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Lucky (Due di Picche)
view post Posted on 23/8/2009, 12:51 by: Lucky (Due di Picche)




Italia e Francia hanno inviato tre canadair
L'incendio arriva alle porte di Atene
Migliaia di persone in fuga
Il perimetro del rogo è di 80 chilometri: divorati boschi
e abitazioni. Evacuati ospedali e colonie di bambini






«SITUAZIONE TRAGICA» - «La situazione non è migliorata e anzi l'area interessata dalle fiamme si è estesa, riguarda una decina di località. La situazione resta molto grave e pericolosa a causa dei forti venti» dice un portavoce dei vigili del fuoco. Non sono segnalate vittime, ma molte case, soprattutto di campagna, sono bruciate insieme a centinaia di ettari di bosco e di aree coltivate, soprattutto olivi. I sindaci dei comuni di Maratona, Dyonisos, Grammatiko hanno lanciato appelli in tv parlando di una «situazione tragica». Il governo ha dichiarato lo stato di emergenza in tutta la regione dell'Attica. Il premier Costas Karamanlis, che sabato ha tenuto una riunione di emergenza nel quartier generale dei vigili del fuoco, ha assicurato che «obiettivo primario è salvare le vite dei cittadini e i loro beni» e ha definito «sovrumano» lo sforzo dei pompieri che combattono da oltre trenta ore senza riposo contro le fiamme. La Protezione civile ha segnalato nelle ultime 24 ore un centinaio di incendi in tutto il Paese: la crisi peggiore dal 2007, quando morirono 77 persone e furono distrutti 250mila ettari di terreno, in particolare nel Peloponneso e sull’isola di Eubea. Il rogo peggiore, dopo quello in Attica, è a Zante dove sono andati distrutti 400 ettari di macchia.

EQUIPAGGI ITALIANI - Il Dipartimento della Protezione civile ha dunque inviato due aerei. «Sono due Canadair CL415, capaci di rilasciare sulle fiamme 6000 litri d'acqua ad ogni lancio» spiega la Protezione civile. Decollati domenica mattina dall'aeroporto di Lametia Terme (Catanzaro) hanno raggiunto Elefsis, a nord di Atene. Inoltre sono stati inviati tre equipaggi dei Canadair, per assicurare l'operatività dei velivoli durante l'intero arco della giornata. Il team italiano potrà contare anche su tecnici e sul supporto logistico necessario a garantire la piena operatività degli aerei anfibi.




23 agosto 2009



ancora violenze: morti sei poliziotti, un soldato e quattro ribelli
Afghanistan, Abdullah: «Massicci brogli»
L'Onu: «Ogni dichiarazione di vittoria o sconfitta fatta da un candidato è prematura». Primi dati attesi per il 25


MILANO - «Massicci brogli» alle elezioni presidenziali in Afghanistan del 20 agosto. Li denuncia Abdullah Abdullah, ex ministro degli esteri e principale oppositore di Hamid Karzai. «I rapporti che abbiamo ricevuto in merito sono allarmanti - ha detto in conferenza stampa a Kabul -. Ci possono essere state migliaia di violazioni in tutto il Paese, non ho dubbi su questo». Il conteggio dei voti è in corso, i primi risultati parziali verranno resi noti il 25 agosto. Il presidente uscente Karzai è dato per favorito: sabato il direttore generale della sua campagna elettorale ha annunciato che ha vinto le elezioni, con il 70% dei consensi.

MISSIONE ONU: «ASPETTARE DATI UFFICIALI» - Il portavoce della missione Onu in Afghanistan (Unama), Alim Sedik, ha però sottolineato che ogni dichiarazione di vittoria o sconfitta fatta da un candidato è prematura e l'unico organismo che può ufficializzare la situazione è la Commissione elettorale indipendente (Iec). Sedik ha smentito che fra le fonti citate per asserire l'ampia vittoria di Karzai vi possa essere «un tecnico dell'Unama», come scritto dall'agenzia Panjhwok. «È un dato scorretto - sostiene - perché nessun membro del nostro organismo opera nella Iec e quindi nessuno può essere a conoscenza delle cifre dello spoglio. È importante che la Iec e la Commissione per i reclami elettorali (Ecc) possano fare il loro lavoro con cura e calma e quindi rendere noto il nome del vincitore. Chi sta cercando di utilizzare i media per manipolare l'informazione non sta facendo un favore al Paese». Secondo Richard Holbrooke, inviato speciale di Obama per l'Afghanistan e il Pakistan, l'ipotesi di brogli è realistica. «Me le aspetto» ha detto l’inviato Usa. Sabato anche la presidenza della Ue aveva espresso «preoccupazione» per le segnalazioni di irregolarità nel voto.

CERTIFICATI FALSI, COMMERCIO DEL VOTO - La Rete asiatica per libere elezioni (Anfrel) definisce il processo elettorale «largamente accettabile» nel complesso, ma punta l'indice contro una serie di ritardi e irregolarità da correggere «per costruire in futuro un sistema democratico forte». Oltre ai problemi di sicurezza, ha detto in una conferenza stampa il presidente Damaso G. Magbual, «abbiamo rilevato elementi di preoccupazione che spiegano la scarsa partecipazione al voto, soprattutto delle donne: basso livello di alfabetizzazione, scarsa esperienza elettorale e insufficiente istruzione degli elettori». Fra le irregolarità rilevate dai 55 osservatori in 3 province, ci sono certificati elettorali multipli, il commercio del voto e la partecipazione alle elezioni di minorenni. Inoltre, ha detto Magbual, «abbiamo constatato la cattiva qualità dell'inchiostro indelebile, il pessimo funzionamento delle macchinette per annullare i certificati elettorali, nonché l'utilizzazione di risorse pubbliche a favore di questo o quel candidato». Per il futuro, ha concluso, «proponiamo che non si permetta agli anziani del consiglio tribale locale di stare ai seggi per influenzare il voto».

ANCORA VIOLENZE: UNDICI PERSONE UCCISE - Intanto le violenze nel Paese continuano. Sabato sono state uccise undici persone: sei poliziotti, un soldato e quattro ribelli. Nel nord, una bomba piazzata sul ciglio di una strada ha ucciso il comandante di polizia della provincia di Baghlan e altri cinque poliziotti nella regione di Kook Chinar, vicino alla città di Baghlan. L’ufficiale guidava la forza di intervento rapido. Già in occasione delle elezioni presidenziale e provinciali di giovedì, sospetti talebani avevano preso di mira Baghlan con attacchi multipli che avevano bloccato il voto per tutto il giorno. Un ufficiale dell’esercito afgano di ritorno da Kandahar, è stato assassinato da uomini armati vicino a Shash Gaw, nel centro del Paese. E durante un’operazione compiuta lo stesso giorno dall’esercito afghano, sostenuto da quello statunitense, quattro guerriglieri sono stati uccisi e sei arrestati nella provincia di Kandahar.




23 agosto 2009


in occasioNE della presentazione del suo ultimo libro: «noi»
Veltroni: «Non tutto il male
è colpa di Berlusconi»

«Ma il Premier responsabile è di non aver migliorato Paese, pur dominando la scena politica da 15 anni»


ROMA - «La colpa più grave di Berlusconi è quella di non avere migliorato in nulla il paese pur dominandone la politica da 15 anni, ma non credo che con lui scompariranno anche l'egoismo e l'individualismo». Walter Veltroni in un'intervista a «Il resto del Carlino» dice di non essere convinto che le responsabilità dello stato attuale del Paese siano tutte attribuibili al premier. «Credo però- aggiunge - che chi ha responsabilità di governo non dovrebbe alimentare gli aspetti più deteriori dell'epoca in cui vive. Detto questo...».

IL NUOVO LIBRO - L'ex segretario del Pd parla in occasione della pubblicazione del suo ultimo romanzo «Noi» e nella sua analisi individua nella società «una spinta all'odio». Uno dei capitoli del libro è ambientato negli anni settanta , «anni del terrorismo e della violenza cieca». Come lo spiega? «Siamo un paese che tende a prendere forti sbandate ideologiche. Si sono trasformati in ideologie persino il berlusconismo e l'antiberlusconismo , e il mio grande dolore - dice - è stato non essere riuscito ad avviare una stagione di collaborazione nell'interesse dell' Italia dopo le elezioni». Colpa di molti dirigenti del Pd e di Di Pietro? È la domanda. «Si anche - risponde Veltroni - ma soprattutto del fatto che il centrodestra ha preferito ripetere il copione della contrapposizione frontale».


23 agosto 2009



La festa. «Se fossi io vi pare che starei qui?»

Il paese indica Ugo, quarantenne
e single. Ma lui: «Non ho vinto»

Il sindaco: ci aiuti a costruire il Palasport


BAGNONE (Massa Carrara) — Sotto l’arco che porta in piazza Roma, il centro del paese, la torcida della fortuna impazza, si muove al ritmo di una samba improvvisata. Viva Bagnone, bello ma povero, il paese che incassa le provvidenze per le aree depresse, il comune dei vecchi, con la natalità sotto zero che una decina di anni fa propose un bonus per chi faceva figli. E da ieri il borgo dei superfortunati. Anzi, del superfortunato che adesso i compaesani, senza mai nominarlo con nome e cognome, non si sa se per scaramanzia o per rispetto, pensano di aver già «smascherato » .

«È un quarantenne, vive in paese — dice Giuliano Di Bernardo, un muratore —. Ha comprato ieri la schedina al Bar dell’Annamaria, due euro l’ha pagata. E poi se ne è andato. E ora...». Lui, il «nominato », Ugo Verni, 40 anni, single, operaio in una cooperativa agricolo- forestale, smentisce con un sorriso sulle labbra che fa pensare. «Siete fuori strada — risponde — ma vi pare che se fossi io il vincitore starei qui in piazza a festeggiare e a farmi intervistare? No, cercate altrove. Purtroppo io ho giocato e nulla ho vinto». E così, tra una danza e un urlo, un brindisi e uno sberleffo, la caccia al supermilionario è iniziata. «Forse è già in cammino verso il forziere», sorride Mara. «O forse è proprio Ugo, che ci fa fessi tutti e sta qui a fare il finto tonto», dicono i clienti della locanda Da Lina, che dopo cena hanno brindato e benedetto il cielo per questa manna ben augurante, sperando che il fortunato si ricordi del paese dove è nato o dove ha acquistato la schedina. Le voci si rincorrono per tutta la notte. La più lunga di Bagnone, duemila anime d’inverno, seimila d’estate quando dal Nord tornano gli emigrati, paesino della Lunigiana di una bellezza incantata con i suoi castelli e i paesaggi magici, a cavallo tra Toscana, Liguria ed Emilia. La schedina da due euro è stata giocata al Bar Biffi, sotto l’arco medievale che porta in paese (oggi ribattezzato arco di trionfo). «Guardavamo la partita Siena- Milan quando ci hanno avvertiti del miracolo — racconta Annamaria Ciampini, la titolare —. Tanta gente passa d’estate qui in paese. Ma io ho un presentimento. Questi soldi sono di un concittadino».

Il sindaco di Bagnone, l’architetto Gianfranco Lazzeroni, presentimenti non ne ha. Ma speranze molte. «Speriamo sia uno di noi — dice — e che con questi soldi diventi un imprenditore e investa sul paese. Straordinario, con un ambiente ancora incontaminato, ma purtroppo povero, come tutta la Lunigiana. Io sono certo che, se si investisse sul turismo, l’economia di Bagnone volerebbe e sarebbe da traino a tutta la Lunigiana». Anche il viceparroco, don Marco Giuntini, prega perché questa manna del cielo resti qui. «Mi auguro che chi li ha guadagnati spenda un po’ di quei soldi per donare al paese un centro giovanile. Un sogno? Una bella processione per il patrono, San Nicola, con tanti bambini e ragazzi. La speranza del futuro».


23 agosto 2009


NEL CASERTANO
Incidente d'auto durante evasione:
un morto e un ferito grave

Uno dei due uomini al volante muore. L'altro, agli arresti, fugge e non presta soccorso alla donna che era con lui

NAPOLI - Un incidente stradale mortale è avvenuto nella serata di sabato a Casaluce, in provincia di Caserta. Nello scontro frontale fra due auto ha perso la vita un uomo, e una donna, rimasta gravemente ferita, è attualmente in prognosi riservata. Alla guida di una delle due auto coinvolte nell'incidente c'era un pregiudicato, evaso dagli arresti domiciliari, che ha tentato la fuga a piedi. L'uomo convivente della donna rimasta ferita, non le ha prestato soccorso per scappare. Ma è stato arrestato di nuovo, subito dopo. Nello scontro è rimasto coinvolto anche un bambino di 10 anni, figlio della donna: dagli accertamenti è risultato illeso.

LA VITTIMA - Vittima dello scontro frontale fra una Lancia y e una Fiat Punto - sulla strada provinciale fra Casaluce e Carditello - è un uomo di 51 anni, Renato Gentile, morto sul colpo. Di origine di Aversa, ma residente a Casaluce, Gentile era un invalido civile e guidava la Fiat Punto. Maria Guarino, in prognosi riservata, è attualmente ricoverata nell'ospedale di Aversa. A tentare la fuga, a piedi, è stato invece Roberto Monaco, rintracciato subito dopo, non lontano dal luogo dell'incidente. Gli inquirenti - sul caso indagano i carabinieri di Aversa - stanno vagliando al sua posizione; sarà arrestato di nuovo per evasione e omissione di soccorso.


23 agosto 2009




superenalotto: Sopravvivere all’improvvisa fortuna
Sei consigli (non richiesti)
Il vincitore eviti Lehman Brothers e anche la Costa Smeralda (troppa gente indebitata»

Il vincitore del Superenalotto, oggi, vuole anonimato, non consigli. Un buon motivo per offrirgliene sei, come i numeri che l’hanno fatto vincere. Avrebbero potuto essere 147, come i milioni che incasserà. Ma ci sentiamo buoni.

1 Mai più giochi d’azzardo, lotterie, roulette. Consentita solo una tombola natalizia, negli anni dispari. Un personaggio di un bel libro di Joseph Conrad — «Al limite estremo» — dopo aver vinto una lotteria in Oriente, ha creduto di poter ripetere l’impresa. S’è rovinato la vita, e s’è giocato la nave che aveva comprato. Ecco: evitare di comprare qualsiasi oggetto galleggiante, se si tratta del primo acquisto del genere.

2 Evitare l’euforia. Partecipare a «Domenica in», voler ricomprare Ibrahimovic per regalarlo a Mourinho (così smette di piagnucolare), arrampicarsi sul campanile del paese, baciare per strada la maestra delle elementari, rotolarsi nei giardini pubblici, avvinghiati a un bambolotto con le fattezze di Giulio Tremonti (in quanto titolare del ministero cui fanno capo i monopoli di Stato): sono iniziative estreme e sconsigliate. Tutta l’Italia, presto, conoscerà l’identità del vincitore. Ma, per qualche giorno, costui o costei mediti in pace sull’impiego del suo capitale.

3 Evitare la paranoia. Vincere 147 milioni è meglio che avere il mal di denti, cadere dalle scale, o vedere un’altra fotografia di George ed Elisabetta. È vero: sarà più difficile scegliere l’automobile, non dovendo guardare il prezzo. Magari un’Alfa 147, visto che il numero porta bene?

4 Scegliersi buoni consiglieri finanziari, in vista dell’inevitabile investimento. La moglie va benissimo, così i figli o gli amici al bar. Evitare le banche che hanno perso denaro con sconsiderati investimenti in Lehman Brothers, titoli islandesi, crack Madoff, hedge funds . Quindi: evitare le banche.

5 Scegliere bene le prossime vacanze. Un uomo o una donna molto liquidi devono tenersi alla larga da Costa Smeralda, Portofino e Capri: troppa gente indebitata. Meglio l’Adriatico. Si può comprare, mandare via tutti e poi giocare con le paperelle.

6 Stilare un elenco di tutti i conoscenti che si aspettano di ricevere un regalo in contanti. E poi dare i soldi a qualcun altro, che non se li aspetta, ma se li merita.

Consiglio jolly Buttare due milioni in modo sconsiderato (molti calciatori di serie A saranno felici di spiegare le modalità dell'operazione). A quel punto subentrerà il pentimento, e 145 milioni sono salvi.

Consiglio superstar Non seguite alcun consiglio. Con 147 milioni, che bisogno c’è?

Beppe Severgnini
23 agosto 2009


ROMA
Gay aggrediti , è polemica sulla denuncia
a piede libero.

Alemanno:«In carcere»

Rabbia per la decisione del magistrato, ma il procuratore lo difende: «Non è stato preso in flagranza»


«Perchè mi ritrovo così senza aver fatto nulla di male? Perchè uccidere per niente? Perchè arrivare a questo?». Dino continua a ripetere le sue domande nel letto di terapia intensiva all'ospedale Sant'Eugenio di Roma. E' cosciente, ma estremamente debole dopo la coltellata ricevuta all'addome e il successivo intervento per salvargli il polmone e il fegato lesionati dal fendente: ora è grave, ma non in pericolo di vita e le sue condizioni sono in via di miglioramento. Accanto a lui, il testimone chiave che venerdì notte gli ha salvato la vita, prendendolo in braccio e portandolo lontano dalla furia di A. S., il 40enne che, infastidito dalle effusioni tra Dino e un altro ragazzo, ha aggredito i due all'uscita dal «Gay Village». «Stavamo finendo di mangiare un panino - racconta Dino - e ho abbracciato Giuseppe. Ci siamo dati un bacio, come una normale coppia. Solo un bacio. Questa città negli ultimi tempi è cambiata molto». Dino ha ancora mal di testa: «Mi sento stordito - aggiunge -. Quell'uomo prima ha dato una bottigliata in testa al mio amico (Giuseppe, 44 anni, già dimesso dall'ospedale con una prognosi di sette giorni, ndr) poi a me e quando gli ho risposto che non stavamo facendo nulla di male, mi ha dato la coltellata».


Gay Village
POLEMICHE PER LA DENUNCIA A PIEDE LIBERO - Per l'aggressione è stato denunciato per tentato omicidio A. S, 40enne con precedenti penali. L'uomo è libero: il magistrato, infatti, ha deciso di non metterlo in carcere perchè non è stato fermato in flagranza di reato, ma successivamente grazie all'identikit fornito dal testimone chiave. La mancata custodia in carcere è stata difesa dal procuratore di Roma, Giovanni Ferrara, ma sta creando molte polemiche nel mondo politico e delle associazioni che difendono i diritti dei gay. «Non capisco perchè non stia dentro - attacca Imma Battaglia, leader del movimento e organizzatrice del Gay Village - . Da tempo sostengo che l'Italia deve firmare una legge sull'omofobia che deve essere considerata un'aggravante per questi reati. Il sindaco di Roma deve unirsi a noi in questa battaglia».

LA CONDANNA DI ALEMANNO - E Gianni Alemanno non si tira indietro annunciando che il Campidoglio si costituirà parte civile «contro il criminale che ha tentato di uccidere due ragazzi con movente di intolleranza omofobica». «E' inaccettabile -aggiunge il primo cittadino - che un accoltellatore che ha agito con un chiaro movente di intolleranza sessuale sia soltanto denunciato a piede libero per un mero cavillo procedurale. Ancora una volta devo protestare vivamente per una decisione adottata da un magistrato. Senza certezza della pena qualsiasi politica di sicurezza è delegittimata».

IL PROCURATORE DIFENDE IL MAGISTRATO - Le parole di Alemanno non piacciono al procuratore della repubblica di Roma, Giovanni Ferarra. «È improprio parlare di cavillo procedurale - spiega -. La Procura si è mossa, anche in questo caso, secondo le regole dettate dal Codice che tutela le garanzie di tutti i cittadini. Quello che è stato definito cavillo procedurale - aggiunge - in realtà è la mancata flagranza di reato. La legge stabilisce in questo caso la denuncia. Naturalmente la vicenda è molto grave e prenderemo tutti gli opportuni provvedimenti del caso».

ROMA CAPITALE DELLE AGGRESSIONI ANTIGAY - L'ultima aggressione a gay a Roma è avvenuta a giugno nei pressi di Campo dè Fiori. Due giovani denunciarono di essere stati aggrediti attorno all'una di notte mentre passeggiavano mano nella mano in via del Biscione: ad un tratto un gruppo di circa 5-6 ragazzi tra i 18 e i 20 anni si avvicinò, inveì contro di essi colpendoli ripetutamente e con violenza. In particolare picchiarono il più giovane buttandolo in terra e facendogli sbattere la testa contro un sasso. Episodi di omofobia c'erano stati in precedenza nella cosidetta Gay Street, nei pressi del Colosseo.
Per Vladimir Luxuria, ex parlamentare, vincitore dell'Isola dei Famosi ed uno dei leader storici del movimento gay ed animatore anche delle notti romane «mai vissuti, a mia memoria, tempi così bui a Roma» ha commentato. «La città - ha spiegato Luxuria - è sempre più insicura per tutte le categorie deboli non solo per le donne. Ci sentiamo tutti meno sicuri e viviamo con terrore questo clima fatto di squadracce e spedizioni punitive. Stavolta al Gay Village è toccato a due persone che erano colpevoli solo del fatto che si stavano abbracciando».

NECESSITA' DI UNA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA - «Alemanno ha ragione, l'aggressore andava arrestato - concorda Franco Grillini, presidente di Gaynet, l'omofobia drammatica emergenza nazionale. Quella che sta finendo è stata una estate costellata da episodi di aggressione omofobica e Roma si conferma come la capitale storica degli omicidi e delle aggressioni antigay». Secondo Grillini, «non c'è dubbio che ciò che è successo è il prodotto di una campagna d'odio verso le persone omosessuali che non accenna a cessare e contro la quale sarebbe necessario approvare subito la legge che giace in Parlamento contro l'omofobia ormai da un decennio e che non è mai stata approvata per l'opposizione vaticana». «Chi ha responsabilità di governo locale e nazionale - commenta l'assessore alle Politiche culturali della Provincia di Roma, Cecilia D'Elia - non può che essere preoccupato per l'aumento di questo fenomeno. Oltre a una normativa contro l'omofobia, che si rende sempre più urgente, c'è bisogno di mettere in campo una grande battaglia culturale per contrastare ogni forma di intolleranza e discriminazione».


23 agosto 2009


la procura di agrigento procede per omicidio colposo e favoreggiamento
Tragedia in mare, scontro Bossi-Vaticano
Gli eritrei potrebbero essere incriminati
Il Senatùr: parole di poco senso. Santa Sede: rispettare diritti dei migranti, animali domestici trattati meglio


MILANO - Duro scontro tra Umberto Bossi e il Vaticano dopo l'ennesima tragedia dell'immigrazione nel Canale di Sicilia. La Santa Sede esprime dolore per il continuo ripetersi delle morti in mare e chiede alle società sviluppate di «rispettare sempre i diritti dei migranti, senza chiudersi all'egoismo». Lo ha detto il presidente del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti, monsignor Antonio Maria Vegliò, in una intervista pubblicata sul sito di Radio Vaticana. Dal canto suo il leader leghista attacca la Cei (che venerdì aveva parlato di «offesa all'umanità»), dicendo che sono «parole con poco senso». Intanto l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) chiede che sia fatta chiarezza su quanto accaduto nel Mediterraneo. «È importante che non passi il principio dell'impunità, cioè che il Mediterraneo sia diventato una sorta di terra di nessuno» dice la portavoce Laura Boldrini.

ANIMALI DOMESTICI - Le società «cosiddette civili», denuncia monsignor Veglio, sono sempre più egoiste, al punto da preferire, in casi estremi, di condividere i propri beni con gli animali domestici piuttosto che con lo straniero. «Ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione» prosegue, citando l'enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI. «I sentimenti di rifiuto dello straniero sono originati - spiega - non solo da una non conoscenza dell'altro, ma anche da un senso di egoismo per cui non si vuole condividere con lo straniero ciò che si ha. E purtroppo i numeri continuano a crescere: secondo le ultime statistiche dal 1988 a oggi il numero di potenziali migranti naufragati o vittime alle frontiere dell'Europa ha contato oltre 14.660 morti».

IN FUGA DALLA FAME - Queste tragedie, spiega monsignor Veglio, «colpiscono esseri umani che cercano di raggiungere Paesi o regioni economicamente più sviluppati, per fuggire povertà e fame. Per questo sono pronti a rischiare tutto, anche la loro stessa vita. Si richiede una forte e lungimirante politica di cooperazione internazionale per essere adeguatamente affrontato. Se da una parte è importante sorvegliare tratti di mare e prendere iniziative umanitarie, è legittimo il diritto degli Stati a gestire e regolare le migrazioni. C'è tuttavia un diritto umano ad essere accolti e soccorsi. Ciò si accentua in situazioni di estrema necessità, come per esempio l'essere in balia delle onde del mare».

VIOLAZIONE DEI DIRITTI - Monsignor Giuseppe Merisi, presidente della Caritas, vescovo di Lodi e presidente della Commissione episcopale per la carità e la salute sottolinea che bisogna verificare se c'è stata violazione dei diritti umani e accertare le responsabilità. «Se c'è stata questa violazione è un fatto grave» conclude. Il direttore dell'Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, invoca «strategie coordinate tra Ue e Stati africani, non polemiche». «Il primo dovere internazionale è evitare che si ripetano queste tragedie alle quali si sta creando una pericolosa assuefazione», spiega in un'intervista alla Stampa, ricordando che «varie volte Benedetto XVI ha condannato l'ignobile traffico di esseri umani». Durissime le parole di monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo: «Le sparate a salve di Bossi sono solo per i suoi seguaci e non per chi come noi vuole risolvere la situazione e sono talmente gravi al pari dei fatti incresciosi avvenuti al largo del Mediterraneo».

«PAROLE CON POCO SENSO» - Umberto Bossi aveva lanciato la sfida attaccando di petto: «Quelle dei vescovi sono parole con poco senso». Il riferimento è alle dichiarazioni della Cei, che ha definito la nuova tragedia del mare nel Canale di Sicilia «un'offesa per l'umanità». «Che le porte le apra il Vaticano che ha il reato di immigrazione; che dia lui il buon esempio - ha aggiunto il leader della Lega -. Partono molto meno di prima ma bisogna riuscire a fermarli, sennò si prosegue con un sacco di morti, con gente che rischia la vita per niente, perché quando arriva qui non ci sono posti di lavoro. Dato che nessuno accoglierà la gente senza controlli bisogna assolutamente fermare le partenze». Anche il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli ha attaccato i vescovi: «Sento critiche inaccettabili, strumentali e basate su presupposti falsi a proposito del dramma degli eritrei e allora sono obbligato a ricordare che noi, e non altri, abbiamo soccorso i superstiti e salvato vite umane. Con la fermezza, una fermezza preventiva il nostro governo ha già salvato, senza alcun dubbio, centinaia di vite. Ha applicato una fermezza che è profondamente umana».

DUE IPOTESI DI REATO - Intanto la Procura di Agrigento ha aperto un'inchiesta con due ipotesi di reato: «Stiamo procedendo per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e omicidio colposo plurimo a carico di ignoti» spiega il procuratore Renato Di Natale. Nell'indagine, condotta dal pm Santo Fornasier, potrebbe entrare anche l'ipotesi di omissione di soccorso, dopo che i cinque eritrei superstiti hanno raccontato di non essere stati tratti in salvo da una motovedetta maltese. L'equipaggio si sarebbe limitato a fornire loro dei salvagenti e il carburante per proseguire verso Lampedusa.

UNHCR: «NON INCRIMINARE ERITREI» - L'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) chiede che sia fatta chiarezza su quanto accaduto nel Mediterraneo. L'Onu chiede che la magistratura individui le responsabilità e non le lasci impunite. «Riteniamo -ha affermato la portavoce, Laura Boldrini- che sia necessario far chiarezza sulle responsabilità e ci auguriamo che la magistratura proceda in questo senso. È importante che non passi il principio dell'impunità, cioè che il Mediterraneo sia diventato una sorta di terra di nessuno». Quanto all'eventualità che i cinque sopravvissuti vengano incriminati per immigrazione clandestina, l'Unhcr ricorda che «anche in base alle nuove normative del pacchetto di sicurezza, il reato di clandestinità è sospeso per i richiedenti asilo e normalmente la quasi totalità degli eritrei che arrivano in Italia via mare fa domanda d'asilo». Invece, ha concluso Boldrini, «vista l'esperienza drammatica vissuta dai cinque eritrei sarebbe auspicabile un loro trasferimento in una struttura in cui possa essere fornita assistenza psicologica come avviene per le vittime di disastri naturali».

I CINQUE SUPERSTITI - «La Guardia di finanza e la polizia stanno svolgendo una serie di accertamenti, anche sui giubbotti di salvataggio trovati a bordo del gommone - spiega Di Natale -. Si tratta comunque di una vicenda giudiziaria complessa. Dobbiamo anche valutare l'iscrizione nel registro degli indagati dei cinque eritrei: in base alle norme del decreto sulla sicurezza devono infatti rispondere di immigrazione clandestina, anche se sono nelle condizioni di fare richiesta d'asilo perché riconosciuti cittadini bisognosi di protezione». L'Unhcr ricorda però che «anche in base alle nuove normative del pacchetto di sicurezza, il reato di clandestinità è sospeso per i richiedenti asilo e normalmente la quasi totalità degli eritrei che arrivano in Italia via mare fa domanda d'asilo». Il procuratore non esclude poi una formulazione di accusa contro Malta: «Stiamo valutando il racconto dei naufraghi: se dovesse trovare conferma non escludiamo una possibile rogatoria internazionale con Malta per l'ipotesi di omissione di soccorso».

CADAVERI ABBANDONATI - Fino a questo momento sono stati ascoltati quattro dei cinque eritrei soccorsi giovedì scorso al largo di Lampedusa. I migranti hanno riferito di essere gli unici superstiti di un gruppo di 78 extracomunitari, partito il 28 luglio dalla Libia. Durante la traversata i loro compagni sarebbero morti di stenti e i cadaveri abbandonati in mare. I superstiti hanno anche sostenuto che una motovedetta maltese avrebbe fornito loro il carburante per proseguire verso Lampedusa, rifiutandosi di soccorrerli. «Il codice di navigazione internazionale - osserva il procuratore - obbliga a prestare soccorso in mare a chiunque si trovi in difficoltà, a prescindere dalla nazionalità. Si tratta comunque di una vicenda complessa, visto che l'episodio è avvenuto in acque di competenza maltese. Teoricamente dovrebbe essere la magistratura di quel Paese a procedere».

NOVE CORPI AVVISTATI - Intanto proseguono le ricerche in mare e sono nove i cadaveri avvistati nel Canale di Sicilia dagli aerei maltesi impegnati nella missione "Frontex", il pattugliamento congiunto del Mediterraneo. I corpi, tutti in avanzato stato di decomposizione, potrebbero appartenere ai migranti che erano sul gommone con i cinque eritrei soccorsi al largo di Lampedusa. I maltesi hanno spiegato che non è stato possibile il recupero perché si trovano in acque di competenza libica. I primi quattro cadaveri sono stati individuati martedì, altri tre giovedì sera, quando le autorità della Valletta hanno comunicato ufficialmente a quelle italiane l'avvistamento. L'ottavo avvistamento è stato registrato venerdì pomeriggio, mentre sabato è stato trovato (e recuperato) il nono corpo, in avanzato stato di decomposizione, a sud di Linosa.







L'intervista Gian Maria Vian, direttore dell'Osservatore Romano
«Aprire le porte? Il Vaticano
è uno Stato piccolo»

«Quella di Bossi mi sembra solo una battuta». «Ovviamente il problema è internazionale». «Frattini ha ragione quando dice che l'Italia ha fatto più di altri»

CITTÀ DEL VATICANO — All'inizio il direttore dell'Osservatore Romano, Gian Maria Vian, parla di semplice battuta: «Non mi sembra il caso di rispondere a un ministro della Repubblica italiana che invita il Vaticano ad aprire le porte ai clandestini per dare il "buon esempio". Tutti sanno bene che il Vaticano è uno Stato minuscolo». Anche se avanza risposte «per assurdo» alla provocazione di Umberto Bossi: «Si potrebbe pensare per assurdo al piccolo ed antichissimo collegio etiopico. Può ospitare al massimo una ventina di sacerdoti fra etiopi ed eritrei. Tuttavia Giovanni Paolo II volle creare in Vaticano un vero spazio di accoglienza affidato alle missionarie della carità di madre Teresa, fortemente simbolico della volontà di accoglienza della Chiesa largamente praticata in Italia dai cattolici in ben altre strutture. Comunque quella del ministro Bossi mi sembra solo una battuta».

Ma allora cosa può fare la Santa Sede, visto che non può certo ospitare i clandestini? «La Santa Sede in questi mesi, direi in questi anni, ha sempre insistito sulla dimensione internazionale, addirittura mondiale, del problema. Perché è un problema che va risolto con la collaborazione internazionale. Quest'ultima tragica vicenda è ovviamente sconvolgente. Rimane comunque tutta da appurare. Noi ieri sul giornale abbiamo dato voce al prefetto di Agrigento, che abbiamo voluto sentire proprio perché è l'autorità istituzionale incaricata dal ministro dell'Interno italiano d'indagare sulla vicenda. Se si accerterà che è stato omesso il soccorso in mare, è un fatto gravissimo che viola i diritti umani».

Ma forse non basta fare appello alla collaborazione internazionale. «Il problema ovviamente non si riduce a questo: coinvolge il traffico di esseri umani, che purtroppo è una realtà presente ed ignobile, vergognosa, che va troncata. Il Papa l'ha denunciata a più riprese. Proprio un anno fa chiedeva "efficaci risposte politiche" a questa emergenza e invitava le istanze regionali, nazionali ed internazionali ad un "senso di responsabilità e spirito umanitario". Ma chiedeva questo stesso senso di responsabilità anche ai Paesi di origine, non solo per rimuovere le cause di migrazione irregolare, che vanno dalle ingiustizie sociali, alle persecuzioni politiche e religiose, ma anche per stroncare alle radici tutte le forme di criminalità collegate».

In concreto cosa si dovrebbe fare? «È indiscutibile che il soccorso e l'accoglienza vanno prestati. Però siamo di fronte ad un uso cinico del fenomeno da parte di questi commercianti di carne umana. La nuova tratta degli schiavi coinvolge innanzitutto i Paesi dell'Africa subsahariana. Ma non solo. L'arcivescovo Vegliò, presidente del Consiglio per i migranti, l'autorità della Santa Sede competente in materia, ha allargato il problema al Messico, agli Stati Uniti e all'Estremo Oriente. E, in Europa, non riguarda solo l'Italia, ma anche la Grecia e la Spagna, una Spagna che ha avuto la mano ben più dura. Ha ragione il ministro Frattini a dire che l'Italia è il Paese che ha raccolto più migranti in mare».



aveva fatto il bagno alla foce del fiume tagliamento
Morto il ragazzo disperso a Lignano
Era scomparso sabato in mare. Il cadavere ritrovato a dieci chilometri di distanza

TRIESTE - È stato trovato morto sulla spiaggia di Bibione (Venezia) Nicola Bresciani, il ragazzo di 16 anni di Agnosine (Brescia) scomparso sabato in mare, alla foce del fiume Tagliamento, a Lignano (Udine), mentre faceva il bagno insieme al nonno - Renzo Tononi, di 72 anni - che è morto, e al fratello Enrico, di 13 anni, che è riuscito a salvarsi. Il cadavere - si è saputo dalla Capitaneria di Porto di Trieste - è stato trovato dagli addetti alle pulizie della spiaggia dello stabilimento balneare «Il faro», poco prima dell'ora di apertura della struttura al pubblico. Il corpo - ha riferito la Capitaneria di porto di Trieste, che ha coordinato le ricerche - si trovava a circa dieci chilometri dal punto della scomparsa ed è stato trascinato lì dalle correnti che, dal Tagliamento, vanno verso Ovest. Sul posto sono intervenuti i Carabinieri e l'equipaggio di una delle imbarcazioni della Guardia Costiera, che avevano ripreso le ricerche del ragazzo.

LA RICOSTRUZIONE - Del ritrovamento è stata informata la Procura della Repubblica di Venezia, che si sta interessando della vicenda insieme a quella di Udine per chiarire le circostanze nelle quali è avvenuta la tragedia. Non è ancora chiaro, infatti, se Renzo Tononi e i nipoti sono entrati in acqua insieme o se l'uomo è entrato in acqua per aiutare uno o entrambi i nipoti in difficoltà per le correnti della foce del Tagliamento. Subito dopo il riconoscimento da parte dei familiari, la Capitaneria di Porto di Trieste ha sospeso le operazioni di ricerca e ha fatto rientrare le motovedette e le imbarcazioni che erano uscite, nonostante le difficili condizioni del tempo. Nicola Bresciani era giunto a Lignano venerdì pomeriggio per trascorrere una vacanza con i nonni, i genitori e il fratello più piccolo in un campeggio che si trova a pochi metri dalla foce del Tagliamento.





Il tenente Calley fu condannato per la strage di My Lai di 41 anni fa
L'ex ufficiale, unico criminale di guerra Usa, dice di essere oppresso dal rimorso
Le scuse del boia del Vietnam
"Fu un massacro, perdonatemi"





Il tenentino che perse la guerra in Vietnam ha aspettato quarantun anni per chiedere scusa, forse un po' troppo tempo, ma finalmente anche per lui il sollievo della confessione è arrivato. Compiuti i 66 anni, l'età dei bilanci e dei fantasmi, William Calley, il tenente di fanteria che guidò la Compagnia "C" al massacro di un intero villaggio vietnamita per aumentare il "body count", il bottino dei morti come pretendevano i generali, ha chiesto scusa. Ha confessato di non poter più vivere con il ricordo dell'orrore, di quelle donne violentate e mitragliate, di quei bambini trapassati alla baionetta, dei vecchi consumati dai lanciafiamme abbracciati ai piccoli che cercavano di proteggere e di sperare, nel pubblico pentimento, qualche sollievo dagli spettri che lo assediano, dal 16 marzo del 1968.

Nessuno, non i generali a quattro stelle, non i presidenti e neppure gli strateghi nemici come il generale Giap, fece quello che il tenente William Laws Calley fece a 25 anni per mobilitare il disgusto nazionale per quella che, dopo di lui, sarebbe per sempre diventata "una sporca guerra". Fu colui che scosse l'America dalla certezza della propria eccezionalità e della propria innocenza e la mise di fronte alla realtà atroce di quella presunta missione civilizzatrice.

Calley ebbe la sfortuna di avere un commilitone che sentì prima di lui il bisogno di parlare, di cercare un giornalista coraggioso, Seymour Hersh, disposto a fare quello che né i comandi, né il Parlamento americano, avevano osato fare: raccontare quello che era accaduto nel villaggio di My Lai, un nome che suona beffardamente in inglese come "la mia menzogna", in quel marzo del 1968.

Quando Calley, ufficialetto di complemento prodotto in fretta e furia dopo appena 16 settimane di corso, fu inviato a My Lai, erano passate poche settimane dall'offensiva del capodanno buddista, il Tet. La macchina militare americana, all'apice dei 500 mila soldati, aveva sofferto non una sconfitta, ma un'umiliazione, e il mito della invincibilità, della "luce alla fine del tunnel" si era frantumato in patria, proprio mentre esplodeva il '68. Calley, e i suoi soldati, non cercavano vittorie, cercavano vendetta per i compagni uccisi, sfogo per la loro esasperazione, e corpi da contare, per concludere la missione e tornare in fretta al mondo, a casa. Si chiamavano operazioni "cerca e distruggi", e la Compagnia C dell'Undicesima Brigata di fanteria leggera sbarcò dai proprio elicotteri per distruggere.

Non fu mai stabilito quanti esseri umani furono uccisi, perché nella giungla tropicale i corpi si decompongono in fretta e nelle capanne incendiate non arrivò nessuna polizia scientifica a frugare nei resti. Forse 70, come sentenziò la Corte Marziale, 300, come disse qualche testimone, 500 secondo il piccolo museo memoriale costruito nel villaggi.

Ma nessuno di loro, neppure a guerra finita, risultò essere un guerrigliero, un "quadro" vietcong, un agente del Nord comunista. Per tre ore, lui - Calley detto "Rusty", il rugginoso per le efelidi infantili, un ragazzo qualsiasi che si era arruolato soltanto perché la sua auto si era guastata davanti al centro di reclutamento e, disperato, senza soldi, studi e futuro, era entrato - i suoi soldati, anche loro giovanotti qualsiasi pescati nella lotteria della leva militare, divennero quello che la guerra produce sempre, secondo l'ammonimento del grande generale nordista e distruttore di Atlanta, William Tecumseh Sherman: demoni.

Furono necessari due anni, lo scoop del giornalista Seymour Hersh che lacerò il sudario di silenzio costruito dal governo attorno a My Lai, perché il processo fosse celebrato, con una sentenza che incendiò l'America. I pacifisti furono sconvolti dalla condanna all'ergastolo del solo Calley, e dalla assoluzione del superiore diretto che lo aveva inviato in missione, il capitano Medina, quando emersero immagini di bambini ripescati dalle fosse con una "C" incisa nel petto dalle baionette. I buoni patrioti furono altrettanto sconvolti da una condanna così pesante per "crimini di guerra" contro un soldato colpevole, secondo loro, soltanto di avere - antica storia - obbedito agli ordini. Si sollevarono per lui governatori nel Sud, tra i quali anche un futuro presidente, Jimmy Carter. E Nixon commutò la pena dall'ergastolo a soli due anni di arresti domiciliari, nel 1974, quando ormai la guerra era finita.

Finita per gli altri, ma non per il tenente figlio di un rigattiere della Florida, divenuto criminale di guerra. Quando tornò a piede libero, lavoricchiò come commesso nel negozio del suocero, poi come venditore di polizze. Sempre con il sabba di quei cadaveri che neppure lui sapeva quanti fossero, perché la conta dei cadaveri vietnamiti era notoriamente fasulla e gonfiata, fino alla sera di giovedì scorso, quando si è alzato a parlare a una cena del club dei Kiwanis per chiedere, 41 anni dopo, "perdono" e ammettere tutto. "Io lo perdono anche - ha detto alla Associated Press il vecchietto che fa da guardiano al museo del massacro in Vietnam ed ebbe una sorella nella fossa - ma deve venire qui, a My Lai, e chiederlo a noi".

(23 agosto 2009)
 
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