazione, dei giornali di proprietà del premier usati come arma politica impropria. Nei cromosomi della democrazia c'è la libertà di stampa e, come si legge nell'articolo 21 della Costituzione, "il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero". È questa libertà che è stata umiliata e schiacciata con l'assassinio di Dino Boffo. Lo si vede a occhio nudo, anche da lontano. "Un giornalista è l'ultima vittima di Berlusconi", scrive il New York Times. Chi, in Italia, non lo vuole vedere e preferisce chiudere gli occhi è un complice degli uccisori e di chi ha commissionato quel character assassination.

(4 settembre 2009)
 
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