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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 31/8/2009, 19:05 by: Lucky (Due di Picche)




SCONTRO SULLA NOTA ANONIMA: «SEMBRA UN AVVERTIMENTO MAFIOSO»
Mogavero: «Boffo potrebbe dimettersi»
Il vescovo di Mazara: «Se lo fa non è per ammissione di colpa, ma per il bene della Chiesa e del giornale»

MILANO - Dino Boffo potrebbe valutare la possibilità di dimettersi da direttore del quotidiano Avvenire, «non certo per ammissione di colpa, ma per il bene della Chiesa e del giornale». È monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo e presidente del consiglio Cei per gli Affari giuridici, il primo prelato a parlare esplicitamente di dimissioni, dopo l'attacco del Giornale di Vittorio Feltri: «Se ritiene che tutta la vicenda, pur essendo priva di fondamento, possa nuocere alla causa del giornale o agli uomini di Chiesa, Boffo potrebbe anche decidere di dimettersi. In effetti in Italia chi si dimette è sempre ritenuto colpevole, ma non sempre è così. Se Boffo accettasse anche di passare per un disgraziato pur di non nuocere alla causa del giornale, farebbe la cosa giusta. Poi nelle sedi opportune si accerteranno debitamente i fatti».

SECONDO EDITORIALE - Un invito che il direttore non sembra aver intenzione di accogliere. Martedì mattina su Avvenire Dino Boffo pubblicherà un secondo intervento (dopo quello di domenica), per spiegare cosa c’è dietro la lettera anonima spedita almeno tre mesi fa e inviata a circa 300 persone, tra vescovi, una vasta rappresentanza della Curia e alcuni direttori di giornali. Il quotidiano della Cei dedicherà ben tre pagine alla vicenda, nella rubrica «Il direttore risponde», in cui compariranno anche lettere di solidarietà arrivate in redazione. Domenica era stato il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, ha espresso la sua vicinanza al direttore di Avvenire. «Boffo è molto provato e umanamente a pezzi, come anche tutta la sua famiglia - dice una fonte a lui vicina -, ma non ha intenzione di arrendersi». Tuttavia circola insistente la voce di possibili dimissioni nell’arco di qualche mese, tanto più che una frangia dell’episcopato italiano - quella legata all’ala martiniana e progressista - non è in totale accordo con le posizioni di Boffo.

«AVVERTIMENTO MAFIOSO» - A proposito della lettera anonima inviata a tutti i vescovi, monsignor Mogavero conferma: «L’ho ricevuta anche io, poco prima di Pasqua. È un momento di grande imbarbarimento, questa storia si contorna sempre più di tinte sgradevoli. Ho subito pensato che fosse un’operazione pilotata da qualcuno, diretta a noi vescovi, un’operazione squallida, quasi un avvertimento mafioso. A me è arrivata una fotocopia, ma c’era tanto di carta intestata, e il pezzo riconduceva al casellario giudiziario. Le ipotesi dunque sono due: o qualcuno ha messo mano a documenti riservati - e questo è estremamente grave - o qualcuno ha diffuso la notizia falsa per far scoppiare una bomba ad orologeria. È un’operazione squallida, che non ha nessuna credibilità. Lo scopo? Forse delegittimare i vescovi, o Avvenire, o Boffo? Oppure spaccare ulteriormente il mondo cattolico? Ma né l’uno né l’altro scopo è stato raggiunto e le posizioni espresse in passato da Avvenire sulle principali vicende politiche italiane rimangono valide».

LA NOTA ANONIMA - Dunque resta un mistero l'origine del mini dossier che accusa Boffo e che è stato reso pubblico da Feltri. L'informativa, una nota anonima, è stata praticamente inviata a tutti i vescovi d’Italia per posta. Secondo una ricostruzione dell'agenzia Apcom potrebbe essere partita da ambienti dell’università Cattolica di Milano e recapitata in prima battuta alla diocesi ambrosiana e all’Istituto Giuseppe Toniolo presieduto dal cardinal Dionigi Tettamanzi. L'invio del foglio anonimo risalirebbe al momento in cui si stava discutendo la riconferma della nomina di Boffo a segretario dello stesso Istituto Toniolo. Nessun commento dalla diocesi milanese e da Tettamanzi. In ambienti ecclesiali si dice che, mentre la sentenza è vera, «l’informativa aggiuntiva potrebbe essere una bomba a orologeria per regolare questioni personali o politiche». Secondo monsignor Mogavero in ogni caso la vicenda «pesa» nelle relazioni tra Chiesa e governo perché «indubbiamente in situazioni come questa c'è uno spirito di corpo che si ricompatta anche se precedentemente vi poteva essere una situazione sfilacciata». «Se il premier Silvio Berlusconi - continua il vescovo di Mazara - cerca un riavvicinamento con la Chiesa deve semplicemente cambiare stile di vita, deve semplicemente fare il politico e non il manager o l'uomo di spettacolo». Poi, prosegue Mogavero, «il giudizio sulla sua politica lo daranno il Parlamento e la storia ma se cerca la vicinanza con il mondo ecclesiastico deve assumere un rigoroso stile di vita. Non ci interessa la sua vita privata, ci interessa che non ne faccia motivo di spettacolo».

«I SERVIZI NON C'ENTRANO» - Entrando nel merito della vicenda Boffo, il presidente del Copasir Francesco Rutelli ha escluso un coinvolgimento dei Servizi, assicurando la «massima attenzione contro eventuali deviazioni». «A proposito degli articoli di stampa che ipotizzano la formazione di documentazione illecita nell'ambito delle polemiche in corso, il presidente del Comitato parlamentare per la Sicurezza della Repubblica Francesco Rutelli - si legge in un comunicato- ha reso noto che il comitato non ha ricevuto finora alcuna segnalazione su coinvolgimenti diretti o indiretti di persone legate ai servizi di informazione. Il Copasir dedicherà il massimo di attenzione ad ogni notizia a questo proposito e vigilerà perché non si registrino deviazioni, in qualunque direzione, dai compiti istituzionali in un momento molto delicato per la vita democratica».

IL FASCICOLO A TERNI - Informativa a parte, negli archivi del tribunale di Terni è conservato il fascicolo processuale che riguarda il direttore di Avvenire e che lo costrinse a pagare un'ammenda di 516 euro. Sulla vicenda lunedì mattina il procuratore Fausto Cardella, che all'epoca dei fatti non guidava ancora l'ufficio, non ha voluto fare commenti. Si è limitato a confermare che nessuna iniziativa è stata presa dalla Procura in seguito alla pubblicazione della notizie riguardanti Boffo. Da parte sua il gip di Terni Pierluigi Panariello ha spiegato che nel fascicolo riguardante il procedimento per molestie a carico di Dino Boffo «non c'è assolutamente alcuna nota che riguardi le sue inclinazioni sessuali». Il giudice si sta occupando della vicenda essendo stato chiamato a decidere in merito alle richieste di accesso agli atti presentate da diversi giornalisti. Non si trovano invece più a Terni il pubblico ministero che coordinò l'inchiesta e il gip che firmò il decreto penale di condanna nei confronti di Boffo per molestie.

CESA E ROTONDI - A sostegno del giornalista scende ancora in campo il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa: «L'attacco a un giornale libero come Avvenire che per tutti noi cattolici è un punto di riferimento è vergognoso ed è un segno del degrado della politica dei nostri tempi» spiega il leader centrista a margine del sit-in di protesta davanti all'Ambasciata libica di via Nomentana a Roma contro la visita del premier Berlusconi a Tripoli. Cesa si augura che venga fatta luce «sul dossier che è girato tra le redazioni e lo si faccia in Parlamento nella commissione competente che è il Copasir». Per il ministro per l'Attuazione del programma di governo, Gianfranco Rotondi, «questo è uno dei casi in cui serve solo la preghiera per tutti i protagonisti di questo doloroso capitolo della vita nazionale». «Il livello di imbarbarimento nel rapporto tra politica e informazione è tale che necessita di un momento di riflessione e di responsabilità» sostiene Piero Fassino. All'esponente del Pd replica il presidente dei deputati del Pdl Fabrizio Cicchitto: «Quello che afferma Fassino sull'imbarbarimento dello scontro politico-giornalistico è condivisibile se riguarda ciò che è successo in Italia da alcuni mesi a questa parte e se si rivolge a trecentosessanta gradi a tutti i mezzi di comunicazione di massa, giornali e trasmissioni televisive, che si sono esibiti su questo terreno». Infine, l'Italia dei Valori ha presentato un esposto alla autorità giudiziaria sulla vicenda. «È sbagliato prendersela con Feltri, in quanto ha dato la notizia di un atto giudiziario esistente - afferma Antonio Di Pietro -. È necessario invece prendersela con il mandante e l'esecutore dell'attività di dossieraggio. Qualcuno si è messo a fare veline, dossier, per conto di qualche "eccellenza": vorrei sapere chi è l'eccellenza, chi lo ha ordinato e chi lo ha eseguito».




31 agosto 2009



l'imbarcazione è a cinque miglia dalle coste di tripoli. Di Pietro: governo fascista
Immigrati respinti, Ue chiede spiegazioni
Sul gommone 75 persone, anche donne e bimbi. Maroni: «Avanti con i respingimenti, nei Cie nessuna emergenza»


MILANO- Mentre l'Unione Europea chiede informazioni «ai paesi interessati Italia e Malta» sul respingimento del gommone con a bordo 75 persone, l'imbarcazione è in balia delle onde. A 5 miglia dalla Libia non riesce a raggiungere le coste.

L'UNIONE EUROPEA- È stata inviata, quindi, una richiesta ben precisa «per poter valutare la situazione». Lo ha riferito oggi a Bruxelles un portavoce dell’Esecutivo comunitario, Dennis Abbott che ha aggiunto: « La Commissione sottolinea che qualunque essere umano ha diritto di sottoporre una domanda che gli riconosca lo statuto di rifugiato o la protezione internazionale». Inoltre ha ricordato una lettera del commissario alla Giustizia, libertà e sicurezza, Jacques Barrot nella quale ha scritto: «Il principio di non-refoulement (non respingimento, ndr), così come è interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, significa essenzialmente che gli Stati devono astenersi dal respingere una persona (direttamente o indirettamente) laddove potrebbe correre un rischio reale di essere sottoposta a tortura o a pene o trattamenti inumani o degradanti».

MARONI: «PRASSI NORMALE» - Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, definisce la richiesta della Commissione europea di informazioni sull’ultimo respingimento di immigrati al largo delle coste libiche come «una prassi assolutamente normale che è avvenuta in passato». Si tratta ha aggiunto di una richiesta di informazioni - ha detto uscendo dalla sede della Lega di via Bellerio - a cui noi abbiamo sempre risposto, continueremo a farlo e che non ha portato ad alcuna presa particolare della Commissione. Siamo assolutamente tranquilli». Maroni ha poi negato che in futuro siano previste regolarizzazioni anche per altri lavoratori: «Quello del lavoro domestico è un settore verso il quale è necessaria molta attenzione ed è per questo che parte la procedura per l'emersione e la regolarizzazione di chi lavora. Non è però al vaglio del governo la possibilità di dare il via a una procedura simile per altre tipologie di lavoro». Dunque il ministro ha assicurato che proseguiranno i respingimenti degli immigrati, invitando i media a diffondere notizie con prudenza: «In Libia c'è la sede dell'Alto Commissariato e l'ultimo respingimento è stato fatto in acque internazionali. Non so chi ha diffuso notizie secondo le quali gli immigrati erano del Corno d'Africa. Per il barcone di qualche settimana fa con 75 clandestini, la stampa aveva scritto che si trattava di curdi e iracheni, quindi di profughi. E invece è emerso che erano tutti egiziani e in Egitto sono già stati rispediti». Maroni ha quindi precisato che il respingimento dei clandestini verso la Libia «fa parte di un protocollo sottoscritto quando ministro dell'Interno era Giuliano Amato».

IL GOMMONE- Intanto pare non sia ancora arrivato a destinazione, il gommone carico di rifugiati somali. Si trova a circa 5 miglia dalle coste della Libia che non riesce a raggiungere a cause delle cattive condizioni del mare. L'imbarcazione era stata intercettata dalla Guardia di Finanza a circa 24 miglia a sud di capo passero non avrebbe ancora raggiunto l'approdo libico a causa delle cattive condizioni del mare.

COINVOLTI I COMUNI - A Milano il ministro dell'Interno Maroni e il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella hanno firmato un protocollo con l'Anci, l'associazione dei Comuni. Maroni ha accolto la proposta del sindaco di Torino e presidente Anci, Sergio Chiamparino, di coinvolgere i Comuni nel rinnovo dei permessi di soggiorno «Accolgo l'invito - ha detto Maroni - e credo che un protocollo affinché i permessi di soggiorno possano essere rinnovati anche dai Comuni possa essere stipulato in breve tempo. Credo si possa fare per il rinnovo, in quanto è una procedura più snella e non è necessario l'intervento degli uffici della Questura».

«CIE, NESSUNA EMERGENZA» - Per quanto riguarda la situazione nei Centri di identificazione ed espulsione, dove negli ultimi mesi ci sono stati diversi episodi di protesta da parte degli stranieri, Maroni non esiste alcuna emergenza: «Vedo che c'è molta attenzione da parte della stampa per alcuni episodi che si sono verificati. Non c'è alcuna emergenza, sono episodi accaduti altre volte».

DI PIETRO: «GOVERNO FASCISTA» - Sulla questione è intervenuto anche il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro: «A me pare che un po' di umanità ci debba essere e che questo governo sia reintroducendo invece il fascismo, il nazismo la xenofobia di una volta...». «Noi dell'Idv siamo convinti che non possiamo accogliere tutti gli immigrati del mondo nel nostro Paese - ha aggiunto l'ex pm - e che il problema riguarda tutta la società occidentale, l'Europa che devono trovare una linea comunque, ma tutto questo non è una buona ragione per buttare a mare come scarafaggi le persone che stanno in mezzo al mare e in pericolo di vita e soprattutto quelle persone che vengono da noi per motivi di asilo politico o grave malattia».




31 agosto 2009



La replica: nessuno darà peso alle sue azioni teppistiche
Gheddafi: «Via Israele dall'Africa»
Gerusalemme: «È solo un bulletto»

Il leader libico attacca lo Stato Ebraico davanti all'Unione Africana: colpa sua i conflitti nel nostro continente

Usa, in tribunale per fermare visita di Gheddafi (31 agosto 2009)
Il leader libico Muammar Gheddafi (Eidon)
MILANO - Israele è dietro a tutti in conflitti in Africa: per questo «tutte le sue ambasciate nel continente vanno chiuse». Con queste parole il leader libico Muammar Gheddafi si è scagliato contro lo Stato ebraico durante l'apertura del vertice dell'Unione Africana a Tripoli. Israele - ha accusato il colonnello - «alimenta le crisi in Darfur, Sud Sudan, Ciad, per sfruttare le ricchezze di quelle aree, per questo chiediamo alle ambasciate israeliane di lasciare l'Africa». Solo l'Unione Africana, secondo Gheddafi, ha il compito, «diritto-dovere», di tenere le questioni legate ai conflitti in Africa sempre all'ordine del giorno «per aiutare gli africani a trovare soluzioni pacifiche ai conflitti in corso» .

«E' SOLO UN BULLETTO» - La replica di Gerusalemme non si è fatta attendere. «Quel circo equestre itinerante che è Gheddafi è divenuto da tempo uno show tragicomico che imbarazza chi lo ospita e la nazione libica che ne paga il conto» ha detto il portavoce del ministero degli Esteri israeliano, Yigal Palmor, ha commentato la richiesta di chiusura di tutte le ambasciate di Israele in Africa avanzata dal leader libico in apertura del vertice dell'Unione africana in corso a Tripoli. Interpellato dall'Ansa, Palmor ha così proseguito: «Mi chiedo se vi sia ancora qualcuno al mondo che prende seriamente ciò che dice quest'uomo. Noi comunque siamo certi che nessuno stato darà peso alle azioni teppistiche di questo bulletto». Israele ha dieci ambasciate in Africa e nei prossimi giorni il ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, comincerà un viaggio in diversi stati africani - il primo di un capo della diplomazia israeliana dopo molti anni - con l'intento di rafforzare le relazioni con questo continente.


31 agosto 2009



Il passaggio di proprietà formalizzato per 4 miliardi di dollari
Topolino si compra l'Uomo Ragno
La Walt Disney acquisisce Marvel, casa editrice che pubblica anche i Fantastici Quattro e L'incredibile Hulk

MILANO - La Walt Disney ha annunciato oggi di aver raggiunto un accordo per acquistare la Marvel Entertainment per 4 miliardi di dollari in titoli e azioni. Una volta finalizzata la transazione, la Disney diventerà titolare di serie di grandissimo successo come «I fantastici quattro», «Spider Man», «X-men» e l'«Incredibile Hulk». Dopo l'annuncio le azioni della Marvel volano in borsa di oltre il 25% a circa 49 dollari.

OPPORTUNITA' DI CRESCITA - «Aggiungere la Marvel al portafoglio di marchi già unico della Disney - ha detto l'amministratore delegato Bob Iger - garantisce significative opportunità di crescita nel lungo termine oltre che la generazione di valore». In base agli accordi presi, gli azionisti di Marvel riceveranno 30 dollari in contanti più 0,745 azioni Disney per ogni titolo detenuto. Ike Perlmutter, attuale amministratore delegato di Marvel, rimarrà alla guida delle attività Marvel e lavorerà a stretto contatto con la dirigenza di Disney per integrare al meglio i rispettivi business. In un'intervista alla Cnbc, Iger ha precisato che l'acquisto di Marvel non significa necessariamente l'inizio di una nuova fase di acquisti da parte della Disney.

UN MARCHIO STORICO - La Marvel era nata nel 1939 quando l'editore newyorkese Franc Torpey decise di pubblicare la rivista Motion Picture Funnies Weekly in cui comparivano tra l'altro le avventure dell'uomo di Atlantide, il supereroe principe Namor aka Sub Mariner. La rivista non ebbe molti riscontri ma l'idea della rivista a fumetti piacque molto a un altro editore, Martin Goodman, della Western Fiction Publishing, che decise di rilevare la soceità di Torpey dando poi vita alla Timely Comics. Che negli anni a seguire iniziò a pubblicare le avventure di altri supereroi, da Capitan America ai già citati Fantastici Quattro, Spiderman, Hulk e X-Men, e che arrivò ad acquisire l'attuale denominazione nel 1961.






31 agosto 2009



«in ospedale non mi hanno curato. le autorità non si sono occupati del mio caso»
«I talebani mi hanno mutilato»
Il racconto di Lal Mohamed a cui hanno tagliato naso e orecchie mentre si recava ai seggi elettorali

KABUL - Ci vuole coraggio. Per uscire di casa e andare a votare. Per raccontare e denunciare quello che è successo. Semplicemente per riuscire a sopravvivere in Afghanistan. Tra bombe e minacce. Tra soldati e talebani. Lal Mohamed è un uomo coraggioso. Uno dei tanti eroi che vivono nel paese. Il 20 agosto ha sfidato i talebani. Ha lasciato il suo villaggio, nella provincia di Uruzgan, per andare in uno dei seggi elettorali. Non c'era minaccia a convincerlo di non uscire di casa. I Mujaheddin l'hanno fermato e, dopo averlo picchiato a sangue, gli hanno tagliato naso e orecchie. Lo hanno lasciato così, sul ciglio della strada, come esempio per tutti gli afgani che volevano esercitare il loro diritto di voto. E che sperano nella democrazia e nel futuro.

LA DENUNCIA- C'è chi dice che nel paese ci sono sicuramente altri casi simili. Ma per adesso Mohamed è tra i pochi che ha deciso di raccontare e ha scelto il quotidiano inglese Independent. È a casa di un amico. Mutilato e umiliato, l'uomo di 40 anni, ha spiegato, tra le lacrime, che la mattina delle elezioni doveva camminare almeno un'ora e mezza per arrivare al suo seggio. Dopo solo mezz'ora è stato fermato da tre uomini armati che hanno trovato il certificato elettorale. «Hanno cominciato a picchiarmi così forte che sono caduto a terra. Poi un uomo si è seduto a cavalcioni su di me e ha tirato fuori un coltello». Mohamed, poi non si ricorda nulla, tranne che è rimasto sulla strada per molto tempo. Fino a quando «un uomo mi ha portato a Kabul su un asino. Pensavo di morire». All'ospedale, «nessuno mi ha assistito, mi hanno rimandato a casa dicendo che erano pieni e di tornare dopo un paio di giorni». Solo che «ero una maschera di sangue». Ha dovuto farsi «prestare dei soldi per comprare le medicine. Adesso mi hanno promesso un intervento, però c'è il problema del debito». Intanto neanche la polizia «è intervenuta»

LE ELEZIONI- «Ecco cosa succede quando ci si mette contro i talebani. Gli stranieri dicono: "Esci a votare". Poi però non ti aiutano», a parlare questa volta è l'amico di Mohamed. Si è preso cura di lui, lo protegge e lo sta curando. I talebani erano stati chiari: «Non andate a votare e ve ne pentirete». Nel sud l'affluenza è stata bassissima, «troppa paura delle conseguenze». Ma c'è chi come Mohamed non pensava di «fare qualcosa di sbagliato». Per questo si è fatto coraggio. Ed è partito per votare.



31 agosto 2009



Le vittime, impegnate a "combattere le fiamme", erano a bordo di un veicolo uscito di strada
L'aria calda e secca di questi giorni non concederà tregue almeno fino a domani
California, morti due pompieri
Gli incendi minacciano L.A


LOS ANGELES - Gli incendi che da mercoledì stanno martoriando la California, hanno fatto le prime vittime: due pompieri sono morti nella Contea di Los Angeles, mentre erano impegnati a "combattere le fiamme", che da ieri, a causa di un forte vento, sono fuori controllo. L'aria calda e secca alimenta le fiamme. cattive notizie dai meteorologi: le condizioni rimarranno invariate fino a martedì. Intanto è stata creata una task force che avrà il compito di salvaguardare i tralicci e le strutture di comunicazione collocate sul monte Wilson.

L'incendio, che sta devastando la Foresta nazionale di Angeles, a nord di una zona densamente popolata e a una trentina di chilometri da Los Angeles, è ancora considerato "fuori controllo". Le fiamme minacciano ormai il centro di trasmissioni del monte Wilson, che garantisce la diffusione delle principali reti televisive della città, di due terzi delle radio e le comunicazioni di molte forze dell'ordine, locali e federali.

Circa 2 mila e 500 vigili del fuoco si stanno battendo contro le fiamme, mentre elicotteri e aerei riversano acqua dall'alto sulle fiamme: il fumo, assai denso, è visibile a chilometri di distanza sul cielo di Los Angeles e nelle valli di San Fernando e San Bernardino, a nord della megalopoli. E proprio nell'intento di far fronte ai violenti incendi due pompieri hanno perso la vita. Secondo Mike Bryant, potavoce dei vigli del fuoco, il veicolo su cui si trovavano è uscito di strada per ragioni ancora non chiare, a sud della città di Acton.

Le fiamme hanno già distrutto più di 17 mila ettari di vegetazione e i vigili del fuoco temono che il bilancio possa aggravarsi nelle prossime ore. Ieri sera, 18 abitazioni sono state distrutte, la maggior parte nella foresta di Angeles. Al momento, oltre 4 mila abitazioni sono state evacuate, mentre l'incendio continua a minacciare altre 10 mila case e 2 mila e 500 edifici. Il governatore della California, Arnold Schwarzenegger, che ieri si è recato nell'area, ha chiesto a tutti i cittadini di ascoltare gli appelli delle autorità locali e di liberare le proprie abitazioni, se necessario.
(31 agosto 2009)


E' successo a Mingora, nel nord- ovest del paese. Le vittime
giovani poliziotti. Scatta il coprifuoco per timore di nuovi attacchi
Pakistan, terrore senza fine

Kamikaze uccide 14 reclute

MINGORA - Ancora sangue in Pakistan. Almeno 14 reclute di polizia sono rimaste uccise in seguito a un attentato suicida avvenuto oggi nella Swat Valley, nel nord-ovest del Pakistan. Si tratta di uno dei maggiori attacchi, da quando l'esercito ha detto di aver riconquistato il controllo dell'area scacciando i talebani.

Le immagini della tv hanno mostrato gli agenti intenti a raccogliere i resti di corpi mutilati fuori dalla centrale nella città principale della Valley, Mingora. L'attentato è avvenuto - secondo un agente - mentre le nuove reclute erano impegnate nell'addestramento vicino alla caserma, il giorno dopo che l'esercito ha distrutto uno dei principali campi di addestramento di kamikaze.

Il ministro dell'informazione della provincia, Mian Iftikhar Hussain, aveva dichiarato in precedenza che 12 agenti di una nuova unità di polizia erano rimasti uccisi durante l'addestramento vicino alla stazione dopo che un attentatore suicida si è fatto esplodere. Inizialmente un funzionario pachistano aveva riferito di una forte esplosione e di uno scontro a fuoco nel quale erano morte tre reclute. Adesso una fonte medica, Ikram Khan, ha affermato che almeno 14 corpi senza vita di poliziotti sono stati trasportati all'ospedale locale.

E' stato dichiarato il coprifuoco a Mingora, ha aggiunto un responsabile locale della polizia, spiegando che l'esercito e la polizia pattugliano la città e che i negozi sono stati chiusi per il timore di nuovi attentati.

A fine aprile l'esercito pachistano ha lanciato una pesante offensiva in tre distretti nord-occidentali, Swat, Bas Dir e Buner, per contrastare l'avanzata dei talebani a un centinaio di chilometri dalla capitale Islamabad. I combattimenti hanno obbligato 1,9 milioni di civili a lasciare le loro abitazioni, scatenando una crisi umanitaria. Attualmente, secondo i dati del governo, 1,6 milioni di sfollati sono rientrati a casa.
L'esercito afferma di avere ucciso da allora più di 1.930 ribelli e perso negli scontri 170 uomini, un bilancio impossibile da verificare tramite fonti indipendenti.

Il primo ministro pachistano Yousuf Raza Gilania il mese scorso ha annunciato che l'esercito ha "eliminato" i ribelli nella regione. Ma gli attacchi proseguono a swat e nei distretti vicini, facendo pensare che i talebani si siano semplicemente rifugiati nelle zone montuose circostanti.

(30 agosto 2009)


Le Figaro riferisce del mancato incontro con il cardinal Bertone
"Nessuna indulgenza per Silvio Berlusconi, disaccordo crescente"

Il Cavaliere "esasperato"
e il pasdaran Vittorio Feltri



PARIGI - "Nessuna indulgenza per Silvio Berlusconi". Le Figaro racconta oggi del mancato appuntamento con il cardinal Bertone, titolando sul "disaccordo crescente con la Chiesa". "L'incidente rivela il clima di nervosismo che aleggia a Palazzo Chigi", scrive il quotidiano conservatore, che osserva quanto il Cavaliere sia "esasperato" dagli attacchi della stampa, compresa quella cattolica. Nella corrispondenza da Roma, Le Figaro parla anche delle accuse lanciate a Dino Boffo dalle colonne del Giornale.

Lo stile del quotidiano diretto da Vittorio Feltri viene associato a quello dei "pasdaran del regime iraniano". "E' lo stesso giornale - è scritto nell'articolo di oggi - che aveva dato della 'snob' a Carla Sarkozy perché non si era piegata al programma ufficiale del G8", costringendo poi Berlusconi a scusarsi con la première dame. "E intanto i rapporti con il mondo dell'informazione sono ai minimi storici" conclude il giornale francese riportando la notizia della citazione contro Repubblica e la volontà del premier di attaccare molti giornali stranieri.

I "rapporti tesi" tra Chiesa e Berlusconi sono sulla prima pagina del quotidiano La Croix. Il conflitto - secondo il più grande giornale cattolico francese - potrebbe essere "insanabile", "a causa della vita dissoluta del premier e dell'alleanza con il partito xenofobo Lega Nord".

Molti siti francesi continuano a riportare la controffensiva di Berlusconi, e i suoi problemi con il Vaticano. Negli ultimi giorni, le notizie dall'Italia hanno dato luogo anche ad approfondimenti nelle tv e nella radio. France Info ha trasmesso alcune analisi sulla situazione dei media nel nostro paese e un commento di Serge Raffy, autore del pezzo del Nouvel Observateur citato dagli avvocati del premier. "E' un onore essere attaccato da Berlusconi - ha detto il giornalista - ed è un invito ad andare avanti nel nostro lavoro di inchiesta". Sul sito del Nouvel Observateur, oltre alla notizia della possibile denuncia contro il settimanale francese, campeggia anche un altro articolo: "Berlusconi in Libia nonostante Lockerbie".
(31 agosto 2009)


LA POEMICA
Dove è finita l'informazione


Esploso in questi mesi come una battaglia di verità, davanti alle contraddizioni e alle bugie del premier, lo scandalo Berlusconi diventa oggi un problema di libertà, come sottolineano tutti i grandi quotidiani europei, evidenziando ancor più il conformismo silente dei giornali italiani. Prima la denuncia giudiziaria delle 10 domande di "Repubblica", un caso unico al mondo: un leader che cita in giudizio le domande che gli vengono rivolte, per farle bloccare e cancellare, visto che non può rispondere. Poi l'intimidazione alla stampa europea, perché non si occupi dello scandalo. Quindi il tentativo di impedire la citazione in Italia degli articoli dei giornali stranieri, in modo che il nostro Paese resti all'oscuro di tutto. Ecco cosa sta avvenendo nei confronti della libertà di informazione nel nostro Paese.

A tutto ciò, si aggiunge lo scandalo permanente, ma ogni giorno più grave, della poltiglia giornalistica che la Rai serve ai suoi telespettatori, per fare il paio con Mediaset, l'azienda televisiva di proprietà del premier. È uno scandalo che tutti conoscono e che troppi accettano come una malattia cronica e inguaribile della nostra democrazia. E invece l'escalation illiberale di questi giorni conferma che la battaglia di libertà si gioca soprattutto qui. La falsificazione dei fatti, la mortificante soppressione delle notizie ridotte a pasticcio incomprensibile, rendono impossibile il formarsi di una pubblica opinione informata e consapevole, dunque autonoma. Anzi, il degrado dei telegiornali fa il paio con il pestaggio mediatico dei giornali berlusconiani. Molto semplicemente, il congresso del pd, invece di contemplare il proprio ombelico, dovrebbe cominciare da viale Mazzini, sollevando questa battaglia di libertà come questione centrale, oggi, della democrazia italiana.

In quest'ultima stagione del berlusconismo abbiamo contemplato l'apice del conflitto d'interessi, l'anomalia più grave (a questo punto la mostruosità) della politica italiana. Si è vista l'occupazione della Rai e specialmente dei vertici dei telegiornali, cioè ruoli pubblici trasformati in postazioni partigiane; e nello stesso tempo la blindatura militare dei media di proprietà diretta o indiretta del capo del governo.
Berlusconi voleva un'anestesia della società italiana, in modo da poter comunicare ai cittadini esclusivamente le sue verità, i successi, le vittorie, le sue spettacolari "scese in campo" contro i problemi nazionali. L'immondizia a Napoli, il terremoto in Abruzzo, la continua minimizzazione della recessione. Una e una sola voce doveva essere udita, e gli strumenti a disposizione hanno fatto sì che fosse praticamente l'unica a essere diffusa e ascoltata.

Ma evidentemente tutto questo non bastava. Non bastava una maggioranza parlamentare praticamente inscalfibile. Non bastava al capo del governo neppure il consenso continuamente sbandierato a suon di sondaggi. Nel momento in cui la libertà di informazione ha investito lo stile di vita di Berlusconi, e soprattutto il caotico intreccio di rozzi comportamenti privati in luoghi pubblici o semi-istituzionali, il capo della destra ha deciso che occorreva usare non uno bensì due strumenti: il silenziatore, per confondere e zittire l'opinione pubblica, e il bastone, per impedire l'esercizio di un'informazione libera.

Negli ultimi mesi chiunque non sia particolarmente addentro alla politica ha potuto capire ben poco, in base al "sistema" dei telegiornali allineati, dello scandalo che si stava addensando sul premier. Un'informazione spezzettata, rimontata in modo incomprensibile, privata scientemente delle notizie essenziali, ha occultato gli elementi centrali della vicenda della prostituzione di regime. Allorché alla lunga lo scandalo ha bucato la cortina del silenzio, è scattata la seconda fase, quella dell'intimidazione. L'aggressione contro il direttore di Avvenire, Dino Boffo, risulta a questo punto esemplare: il giornale di famiglia, riportato rapidamente a una funzione di assalto, fa partire il suo siluro; nello stesso tempo l'informazione televisiva, con una farragine di servizi senza capo né coda, rende sostanzialmente incomprensibile il caso.

Come in una specie di teoria di Clausewitz rivisitata e volgare, il killeraggio giornalistico, cioè una forma di guerra totale, priva di qualsiasi inibizione, si rivela un proseguimento della politica con altri mezzi. In grado anche di fronteggiare le ripercussioni diplomatiche con la segreteria di Stato vaticana e con la Cei. La strategia rischia di essere efficace, peccato che configuri un drammatico problema di sistema. Ossia una ferita gravissima a uno dei fondamenti della democrazia reale (non dell'astratta democrazia liberale descritta dai nostri flebili maestri quotidiani). Purtroppo non si sa nemmeno a quali riserve di democrazia ci si possa appellare. Ci sono ancoraggi, istituzioni, risorse di etica e di libertà a cui fare riferimento? Oppure il peggio è già avvenuto, e i principi essenziali della nostra democrazia sono già stati frantumati?

Basta una scorsa alla più accreditata informazione straniera per rendersi conto del penoso provincialismo con cui questo problema viene trattato qui in Italia, della speciosità delle argomentazioni, del servilismo della destra (un esponente della maggioranza ha dichiarato ai tg che la rinuncia di Berlusconi a partecipare alla Perdonanza, dopo l'attacco del Giornale a Boffo, "disgustoso" per il presidente della Cei Angelo Bagnasco, era un atto "di straordinario valore cristiano"). Oltretutto, risulta insopportabile l'idea che nel nostro futuro, cioè nella nostra politica, nella nostra cultura, nella nostra idea di un paese, ci sia un blocco costituito dall'informazione di potere, un consenso organizzato mediaticamente nella società, e al di fuori di questo perimetro pochi e rischiosi luoghi di dissenso. Questa non è una democrazia. È un regime che non vuole più nemmeno esibire una tolleranza di facciata. Quando tutti se ne renderanno conto sarà sempre troppo tardi.

(31 agosto 2009) Tutti gli articoli di politica


L'INTERVISTA. Parla Geoff Andrews, storico e fondatore del sito Open democracy
"Dal premier italiano un comportamento assai insolito, perlomeno in una democrazia"
Le denunce di Berlusconi?
"Reazioni di un leader in difficoltà"



LONDRA - "Sono le reazioni di un leader in ansia, che si sente sempre più isolato e in difficoltà". Geoff Andrews, docente di storia italiana, autore di un libro sul nostro paese e commentatore del sito Open Democracy, commenta così la decisione di Silvio Berlusconi di denunciare "Repubblica" e altri giornali per diffamazione.

Una parte della denuncia definisce diffamatorie le dieci domande presentate mesi fa dal nostro giornale al primo ministro: può una domanda essere considerata diffamante?
"E' certamente assai insolito, perlomeno in una democrazia. Tanto più che quelle domanda sono state pubblicate per la prima volta all'inizio dell'estate e il premier italiano ha risposto con un lungo silenzio, ovvero ha scelto di non rispondere. Fare causa contro le domande sembra un tentativo di intimidire non solo "Repubblica" ma qualunque giornale dal porgli domande scomode, che è poi il compito della stampa in un paese democratico".

L'altro aspetto della denuncia riguarda commenti e argomentazioni fatti da un giornale francese, citati in un articolo di "Repubblica". Come interpreta questo?
"Si vede chiaramente il contrasto tra l'informazione in Italia, su cui Berlusconi esercita un vasto e quasi assoluto controllo, e quella all'estero, su cui ovviamente non può porre divieti o restrizioni. Ed ecco allora il ricorso alla giustizia per impedire che i giornali stranieri possano essere citati in Italia. E' un fatto grave, ma è anche la prova che Berlusconi si rende conto della pericolosità, per lui, della stampa e dell'opinione pubblica internazionale".

"Incredibile. Con poche eccezioni, non se ne parla o se ne parla per minimizzare e difendere il premier.
Sarebbe come se la Bbc e le tivù private britanniche non avessero raccontato lo scandalo dei rimborsi spese dei deputati che ha fatto tremare nei mesi scorsi il parlamento di Westminster. Cosa che non dovrebbe accadere in una democrazia".
Ma se accade, come sta accadendo in Italia, che conseguenze potrebbero esserci?
"Io credo che presto o tardi gli alleati di Berlusconi, o almeno alcuni di essi all'interno della coalizione di centro-destra, cominceranno a chiedersi se è legittimo e augurabile per il paese che sia consentita una situazione del genere. E prima o poi potrebbero esserci reazioni anche da parte degli alleati dell'Italia, dei suoi partner nell'Unione Europea, nella Nato, nel G8. Quando una democrazia zoppica, rallenta e preoccupa tutto l'impianto a cui è collegata, come del resto vari leader stranieri e perfino la Chiesa cattolica iniziano cautamente a segnalare".

Allora Berlusconi potrebbe subire dei contraccolpi con questa azione legale?
"Io penso che si tratti di una mossa politica, un colpo di coda che lascia trapelare segnali di crescente ansietà nel premier, sempre più toccato dalle critiche internazionali e con una sensazione di crescente isolamento anche in Italia, dove appare a molti dei suoi stessi alleati come una figura problematica".

(31 agosto 2009)
 
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