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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 28/8/2009, 10:47 by: Lucky (Due di Picche)




LE STORIE
Ecco i piccoli che rischiano: dal distretto dei salotti ai centri commerciali
La Piquattro di Matera e i prefabbricati in magazzino


«Siamo abituati a combattere e combattiamo. Ma per evitare la catastrofe ci devono dare altre armi». Il secondo autunno di crisi si avvicina, a soffrire di più sono le piccole e medie imprese, corpo e anima della nostra economia. E per capire quanta fatica ci sia in questa anima e in questo corpo basta arrivare a Calolziocorte, provincia di Lecco, e bussare alla porta della Castelli Pietro srl. È vero, Piermario Muzzolon combatte ancora. Ma sopra la sua azienda vede un cielo grigio: 65 dipendenti, 40 in cassa integrazione da gennaio, un fatturato in picchiata del 60%. Il settore è di quelli a rischio: trattamento termico dei metalli, cioè indurimento di bulloni e parti meccaniche. Di quali «altre armi» parla il signor Muzzolon? «A farci male non è solo il calo della domanda e la concorrenza di Cina e India. Lo sapete che in Italia l'energia costa il 30% in più della media europea? Un handicap del 3% lo posso recuperare lavorando sull'efficienza, ma così rischio di chiudere».

Chiudere, eccola la parola maledetta che nessun imprenditore vuole sentire.
Operaio protesta sui binari a Termini Imerese
Perché dietro non c'è solo un fallimento d'impresa ma anche una sconfitta personale, spesso di una famiglia, a volte di generazioni. Eppure sono tanti i segnali raccolti dalle antenne delle associazioni che seguono le piccole e medie imprese come Confapi, Cna, Confesercenti e le camere di commercio. Da Calolziocorte a Poggibonsi, in Toscana, la paura è la stessa. Fonderie Bartalesi, fatturato di 6 milioni di euro, 25 dipendenti, cassa integrazione a rotazione. E tutti in trincea: per limitare i danni gli operai sono stati utilizzati per la manutenzione degli impianti, rinunciando alla solita ditta esterna. E ad agosto capannone aperto per intercettare le poche commesse che altri, in ferie, non potevano soddisfare: «Ci è andata bene — racconta il titolare Fabio Petri — ci è arrivata una commessa dalla Francia, stampi per bottiglie. Ma da gennaio gli ordini sono praticamente fermi». Loro alla concorrenza cinese hanno risposto alzando il tiro, prodotti di qualità che in Cina (per ora) non riescono ancora a produrre: «Per questo avevamo investito 3 milioni di euro. Ma se non riparte la domanda non possiamo arrampicarci sugli specchi». È il contrappasso di questo autunno di crisi: chi ha investito lanciando il cuore oltre l'ostacolo si trova peggio di chi si era limitato a vivacchiare. Una beffa che non risparmia nemmeno i più piccoli. Un mese fa Marino Francesconi ha abbassato per l'ultima volta la serranda del suo negozio di elettrodomestici a San Cesario, in provincia di Modena. Fine attività, per fortuna il locale era suo e l'ha affittato: «Ma solo perché me lo ha chiesto una banca. altrimenti avrei detto di no: qualsiasi negozio sarebbe finito a rotoli. E io con loro».

Il primo guaio sono stati i centri commerciali: «Hanno aperto ovunque e da me non veniva più nessuno. Ho provato a riciclarmi, ho investito sull'assistenza e riparavo le lavatrici che tutti compravano al Mercatone e all'Ipercoop. Ci ho rimesso per due anni, poi è arrivata pure la crisi e ho detto basta». Forse non consolerà il signor Francesconi, ma anche per i centri commerciali non è proprio aria. La Ottavi prefabbricati — 50 dipendenti a Sant'egidio alla vibrata, in Abruzzo — costruisce e poi rivende terreni e strutture per iper in tutto il Centro sud: «Abbiamo 200 mila metri quadri di strutture pronti — dice Vincenzo Ottavi — ma non si muove una foglia». Lui punta il dito contro un altro nemico classico dell'imprenditore, la burocrazia: «Quando l'economia andava non riuscivamo a lavorare perché ci vogliono due anni solo per approvare una variante urbanistica. Prima o poi le cose ripartiranno ma noi saremo sempre fermi per colpa di quelli lì. E nel frattempo, magari, di crisi ne arriva un'altra». La Piquattro di Matera fa parte di quel distretto del salotto che in pochi anni ha visto crollare i lavoratori da 15 mila a 5 mila. Loro, 50 dipendenti, hanno risposto puntando su prodotti di gamma più alta, specie per i ricchi mercati del Nord Europa. Ma adesso sono guai: «Abbiamo un patrimonio di 15 milioni di euro — spiega Antonio Manfredi — ma in questo momento non facciamo utili. La banca non ci finanzia e noi non riusciamo a comprare le materie prime. L'ossigeno serve quando uno sta per morire. Se uno è già morto che glielo dai a fare?»


california, Il patrigno: «È stato come vincere alla lotteria»
Rapita nel 1991 si presenta dalla polizia
Prigioniera in un rifugio per diciotto anni

Jaycee Lee Dugard è stata sequestrata e tenuta segregata da Nancy e Phil Garrido, che da lei ha avuto due figlie

WASHINGTON – Jaycee era scomparsa nel giugno del 1991, rapita da due persone poco lontana da casa a South Lake Tahoe, California. Aveva solo 11 anni. Mercoledì una ragazza si è presentata alla polizia di Antioch, non lontano da San Francisco sostenendo di essere Jaycee Lee Dugard. E grazie alle sue informazioni gli agenti hanno arrestato una coppia con l’accusa di rapimento.

PRUDENZA - Gli investigatori federali sono prudenti sulla svolta nel caso mentre gli uomini dello Sceriffo di Antioch si dicono sicuri al 99 per cento che si tratti proprio di Jaycee, anche se la risposta definitiva verrà dal test del Dna. «È stato come vincere alla lotteria», è stata la reazione del patrigno che dopo 18 anni aveva ben poche speranze di riabbracciare la ragazza. Il caso aveva suscitato grande commozione. Jaycee era stata portata via a forza da due persone scese da un’auto poco lontano dalla sua abitazione. Invano il patrigno aveva cercato di inseguire in bici i sequestratori. Dramma nel dramma, l’uomo - per diverso tempo - era stato tenuto d’occhio dall’Fbi che lo riteneva coinvolto nella sparizione della figlia.



Phil Garrido (Epa)
I RAPITORI - I rapitori sono Phil e Nancy Garrido, 58 e 55 anni, descritti da chi li conosce come «persone normali». Un vicino però ha aggiunto un particolare interessante: «Non ha mai visto una ragazza nella casa dei due. Con loro - ha spiegato - viveva solo la madre di Phil, costretta a letto da una paralisi». Sempre informazioni di stampa hanno rivelato che Garrido sarebbe segnalato come «predatore sessuale» ed avrebbe dunque dei precedenti.

RIFUGIO SEGRETO - Non solo Phil Garrido ha rapito 18 anni fa Jaycee Dugard, ma l’ha confinata in un rifugio segreto e da lei avrebbe avuto due figlie. Due ragazzine di 11 e 15 anni che non sono mai andate a scuola, né hanno visto un dottore e sono state obbligate a vivere in una specie di nascondiglio creato nel cortile della sua abitazione. C’è chi lo ha definito un "nucleo" composto da baracche e tende, una doccia rudimentale e con almeno un ambiente insonorizzato. Attorno poi una recinzione. La luce era garantita da un cavo collegato all’abitazione principale. Dettagli sconvolgenti che potrebbero essere seguiti da altri.

RICOSTRUZIONE - Nel giugno 1991 Jaycee viene rapita a pochi metri dalla sua abitazione a South Lake Tahoe, California. Due persone, scese da una strana vettura, l’afferrano e fuggono. Invano il patrigno cerca di inseguirli in bici. Le successive indagini non portano a risultati. Neppure l’interesse di popolari trasmissioni tv, come American Most Wanted, spingono qualcuno a parlare.


Il rifugio dove la ragazza è stata segregata (Epa)
LA SVOLTA - La sconvolgente vicenda emerge martedì quando Garrido entra nell’Università di Berkeley per distribuire opuscoli religiosi. La sicurezza del campus lo ferma per un controllo scoprendo che ha precedenti penali per violenza sessuale ed è in libertà vigilata. L’uomo è allora convocato dalla polizia a Concord, vicino a San Francisco, dove incontra il funzionario che segue il suo caso. Garrido si presenta con la moglie Nancy, due ragazzine e una donna che dice di chiamarsi Allissa. L’investigatore si insospettisce perché ha visitato più volte la casa di Garrido ad Antioch ma non aveva mai notato "Allissa" e i bambini. Pone allora delle domande precise e la misteriosa ragazza rivela sua vera identità: sono Jaycee Dugart.

I CONTROLLI - Gli agenti raggiungono l’abitazione di Garrido ed entrano nella "prigione" non visibile dall’esterno. È qui che Jaycee sarebbe stata tenuta in questi anni insieme alle figlie avute dal mostro. Sembra che in passato un vicino avesse notato le minori e avesse avvertito le autorità ma non era stato trovato nulla di anormale. Per la semplice ragione - ha ammesso la polizia - che non avevano perquisito il recinto nel cortile. In realtà qualche dubbio era venuto agli abitanti della zona ma dicono - oggi - che non sospettavano vi fossero delle persone tenute in ostaggio. La titolare di un negozio, Cheyvonne Molino, ha invece ricordato che l’uomo si era presentato in giugno insieme alle bambine nel suo locale: «Mi erano sembrate molto timide».

IL PERSONAGGIO – Garrido, oltre alle sue perversioni, era noto per i comportamenti strani. Predicava il ritorno alla religione e sosteneva di essere in grado di controllare il suono con la sua mente. E nelle prime dichiarazioni rilasciate dopo l’arresto ha sorpreso tutti affermando che la sua relazione con le vittime era affettuosa e calorosa.



la flessione rispetto al mese di giugno è dello 0,4%
Istat: a luglio i prezzi alla produzione industriale scesi del 7,5% su base annua
Il calo tendenziale è il più alto addirittura da gennaio 1992

MILANO - Ancora un segnale della crisi in atto. I prezzi alla produzione industriale nel mese di luglio sono diminuiti dello 0,4% rispetto a giugno e del 7,5% su luglio 2008. Lo comunica l'Istat, precisando che il calo tendenziale è il più ampio non solo da gennaio 2006, data di inizio della serie di dati confrontabili, ma addirittura da gennaio 1992.

CONFRONTO - Secondo l'Istat nel confronto tra la media degli ultimi tre mesi (maggio-giugno) e quella dei tre mesi precedenti l'indice è diminuito dello 0,2%. Nel mercato interno si registra un calo congiunturale dello 0,6% e una diminuzione tendenziale dell'8,5%. Trend simile anche sul mercato estero, dove l'indice scende dello 0,2% su base mensile e del 4% su base annua.







E sul caso Berlusconi: «E' normale che la Chiesa lo critichi»
Bossi a Fini: «È la Lega che porta voti»
Il Senatùr replica al presidente della Camera che aveva esortato il Pdl a non replicare la linea del Carroccio

Veltroni: via da Facebook lo slogan razzista (27 agosto 2009)
Umberto Bossi in canottiera questa estate a Calalzo di Cadore (Stefano Cavicchi)
MILANO - «Peccato che la Lega porti i voti». Così il leader della Lega Nord Umberto Bossi risponde, da Melzo, nel Milanese, dove ha tenuto un comizio, alle parole del presidente della Camera Gianfranco Fini, secondo il quale il Pdl non deve replicare la linea politica della Lega.

«MOSCHEA A MILANO? SPERO DI NO» - Prima di prendere la parola dal palco, parlando con i cronisti il Senatùr ha detto di auspicare che non si concretizzi l'auspicio formulato dal vicario episcopale della cittá di Milano, monsignor Erminio De Scalzi, secondo il quale è tempo che i musulmani a Milano abbiano un loro luogo di culto. «Spero di no», commenta Bossi.

IMMIGRAZIONE, FACEBOOK E L'EUROPA - E quanto alle polemiche su posizioni razziste emerse dal social network Facebook e attribuite alla Lega (un videogioco dal titolo «Rimbalza il clandestino», per il quale è stato chiamato in causa direttamente il figlio di Bossi, Renzo; e un manifesto che invitava a "torturare" i clandestini) il capo del Carroccio ha precisato che il suo partito «non c'entra». «Il popolo leghista -ha aggiunto il leader del Carroccio - è troppo intelligente e ora basta che uno dica una stupidaggine... non sanno come fermare la valanga. Può darsi che ci sia qualche pirla che la pensa così, ma noi siamo per aiutare gli immigrati a casa loro e non qui. Abbiamo milioni di immigrati e non abbiamo posti di lavoro». «Le carceri sono una cosa spaventosa, gli immigrati sono ammucchiati lì e non va bene - ha poi detto Bossi -. In fondo sono persone anche loro. L'Europa parla ma non dà mai i soldi».

IL FEDERALISMO FISCALE - Bossi ha poi difeso il federalismo fiscale spiegando che «se tu i soldi li butti via, lo Stato non te ne dará più: ti darà un calcio in culo invece dei soldi». «Ci devono spiegare -continua Bossi- perchè a Milano un rotolo di carta costa x e in certe regioni costa 5 volte tanto. Ve lo dico io: se li grattano, altro che».

BERLUSCONI È ODIATO DALLA MAFIA - Bossi, infine, ha invitato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a stare «attento» alle vendette della mafia possibili per la sua azione di governo contro la criminalità organizzata e ipotizza che la vicenda delle donne «possa essere stata organizzata proprio dalla mafia per colpirlo». «Credo poco che il premier possa andare di qua e di là con le donne. Sono cose in gran parte inventate - ha premesso Bossi - piuttosto Berlusconi è odiato dalla mafia e se non sta attento la mafia può fargli del male. Io ho pensato che quella storia delle donne sia per quel problema lì: la legge approvata sul sequestro dei beni mafiosi, che alla mafia ha fatto un male enorme». «Stai attento Berlusconi - ha continuato Bossi - perché quelli non perdonano, la mafia è vendicativa».

IL «TRAPPOLONE» E LA CHIESA - In un'intervista a Repubblica, Bossi ha poi evidenziato che «Berlusconi è una brava persona, mi dispiace per tutto il casino che gli è scoppiato. Mi dispiace per la famiglia, per i figli. È caduto in un trappolone. Sì degli errori li ha fatti. È stato ingenuo. Altri più furbi di lui non ci sarebbero cascati. Chi le fa le organizza bene» Quanto alle prese di posizione di ambienti ecclesiastici Bossi rileva: «È giusto che lo abbiano invitato a cambiare stile di vita. È giusto e normale. La Chiesa indica degli indirizzi morali. È chiaro che non può non farlo con un leader politico che guida un Paese. È sempre stato così nella storia dei rapporti tra Stato e Chiesa». Quanto all'immagine del premier italiano all'estero, Bossi dice: «Nel mondo ci sono tanti di quei problemi che gli Stati hanno molte altre cose a cui pensare che non alle donnine. E comunque Berlusconi resta saldo al timone, è riuscito a tenere in piedi la baracca. Finche c'è la Lega, poi, può stare tranquillo».





Obama ha definito un oltraggio le feste a Tripoli, Brown si è detto disgustato
Alla vigilia del viaggio era opportuno un gesto solidale con l'America
Usa irritati con il governo italiano
per il silenzio sul colpevole di Lockerbie

Preoccupano le provocazioni anti-americane del Colonnello






NEW YORK - "Ma il governo italiano ha condannato l'accoglienza trionfale che il terrorista di Lockerbie ha ricevuto in Libia?" È la domanda che mi rivolge il mio interlocutore alla Casa Bianca. Una domanda retorica, naturalmente. All'Amministrazione Obama, tramite il Dipartimento di Stato, il National Security Council e l'Ambasciata Usa a Roma, non mancano certo i mezzi tecnici per monitorare le dichiarazioni del nostro governo. Quella domanda è un modo cortese per esprimere la perplessità e il disagio di Washington sul silenzio del governo italiano, alla vigilia del viaggio di Berlusconi a Tripoli.

Una visita ad alto rischio di gaffes, dopo l'accoglienza trionfale organizzata dal governo libico per Ali al-Megrahi, colpevole della strage nei cieli della Scozia in cui undici anni fa morirono 189 americani. Condannato all'ergastolo, al-Megrahi è stato rilasciato da Glasgow perché sarebbe malato di cancro. Obama aveva subito ammonito la Libia: "Che al suo arrivo non sia trattato da eroe". Come è invece accaduto, suscitando orrore in America. "Un oltraggio", ha definito Obama le feste per l'arrivo a Tripoli del terrorista, accolto con tutti gli onori dal figlio del colonnello Gheddafi. Anche il premier britannico Gordon Brown si è detto "furioso e disgustato".

Sull'opportunità della visita di Berlusconi gli americani non vogliono polemizzare. Sanno che era programmata da tempo, prima della liberazione di al-Megrahi. Ripetono che Berlusconi vede chi vuole, l'Italia è un paese sovrano. Tuttavia il trionfo tributato a Tripoli per chi ha sulla coscienza tante vittime americane, è una ferita profonda. Il silenzio del governo italiano stupisce. Alla vigilia del viaggio del nostro premier, era opportuno un piccolo gesto di solidarietà con l'America. Per puntualizzare. E prevenire nuove strumentalizzazioni, che Gheddafi potrà orchestrare approfittando della presenza di un ospite occidentale.

La sensibilità di Washington non è destinata a scendere nei prossimi giorni, al contrario. A tenere accesa l'attenzione sul caso libico c'è una scadenza delicata e imbarazzante. Il 23 settembre si apre al Palazzo di Vetro di New York la 64esima Assemblea generale delle Nazioni Unite. Quest'anno, per una sciagurata coincidenza, proprio sotto la presidenza della Libia. Che si trova anche a far parte del Consiglio di sicurezza. È una visibilità rara, che dà ad ogni gesto di Gheddafi un carattere ancora più esplosivo, e insopportabile per gli americani. Lo si verifica con la vicenda della tenda del colonnello.

Come in tutti i suoi viaggi, Gheddafi pretende di piantare una tenda residenziale anche quando sarà a New York. La prima richiesta - Central Park - è stata respinta dal sindaco Bloomberg. Con una risposta secca: "A Central Park il campeggio è vietato. Sempre e a chiunque, punto". Allora il governo libico ha spostato le sue mire sul giardino di una villa nel New Jersey, sull'altra sponda del fiume Hudson rispetto a Manhattan. Acquistata dalla Libia per la residenza del suo ambasciatore all'Onu, la villa è abbandonata da anni. Ora può tornare utile. Ma proprio nel New Jersey abitano molti familiari delle vittime del volo Pan Am 103, che persero la vita per l'attentato organizzato dai servizi segreti libici nel dicembre 1988. I due senatori del New Jersey, Frank Lautenberg e Robert Menendez, sono in stato di allarme, mobilitati per impedire una nuova offesa. Hanno scritto al segretario di Stato Hillary Clinton perché impedisca a Gheddafi di piantare la tenda nel New Jersey.

E' in questo clima che Washington osserva l'avvicinarsi del viaggio di Berlusconi a Tripoli. Chiedendosi quale "uso" vorrà farne Gheddafi. E se l'Italia saprà sottrarsi a eventuali provocazioni anti-americane del Colonnello.

(28 agosto 2009)


Il Cavaliere contro Repubblica: "Mi diffama". Accuse alla stampa estera
Berlusconi fa causa alle 10 domande
Chiesto un milione di risarcimento




ROMA - Nuovo attacco di Silvio Berlusconi a Repubblica. Il premier va dai giudici e chiede un risarcimento danni per un milione di euro al Gruppo L'Espresso. A suo giudizio le domande formulate il 26 giugno da Giuseppe D'Avanzo sono "diffamatorie". Per la prima volta nella storia dell'informazione italiana gli interrogativi di un giornale finiscono davanti a un tribunale civile.

La citazione in giudizio del presidente del Consiglio, firmata il 24 agosto, riguarda, oltre alle "dieci nuove domande" anche un articolo del 6 agosto dal titolo ""Berlusconi ormai ricattabile" media stranieri all'attacco: Nouvel Observateur teme infiltrazioni della mafia russa", un servizio che riportava i giudizi della stampa di tutto il mondo sul caso italiano. Invitati a comparire al Tribunale di Roma Giampiero Martinotti, autore del pezzo contestato, il direttore responsabile di Repubblica Ezio Mauro e il gruppo L'Espresso.

Al centro dell'iniziativa legale del presidente del Consiglio sono però le domande rivolte a Silvio Berlusconi, "ripetutamente pubblicate sul quotidiano La Repubblica" e "per più di sessanta giorni", come sottolineano i suoi avvocati. Si tratta, per il premier, di "domande retoriche" che "non mirano ad ottenere una risposta del destinatario, ma sono volte a insinuare nel lettore l'idea che la persona "interrogata" si rifiuti di rispondere". Domande alle quali il capo del governo non ha mai risposto, come noto. Per Berlusconi sono "palesemente diffamatorie" perché "il lettore è indotto a pensare che la proposizione formulata non sia interrogativa, bensì affermativa ed è spinto a recepire come circostanze vere, realtà di fatto inesistenti".

L'esposizione del "Dr. Silvio Berlusconi, nato a Milano il 29 settembre 1936", inizia dall'articolo di Martinotti che da Parigi riporta i servizi della stampa estera dedicati al caso Berlusconi. Servizi quel giorno numerosi e scandalizzati, come sottolinea l'attacco del pezzo: ""Sesso, potere e menzogne": il titolo del Nouvel Observateur, in edicola oggi riassume alla perfezione la valanga di commenti della stampa estera sul nostro presidente del Consiglio. I giornali di tutto il mondo, di destra e di sinistra, moderati o progressisti, non sanno più come qualificare le gesta berlusconiane: si passa dalla "libidine geriatrica" (The Independent) a un capo del governo "graffiato dalla figlia" (Le Figaro), che "gli dà lezioni" (The Daily Telegraph), "gli fa la morale" (Elle) e che lo biasima con un "vergogna, papà!" (l'australiano News)".

Di quella cronaca, basata solo su citazioni testuali, è in particolare un articolo del settimanale francese Nouvel Observateur quello che ha fatto scattare la reazione di Berlusconi. L'autore Serge Raffy scrive sull'Observateur che "con lo scorrere delle rivelazioni, l'ipotesi di un'infiltrazione della mafia russa al vertice dello Stato italiano prende consistenza". E parla poi "di una registrazione che rischia di alimentare ancor più lo scandalo" che coinvolgerebbe Mara Carfagna e Mariastella Gelmini.

Secondo Berlusconi, Repubblica, "con l'espediente di riportare il contenuto del settimanale francese ha pubblicato ancora una volta - nel quadro della ben nota polemica di questi ultimi mesi - notizie non veritiere, riportando circostanze che in alcun modo corrispondono alla situazione di fatto e di diritto realmente esistente". Conclusione: "Il danno arrecato al Dr. Berlusconi è pertanto enorme" sia per il "ruolo del protagonista", sia perché la notizia è stata diffusa da "un quotidiano con ampia tiratura e diffusione e destinato ad un elevato numero di lettori". Da qui la richiesta di danni per un milione di euro oltre a una somma, da stabilire, "a titolo di riparazione".

(28 agosto 2009) Tutti gli articoli di politica


Querela di Berlusconi a Repubblica
Bersani: "Dieci volte sconsiderata"

ROMA - ''L'iniziativa di portare in tribunale le dieci domande di Repubblica mi pare inaccettabile e dieci volte sconsiderata''. Lo afferma il candidato alla segreteria del Partito democratico, Pier Luigi Bersani. "Percorrendo questa strada - commenta Bersani - il presidente del Consiglio si vedrà costretto a chiamare in tribunale mezzo mondo''.

Anche Sonia Alfano, europarlamentare dell'Italia dei valori, ritiene che "portare le 10 domande di repubblica in tribunale" sia "un atto infame e ridicolo". "Il 'caimano' - afferma a proposito della iniziativa del premier - la smetta di attaccare ad ogni piè sospinto i media non allineati con minacce che ricordano ben altri tempi e si comporti da capo del Governo di una moderna democrazia: la smetta di mentire, tanto ormai non gli crede più nessuno, e risponda punto per punto. Un paese dove non vi è libertà d'informazione non si può definire libero. E l'Italia libera lo sta divenendo sempre meno".

(28 agosto 2009)


Insabbiare


Non potendo rispondere, se non con la menzogna, Silvio Berlusconi ha deciso di portare in tribunale le dieci domande di Repubblica, per chiedere ai giudici di fermarle, in modo che non sia più possibile chiedergli conto di vicende che non ha mai saputo chiarire: insabbiando così - almeno in Italia - la pubblica vergogna di comportamenti privati che sono al centro di uno scandalo internazionale e lo perseguitano politicamente.

E' la prima volta, nella memoria di un Paese libero, che un uomo politico fa causa alle domande che gli vengono rivolte. Ed è la misura delle difficoltà e delle paure che popolano l'estate dell'uomo più potente d'Italia. La questione è semplice: poiché è incapace di dire la verità sul "ciarpame politico" che ha creato con le sue stesse mani e che da mesi lo circonda, il Capo del governo chiede alla magistratura di bloccare l'accertamento della verità, impedendo la libera attività giornalistica d'inchiesta, che ha prodotto quelle domande senza risposta.

In questa svolta c'è l'insofferenza per ogni controllo, per qualsiasi critica, per qualunque spazio giornalistico d'indagine che sfugga al dominio proprietario o all'intimidazione di un potere che si concepisce come assoluto, e inattaccabile. Berlusconi, nel suo atto giudiziario contro Repubblica vuole infatti colpire e impedire anche la citazione in Italia delle inchieste dei giornali stranieri, in modo che il Paese resti all'oscuro e sotto controllo. Ognuno vede quanto sia debole un potere che ha paura delle domande, e pensa che basti tenere al buio i concittadini per farla franca.

Tutto questo - la richiesta agli imprenditori di non fare pubblicità sul nostro giornale, l'accusa di eversione, l'attacco ai "delinquenti", la causa alle domande - da parte di un premier che è anche editore, e che usa ogni mezzo contro la libertà di stampa, nel silenzio generale. Altro che calunnie: ormai, dovrebbe essere l'Italia a sentirsi vilipesa dai comportamenti di quest'uomo.

(28 agosto 2009)


L'ANALISI
La menzogna come potere


Avanzare delle domande a un uomo politico nell'Italia meravigliosa di Silvio Berlusconi è già un'offesa che esige un castigo?

L'Egoarca ritiene che sollecitare delle risposte dinanzi alle incoerenze delle dichiarazioni pubbliche del capo del governo sia diffamatorio e vada punito e che quelle domande debbano essere cancellate d'imperio per mano di un giudice e debba essere interdetto al giornale di riproporle all'opinione pubblica. E' interessante leggere, nell'atto di citazione firmato da Silvio Berlusconi, perché le dieci domande che Repubblica propone al presidente del Consiglio sono "retoriche, insinuanti, diffamatorie".

Sono retoriche, sostiene Berlusconi, perché "non mirano a ottenere una risposta dal destinatario, ma sono volte a insinuare l'idea che la persona "interrogata" si rifiuti di rispondere". Sono diffamatorie perché attribuiscono "comportamenti incresciosi, mai tenuti" e inducono il lettore "a recepire come circostanze vere, realtà di fatto inesistenti". Peraltro, "è sufficiente porre mente alle dichiarazioni già rese in pubblico dalle persone interessate, per riconoscerne la falsità, l'offensività e il carattere diffamatorio di quelle domande che proprio "domande" non sono".

Come fin dal primo giorno di questo caso squisitamente politico, una volta di più, Berlusconi ci dimostra quanto, nel dispositivo del suo sistema politico, la menzogna abbia un primato assoluto e come già abbiamo avuto modo di dire, una sua funzione specifica. Distruttiva, punitiva e creatrice allo stesso tempo. Distruttiva della trama stessa della realtà; punitiva della reputazione di chi non occulta i "duri fatti"; creatrice di una narrazione fantastica che nega eventi, parole e luoghi per sostituirli con una scena di cartapesta popolata di nemici e immaginari complotti politici.

Non c'è, infatti, nessuna delle dieci domande che non nasca dentro un fatto e non c'è nessun fatto che nasca al di fuori di testimonianze dirette, di circostanze accertate e mai smentite, dei racconti contraddittori di Berlusconi.

E' utile ora mettersi sotto gli occhi queste benedette domande. Le prime due affiorano dai festeggiamenti di una ragazza di Napoli, Noemi, che diventa maggiorenne. E' Veronica Lario ad accusare Berlusconi di "frequentare minorenni". E' Berlusconi che decide di andare in tv a smentire di frequentare minorenni. Nel farlo, in pubblico, l'Egoarca giura di aver incontrato la minorenne "soltanto tre o quattro volte alla presenza dei genitori". Questi sono fatti. Come è un fatto che le parole di Berlusconi sono demolite da circostanze, svelate da Repubblica, che il capo del governo o non può smentire o deve ammettere: non conosceva i genitori della minorenne (le ha telefonato per la prima volta nell'autunno del 2008 guardandone un portfolio); l'ha incontrata da sola per lo meno in due occasioni (una cena offerta dal governo e nelle vacanze del Capodanno 2009).

La terza domanda chiede conto al presidente del Consiglio delle promesse di candidature offerte a ragazze che lo chiamano "papi". La circostanza è indiscutibile, riferita da più testimoni e direttamente dalla stessa minorenne di Napoli. La quarta, la quinta, la sesta e settima domanda ruotano intorno agli incontri del capo del governo con prostitute che potrebbero averlo reso vulnerabile fino a compromettere gli affari di Stato. La vita disordinata di Berlusconi è diventata ormai "storia nota", ammessa a collo torto dallo stesso capo del governo e in palese contraddizione con le sue politiche pubbliche (marcia nel Family day, vuole punire con il carcere i clienti delle prostitute). La sua ricattabilità - un fatto - è dimostrata dai documenti sonori e visivi che le ospiti retribuite di Palazzo Grazioli hanno raccolto finanche nella camera da letto del Presidente del Consiglio.

L'ottava domanda è politica: può un uomo con queste abitudini volere la presidenza della Repubblica? Chi non glielo chiederebbe? La nona nasce, ancora una volta, dalle parole di Berlusconi. E' Berlusconi che annuncia in pubblico "un progetto eversivo" di questo giornale. E' un fatto. E' lecito che il giornale chieda al presidente del Consiglio se intenda muovere le burocrazie della sicurezza, spioni e tutte quelle pratiche che seguono (intercettazioni su tutto). Non è minacciato l'interesse nazionale, non si vuole scalzarlo dal governo e manipolare la "sovranità popolare"? In questo lucidissimo delirio paranoico, Berlusconi potrebbe aver deciso, forse ha deciso, di usare la mano forte contro giornalisti, magistrati e testimoni. Che ne dia conto. Grazie.

La decima domanda infine (e ancora una volta) non ha nulla di retorico né di insinuante. E' Veronica Lario che svela di essersi rivolta agli amici più cari del marito per invocare un aiuto per chi, come Berlusconi, "non sta bene". E' un fatto. Come è un fatto che, oggi, nel cerchio stretto del capo del governo, sono disposti ad ammettere che è la satiriasi, la sexual addiction a rendere instabile Berlusconi.

Questa la realtà dei fatti, questi i comportamenti tenuti, queste le domande che chiedono ancora oggi - anzi, oggi con maggiore urgenza di ieri - una risposta. Dieci risposte chiare, per favore. E' un diritto chiederle per un giornale, è un dovere per un uomo di governo offrirle perché l'interesse pubblico dell'affare è evidente.

Si discute della qualità dello spazio democratico e la citazione di Berlusconi ne è una conferma. E dunque, anche a costo di ripetersi, tutta la faccenda gira intorno a un solo problema: fino a che punto il premier può ingannare l'opinione pubblica mentendo, in questo caso, sulle candidature delle "veline", sulla sua amicizia con una minorenne e tacendo lo stato delle sue condizioni psicofisiche? Non è sempre una minaccia per la res publica la menzogna? La menzogna di chi governa non va bandita incondizionatamente dal discorso pubblico se si vuole salvaguardare il vincolo tra governati e governanti? Con la sua richiesta all'ordine giudiziario di impedire la pubblicazione di domande alle quali non può rispondere, abbiamo una rumorosa conferma di un'opinione che già s'era affacciata in questi mesi: Berlusconi vuole insegnarci che, al di fuori della sua verità, non ce ne può essere un'altra. Vuole ricordarci che la memoria individuale e collettiva è a suo appannaggio, una sua proprietà, manipolabile a piacere. La sua ultima mossa conferma un uso della menzogna come la funzione distruttiva di un potere che elimina l'irruzione del reale e nasconde i fatti, questa volta anche per decisione giudiziaria. La mordacchia (come chiamarla?) che Berlusconi chiede al magistrato di imporre mostra il nuovo volto, finora occultato dal sorriso, di un potere spietato. E' il paradigma di una macchina politica che intimorisce. E' la tecnica di una politica che rende flessibili le qualifiche "vero", "falso" nel virtuale politico e televisivo che Berlusconi domina. E' una strategia che vuole ridurre i fatti a trascurabili opinioni lasciando campo libero a una menzogna deliberata che soffoca la realtà e quando c'è chi non è disposto ad accettare né ad abituarsi a quella menzogna invoca il potere punitivo dello Stato per impedire anche il dubbio, anche una domanda. Come è chiaro ormai da mesi, quest'affare ci interroga tutti. Siamo disposti a ridurre la complessità del reale a dato manipolabile, e quindi superfluo. Possiamo o è già vietato, chiederci quale funzione specifica e drammatica abbia la menzogna nell'epoca dell'immagine, della Finktionpolitik? Sono i "falsi indiscutibili" di Berlusconi a rendere rassegnata l'opinione pubblica italiana o il "carnevale permanente" l'ha già uccisa? Di questo discutiamo, di questo ancora discuteremo, quale che sia la decisione di un giudice, quale che sia il silenzio di un'informazione conformista. La questione è in fondo questa: l'opinione pubblica può fare delle domande al potere?

(28 agosto 2009)


L'ANALISI
La perdonanza mediatica


Nella Chiesa antica la penitenza era una cosa seria. Riguardava peccati come l'omicidio, l'apostasia, l'adulterio e veniva amministrata in forma pubblica.

Dopo che il peccatore era stato escluso dalla comunità liturgica per un congruo periodo di tempo e aveva confessato al vescovo il proprio peccato. Il perdono liturgico si poteva ottenere solo una volta nella vita, e se poi si peccava di nuovo non c'era più possibilità di essere riammessi a pieno titolo nella comunità cristiana. All'inizio del medioevo la penitenza divenne reiterabile, ma non per questo perse di rigore: i confessori (ruolo che prese a essere esercitato anche dai semplici sacerdoti) avevano a disposizione appositi libri, i cosiddetti "penitenziali", dove a determinati peccati si facevano corrispondere determinate pene secondo un tariffario oggettivo per evitare favoritismi e disposizioni "ad personam", possibili anche a quei tempi. Per esempio il penitenziaro di Burcardo di Worms, databile intorno all'anno Mille, stabiliva che per un omicidio ci fossero 40 giorni consecutivi di digiuno a pane e acqua e poi 7 anni costellati da privazioni di ogni sorta, soprattutto astinenze sessuali; per un giuramento falso, sempre i canonici 40 giorni di digiuno da estendere poi a tutti i venerdì della vita; per un adulterio "penitenza a pane e acqua per due quaresime e per 14 anni consecutivi". E' importante notare che nel primo millennio l'assoluzione dei peccati veniva concessa solo dopo aver compiuto le opere penitenziali.

Con l'estendersi della mondanizzazione della Chiesa la procedura legata alla penitenza si fece più flessibile: l'assoluzione venne concessa subito dopo l'accusa a voce dei peccati da parte del penitente e a prescindere dall'esecuzione della penitenza assegnata, per soddisfare la quale, peraltro, nacque presto la pratica delle indulgenze. E' noto che fu proprio il persistente abuso della vendita delle indulgenze a costituire la causa della ribellione di Martin Lutero e la successiva divisione della Chiesa.

Nonostante ciò anche la perdonanza celestiniana del 1294 era, ed è, una cosa molto seria. Nella bolla d'indizione papa Celestino V fa ampio riferimento a Giovanni Battista, in particolare al suo martirio, visto che la perdonanza ricorre proprio il 29 agosto, giorno della celebrazione liturgica della decapitazione dell'ultimo grande profeta biblico. E' noto infatti che Giovanni Battista finì in galera e poi venne decapitato per la sua severità morale, in particolare per aver richiamato il re Erode al rispetto della morale matrimoniale, infranta pubblicamente dal sovrano che conviveva illecitamente con la moglie del fratello Filippo, Erodiade, "donna impudica", come la definisce papa Celestino V nella bolla. E' a tutti evidente che Giovanni Battista, seguendo lo stile degli altri profeti biblici, non aveva ancora sviluppato la sottile arte della diplomazia ecclesiastica, capace di distinguere tra vita privata e ruolo istituzionale dell'uomo politico, e così utile a navigare tra le tempeste del mondo senza perdere (fisicamente) la testa. Nella sua ingenuità il Battista riteneva che per un uomo politico non fosse ipotizzabile nessuna distinzione tra vita privata e ruolo istituzionale: era così inesperto di come va il mondo da essere addirittura convinto che se un uomo non è in grado di governare bene e con equità la propria famiglia, meno che mai potrebbe governare bene e con equità la propria nazione. Evidente che era un primitivo, ben al di sotto delle sottili distinzioni che si teorizzano in questi giorni al Meeting di Rimini e che consentono al segretario di Stato del Vaticano di cenare serenamente con l'attuale capo del governo italiano elevandosi mille miglia più in alto rispetto alla rozzezza del Battista con quel suo modo irrituale di sindacare sulla vita sentimentale del leader del suo tempo.

Ma se era seria la penitenza antica ed era seria la Perdonanza di papa Celestino, ancor più serio, terribilmente drammatico, è lo sfondo su cui tutto questo oggi si ripresenta, cioè il terremoto del 6 aprile coi suoi 308 morti, 1500 feriti e le decine di migliaia di sfollati. Nella celebrazione della perdonanza celestiniana di quest'anno all'Aquila si intrecciano quindi tre realtà che meritano rispetto incondizionato da parte di ogni coscienza adeguatamente formata, tanto più se cattolica visto il patrimonio spirituale che è in gioco. Sarebbe stato quindi auspicabile che la gerarchia ecclesiastica non avesse consentito di sfruttare un evento del genere per speculazioni politiche, concedendo visibilità e "perdonanza mediatica" a chi, accusato di aver avuto a che fare con un buon numero di Erodiadi, non ha mai accettato di rispondere pubblicamente e analiticamente alle precise domande in merito, come invece il suo ruolo istituzionale gli impone. E' chiaro a tutti infatti che all'homo politicus, a ogni homo politicus, non interessano le indulgenze ecclesiastiche, neppure quelle plenarie (le quali peraltro si possono ottenere in ognuna della nostre chiese con relativa facilità, rivolgersi al proprio parroco per sapere come).

All'homo politicus interessa solo la sua riserva di caccia, l'elettorato, e sa bene che la vera indulgenza al riguardo non la si ottiene confessandosi e comunicandosi e facendo tutte le altre pratiche devote prescritte da papa Celestino otto secoli fa, ma semplicemente apparendo in tv accanto al potente porporato sorridente e benevolente. E' questa l'indulgenza che il capo del governo, abilissimo homo politicus, cerca, ed è questa l'indulgenza che il segretario di Stato Vaticano gli concederà, con buona pace della testa di san Giovanni Battista, di Celestino V e della sua Perdonanza.

Non posso concludere però senza chiedermi se questo spensierato teatro di potenti che si legittimano a vicenda non abbia qualcosa a che fare con quel nichilismo a proposito del quale Benedetto XVI ha avuto di recente parole di pesantissima condanna. Il fatto che la gerarchia della Chiesa cattolica teoreticamente condanni il nichilismo e poi praticamente lo alimenti, si può spiegare solo con una sete infinita di potere, la quale non giace nelle coscienze dei singoli prelati ma è intrinsecamente connaturata alla struttura di cui essi sono al servizio. La cosa è tanto più drammatica perché forse mai come ora gli uomini sentono il bisogno di apprendere l'arte del perdono e della riconciliazione.

(28 agosto 2009)


Il retroscena. Il processo per "normalizzare la Rai"
Timori per un settembre nero dell'economia
"Adesso passiamo al contrattacco"
il premier avvia la campagna d'autunno



ROMA - La "svolta" risale ai primi di agosto, a una serie di riunioni avute con i suoi consiglieri tra Arcore e Roma, prima della partenza per la Sardegna. E' in quegli incontri che Silvio Berlusconi matura l'idea di un "cambio di passo" rispetto a quelli che considera nemici mortali: giornali, media stranieri, alcuni editori. "Adesso basta, siamo rimasti troppo passivi - questo l'ordine impartito dal Cavaliere - dobbiamo ribattere colpo su colpo. Speravano che gettassi la spugna, hanno provato a sfinirmi, a demotivarmi, hanno persino aggredito la mia famiglia, ma adesso inizierò a difendermi".

Una strategia d'attacco a 360 gradi a cui il premier ha pensato a lungo e che prevede un ampio spettro di azioni, sia politiche che legali, mediatiche e di propaganda. "Finora abbiamo pensato alle difese", spiega uno dei consiglieri del presidente del Consiglio, "adesso passiamo al contrattacco". I fronti sono tanti.

I ministri del Pdl, quelli di provenienza forzista per intenderci, hanno ricevuto il "consiglio" di disertare gli inviti alle feste del Pd, perché "non si parla con il nemico mentre ti sta sparando addosso". Mara Carfagna e Franco Frattini si sono subito adeguati. C'è poi la trincea più importante, quella dell'informazione. Anzitutto quella della Rai, dove le redazioni sono state affidate a direttori che hanno garantito di non dare conto della vita privata del presidente del Consiglio. Resta solo il fortino di Raitre e la riserva di Michele Santoro su Raidue, ma anche su questo fronte qualche discreta pressione l'azienda la sta già esercitando, se è vero che i giornalisti di Annozero non hanno visto ancora i loro contratti. E anche la presenza di Marco Travaglio in trasmissione sarebbe in discussione.

L'accerchiamento del nemico passa quindi per Raitre, con il tentativo di ridimensionare quei programmi affidati a conduttori non allineati - come Milena Gabanelli, Fabio Fazio, Serena Dandini - facendo fuori l'attuale direttore Paolo Ruffini. C'è poi il versante della stampa amica, il Giornale anzitutto, che da quando ha cambiato direttore ha dato il via a una pesante campagna di attacchi personali.

Ribattere "colpo su colpo", contrattaccare. Tanto più che per l'autunno, nonostante le caute parole di ottimismo del governatore Draghi sui segnali di ripresa, nel governo i più avveduti temono il peggio. "Siamo tutti preoccupati - confessa un ministro - perché la crisi raggiungerà il suo acme proprio a settembre". E gli effetti si scaricheranno anzitutto sulle piccole imprese del Nord, bacino elettorale del Pdl e della Lega. I report sul tavolo dei ministri descrivono scenari da incubo, prevedono che centinaia di imprese sotto i 15 dipendenti non riapriranno dopo le ferie, mandando sul lastrico famiglie intere. Per questo il controllo dell'informazione è vitale, senza contare le vicende private del premier.

C'è il versante legale, affidato al consigliere-avvocato Niccolò Ghedini. La citazione in giudizio di Repubblica per le dieci domande a Berlusconi è solo l'antipasto. Senza contare che ieri anche le anticipazioni del nuovo libro di Maria Latella su Veronica e Berlusconi sono stato bollate da Ghedini come "totalmente inveritiere". Con l'allegata "diffida" a chiunque a pubblicarne stralci. A Repubblica Ghedini conferma il cambio di passo: "Fino ad oggi non abbiamo esperito alcun tipo di azione e il presidente Berlusconi ha preferito finora soprassedere. Ma c'è stato un tale stratificarsi di articoli scollegati da fatti reali, offensivi e gravemente lesivi dell'onore del presidente del Consiglio che io stesso alla fine gli ho consigliato di procedere. Si è passato il segno".

Per ridare smalto alla sua immagine all'estero, dove i media hanno avuto meno riguardi nei suoi confronti, Berlusconi prima dell'estate ha persino consultato dei professionisti della comunicazione. Alla fine è passata l'idea di utilizzare le strutture che già ci sono, le ambasciate e gli Istituti di cultura. Formalmente si parlerà di raddrizzare l'immagine del Paese, sfregiato dalla "munnezza" per le strade e dai liquami nella Grotta azzurra. In realtà ad essere rilanciata sarà l'immagine del governo italiano e soprattutto quella del suo leader.

(28 agosto 2009)
 
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96 replies since 6/8/2009, 10:36   4895 views
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